13.10.09

Caro Silvio, fai come De Gaulle

di MARIO GIORDANO
Come De Gaulle. A questo punto il premier Berlusconi dovrebbe fare proprio così, come "mon generar: una riforma, costituzionale, con elezione diretta del presidente della, Repubblica, da sottoporre direttamente a referendum popolare. Dal discorso di Bayeux al discorso di Arcore: le analogie sono tante. In fondo anche De Gaulle aveva dato molto al suo Paese, ricevendone in cambio ingiuste critiche e accuse. Anche lui riusciva a farsi capire dal popolo assai più che dai giornali e dall'alta borghesia. Che fece allora? Varò la riforma, e la sottopose a referendum. Vinse con l'83 per cento dei voti. Autoritarismo? Decisionismo? Colpo di mano? Macché: guardate la Francia e sorridete. De Gaulle salvò la, democrazia.
C'era il caos, nacque la Quinta Repubblica. Ora noi non pretendiamo tanto: ci accontenteremmo della Terza. La nostra prima Repubblica l'hanno affossata i partiti, la seconda la sta affossando il gorgo istituzionale. La terza chissà, forse andrà, meglio. Del resto non è mica possibile? Il mondo cambia e noi siamo ancora, qui con mille deputati, il bicameralismo perfetto, le decisioni politiche della Corte Costituzionale, la casta, dei giudici che se ne impipa, della volontà popolare. Non sappiamo se sia vero o no, come si dice e si scrive, che sul tavolo del premier galleggi la voglia di una riforma forte. Ma di sicuro quella voglia galleggia per il Paese. È evidente. Che altro bisogna aspettare per cambiare? L'arrivo degli Ufo? Il Torino che vince la Champion's League? Di Pietro che azzecca un congiuntivo?
Il presidenzialismo, fra l'altro, risolverebbe molti problemi. Darebbe finalmente poteri veri al capo dell'esecutivo (non si lamenta sempre Berlusconi che il presidente del Consiglio non può decidere nulla? Che al massimo può fare moral suasion con i ministri?). E scioglierebbe in modo definitivo quei conflitti che da almeno 15 anni avvelenano la vita politica italiana, fra scontri istituzionali e arbitri che anziché fare gli arbitri, scendono in campo e giocano indebite partite. Ieri, per esempio, il presidente Napolitano, nel negare l'esistenza di un patto sul lodo Alfano, ha parlato di una «prassi di semplice consultazione e leale cooperazione» nella stesura dei disegni di legge. Strano, no? In quale articolo della Costituzione è previsto che il Capo dello Stato "cooperi" alla stesura, delle leggi? Dove è prevista, prima dell'approvazione delle Camera, la "consultazione" del Quirinale?
Che ci volete fare? Di questi tempi scopriamo di avere in materia di diritto pubblico più lacune di quelle D'Alema ha in materia di simpatia. Dopo aver scoperto che la sovranità popolare è un optional un po' demodé, adesso veniamo a scoprire l'esistenza della "cooperazione legislativa" del capo dello Stato. E del resto quello che "coopera" non è lo stesso presidente Napolitano che, con procedura piuttosto irrituale, ai tempi del caso Englaro, scriveva lettere al Consiglio dei ministri (mentre il Consiglio dei ministri era in corso), per suggerire che cosa il governo dovesse decidere? Un po' bizzarro, non vi pare? È come se, prima dell'inizio di una partita di calcio, l'arbitro mandasse un messaggio all'allenatore di una squadra: guarda, che se fai giocare quel centravanti, appena entra in campo lo espello...
Troppe stranezze, troppe lentezze, troppi ingorghi. Urge fare chiarezza. E quale strada, migliore, per fare chiarezza, che una limpida riforma costituzionale approvata da referendum popolare? In fondo di revisionare la Carta si parla da anni. La prima commissione parlamentare per la riforma fu istituita nel 1982 (la commissione Bozzi) e raccolse decine di proposte che già erano state avanzate negli anni precedenti, segno evidente che la necessità di mettere mano a qualche norma si sentiva fin da allora, quando pure la Costituzione era una giovinetta e non l'anziana signora di oggi. E la sinistra non era forse d'accordo sulla necessità di cambiare quando a metà degli anni Novanta mise D'Alema a presiedere la Bicamerale? E Fini non è sempre stato un grande sostenitore del presidenzialismo? E allora chi potrebbe gridare allo scandalo di fronte a una proposta di riforma costituzionale approvata dalla maggioranza del Paese?
Del resto, quando la situazione sembra incagliarsi, Berlusconi ha sempre avuto la capacità di risolvere le situazioni con salti in avanti, colpi di genio, gesti coraggiosi. Fu così nel 1994 quando fondò Forza Italia, è stato così nel 2007 quando fondò il partito unico dal predellino di San Babila. Ora è di nuovo uno di quei momenti critici e dunque topici. Al di là degli indiscutibili risultati di governo, e per ragioni che abbiamo più volte sviscerato, il Paese sembra sul rischio di impantanarsi in un estenuante e distruttiva guerra di posizione. Una guerra, che conviene solo a chi vuole il male generale. Gli italiani hanno fiducia nel centrodestra e chiedono cambiamento. Lo chiedono in fretta. E dunque non c'è più tempo da aspettare. Bisogna agire, bisogna fare come De Gaulle. «Ho contro di me i borghesi e i diplomatici, e dalla mia parte solo le persone che prendono la metrò», diceva, il Generale. Ma è con le persone che prendono la metrò che si riesce a cambiare un Paese. E a salvarlo dai borghesi e dai diplomatici. E forse anche dai giornali.

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