Ma cosa sono e possono essere un business sostenibile? Ecco come è nato questo fenomeno e come si sta evolvendo in tutto il mondo. Italia compresa.
Nel 1998 un professore del MIT di Boston, Neil Gershenfeld, inaugurò un corso intitolato Come costruire (quasi) qualsiasi cosa. Si era accorto che i ragazzi che studiavano al MIT erano sempre più teorici e sempre meno pratici. Il corso voleva fornire ai ragazzi le conoscenze e i mezzi per creare qualsiasi tipo di oggetto. Nelle scuole da cui provenivano erano spariti i laboratori con le macchine, sostituiti sempre più spesso dai computer in cui tutto si simula o si programma. Il corso del 1998 prevedeva solo dieci posti perché era una specie di scommessa e Gershenfeld non aveva idea se la cosa avrebbe avuto successo oppure no. Il professore preparò una ventina di lezioni e fece allestire un laboratorio. Le lezioni parlavano di tecniche additive e sottrattive, di stampa in 3d, di come tagliare e plasmare i materiali, di elettronica e microcontrollori, di programmazione, ma soprattutto di come trasformare “bit” in “atomi”, cioè di come trasferire disegni e progetti realizzati con dei computer a delle macchine in grado di realizzarle in poco tempo.
Il primo FabLab del mondo
Il laboratorio era fornito di macchine per tagliare materiali con laser, plasma e acqua, di stampanti 3D, scanner, strumenti elettronici e quant’altro necessario per realizzare prototipi. Fu battezzato FabLab, contrazione di Faboulous Lab ma anche di Fabrication Lab. I primi progetti stupirono Gershenfeld, perché si aspettava che i ragazzi lavorassero su temi puù vicini ai loro studi,. Invece vide realizzare cose come la borsa ammazza-strilli, un browser per pappagalli o delle biciclette in plexiglass. La notizia dell’esistenza di questo corso “un po’ matto” e del laboratorio in cui poter creare (quasi) qualsiasi cosa fece, ben presto, il giro del campus: erano molti gli studenti con un’idea e la curiosità di vederla realizzata in poco tempo.
Le edizioni successive del corso furono un successo. Presto il laboratorio fu aperto anche a tutti gli studenti. La fama aumentava anche al di fuori dell’università qualche anno dopo l’inaugurazione fu aperto al pubblico.
Le edizioni successive del corso furono un successo. Presto il laboratorio fu aperto anche a tutti gli studenti. La fama aumentava anche al di fuori dell’università qualche anno dopo l’inaugurazione fu aperto al pubblico.
Dai FabLab alla fabbricazione digitale
Anche altre università crearono un FabLab al loro interno e nel giro di pochi anni si arrivò a una cinquantina di laboratori in tutto il mondo. In seguito a tutto cio si è iniziato anche a parlare di digital fabrication e autoproduzione. In effetti la digital fabrication permette di realizzare oggetti unici o in piccole serie e quindi con carattere artistico o artigianale, ma con tecnologie e caratteristiche industriali e cioè con finiture precisissime e ripetibili. Questo grazie alla fatto di poter passare, come dice Gershenfeld, dal bit all’atomo.
Lo sbarco in Italia
In Italia il primo FabLab è stato aperto a Torino, nel 2011, presso un padiglione dell’eventoorganizzato per festeggiare i 150 anni della Repubblica Italiana. Oggi si contano circa una ventina di laboratori, nati spontaneamente in tutta la penisola. Un FabLab è un laboratorio aperto al pubblico, in cui chiunque può entrare e utilizzare le macchine a controllo numerico per realizzare oggetti in breve tempo. Alcune macchine sono potenzialmente pericolose e quindi sono necessari dei corsi di formazione per poterle utilizzare in autonomia e sicurezza. Tutti i FabLab adottano il Charter, un documento che stabilisce le regole elementari di funzionamento e di condotta e garantisce lo scopo etico e sociale delle strutture. Le macchine che dovrebbero trovarsi in un FabLab sono di norma: laser cutter, stampante 3D, scanner 3D, vinil cutter, fresa CNC (a controllo numerico) e un laboratorio elettronico. Questo insieme di macchine richiede un certo investimento iniziale che ammonta a qualche decina di migliaia di euro.
FabLab, un business pientamene sostenibile
Chiunque può aprire un FabLab e questo documento del MIT di Boston, in inglese, contiene le principali linee guida: è sufficiente procurarsi le macchine, un locale in cui metterle e un po’ di organizzazione per poter gestire l’attività. Una volta aperto il laboratorio è possibile segnalarlo presso l’associazione internazionale che si occupa di coordinare tutti i laboratori del mondo. Ogni anno viene anche organizzata una conferenza ed è possibile partecipare a coordinamenti e attività periodiche tra i laboratori. Un FabLab nella forma più pura non è un business pienamente sostenibile. Peter Troxler, ricercatore e membro attivo nella comunità internazionale dei FabLab, studia da anni i modelli di business usati dai FabLab. Perché il business sia sostenibile è necessario fare un’analisi di costi e profitti. Il laboratorio, per sopravvivere, può contare sulle iscrizioni annuali dei soci, su ingressi e abbonamenti e sui proventi dell’attività di “service” per taglio o stampa. Può ricavare utili anche da consulenze tecniche e di progettazione, dalla vendita di materiali consumabili e organizzando corsi, workshop ed eventi.
Quattro modelli di business possibili
Anche Massimo Menichinelli studia da anni i modelli di Business dei FabLab. In un recentearticolo pubblicato su p2pfoundation riassume i 4 modelli principali da lui individuati:
- business enabler: il laboratorio promuove e sponsorizza nuovi laboratori e li sostiene fornendo servizi di tipo b2b;
- business basato sull’istruzione: in cui il FabLab propone corsi e consulenze “formative” a privati e aziende;
- incubatore: supporta ed ospita la nascita di startup;
- business replicator/network: il FabLab diventa un punto di produzione locale e diffuzione di un prodotto. La rete dei laboratori è usata per diffondere il prodotto sul territorio.
Personalmente credo che un FabLab “puro” sia poco sostenibile e che necessiti di una serie di attività che lo supportino e che lo aiutino a sopravvivere. Ho sempre percepito i FabLab come unbusiness etico, in cui il fine primario non è quello di produrre utili, ma quello di promuovere tecnologia e cultura. Si deve mirare alla sostenibilità, per poter retribuire chi vi presta il proprio lavoro. Le attività a supporto del laboratorio devono essere coerenti con quanto indicato nel Charter e non possono essere in conflitto con l’orientamento del laboratorio. Questo apre la strada a un diverso tipo di business model in cui il FabLab “puro” è supportato da una società che si preoccupa di sostenerlo, svolgendo attività di formazione, consulenza e vendita.
FabLab, illustri sconosciuti
In Italia il fenomeno dei FabLab si sta diffondendo ma, anche se la trasmissione Report di RAI3 ha dedicato un servizio sul tema, sono ancora pochi a sapere cosa siano esattamente. Visto che il laboratorio è pensato per risolvere i problemi della gente comune, si rivolge al pubblico di massa e questo offre molte possibilità di sviluppo. Si pensi che in città come New York o Amsterdam ci sono più laboratori. In effetti la cosa ha senso perché i laboratori hanno un carattere fortemente locale e cercano (devono cercare) di attivare il territorio e quanto presente nel tessuto “urbano” in cui sorgono, cercando di sfruttare o “attivare” le caratteristiche del luogo in cui sorge il laboratorio. Nel nostro paese abbiamo grandissime potenzialità offerte dalla nostra tradizione artigiana. Ogni provincia o città eccelle nella realizzazione di manufatti o particolari prodotti. Gli artigiani, da secoli tramandano conoscenze e saperi di carattere pratico che potrebbero trovare nuove strade e appplicazioni nello scambio con i FabLab: entrambi le figure ne uscirebbero arricchite.
Per approfondire
Modelli di business per i FabLab – di Peter Troxler e Simone Schweikert
HowTo start your own FabLab - Fab8 International Conference – 2012
Associazione internazionale FabLab
Charter dei FabLab
Business Model per i FabLab – di Massimo Menichinelli
HowTo start your own FabLab - Fab8 International Conference – 2012
Associazione internazionale FabLab
Charter dei FabLab
Business Model per i FabLab – di Massimo Menichinelli
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