7.6.15

La bufala dei padrini de Trastevere

 Giuliano Ferrara  (Il Foglio)

Si rubacchia, a Roma. Una retata via l’altra, si  scopre che si rubacchia. I grandi lavori sfuggono alla presa degli amici di Carminati e di Buzzi, come testimonia l’amministratore Zingaretti sul Corriere. Ma stavolta, al posto della raccolta delle foglie, c’è l’assunzione di un facchino all’Università RomaTre, per il resto appartamentini a Settecamini, che è un po’ diverso dal sacco di Palermo, appalti modesti, importi modesti in relazione alla media nazionale e internazionale, soprattutto se si pensi alla finanza, alle grandi opere, a certe banche, alla Fifa. Ma è mafia, mafia romana.

Sennò come fa il martiniano sindaco Marino, uno che non sa fare il suo mestiere come dovrebbe ma la spara grossa lambiccandosi la coscienza cattolico-progressista, a dire con sconcertante sicurezza da sbirro della Regina, da funzionario del peggiore Borbone, che i ladri vanno messi in galera (d’accordo) e poi “bisogna buttare via la chiave”? Non sarà che questo amministratore sfortunato, già miracolo della chirurgia a favore di telecamere, uno che a Pittsburg e a Palermo, dove ha lavorato come “eccellenza” mediatico-medica, non ce lo vogliono indietro nemmeno gratis, ha qualche problemino di coscienza e di memoria?

Che squallore emani dal romanzo criminale redatto da pm, giornalisti e origliatori professionali, dalla pigrizia delle paginate alla Francis Ford Coppola dedicate ai padrini de Trastevere, all’onorata società dei cravattari, alla cosa nostra che munge placida la vacca, lo si capisce senza difficoltà. Basta essere romani. Basta essere romani per capire la quantità di fregnacce iperboliche consegnate agli annali del grande crimine in un romanesco che dice tutto, dice molto più dei contenuti racchi delle indagini.

Non lo sono (romani) il procuratore capo da-tutti-stimato-e-riverito che annunciò elegantemente l’inchiesta imminente a un convegno del Pd, non lo è il giudice già operativo in Caltanissetta che ci querela perché le nostre critiche solitarie sono per lui uno scandalo, non lo è il pur bravo Ielo, spaesato da quando lasciò San Vittore per Regina Coeli, non lo è il fiorentino sindacalista militante dell’Anm.

Fossero romani capirebbero il senso delle intercettazioni che hanno ordinato e in base alle quali hanno squassato la Capitale e vorrebbero impressionare la Repubblica, procurandoci articolesse censorie perfino del New York Times (che dovrebbe dedicarsi di più alla mafia democratica dello stato di New York, prospera e potente a stare alle notizie recenti).

Vada per il giornalone ammerikano, ma su Repubblica le cronache di ordinaria corruzione trasformate da Carlo Bonini in romanzetto de borgata mafiosa e il commento di Francesco Merlo, che invoca leggi speciali e prigionia di stato per la città di Roma, veramente stupiscono perfino uno smagato e delinquenziale come me. Repubblica dice, per esempio,  che la ‘ndrangheta ha votato compatta per Alemanno. L’ex sindaco, poverino, non era né particolarmente brillante né particolarmente trasparente, ma quanti voti ha a Roma la ‘ndrangheta?

Non sanno o non capiscono che da sempre – me ne ricordo a Torino di riunioni del Pci per le comunali con i circoli della famiglia calabrese o del popolo pugliese immigrato – è in uso cercare voti anche nei gruppi organizzati di corregionali del sud insediati nelle città del centro nord; non tutti saranno puliti, c’è lobbismo e malizia e tanto folklore, ma non è precisamente mafia, non è la ghenga dei Pesce, non siamo a Gioia Tauro.

Merlo, che è pieno di talento, s’inventa una genialata, il keynesismo criminale. Ben detto. Avevamo suggerito che questi non sono crimini di mafia, sono i delitti dell’assistenzialismo, e che sono molto diffusi e che si tratta di associazioni benemerite e santi laici, più gente ci sta più bestie ce n’entra, tutta roba battezzata dalla mejo sinistra solidarista, tutta roba che piace immensamente alla chiesa della tenerezza e dell’accoglienza, ex carcerati in testa al vertice delle cooperative.

Ma al mago di Bloomsbury non ci eravamo arrivati, forse volevamo risparmiargli le conseguenze di tanto deliquio. E’ la spesa pubblica, bellezza, e non puoi farci niente. E’ keynesiana, forse, l’idea di chiedere un euro a immigrato, la storia che per mungerla la vacca la devi nutrire, se vuoi l’appalto del verde a Ostia poi devi fare il giardino, se vuoi fare business cooperativo sugli immigrati non li puoi far morire di stenti e di freddo.

Questo dicono quei cazzoni della corruttela romanesca, bulli della mazzetta che dovrebbero potersi difendere in un normale processo (loro pensavano, come dicono al telefono, di finire in caso tre mesi a Regina Coeli “a fumare”, che è una vacanziella, invece marciscono a Badu ‘e Carros con l’accusa non già di corruzione, che gli spetta, ma di unzione mafiosa, che è una boiata pazzesca, un instrumentum regni della peggiore ideologia manettara).

Non sto qui a ridire quello che ho già detto e confermo. No armi, no famiglie, no patti di sangue, no vittime sul selciato, no grandi progetti come la raffineria della droga o la ristrutturazione edilizia di un centro urbano importante, bazzecole, quisquiglie e pinzillacchere, naturalmente giudicate sulla scala generale della corruzione, che altrove è affare anche molto più serio.

Non dico che Roma è innocente, l’innocenza non sanno nemmeno da che parte stia, certi funzionari, certi eletti dei vari consigli, sono marrazzoni e ominicchi di una storia che di tutto sa, e certo non di olezzi primaverili, ma non del puzzo noto della cosca mafiosa. Non sto neanche a riperticare le intercettazioni, non mi piace questo tipo di pornografia (ho visto che la corsa senza fine del guardonismo assassino porta il cronista anche a entrare nella stanza d’albergo in cui Maroni si incontra con il suo “splendore”, ma che vaccata).

Se volete, le spiate via nastro ve le andate a cercare sugli organi delle procure. Ne troverete a bizzeffe, comprese tutte le millanterie evidenti, tutto lo spirito oratoriale, parrocchiale e da cortile carcerario con cui, fra una battuta sessista e una imprecazione vernacolare e una rivendicazione di finta potenza, si dipana una storia tristissima e minore spacciata per grande scandalo nazionale degli ultimi giorni di Pompei.

A vantaggio dei bru bru che al nord, dove si ruba sul serio, e nei meandri dell’antipolitica, dove non si fa nulla e si invoca la trasparenza a schiovere, aspettano nuove retate di voti sulla scia delle solite inchieste giudiziario-mediatiche romanzate. Sono proposte (di voto di scambio) che la società civile non può rifiutare, direbbe Marlon Brando.

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