16.11.09

Dalle promesse alla realtà

di VITTORIO ZUCCONI

"Avrebbe potuto prendere il toro dell'inquinamento globale per le corna a Copenaghen e invece lo ha scansato" fremono contro Obama gli ambientalisti del Wwf, aggiunti da ieri alla sempre più lunga lista internazionale dei delusi dal carismatico "profeta del cambiamento" che in 10 mesi di presidenza sembra avere cambiato poco.

La sua rinuncia a fare del vertice Onu in Danimarca sull'ambiente, in dicembre, la affermazione definitiva del nuovo corso americano sul clima, e la notizia che il presidente oggi occupato a parlare di vile moneta e di mercati con i cinesi, neppure si scomoderà a parteciparvi visto che nessun trattato concreto ne uscirà oltre i soliti "impegni politici" sta seminando lo sconforto tra coloro che avevano visto in lui l'attore di quella svolta ambientalista che George Bush aveva scaricato. Se non è proprio lo sprezzante rifiuto del primo accordo di Kyoto che George "W" aveva pronunciato morto nel 2001 per rassicurare subito i poteri economici e industriali americani che lo avevano appoggiato, l'ammissione che anche questo nuovo tentativo di affrontare appunto "per le corna" il toro del degrado ambientale planetario è stato accantonato, sembra la "piccola Kyoto" di Barack Hussein Obama.

Ma una differenza fondamentale, anche se ancora non tradotta in azione politica e diplomatica internazionale, fra la ritirata di Kyoto ordinata da Bush e il "time out" di Copenhagen voluto da Obama esiste e può consolare i delusi del Wwf e gli ambientalisti che si attendevano dalla Danimarca molto più di un "accordo politico vincolante" come lo ha chiamato il premier danese Rasmussen, dove il sostantivo, "politico", svuota l'aggettivo "vincolante". Il Bush dei primi quattro anni era ideologicamente scettico, se non proprio indifferente, all'ambientalismo, alla globalizzazione della risposta, alla cultura dell'"effetto serra" e del surriscaldamento della Terra provocato dall'attività umana che lui, e i suoi suggeritori politici, consideravano, appunto, come un'ideologia, non a caso incarnata dal rivale che aveva (forse) sconfitto alle elezioni del 2000, Al Gore.

Il problema, e l'atteggiamento di Obama, è tutt'altro. Ha la stessa radice di tutte le "delusioni" che la sua politica su Guantanamo, le guerre in Iraq e in Afghanistan, la sfida del terrorismo transnazionale, la riforma della sanità, le grandi questioni etiche e pratiche come l'aborto, le unioni fra persone dello stesso sesso, i "gay" nelle forze armate, stanno sollevando nel "movimento" che lo proiettò alla Casa Bianca. Obama vorrebbe, ma non riesce.
Bush non voleva e riuscì a non fare, che è sempre cosa assai più facile.

Il presidente in carica sta, giorno dopo giorno, scoprendo, o ammettendo dopo la scintillante retorica della sua campagna elettorale, quello che tutti i suoi predecessori avevano scoperto, che cioè tra il promettere e il mantenere esiste, anche per la persona che si definisce come "la più potente" del mondo, un abisso. E che questo abisso pratico appare tanto più largo e profondo quanto più grandi erano le speranze suscitate e le promesse fatte. Si può essere, come non abbiamo ragione di dubitare che lui sia, convinti ambientalisti, ma questa convinzione non si traduce necessariamente in un trattato che imponga - come Copenhagen, molto più del vago accordo di Kyoto avrebbero fatto - alle nazioni sviluppate, alle nuove potenze emergenti come India, Cina o Brasile, all'Africa che insegue arrancando, alla parte dell'Asia ancora arretrata, di rispettare meccanismi severi e minuziosi di comportamento.

Si può, e sicuramente lui lo vorrebbe, cercare di ripulire le stalle di Guantanamo, di chiudere l'insensatezza irakena, di trovare la chiave del rompicapo afghano, di dare una copertura sanitaria agli esclusi per censo o per cattiva salute. Ma il "toro" delle opposizioni, degli interessi contrari, degli opportunismi politici, diciamo pure della realtà, non si lascia infilzare facilmente.

Dalla radicalità delle parole alla vischiosità delle cose sta il passaggio che Obama non riesce ancora a compiere, non essendo comunque lui mai stato quel rivoluzionario che soltanto la propaganda avversaria, e le farneticazione tele e radiofoniche di chi lo detesta anche per il colore della pelle senza naturalmente mai ammetterlo, dipingevano. Per questo, come nel caso della "rivoluzione ambientale" interrotta con la rinuncia, per ora, al trattato di Copenhagen che non sarà abbandonato ma ripreso e spinto da lui, Obama tergiversa, negozia, media, attende, scansa il toro, nella speranza di fiaccarlo. Purtroppo per lui, il tempo passa, le amarezze aumentano, nuove elezioni incombono e il torero rischia di restare solo nell'arena delle delusioni.

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