19.6.15

Perché dobbiamo stare attenti ai doni digitali (e al business della pubblicità)

di Luciano Floridi [Professor of Philosophy and Ethics of Information at the University of Oxford, where he is the Director of Research of the Oxford Internet Institute]
(chefuturo.it)

Natale, e vostra zia ha fatto a maglia per voi una sciarpa. E’ bella, utile, e ne avevate bisogno. Infatti le volete bene. Avvertite che lei si preoccupa per voi e capisce i vostri desideri e le siete molto grato per un dono così premuroso. Sembra che tutti siano felici. Come ci può essere qualcosa di sbagliato in un tale scenario win-win?
Questa è la stessa domanda retorica posta da molti difensori dei servizi online gratuiti. La risposta dovrebbe essere più forte di un semplice “non c’è niente di sbagliato”. Si suppone che sia molto più positiva, in termini di “va tutto benissimo!”. In effetti, la nuova domanda retorica diventa “che cosa c’è di sbagliato con te, guastafeste?”.
Perché i regali digitali da parte di Baidu, Expedia, Facebook, Flickr (Yahoo!), Google, Instagram (Facebook), LinkedIn, Microsoft, Tencent, TripAdvisor, Tumblr (Yahoo!), Twitter, Yahoo !, YouTube (Google), WhatsApp ( Facebook) e di tutte le altre migliaia di zie digitali che ci ritroviamo online fanno si che noi che li riceviamo siamo parte della società dell’informazione, viviamo dal lato buono del digital divide, godiamo tutti i frutti sorprendenti dei nostri sviluppi tecnologici. E tutto questo gratuitamente.
I doni digitali ci fanno sentire ogni giorno come fosse Natale
cavallo-troia
Fine della storia? Non proprio. Se ci si pensa su più attentamente e criticamente ci si rende conto di quanto il famoso motto latino “timeo Danaos et dona ferentes” possa essere ancora attuale. Letteralmente significa “Temo i greci anche quando portano doni”. E’ una frase che Virgilio fa pronunciare nell’Eneide al sacerdote troiano Laocoonte, nel suo tentativo di mettere in guardia i troiani a non accettare il famoso cavallo di legno lasciato dai Greci come un dono apparente. Lo sappiamo bene come va a finire. Eppure, sembriamo essere caduti nella stessa trappola. Lasciatemi spiegare.

LE 3 CARATTERISTICHE DEI DONI DIGITALI

I doni digitali che stiamo ricevendo hanno tre caratteristiche che dovrebbero farci riflettere due volte prima di accettarli con gratitudine. Ho già menzionato il primo: effettivamente ci permettono di fare e godere di innumerevoli cose, molto più di una semplice sciarpa. E’ difficile immaginare che cosa sarebbe la nostra vita quotidiana senza di loro per chiunque sia così abituato a contare su di loro in maniera cosi regolare e diffusa. Questo è il motivo per cui funzionano, quando lo fanno: diventano una parte essenziale della nostra esperienza “onlife”. Tuttavia, come i regali, sono anche disenfranchising in un senso molto importante.
I servizi digitali come i regali non necessitano né di giustificazione né di legittimazione, tra cui la più antica forma di legittimazione, cioè la proprietà, ora sostituita da un uso autorizzato.
Quando utilizza un regalo digitale, Alice non è né una cliente né una cittadina: è soltanto una utente
Alice puo accettare o rifiutare, o magari mettere via un regalo, ma non ha alcun diritto di lamentarsene, perché non ha mai votato o pagato per esso. Non vi è alcun contratto, sia esso sociale o legale, ma solo termini di servizio che Alice deve accettare di rispettare per poter usufruire del “dono”. Se non le piace la sciarpa può sempre smettere di usarla; sarebbe assurdo se dovesse intraprendere un’azione legale contro la zia per la scarsa qualità della lana, la lunghezza imbarazzante, i colori orribili, o, sempre a proposito di colori, il fatto che siano come quelli di una squadra di calcio, che identificheranno Alice quale tifosa.
La zia sarebbe sinceramente stupita e sgomenta per la sua ingratitudine.
E’ un dono, e i doni, al contrario dei beni e dei servizi pagati (magari attraverso le tasse) e acquistati, hanno una particolarità: cancellano di fatto il diritto di lamentarsi o di scegliere.

IL MONOPOLIO DEI DONI

Se i doni digitali sono inutili o sgraditi, il mercato si prenderà cura di loro e magari ne seguiranno altri di migliori. Se sono utili, possono diventare essenziali, e generare sia dipendenza sia fedeltà, anche se la mancanza di ogni possibile reciprocità può trasformare la gratitudine nel risentimento per una dipendenza disuguale, e, quindi, per “avvelenare” i doni, quando i donatari si rivoltano violentemente contro i donatori (si pensi a quanto velocemente Google sia passato dall’essere amico a nemico).
Tutto ciò spiega anche il motivo per cui le nostre zie digitali sono determinate a creare monopoli. Il mercato della ricerca online (search) in Europa, interamente dominato da Google, è tipico. Quando fa freddo è l’unica sciarpa che Alice può portare, quindi è difficile che lei non sia felice e grato per questo.
I servizi online gratuiti, come i doni, sono quindi capaci defranchisizzare chi li riceve. Hanno inoltre la capacità di depotenziare chi produce e vende (a qualsiasi prezzo) prodotti alternativi, lasciando così la concorrenza fuori dal mercato.
Questa è la terza caratteristica importante che vorrei sottolineare. La zia di Alice e la sua capacità di lavoro a maglia minano il negozio che avrebbe venduto la sciarpa di cui Alice aveva bisogno. Regalando ad Alice una sciarpa gratuita, la zia toglie potere a un altro business. E a questo cambiamento di “business” segue un cambiamento di potere.
La zia è ora la fonte gratuita alla quale Alice ritorna, quella dalla quale dipende, forse per avere una nuova sciarpa e un cappello abbinato per il prossimo Natale. Dare via un servizio o un bene gratuitamente significa depotenziare qualsiasi altro agente la cui attività si basa sulla vendita di tale servizio o bene.
Questo spiega perché le nostre zie digitali tendono a rendere qualsiasi tipo di informazione gratuita.

LA MERCIFICAZIONE DEI NOSTRI DATI E DELLE NOSTRE SCELTE

La produzione e il controllo delle informazioni è stato il vecchio modello di business della società dei mass-media nonché fonte del potere di influenzare ogni nostra scelta. Nelle società dell’informazione mature, le informazioni sono diventate merce vendibile ma indifferenziata (cose vendibili in modo generico, dove i clienti percepiscono poca o nessuna differenza di valore tra le marche o le versioni), in particolare attraverso una maggiore concorrenza.
Tale mercificazione finisce per diminuire i prezzi fino a diventare economicamente più redditizio produrre e offrire informazioni gratuitamente in cambio di dati personali, basandosi su un modello di business fondato sulla pubblicità. Questa mercificazione assegna valore economico a cose non precedentemente considerate in termini economici (come i dati sul potere d’acquisto degli individui, i modelli e le preferenze ) che li schematizza dinamicamente in domanda-offerta e prezzo-valore.
Un importante effetto collaterale è che questo crea un circolo vizioso in cui il bisogno crescente di differenziare i prodotti alimenta ulteriormente lo stesso meccanismo che tende a mercificarli.
Tanto più il business digitale cannibalizza il business analogico quanto più il business analogico deve digitalizzarsi per assicurarsi che non sia del tutto cannibalizzato, aumentando le risorse spese per la pubblicità, ovvero, promuovendo campagne informative che cercano di resistere alla mercificazione dei prodotti pubblicizzati.
In termini metaforici, l’analogico è come un cavaliere o un re medievale che è costantemente catturato da un nemico digitale cui deve pagare un riscatto per essere liberato, fino quando non sarà catturato di nuovo.
Il digitale non riesce a credere a tanta fortuna. In questo processo, le aziende digitali possono alimentare ulteriormente la strategia della defranchisizzazione nei confronti dei loro utenti – beni dati come omaggio – depotenziando coloro che detenevano il potere nelle società di massa-media basandosi sulla produzione di informazioni piuttosto che sulla sua mediazione, gestione, ricerca, riconfezionamento, condivisione libera, e così via.
Apple ha indebolito l’industria della musica, Amazon quella della stampa, Google quella delle notizie, TripAdvisor e Expedia quella del settore dei viaggi, e così via.
Come si vede, ogni interpretazione manichea che vedrebbe i buoni contrapporsi ai cattivi è del tutto ingenua. I vecchi baroni analogici vengono sostituiti dai nuovi baroni digitali. Le forze del bene, come le biblioteche pubbliche e la professione di giornalista – che è emersa come conseguenza della rivoluzione della stampa – sembrano più danni collaterali. Sono nate come un modo di affrontare il rischio di monopolio sulla produzione di informazioni. Oggi che l’informazione è così mercificata, sono diventate soluzioni in cerca di un problema.

I QUASI REGALI

Non tutte le zie digitali sostituiscono una specifica attività e potere precedente dalla vecchia società dei mass-media. Alcuni casi sono border line: pensate alla politica di Amazon con la vendita sotto costo dei lettori Kindle. Quanto più essi sono sovvenzionati tanto più somigliano a dei regali per i loro clienti. Altri casi, come Facebook, sembrano aver individuato nuove fonti di mercificazione: in sostanza il gossip, la socializzazione e la comunicazione online. Altri ancora stanno entrando nel mercato dei doni in cambio dei dati personali, pensate ai servizi associati per l’Apple Watch.
In tutti questi casi, quando le zie digitali si scontrano con modelli di business precedenti, hanno il forte vantaggio di essere gratis. E’ inutile opporgli resistenza.
In alcune società, le economie del dono sono modi complessi e finemente sintonizzati di organizzare scambi disciplinati da norme sociali in cui gli oggetti di valore non sono venduti per denaro o barattati con qualche altra merce, ma vengono offerti senza un consenso esplicito per i premi immediati o futuri. Attraverso lo sfruttamento magistrale della logica dei “mercati a due lati” (two-sided markets, nei quali due gruppi di utenti diversi, che forniscono l’un l’altro con i benefici di rete, sono abilitati ad interagire da una piattaforma) la Silicon Valley ha traformato l’economia del dono in una strategia business di competizione.
Ho appena evidenziato tre caratteristiche principali di questa nuova “economia del dono digitale”. L’intero meccanismo è basato su due variabili. Uno è l’assenza di una vera concorrenza locale: c’è un solo Amazon, un solo eBay, un solo Facebook, un solo Google e così via. Per loro natura, i mercati a due lati tendono ad essere dominati da una piattaforma. La seconda variabile e’ la disponibilità di un’immensa risorsa rinnovabile, vale a dire la quantità di denaro spesa ogni anno in pubblicità in tutto il mondo. Secondo un recente rapporto di eMarketer, “la spesa pubblicitaria dei media a pagamento in tutto il mondo salirà del 5,9%, raggiungendo 577,79 miliardi di dollari nel 2015. La spesa per il digitale costituirà quasi il 30% del totale, mentre le spese pubblicitarie su dispositivi mobili stanno guidando la crescita a quota 11,9%”.

IL VENTUNESIMO PAESE DEL MONDO: LA PUBBLICITA’

Secondo i dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale, se questo fosse il PIL nominale di un Paese, nel 2014 la pubblicità sarebbe stato il ventunesimo Paese del mondo, davanti alla Svezia (570.137 milioni di dollari). Circa Il 30% di questa somma è il riscatto che l’analogico paga per il digitale. La mancanza di concorrenza e l’aumentare della spesa pubblicitaria sono entrambi in gran parte auto-regolati e il mercato si prende cura sia del mercato analogico sia di quello digitale. Questo è anche parte della natura di defranchisizzazione dei servizi online gratuiti: i controllori controllano se stessi in un circuito chiuso di interazioni a cui le Alice di tutto il mondo sono invitate come semplici utenti, che non possono più permettersi di non accettare i doni offerti ed essere lasciate fuori dall’infosfera.
Il costo di questo meccanismo macroscopico è duplice
Da una parte, vi è una pressione crescente per acquisire ed elaborare sempre più dati personali, che sono l’unica cosa che il settore online vende a chi vuole pubblicizzare i propri prodotti e servizi. Un mercato di quasi 600 miliardi di dollari in annunci disponibili ogni anno, che vanno a erodere continuamente la nostra privacy. D’altra parte, vi è una crescente escalation dei budget pubblicitari. Questo porta ad una allocazione inefficiente e distorta di risorse, dove i pochi vincitori si spartiscono tutta la torta.

DIMINUISCE LA PRIVACY, AMUENTANO LE DISEGUAGUAGLIANZE

In breve, il risultato è meno privacy e più disuguaglianza, due dei più gravi problemi delle società dell’informazione mature, che ora si ritrovano ad essere connessi come due rami lontani tra loro ma appartenenti dello stesso albero.
Non esiste una soluzione semplice, ma le istituzioni socio-politiche potrebbero fare molto per migliorare la situazione, attraverso la promozione di una maggiore concorrenza, una migliore fiscalità e regolando più strettamente il settore della pubblicità, forse seguendo alcune delle lezioni apprese dai limiti imposti alla industria del tabacco. Non ultimo, affrontare il problema di quanti soldi possono essere sprecati in questa nuova corsa agli armamenti (immaginate per un momento come sarebbe la nostra vita se le pubblicità a pagamento fossero illegali).
Finché sarà razionale offrire doni in cambio di ricavi pubblicitari e sempre meno privacy non possiamo aspettarci molti miglioramenti in futuro.

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