24.7.14

Evgeny Morozov contro la favola dell’eden digitale

Benedetto Vecchi (Il Manifesto)

Codici aperti. Il nuovo saggio di Evgeny Morozov tradotto da Mondadori è un j’accuse contro le tesi di chi vede nella Rete la salvezza dell’umanità. Sotto accusa è l’ideologia del «cyberutopismo» in nome di un indiscusso e indiscutibile principio di realtà

La com­parsa del suo nome tra le pagine di que­sto nuovo e impo­nente sag­gio di Evgeny Moro­zov (Inter­net non sal­verà il mondo, pp. 448, euro 19) sor­prende non poco. Tanto più che viene inse­rito in una pla­tea che va da liber­ta­rio Jason Lanier all’economista libe­rale Frie­drich von Hayek, dal filo­sofo con­ser­va­tore Tho­mas Mol­nar al cri­tico radi­cale Ivan Illich, dalla «moder­ni­sta» Jane Jacobs all’ultra con­ser­va­tore Michael Oake­shott, da Hans Jonas a lui, Jac­ques Ellul, teo­logo, filo­sofo e socio­logo noto per la sua cri­tica alla tecno-scienza.

Eppure la pre­senza di Jac­ques Ellul è meno stra­va­gante degli altri nomi, inse­riti nell’eccentrico pan­theon teo­rico di Moro­zov. Ellul, infatti, è stato uno fusti­ga­tore del ruolo svolto dalla tec­no­lo­gia e dalla scienza nelle società con­tem­po­ra­nee, col­lanti di una gab­bia di acciaio che defi­ni­sce il peri­me­tro delle azioni umani, sta­bi­lendo all’interno regole di com­por­ta­mento fun­zio­nali alla logica astratta e ogget­tiva impo­sta dalla scienza. Nel libro di Moro­zov tale impianto teo­rico torna con­ti­nua­mente, sia quando scrive di Inter­net che dei social net­work. Sia però chiaro: Moro­zov non è un apo­ca­lit­tico cri­tico della scienza e della tec­no­lo­gia, né pro­pone una fru­gale e austera decre­scita che ral­lenti lo svi­luppo scien­ti­fico. È un blog­ger che apprezza il potere comu­ni­ca­tivo della Rete e dei social net­work. Al pari di molti sto­rici della tec­no­lo­gia ritiene che le mac­chine siano pro­tesi mec­ca­ni­che degli essere umani. Ma è altret­tanto con­vinto che la Rete, i com­pu­ter, gli smart­phone non sono pro­tesi «stu­pide», ma hanno, in quanto «mac­chine uni­ver­sali» che ripro­du­cono atti­vità cogni­tive, un potere per­for­ma­tivo dei com­por­ta­menti, delle abi­tu­dini indi­vi­duali e col­let­tive. Sulla scia di Ellul, sostiene che siano espres­sioni di un sistema tecno-scientifico che limita le libertà dei sin­goli e ini­bi­sce le pos­si­bi­lità alle società di poter sce­gliere altre vie di svi­luppo da quelle domi­nanti. Que­sto però non fa di Moro­zov un cri­tico del capitalismo.

UN LIBE­RAL DEL WEB

Lo stu­dioso, gior­na­li­sta nato in Bie­lo­rus­sia, ma sta­tu­ni­tense per scelta può essere con­si­de­rato uno degli espo­nenti più bril­lanti di un’attitudine mode­ra­ta­mente anti­cor­po­ra­tion e con­ser­va­trice che sostiene un inter­vento attivo dello Stato nel rego­la­men­tare la vita sociale, sta­bi­lendo limiti pre­cisi all’azione delle mul­ti­na­zio­nali del digi­tale. Posi­zione che lo por­tano a scri­vere di essere più in sin­to­nia con i libe­ral che non con i repub­bli­cani sta­tu­ni­tensi. Signi­fi­ca­tive in que­sto suo nuovo sag­gio non sono però le sue posi­zioni poli­ti­che, bensì l’analisi pro­prio della vita den­tro e fuori lo schermo dove le stra­te­gie impren­di­to­riali di Apple, Goo­gle, Ama­zon, Face­book e Twit­ter più che aprire la strada a una società di liberi, stiano minando le basi della demo­cra­zia libe­rale.
Il libro di Moro­zov è certo una det­ta­gliata cri­tica della ege­mone weltha­shauung tec­no­cra­tica, anche se limita la sua ana­lisi agli Stati Uniti, con l’Europa vista come una colo­nia tec­no­lo­gia della Sili­con Val­ley. Poco infatti viene detto su quanto accade in paesi sem­pre più rile­vanti nello svi­luppo della Rete. Alla Cina, all’India dedica infatti qual­che distratta cita­zione e nulla più. Non che nei distretti tec­no­lo­gici o nelle uni­ver­sità cinesi e indiane non ci siano pro­getti di svi­luppo alieni rispetto a quanto accade negli Stati Uniti o nel vec­chio con­ti­nente, ma con una dif­fe­renza: la tec­no­lo­gia è sem­pre una varia­bile dipen­dente di altre scelte e prio­rità eco­no­mi­che e di poli­tica indu­striale. Il «tec­no­po­lio», ter­mine preso in pre­stito pro­prio da Ellul, è rela­tivo solo all’operato delle imprese nella Sili­con Val­ley, ma non dei distretti tec­no­lo­gici cinesi o indiani. L’assenza di una ana­lisi delle logi­che domi­nante nei cosid­detti paesi emer­genti non toglie forza alla requi­si­to­ria che svolge con­tro il deter­mi­ni­smo tec­no­lo­gico domi­nante. Il suo è un j’accuse con­tro quello che chiama, di volta in volta, «internet-centrismo», «solu­zio­ni­smo», «tec­noe­sca­pi­smo», tre modi per qua­li­fi­care una ideo­lo­gia ege­mone che asse­gna ai modelli eco­no­mici, pro­dut­tivi e sociali pre­senti nella Rete una natu­ra­lità indi­scu­ti­bile e una supe­rio­rità rispetto ad altre pos­si­bili vie di svi­luppo sociale e economico.

GLI IDEO­LO­GHI DEL DIGITALE

Moro­zov non esita quindi a pren­dere di mira tanto gli apo­lo­geti della Rete che i media theo­rist cri­tici del regime della pro­prietà intel­let­tuale ope­rante su Inter­net. Da Jason Lanier a Nicho­las Carr, da Law­rence Les­sig a Yoa­chai Ben­kler, nes­suno è rispar­miato nelle cri­ti­che di Moro­zov, che li con­si­de­rata tutti respon­sa­bili della «pro­du­zione» dell’ideologia tec­no­cra­tica domi­nante. Molti sono, ad esem­pio, gli esempi di come fun­zioni il «solu­zio­ni­smo». L’inquinamento a livello pla­ne­ta­rio può essere risolto usando la Rete, per­ché limita la mobi­lità (tutto può essere fatto da casa); per­ché riduce il con­sumo di carta; per­ché i com­pu­ter e le fibre otti­che pos­sono essere pro­dotti a poco prezzo e con­su­mando poco petro­lio. La realtà dimo­stra il con­tra­rio — il livello di inqui­na­mento pro­vo­cato dallo smal­ti­mento dei rifiuti «digi­tali» non ha nulla da invi­diare all’inquinamento pro­vo­cato dal petro­lio -, ma que­sto è dovuto, sosten­gono i «solu­zio­ni­sti», al fatto che l’organizzazione sociale è ancora model­lata sulla società indu­striale. Basta quindi pren­dere coscienza che siamo nella società dell’informazione e ade­guare le isti­tu­zione poli­ti­che è il pro­blema è risolto: l’inquinamento dimi­nuirà di con­se­guenza. La demo­cra­zia è in crisi? Come negarlo, ma attra­verso i social net­work e la comu­ni­ca­zione on-line la par­te­ci­pa­zione dif­fusa nel pren­dere le deci­sioni è garan­tita.
Su que­sto aspetto, Moro­zov ha molte frecce nel suo arco nel cri­ti­care il popu­li­smo digi­tale. Con feroce iro­nia, scrive che una pro­po­sta non basta che venga spon­so­riz­zata da un numero alto di «navi­ganti» per essere la migliore. Inol­tre, ma su que­sto aspetto Moro­zov è eva­sivo, Face­book, Twit­ter, Goo­gle e molte altre imprese dot​.com fanno affari d’oro nel costruire, ela­bo­rare e ven­dere i Big Data accu­mu­lati attra­verso l’uso dei social net­work o dei tanti blog ope­ranti tra le due sponde dell’Atlantico. Anzi, alcune imprese fanno affari ospi­tando e orga­niz­zando forum di discus­sione poli­tici, come testi­mo­nia l’impresa che gesti­sce il Blog di Beppe Grillo.
In fondo, pro­prio il gruppo ita­liano del «Movi­mento 5 stelle» strizza l’occhio alle dina­mi­che della Rete facendo deri­vare il pro­prio nome dal numero mas­simo di stelle che i recen­sori di libri o di siti pon­gono per segna­lare il loro gra­di­mento a un libro, un sito o una pro­po­sta. Tutto ciò nulla a che fare con una rin­no­vata demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, né con la sban­die­rata demo­cra­zia diretta dei popu­li­sti digi­tali.
I popu­li­sti digi­tali sono la bestia nera di Moro­zov, per­ché sono gli agit-prop di quel «tec­noe­sca­pi­smo» che vede nella Rete una sorte di eden dell’individuo pro­prie­ta­rio che le vec­chie oli­gar­chie vor­reb­bero vedere can­cel­lato per pre­ser­vare il loro potere. Moro­zov è invece con­vinto che l’animale umano sia un ani­male sociale e che per que­sto abbia biso­gno delle rela­zioni con l’altro per espri­mere le sue poten­zia­lità. Da qui la neces­sità della media­zione e della condivisione.

IN NOME DELLA CONDIVISIONE

Un’antropologia filo­so­fica ignota agli apo­lo­geti della Rete, inte­res­santi invece a spac­ciare come novità rivo­lu­zio­na­rie ogni minima e spesso irri­le­vante inno­va­zione tec­no­lo­gica. Uno spi­rito pole­mico, il suo, che rag­giunge l’acme acme quando affronta l’oggettività costi­tuita dai modelli pro­po­sti dalla tec­no­lo­gia digi­tale a par­tire dalla neu­tra­lità rap­pre­sen­tata dagli algo­ritmi alla base del motore di ricerca Goo­gle (Page Rank) e di quello di Face­book (Edge Rank). Al di là del ragio­ne­vole dub­bio sulla loro ogget­ti­vità, visto che entrambi gli algo­ritmi sono coperti da bre­vetto e che finora nes­suno è riu­scito a capire come fun­zio­nano, è inte­res­sante la sot­to­li­nea­tura che l’autore fa del fatto che den­tro le mul­ti­na­zio­nali high-tech lavo­rano uomini e donne che vivono in una società dove sono vigenti welt­an­shauung ege­moni che ne con­di­zio­nano l’operato.

La cri­tica alla neu­tra­lità degli algo­ritmi, banco di prova di una teo­ria cri­tica della Rete ancora da svi­lup­pare, viene sì nomi­nata dallo stu­dioso, ma non svi­lup­pata. Per fare que­sto, ser­vi­rebbe una ana­lisi dei modelli epi­ste­mo­lo­gici domi­nanti e sul regime pro­dut­tivo del soft­ware e dei con­te­nuti den­tro e fuori la Rete. In altri ter­mini, a costi­tuire pro­blema è il regime di sfrut­ta­mento pre­sente nella società en gene­ral, così come costi­tui­sce pro­blema la pre­tesa ogget­ti­vità delle pro­ce­dure e degli stan­dard, i for­mat impo­sti dalle tec­no­lo­gie, che ven­gono svi­lup­pate in base a una con­ce­zione dei rap­porti sociali dove di ogget­tivo c’è ben poco. Ma è pro­prio sulla pro­pa­gan­data ogget­ti­vità degli algo­ritmi che si mani­fe­sta il potere auto­ri­ta­rio del «tec­no­po­lio».
Il set­tore dove più evi­dente è la pre­tesa dell’internet-centrismo di fun­zio­nare come modello «uni­ver­sale» è l’«industria dei memi» — le parole chiave che scan­di­scono e orien­tano il flusso den­tro Face­book e Twit­ter — per la sua capa­cità di con­di­zio­nare l’opinione pub­blica e la for­ma­zione delle deci­sioni poli­ti­che per sal­va­guar­dare gli inte­ressi eco­no­mici e la vision sociale delle imprese digi­tali. La con­clu­sione è lapi­da­ria: l’«internet-centrismo», così come il «tec­noe­sca­pi­smo» hanno molte carat­te­ri­sti­che delle società tota­li­ta­rie del Nove­cento. Lo stesso vale per la difesa della pri­vacy: un diritto ridotto a merce da acqui­stare a caro prezzo sul mer­cato.

UNA PRI­VACY DI CLASSE

Il self trac­king, infatti, è rite­nuto il set­tore eco­no­mico in espan­sione. Il moni­to­rag­gio della infor­ma­zioni sulla pro­pria vita e la pos­si­bi­lità di eli­mi­nare i dati che non vogliono essere resi pub­blici sta diven­tando infatti una pre­ro­ga­tive delle élite glo­bali che vogliono sal­va­guar­dare la pri­vacy rispetto alle tec­no­lo­gie del con­trollo esi­stenti. Ma come sosten­gono gli atti­vi­sti e ricer­ca­tori del gruppo ita­liano Ippo­lita, il rispetto della pri­vacy sta acqui­sendo sem­pre più carat­te­ri­sti­che di classe: chi può rie­sce a garan­tirsi zone d’ombre sulla pro­pria vita; per la mag­gio­ranza dellla popo­la­zione con­nessa alla rete, la pro­pria vita diviene sem­pli­ce­mente tra­spa­rente ai colossi dei Big Data.
C’è il rischio che le tesi di Moro­zov abbiano come con­se­guenza – e in alcune parti del sag­gio è evi­dente una deriva «con­ser­va­trice» — un auspi­cato ritorno all’ordine sociale, eco­no­mico e poli­tico pre­ce­dente la cosid­detta «rivo­lu­zione digi­tale», com­presa la difesa del wel­fare state e dell’intervento dello stato in eco­no­mia in quanto sog­getto eco­no­mico, non solo come momento rego­la­tivo dell’attività eco­no­mica, momento che non è mai venuto meno, come hanno d’altronde docu­men­tato da cri­tici mar­xi­sti e da teo­rici della bio­po­li­tica. Ciò che però inte­ressa Moro­zov è intro­durre ele­menti di mode­ra­zione nell’ideologia domi­nante. È infatti assente ogni ana­lisi sui rap­porti sociali e pro­dut­tivi nella Rete. Igno­rati sono i mec­ca­ni­smi di appro­pria­zione pri­vata dei dati per­so­nali, ela­bo­rati e codi­fi­cati per defi­nire «pro­fili» da ven­dere al migliore offe­rente; nes­sun accenno a come viene pro­dotto inno­va­zione tec­no­lo­gica e sociale; riman­gono avvolti nel mistero i mec­ca­ni­smi di sfrut­ta­mento nella pro­du­zione di soft­ware e di con­te­nuti.
Sono solo alcuni degli ele­menti che potrebbe con­sen­tire lo svi­luppo di una pun­tuale teo­ria cri­tica della Rete. Obiet­tivo diverso da quello di Moro­zov. La sua cri­tica al «cybe­ru­to­pi­smo» aiuta però a una pra­tica del dub­bio che induce a resi­stere al canto delle sirene dello sta­tus quo.

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