14.10.10

Il Cile che rinasce dal sottosuolo - Miracolo a Copiapò

Due articoli a confronto. Il primo su La Repubblica dello scrittore e poeta Luis Sepulveda il secondo dell'inviato Roberto Da Rin su Il Sole 24 Ore. Le differenze si commentano da sole.

Il Cile che rinasce dal sottosuolo

di LUIS SEPULVEDA

IL Cile è un paese che cresce nelle tragedie. Il poeta Fernando Alegría ha scritto: "Quando ci colpisce un temporale o ci scuote un terremoto, quando il Cile non può più essere sicuro delle sue mappe, dico infuriato: viva il Cile, merda!". Nel mese di agosto, con la metà del sud del paese ancora tra le rovine provocate dal terremoto del 27 febbraio, giunse l'allarme dal nord, dal deserto di Atacama e venimmo a sapere che 33 minatori erano rimasti intrappolati.

Erano rimasti imprigionati, dopo il crollo di una miniera di proprietà di un'impresa che violava tutte le regole di sicurezza sul lavoro.

Trentatré uomini, uno dei quali boliviano, sono rimasti intrappolati a 700 metri di profondità per 69 giorni finché, nonostante lo spettacolo mediatico organizzato dal governo, hanno cominciato a uscire uno dopo l'altro dalle profondità della terra.

Mentre scrivo queste righe ne sono già usciti una decina, sono usciti in piedi, ricevendo il caloroso saluto dei loro compagni di lavoro che li hanno cercati e trovati, e che hanno scavato la dura roccia promettendo loro, con il sobrio linguaggio dei minatori, che li avrebbero tirati fuori da lì.

Quando è uscito il primo, il presidente Piñera ha ringraziato Dio e la nomenclatura per ordine di importanza negli incarichi, ma ha dimenticato di ringraziare i minatori della Pennsylvania, che avendo sperimentato una tragedia simile si sono fatti solidali con i loro lontani colleghi di Atacama e hanno messo a disposizione le conoscenze tecniche - la cultura mineraria - e parte dei macchinari che hanno reso possibile il salvataggio.

Mentre tiravano fuori il secondo minatore, che usciva dal caldo e dall'umidità di quella reclusione a 700 metri sottoterra per affrontare il clima secco e i 10 gradi sotto zero del deserto, il presidente Piñera non ha resistito alla tentazione di un'altra conferenza stampa "in situ", il cui unico tratto rilevante è stata una vacillante dichiarazione d'intenti a favore della sicurezza sul lavoro dei minatori. Nella sua evidente goffaggine, Piñera non dice che proprio la destra cilena ha incarnato la più feroce opposizione a un regolamento sulla sicurezza del lavoro, sostenendo che i controlli sono sinonimo di burocrazia e attentano alla libertà di mercato.

Durante il suo show, carico di gesti religiosi, Piñera ha omesso qualsiasi riferimento alla triste situazione degli altri duecento e passa minatori della stessa impresa, che lavoravano nella stessa miniera e che da agosto non ricevono il loro salario.

Indubbiamente, è emozionante vederli uscire, uno per uno, e ancor più emozionante è vedere che quei minatori, nonostante i regali promessi, un viaggio in Spagna per vedere una partita del Real Madrid, un viaggio in Inghilterra per vedere una partita del Manchester United, un iPhone di ultima generazione, un viaggio in Grecia, e perfino diecimila dollari per uno donati da un imprenditore cileno che aspira a diventare presidente del Paese, nonostante tutto questo continuano a essere dei minatori e proprio per questo hanno annunciato la creazione di una fondazione che si preoccupi della situazione di tutti i minatori colpiti dal crollo della miniera.

Tirarli fuori da lì è stata una prodezza, ma una prodezza di tutti quelli che hanno sudato finché non ce l'hanno fatta. E la maggior prodezza sarà ottenere che in Cile si rispettino le norme di sicurezza sul lavoro perché non accada mai più che 33 minatori scompaiano nelle viscere della terra.
(Traduzione di Luis E. Moriones)

Miracolo a Copiapò: i minatori riemergono tra applausi e lacrime

di Roberto Da Rin

Una notte gelida, un cielo stellato, la sabbia del deserto di Atacama che si appiccica dappertutto. Cinquecento tecnici, duemila giornalisti. Quando la capsula Phoenix arriva in superficie, un urlo di gioia. Quando Florencio Avalos esce, un'epifania di bandiere e di palloncini. È il primo a riemergere dopo 69 giorni nelle viscere della miniera San José. Il primo dei «Los 33», i minatori cileni imprigionati a 700 metri di profondità dal 5 agosto.
Il casco rosso, l'imbragatura di sicurezza, gli occhiali con le lenti protettive, Florencio, un bel ragazzo di 31 anni, alza le mani in segno di ringraziamento, abbraccia la moglie, stringe al petto il corpicino esile del figlioletto Byron. Poi la liturgia dei saluti: il primo al presidente Sebastian Piñera, poi alla primera dama (la first lady), a seguire un abbraccio ai soccorritori.
Quaranta minuti dopo Florencio Avalos, è la volta di Mario Sepulveda, 39 anni. Non c'è un protocollo e Mario improvvisa uno show irresistibile: si sfila una borsa a tracolla e offre rocce, come fossero cioccolatini, a ciascuno dei rescatistas, i soccorritori. Abbraccia la moglie, ma solo un attimo, si divincola dicendole «noi due avremo tempo dopo». Si dirige verso le transenne dietro le quali lo aspettano i figli e altri parenti, urla «Viva Chile! mierda!», poi gesticola come un centravanti dopo il gol, come fosse sotto la tribuna dei suoi hoolingans. Poi aggiunge: «Non voglio che mi trattino nè come un artista nè come un animatore, sono un minatore». Alla fine ritorna sulla piattaforma, a fianco della capsula, va dritto dritto dalla primera dama, qualcuno teme una gaffe in mondovisione. E lui: «Señora, cosa le posso dire? sono stato due mesi sotto terra». Segue una risata liberatoria, sua, dei soccorritori e di tutto l'establishment cileno.
Il prossimo è Juan Illanes, 51 anni, ormai è notte fonda, circa le due. Dalle viscere della terra aveva fatto sapere d'esser abituato agli eventi storici, era arruolato tra le file dell'esercito cileno nel 1978 quando Argentina e Cile sfiorano la guerra per la disputa sul "conflitto del canale di Beagle". Nessuno show, solo abbracci e sorrisi. È la volta del boliviano Carlos Mamani, l'unico straniero del gruppo. Grande compostezza, la sua, davanti all'emozione dei parenti arrivati da un piccolo centro andino a quasi 4mila metri di altitudine.
Le immagini che scorrono sui quattro megaschermi montati a Campo Esperanza, proprio a fianco dello sterrato che porta a boca mina, davanti al braccio della gru che trascina su la capsula, sono di grande potenza espressiva: fotogrammi e brevi filmati che mostrano la forza di quei trentatré minatori, la calma e l'equilibrio delle famiglie, la meraviglia della tecnologia cilena, l'efficienza dell'organizzazione. Per Javier Soto, un pastore evangelico di stanza al Campamento da un mese e mezzo «questo è un miracolo di Dio, è una storia che supera, quarant'anni dopo, la vicenda dei rugbisti uruguayani, sopravvissuti a un incidente aereo sulle Ande per alcune settimane».
C'è chi la pensa diversamente e critica la mediatizzazione dell'evento, diventato un vero e proprio reality show. Oltre ai tecnici e ai giornalisti non sono mai mancati i clown per i bambini, i carabinieri in divisa che giocano a calcio con i ragazzi più grandi, i cantastorie che intrattengono i familiari, gli esperti della Nasa che dispensavano consigli, i gruppi musicali in cerca di successo, i sopravvissuti uruguayani con precedenti di antropofagia.
C'è chi giura che in Cile, entro breve, sugli schermi televisivi verrà trasmesso una nuova versione del Gran Hermano, il Grande Fratello sudamericano. Sarà el Gran minero. Circola anche un altro progetto: la vicenda dei 33 potrebbe diventare presto il soggetto di una produzione cinematografica. Il premio Oscar spagnolo Javier Bardem - secondo una voce che rimbalza sulla stampa Usa - è stato contattato per diventarne protagonista.
Il film racconterà la storia del salvataggio, dal giorno dell'esplosione della miniera, alla conclusione delle operazioni di recupero dei 33 minatori, dopo due mesi di sopravvivenza in una galleria della miniera.
Intanto, l'altoparlante di Campo Esperanza ogni mezz'ora diffonde l'elenco dei minatori salvati e di quelli che si apprestano a uscire. «I quaranta minuti per risalita si ridurranno a trenta», annuncia il presidente Piñera. Al Campamento i familiari si abbracciano e ringraziano: i tecnici, il governo, il presidente Piñera, persino i giornalisti. Ma il lieto fine di quest'incredibile vicenda trova spiegazioni diverse. Qualche ora fa sbuca dal tunnel Mario Gomez, il più anziano di tutti, 63 anni. Appena fuori alza una bandiera cilena con i nomi dei suoi compagni, si inginocchia e prega.
«La sua è una conversione, forse una rinascita» spiega Luis, il fratello. Invece Veronica Quispe, la compagna del boliviano Carlos Mamani, rievoca la forza della terra: «È terra di miniere, è stata una decisione della pachamama», la madre-terra degli aymara e di altri popoli andini. Per Nelly, madre di Victor Zamora, è una farfalla bianca. «È un gesto del cielo che ha salvato un gruppo di minatori qualche attimo prima del crollo del 5 agosto. Los 33 mi hanno detto che in miniera era entrata una farfalla bianca, si sono distratti e non sono saliti sul camion, schiacciato pochi attimi dopo dal crollo nel budello del giacimento».
Proprio quando gli occhi di Nelly si perdono nella luce accecante del deserto di Atacama, piovono dalle cancellerie messaggi di complimenti. Barack Obama, Lula, il Papa, Barroso, Merkel, Frattini, Kirchner, Sarkozy. E Maradona.

RITORNO ALLA LUCE

Forza cileni!
«Vamos, vamos, chilenos, que esta noche los vamos a sacar» (Forza, forza, cileni, che questa notte li tiriamo fuori!) È il grido incitamento dei 14 soccorritori, prima di iniziare l'operazione di salvataggio San Lorenzo
Lotta fra Dio e Satana
Il secondo minatore a uscire dalla miniera dopo Florencio Avalos è Mario Sepulveda, 39 anni, elettricista, diventato l'eroe dei tabloid inglesi per aver chiesto ai soccorritori una bambola gonfiabile per i suoi colleghi. Quando è tornato in superficie, il minatore soprannonimato «Supermario» e «jolly del mazzo» ha detto: «Stavo con Dio e con il diavolo. Hanno lottato per avermi ed ha vinto Dio, mi ha afferrato, in nessun momento ho dubitato che Dio mi avrebbe tirato fuori di lì. Non voglio essere trattato come un artista o un giornalista, per favore. Voglio essere trattato come Mario Antonio Sepulveda, lavoratore, minatore»
La Vita Nova del veterano
Appena sbucato dalla capsula, Mario Gomez, 63 anni, il veterano del gruppo, ha alzato una bandiera cilena con i nomi dei suoi compagni, si è inginocchiato ed ha pregato: «Sono cambiato, sono un altro uomo. Spesso, occorre che qualcosa accada per riflettere e capire che la vita è unica, e pensare che bisogna cambiare»

IL SALVATAGGIO RECORD DEI 33

Occhiali tricolore, gli stessi di Armstrong

Operazione San Lorenzo Il trionfo parla italiano

Plutonite, a me gli occhi!
Gli occhiali che indossano i minatori quando tornano alla luce sono gli stessi usati dal ciclista Lance Armstrong. Il modello Radar di Luxottica è fatto con la plutonite, speciale materiale brevettato dall'azienda italiana. Si tratta di occhialoni avvolgenti (a lato li indossa Jimmy Sanchez, il quinto minatore recuperato) che permettono la protezione non solo frontale ma anche periferica dell'occhio, il colore della lente è blu scuro. Questa particolare protezione serve a proteggere gli occhi degli uomini che hanno vissuto nella penombra per due mesi
L'empatia del ministro
Anche il ministro delle risorse minerarie Laurence Golborne, uno dei protagonisti della saga della miniera di Copiapò, ne ha indossato un paio per empatia con i 33 minatori
L'ingegnere di Pisa
C'è anche un ingegnere italiano fra i soccorritori della miniera sulle Ande cilene impegnato nell'operazione di salvataggio «San Lorenzo». È Stefano Massei (a sinistra nella foto), 56 anni, pisano, specializzato nelle perforazioni, che ha usato la macchina con cui l'Enel Green Power cerca giacimenti geotermici di acqua bollente per far girare le centrali elettriche cilene. Ieri ha spiegato che il terreno cileno è molto simile alla Toscana
Le tecnologie di Bergamo
Parlano italiano anche i sistemi e i macchinari di tesatura della Tesmec di Grassobbio (Bergamo), che rendono sicura la tensione delle funi con cui sono stati inviati generi alimentari e sono stati recuperati alcuni minatori, e le gru per attrezzare le trivelle di perforazione della Fassi Gru di Albino (sempre in provincia di Bergamo)

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