di Salvo Intravaia
Il calo degli immatricolati all'università colpisce soltanto i figli dei meno abbienti: operai e impiegati, possibilmente meridionali. E, mentre il Parlamento si trova alle prese con l'approvazione della legge di riforma della scuola targata Renzi-Giannini, torna alla ribalta la questione del diritto allo studio. Con le immancabili critiche rivolte al governo delle organizzazioni studentesche. La pubblicazione di qualche giorno fa, da parte del Cineca, degli immatricolati all'università di quest'anno - il 2014/2015 - certifica l'impressionante crollo delle immatricolazioni negli ultimi dieci anni: meno 20 per cento dal 2004/2005 al 2014/2015. Calo che si accompagna con quello dei laureati che, secondo le richieste dell'Unione europea dovrebbero invece crescere, visto che l'Italia è ultima nel Vecchio Continente dietro la Romania: meno 37mila in appena un anno..
Ma spulciando i dati forniti dal consorzio interunivesitario, che cura una parte della statistica sugli atenei, si scopre che la fuga dalle aule universitarie ha in pratica colpito esclusivamente i ragazzi degli istituti tecnici e professionali, prevalentemente figli di famiglie di classi sociali ed economiche più esposte alla crisi. Famiglie di operai ed impiegati unite nella medesima difficoltà, come ha raccontato su Repubblica Ilvo Diamanti. I dati sugli immatricolati, insomma, svelano l'ennesimo divario che si cresce fra italiani ricchi o benestanti, che possono permettersi di pagare tasse universitarie ormai salate dappertutto, e meno. Perché il grosso degli oltre 66mila immatricolati in meno - due terzi dei quali al Sud - che le segreterie universitarie hanno registrato negli ultimi dieci anni appartiene a ragazzi col diploma dell'istituto tecnico e del professionale. E residente al Sud.
I dati sono impressionanti. In appena un decennio, i giovani immatricolati nelle università della Penisola in possesso di un diploma tecnico o professionale sono crollati del 46 e 41 per cento rispettivamente. In altre parole, in due lustri la presenza tra i banchi universitari di coloro che provengono da famiglie meno abbienti - per tradizione in Italia gli istituti tecnici e professionali sono frequentati dai figli degli operai e degli impiegati di profilo basso - si è quasi dimezzato. Mentre la presenza dei liceali - soprattutto provenienti da classici e scientifici - si è addirittura incrementata del 4 per cento. Un dato in controtendenza che potrebbe anche spiegare il boom dei licei certificato dall'ultimo report sulle iscrizioni al superiore nel 2015/2016.
L'ultimo resoconto pubblicato dal ministero dell'Istruzione sulle iscrizioni al secondo grado fa registrare il sorpasso dei licei su tutti gli altri indirizzi scolastici. Con un 51 per cento sul totale dei ragazzini di terza media che lo scorso gennaio hanno espresso una preferenza per il prossimo mese di settembre che non si era mai verificato prima. Ma che potrebbe testimoniare anche la mutazione delle scelte delle famiglie italiane a seguito della crisi che ha fatto schizzare in alto la percentuale di giovani disoccupati - di età compresa fra i 15 e i 29 anni - negli ultimi anni: dal 17,5 del 2004 al 31,6 per cento del 2014. Accompagnato da un numero sempre crescente (il 26 per cento) di Neet - giovani che non studiano né lavorano - per i quali proprio oggi l'Ocse ha rifilato l'ennesima bocciatura all'Italia su giovani e occupazione.
Per sfuggire alla disoccupazione la scelta degli italiani potrebbe avere portato più iscritti verso i licei con prosieguo all'università a scapito degli istituti tecnici e professionali che non assicurano più, com'è avvenuto negli anni del boom economico, un lavoro dopo il diploma. Fermo restando che a pagare il conto più salato sono
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