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22.4.16

Odio online. La nuova barbarie sulla Rete

 Antonio Armano (Treccani)

Buio in sala. Cinema Arlecchino. Profonda provincia italiana. Tra il pubblico c'è il signor Bonza. Il titolare di una ditta di spurghi. In un momento di silenzio una voce: “Bonza. Hai fatto i soldi con la merda”. Silenzio, risate. Risposta in dialetto: “E ti caga no”.
Scena numero due. Un film del 1980. The Blues Brothers. John Belushi e Dan Aycroyd stanno guidando. Vestito nero, Ray-Ban da sole. Si trovano nel sobborgo di una grande città. Strada quasi di campagna, prima di un ponte. Inspiegabilmente c'è coda. Una manifestazione. Chiedono alla polizia che cosa sta succedendo. Il poliziotto risponde: sono i nazisti dell'Illinois. Dopo la mitica frase “Io odio i nazisti dell'Illinois” la macchina dei Blues Brothers riparte fregandosene della folla. Per evitare di essere travolti, gli americani in camicia bruna si buttano in massa dal ponte in un fiume giallastro.
Le scene si svolgono una sullo schermo e l'altra davanti allo schermo. La prima, quella degli spurghi, a Voghera. Vicino a Chicago l'altra. Situazioni e contesti molto diversi. In comune hanno una cosa. Ci raccontano aspetti dell'odio che sono oggi cruciali. Ai tempi di Internet e del “mercato dell'odio”. Per usare le parole di Giovanni Ziccardi, autore di un interessantissimo saggio, L'odio online, edito da Raffaello Cortina.
Quali sono questi aspetti? Alla domanda se le nuove tecnologie abbiano aumentato la diffusione dell'odio, Ziccardi, attivissimo docente di informatica giuridica alla Statale di Milano, risponde sì. Questo sì viene da uno studioso che ha una grandissima passione per la materia che studia e per le nuove tecnologie in genere, che si esalta a varcare e farci varcare le nuove frontiere. Uno dei motivi della sua risposta affermativa ha a che fare con la sala del cinema Arlecchino di Voghera: il buio, l'anonimato. Il filtro virtuale deresponsabilizza, tira fuori istinti tremendi. Trasforma i dottor Jeckyll offiline in Mr Hyde online.
Per quanto riguarda l'altro aspetto, il film si riferisce alla realtà, anche se sembra appartenere alla sfera del comico. I nazisti dell'Illinois non sono un'invenzione di John Landis e hanno davvero ottenuto il permesso di manifestare ricorrendo alla Corte Suprema di quello Stato. La quale ha stabilito che non si può negare la libertà di espressione. Anche quando riguarda l'espressione di idee aberranti. Di più: la manifestazione si svolgeva a Skokie, un sobborgo di Chicago, dove vivevano diversi ebrei scampati allo sterminio o discendenti di superstiti dai lager. Un avvocato ebreo aveva difeso i nazisti, sostenendo che la Shoah era frutto di una situazione di mancanza di libertà e non era certo con i divieti che si immunizzava una società dal ripetersi di un tale evento.
Ziccardi nota un altro fattore importante. La maggior parte dei server, delle architetture tecnologiche dove avviene fisicamente la navigazione, si trova negli Stati Uniti o comunque nell'America del Nord. Dunque dobbiamo tenere conto del contesto culturale dove ci muoviamo per capire come comportarci nella prevenzione e repressione dell'odio online. Un contesto la cui localizzazione territoriale non è così scontata e immediata. Vale per Facebook, Twitter e altri mezzi di comunicazione, ormai diffusissimi.
Nello specifico Ziccardi non si occupa di banale odio interpersonale e privato, ma di quello che si definisce “hate speech” in senso tecnico, anche se i due sistemi sono connessi. Hate speech cioè la manifestazione verbale aggressiva che usa la religione, la razza, la politica per colpire il bersaglio... Omofobia, antisemitismo, razzismo, sessismo... Di fronte all'intensificarsi del fenomeno, all'accrescersi dell'odio tra una maglia e l'altra della Rete, quali atteggiamenti si possono adottare? Ziccardi distingue due approcci, anche legislativi, opposti. Negli Stati Uniti ci si continua a comportare come con i nazisti dell'Illinois. A non intervenire se non c'è un “clear and present danger”, una minaccia immediata e concreta (l'incitamento all'odio di stampo islamista sicuramente rientra nella fattispecie). In Europa si cerca di correre ai ripari normando. Del resto il danno può essere solo morale ma non per questo meno pericoloso. Ammesso che da un livello non si passi all'altro.
Il dibattito - questo è un punto importante e spiazzante del libro - risale agli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Dopo la distruzione, si raccolgono i cocci, anche dei sistemi giuridici. La propaganda hitleriana è la madre di tutti gli hate speech. E Goebbels il padre. A prevalere, anche a livello di organismi sovranazionali, è stato l'approccio europeo, non quello americano. La libertà di espressione è importante ma bisogna pensare alle vittime, alla sofferenza dei soggetti dell'odio. Gli stati membri dell'Onu possono adottare norme che puniscono e limitano.
Questo approccio storicamente prevale, come rivela Ziccardi, grazie alla pressione dei paesi totalitari, del blocco comunista dell'Est. I paesi dell'Est, sovietici e non sovietici, sono quelli che hanno più sofferto le persecuzioni contro gli ebrei. Auschwitz era in Polonia, e in Ucraina, anche con metodi meno sofisticati, si sono sterminati oltre un milione di ebrei. Naturale che dai quei paesi vengano istanze di controllo e autocontrollo. Fa parte della storia oltre che dell'ideologia giuridica totalitaria, interventista per definizione. Non dimentichiamo che la parola “pogrom” viene dalla Russia. Bisognerebbe poi notare che l'antisemitismo ha continuato a proliferare oltre Cortina, nonostante, anzi durante questa fase legislativa. Una contraddizione forse solo apparente. Subito dopo i vari colpi di stato comunisti, i dirigenti ebrei dei partiti comunisti sono stati epurati. Processati e spesso uccisi. Si pensi al caso Rudolf Slanský in Cecoslovacchia. E al periodo finale della vita di Stalin. Il dittatore georgiano, appena prima di morire nel 1953, pensa bene di denunciare l'ennesimo complotto. La congiura dei medici ebrei. Inoltre solo la fine fisica ha impedito che realizzasse il progetto di trasferire gli ebrei dell'Unione sovietica in una repubblica creata ad hoc in Siberia, il Birobidž, nell'estremo oriente dell'Imperium.
Se Internet - come apprendiamo da fonte non certo tacciabile di neofobia -, pur essendo teoricamente uno strumento neutro, può diventare un brodo di coltura dell'odio, come comportarci? Ziccardi non ha soluzioni, ma per non intristirci con derive neoluddiste, propone un cocktkail di tre ingredienti. Legge, tecnologia e formazione. Non è per un approccio legislativo troppo libertario, all'americana. E neanche invasivo, vista anche la matrice totalitaria individuata dietro una certa scuola di pensiero giuridica. Come lamentava Eleanore Roosevelt, la moglie del presidente, al tempo della Ricostruzione posbellica, legislazioni repressive della libertà di espressione possono essere usate, a discrezione del potere, per perseguitare dissidenti, incarcerare, zittire. Si veda la Turchia. Ziccardi è comunque per intervenire, normare. Sia pure in modo leggero.
Secondo ingrediente del cocktail: la tecnologia... La tecnologia, oltre a creare problemi, può offrire soluzioni. Così come per la pornografia, si mettono a punto software che individuano contenuti da filtrare in Rete. Non osceni ma “hateful”. Per ora funzionano fino a un certo punto questi programmi. Diciamo al 70 per cento. Il loro grado di fallibilità non concerne solo la mancata individuazione di contenuti aggressivi. Ma anche la censura di contenuti che non lo sono. Un bel rischio, ma gli spazi di miglioramento sono pressoché infiniti. Nel caso della pornografia è tutto più semplice perché in generale i contenuti veicolati sono video e provengono da siti che dichiarano di essere riservati a un pubblico adulto. Qui Ziccardi cita Sweetie, un bambina virtuale con lineamenti orientali che adesca pedofili in rete e li porta nella bocca della polizia postale. Potrà nascer qualcosa del genere anche per l'odio?
C'è poi la questione formativa, il terzo ingrediente del cocktail Ziccardi. La soglia d'età per il possesso di uno smartphone è sempre più bassa. In Italia ormai i bambini di sette anni e mezzo hanno uno smartphone. Bisogna educare, essere vigili e non troppo tolleranti. Bambini e ancora di più adolescenti non si rendono conto di essere crudeli, di fare del male. Persino il bullismo femminile, dice Ziccardi, in passato praticamente inesistente, è fiorito grazie alla Rete. Per non parlare di territori nuovi come il revenge porn, la pubblicazione di video spinti fatti con la ex fidanzatina se lei ti lascia, o la partner occasionale, sempre per metterla in difficoltà, vendicandosi di qualcosa.
Va tenuto presente un altro aspetto. Quello che nel libro viene indicato come “mercato dell'odio”. L'odio, l'insulto, la rissa in Rete, attira click e quindi soldi. I politici sanzionati dalla legge per espressioni d'odio online poi vengono premiati nelle urne. Dalla Francia alla Germania all'Olanda. Anche i comuni cittadini non scherzano. Basta vedere come alcuni utenti si sono scatenati sul mancato raggiungimento del quorum al referendum sulle piattaforme. Con espressioni anche violente, non solo piene dei consueti insulti. Tale Marie_Bloo su Twitter scrive: “Io trivellerei la testa a tutti quelli che oggi non sono andati a votare”. Le nuove tecnologie aprono continuamente nuove frontiere, che la legge non sempre può o deve inseguire. Si parla della necessità, molto onerosa, non di prevedere il futuro, ma di “prevedere il presente”. Di capire e valutare quello che sta già accadendo, e porterà a breve un cambiamento dei comportamenti.
Il dilemma tra censura e tolleranza non è di facile scelta. Dosare il cocktail facendolo virare verso un retrogusto repressivo o anarchico è un rischio onnipresente. Ziccardi, durante la presentazione del libro al festival del giornalismo di Perugia, ha raccontato un episodio esilarante ma significativo e inquietante. Da persone mite qual è, sebbene vulcanica e desiderosa del confronto, ha tentennato un po' quando gli hanno proposto di aprire un blog sul sito del Fatto Quotidiano. Il sito è lettissimo, una delle testate online più lette in Italia, e ha commentatori molto vivaci e polemici. La forza del giornale è la mancanza di padroni e censure. Al suo primo post, Ziccardi ha scelto di fare un esperimento. Ha pubblicato la recensione di romanzo storico, Nel ventre, di Sergio Claudio Perroni. L'obiettivo era raggiungere zero commenti. Il romanzo gli era piaciuto moltissimo, ne parlava bene ma in modo neutro ed era sicuro che nessun lettore del Fatto avrebbe polemizzato su un'opera di ambientazione tanto lontana. Pirro Neottolemo e dintorni... La notte prima di entrare a Troia i soldati achei nascosti nel ventre del cavallo parlano, hanno bisogni fisiologici (uscire a fare la pipì?), paure. Possono essere scoperti. Morale: primo giorno zero commenti. Secondo, terzo ecc. niente. Dopo una settimana una lettrice (l'utente luisaloffredo) fa un commento di questo tenore: “E forse è proprio da lì che son cominciati i nostri guai: l'inganno osannato perché indice di ingegno! Se ci scrollassimo di dosso quest'idea ci sarebbero forse meno 'furbi' e più onesti! In un paese come l'Italia di certo non abbiamo bisogno di un'altra legittimazione dell'inganno! Se per una volta qualcuno avesse detto: che schifo battere il nemico con l'inganno, allora si che sarebbe stato un'altro punto di vista! Ma si sa, qui si preferisce: il fine giustifica i mezzi!”. Amen.

14.4.16

Lercio, il sito che inventa le notizie

di Antonio Armano

 
“Umberto Eco scopre il sinonimo di sinonimo e precipita in un universo parallelo”.
Chi non hai mai letto sui social-network una delle geniali notizie inventate da Lercio?
Ormai il sito di mocking journalism - tiriamocela un po' con l'inglese - ha superato i 600mila seguaci ed è la star del momento sul web italiano. Di fronte a una realtà che supera la fantasia più perversa, alla bufale spacciate per vere, ai commenti idioti e offensivi, insomma a tutto il trash che tracima in Rete e inquina le nostre giornate, le notizie satiriche di Lercio sono una boccata di aria fresca e buon umore. Una nemesi comica impagabile. Un rimedio omeopatico indispensabile. E poi dobbiamo ammetterlo: siamo tutti orfani di Cuore e “Scatta l'ora legale, panico tra i socialisti”.
Ai tempi di Tangentopoli Internet era agli albori e il giornalismo satirico un genere di nicchia, ma alcuni semi sono germogliati dopo decenni in Rete. Potevo quindi perdermi l'incontro con Lercio al festival internazionale del giornalismo di Perugia?. Partecipava ancheVera Gheno, twitter manager dell'Accademia della Crusca, esperta di coprolalia 2.0, e Rubio, lo chef che sfotte i “sassariani”.
Ho rischiato di restare fuori. C'era la coda per entrare, poi gente in piedi o seduta per terra. Come per l'ineffabile Franca Leosini, 82enne dai modi distaccati, celebre per le interviste ai più efferati assassini. Chi non la ricorda, con la messa in piega imperturbabile e un filo di trucco, mentre porge domande al “killer delle anoressiche”? Il quale per l'occasione si era rasato solo metà faccia, a significare l'inquietante doppiezza dell'animo umano, il Mr Hyde che si nasconde in ciascuno di noi. Una combinazione tricologica terrificante.
Aldilà delle porte chiuse e dei limiti di capienza, la bellezza del festival internazionale del giornalismo, giunto alla decima edizione, sta nell'atmosfera aperta e amichevole. Tutti si mischiano con tutti, italiani e non, addetti ai lavori e curiosi, giovani volontari e anziani anchorman. Vuol dire che una manifestazione è riuscita. Soprattutto perché non si respira il clima asfittico e autoreferenziale del giornalismo italiano, ma si parla di futuro e ci sono molti giovani e molti stranieri. La Leosini si poteva abbordare tranquillamente sui divani del bar del Bruffani, l'hotel dove si tenevano molti incontri, mentre il trio di Lercio l'ho ritrovato al ristorante, la sera dopo l'evento, poco distante, con lo chef Rubio che inforchettava perplesso una matassa di “spaghetti alla sabbia”. Si è formato un gruppo e si è deciso di andare alla festa del Post, il quotidiano online diretto da Luca Sofri. Peccato che Perugia sia l'unica città del pianeta non mappata da Google e la festa si tenesse, ironia della sorte, in un posto chiamato Post. Nessuno aveva capito né poteva capire che la festa del Post si trovasse al Post, troppo assurdo e ironico per essere vero, come le notizie di Lercio.
Post sta per Perugia Officina per la Scienza e la Tecnologia (http://www.perugiapost.it/). E tra parentesi Umberto Eco se ne è andato davvero un mese dopo la scoperta del sinonimo di sinonimo. “Se non sono vere si avverano”, come dice lo slogan Lercio, per avvertire il lettore che si tratta di satira ma la realtà può essere ancora più assurda e se non lo è può diventarlo. Basta pensare agli insulti di Salvini al capo dello Stato per l'invito ad aprire le frontiere. Ritirati quando ha capito che Mattarella si riferiva alle bottiglie di vino.
Una cosa che volevo sapere da quelli di Lercio è se abbiano paura a fare satira sull'islam, se si autocensurino. Vittorio Lattanzi ha risposto che in un paese cattolico è più naturale fare satira sul Vaticano, non bisogna farsi prendere dall'ansia comparatistica. In ogni caso non si pongono problemi a fare satira sull'islam, anche perché sono sparsi per tutt'Italia – lui vive nella Marche, Alfonso Biondi a Roma ecc. -, e non hanno una redazione da bruciare come Charlie Hebdo. La satira di Lercio sull'islam è sporadica e non troppo virulenta. Per esempio un mussulmano si fa il classico selfie a tavola. Durante il Ramadan: il piatto è vuoto.
Lattanzi, il più scatenato dei tre di Lercio presenti a Perugia, nella vita fa l'agente immobiliare. Il mocking journalism è un secondo lavoro per lui come per Biondi e Andrea Michielotto. Per Lercio scrivono trenta persone e non possono mantenersi in così tanti. La Rete è interattività e i fondatori di Lercio hanno iniziato come semplici lettori del blog di Daniele Luttazzi, che invitava a commentare con una battuta una notizia vera. Si chiamava “Palestra” e si sono messi a inviare battute facendosi le ossa. Quando Luttazzi ha chiuso la Palestra, alcuni affezionati, che ormai si conoscevano, hanno aperto il sito Acidolattico. Esiste ancora e oggi leggo questa battuta, stile Palestra: “Grillo mette dei grilli in bocca ai politici del M5S.
Sto pensando di candidarmi con Passera”. Nel 2012 è partita l'esperienza di Lercio, parodia satirica di Leggo e del nuovo giornalismo online che punta più ad attirare l'attenzione con titoli sensazionalisti e notizie demenziali che ad approfondire.
Anche Lercio ha una spazio dove chiunque può inviare una fake news. Alfonso Biondi mi racconta che arrivano centinaia di email. Vengono valutate e se c'è qualcosa di buono lo pubblicano con nome cognome: “Molti scrivono perché vogliono fare uno scherzo a qualcuno e ci chiedono di pubblicare fake news con nomi di amici o colleghi o fidanzate”.
Nel gruppo di Lercio a Perugia, dicevo, c'era spesso anche Vera Gheno, che gestisce i canali social della Crusca. Memorabile la notizia di Lercio che sfotte la sciatteria ortografica degli italiani: “L'Accademia della Crusca si arrende. Scrivete qual è con l'apostrofo e andatavene affanculo”. Nonostante la chiara natura ironica di Lercio, a partire dalla testata, molti si sono indignati per la bandiera ammainata sull'apostrofo o la volgarità dell'invito. Peraltro Vera, traduttrice di narrativa ungherese ma anche e soprattutto italianista, ha fatto uno studio sulle parolacce in Rete. Bellissimi i modi per aggirare algoritmi e sensibilità censorie anche nella bestemmia. Per esempio usando il nome di un comune friulano, anagramma blasfemo: Codroipo.
A proposito di notizie vere che sembrano false, o false che si possono avverare perché niente è più inverosimile del vero, c'è la vicenda toccata al Lercio inglese. The Onion, La Cipolla, ha pubblicato una fake news sulla Corea del Nord: il dittatore Kim Jong-Un eletto “Sexiest man alive”, uomo vivente più sexy. La notizia, benché evidentemente falsa, è stata ripresa dai media nordocoreani.
Mentre ci troviamo a Perugia è uscita una fake news di Lercio molto divertente che ben rappresenta il confine mobile tra invenzione satirica e realtà: la mafia concede uno sconto sul pizzo alle librerie che vendono i libri di Vespa. Qui si ironizza sugli avvisi di alcune librerie che, dopo l'intervista di Vespa al figlio di Totò Riina, si rifiutano di vendere il libro di quest'ultimo. La differenza tra notizie assurde vere e notizie assurde inventate è così sottile da passare per i dotti lacrimali: quelle vere fanno piangere, quelle inventate fanno ridere. Non ci resta che ridere.
Come l'ebreo della barzelletta yiddish che legge i giornali antisemiti. Gli chiedono conto del comportamento e lui risponde che prima leggeva i giornali ebraici e ci perdeva il sonno: minacce, pericoli, attacchi continui... Poi si è messo a leggere i giornali antisemiti, dove gli ebrei sono sempre i più ricchi di tutti, stanno dietro a tutto, comandano tutti. In fondo non ci crede ma è meno deprimente.

13.5.14

Lombroso fa arrabbiare i neoborbonici

Cosa avrebbe ponderato Cesare Lombroso se avesse avuto la ventura di incontrare Scilipoti Insospettabilmente i due potevano piacersi: bassini e tendenti alla pinguedine, in comune la professione e l’interesse per la medicina non convenzionale. La gustosa scenetta è disattesa da uno dei primi slanci situazionisti dell’ex Italia dei Valori, messosi in testa a un drappello di neoborbonici inferociti dal fondatore dell’antropologia criminale.




A che pro? Correva l’anno 2010. In seguito alle celebrazioni dei 150 anni dello stato italiano e al rinnovato clima nostalgico duosiciliano, un centinaio di manifestanti fomentati dal libro Terroni di Pino Aprile (nel quale si parla di improbabili lager e fosse comuni per migliaia di napoletani passati per le armi piemontesi), in un clima da ultras in cui Savoia e Mazzini finivano nello stesso bieco calderone insaporito dai coretti “Garibaldi boia/Anita la sua troia”, marciavano alla volta del riallestito museo Lombroso di Torino, chiuso al pubblico per decenni. Alla testa, insieme al secondo voltagabbana più celebre d’Italia – recentemente superato da quell’abruzzese che imita un personaggio di Crozza – l’avvocato Colacino, sindaco di Motta S. Lucia, comune della provincia di Catanzaro ove ebbe i natali Giuseppe Villella, presunto brigante e feticcio di quei rabdomantici cercatori di eroi sudisti. I cento reclamavano brevi manu il celebre teschio di Villella, esposto nel museo in quanto catalizzatore della celebre e infondata teoria dell’atavismo criminale di Lombroso: il geniale scienziato pasticcione vi aveva riscontrato una presunta malformazione, la celebre fossetta occipitale situata a supporto del cervelletto che fu assunta come dimostrazione del legame tra criminale ed esseri inferiori sulla scala evolutiva. Colacino nel mentre si diceva discendente diretto di Villella, unico mezzo per richiederne le spoglie mortali. Così, mentre la seria questione meridionale veniva diluita in un milieu culturale non così dissimile da quello dei supporter anti scie chimiche e microchip sottocutanei, una causa era avviata e il giudice del Tribunale di Lamezia Terme Gustavo Danise ha disposto la sepoltura dell’ambìto cranio; l’appello è previsto per il prossimo dicembre. Peccato che un documentatissimo testo di recente pubblicazione, Lombroso e il brigante di Maria Teresa Milicia, antropologa concittadina di Colacino e Villella, dimostra che quest’ultimo brigante non era: un modesto ladruncolo di caciotte morto in carcere per cause naturali piuttosto, ben lontano dalla figura autenticamente idealista di un Passannante. Disinnescando inoltre le accuse di razzismo anticalabrese del deamicisiano Lombroso. Del clima velenoso paga le conseguenze Silvano Montaldo, giovane direttore del museo che nel suo allestimento si presenta rigoroso e imparziale, con una encomiabile cura per gli aspetti controversi e il valore euristico e storico delle teorie dell’alienista ottocentesco: lamenta di essere stato abbandonato anche dalle istituzioni locali e non poter avviare l’ampliamento del museo con le sezioni sul paranormale e sul genio, con il cranio di Alessandro Volta in attesa. Tutto questo mentre alcune teorie lombrosiane stanno clamorosamente tornando in auge, come peraltro evidenziato dall’ottimo volume di Emilia Musumeci Cesare Lombroso e le neuroscienze: un parricidio mancato. Esperimenti come quelli di Libet mostrano come l’istante in cui un soggetto diviene consapevole di compiere un’azione è successivo a quello in cui è attivata l’area cerebrale interessata: la volontà cosciente potrebbe solo selezionare quali iniziative portare avanti o quali bloccare, con un potere di libero veto più che di libero arbitrio. Tutto in direzione dell’impossibile imputabilità dei natural born killer, cavallo di battaglia lombrosiano. Non solo: le nuove tecniche di neuroimaging ci mostrano le inequivocabili malfunzionalità dei cervelli di assassini o antisociali – in particolare, le atrofie del lobo frontale rilevate negli studi di Blake e in quelli di Raine, fino al classico caso di Phineas Gage, il ferroviere trafitto da una lancia in zona frontale che, sopravvissuto, si trasformò da esemplare padre di famiglia in individuo patologicamente irresponsabile. E se Lombroso avesse ragione?


Maria Teresa Milicia. Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso. Salerno ed., Roma, 2014. Pp. 168, euro 12.
Emilia Musumeci. Cesare Lombroso e le neuroscienze: un parricidio mancato. Devianza, libero arbitrio, imputabilità tra antiche chimere ed inediti scenari. Franco Angeli ed., Roma, 2012. Pp. 208, euro 27.