Antonio Armano (Treccani)
Buio in sala. Cinema Arlecchino. Profonda provincia italiana. Tra il  pubblico c'è il signor Bonza. Il titolare di una ditta di spurghi. In  un momento di silenzio una voce: “Bonza. Hai fatto i soldi con la  merda”. Silenzio, risate. Risposta in dialetto: “E ti caga no”. 
Scena numero due. Un film del 1980.  The Blues Brothers.   John Belushi e Dan                  Aycroyd stanno guidando. Vestito nero, Ray-Ban da sole. Si  trovano nel sobborgo di una grande città. Strada quasi di campagna,  prima di un ponte. Inspiegabilmente c'è coda. Una manifestazione.  Chiedono alla polizia che cosa sta succedendo. Il poliziotto risponde:  sono i nazisti dell'Illinois. Dopo la mitica frase “Io odio i nazisti  dell'Illinois” la macchina dei Blues Brothers riparte fregandosene della  folla. Per evitare di essere travolti, gli americani in camicia bruna  si buttano in massa dal ponte in un fiume giallastro. 
Le scene  si svolgono una sullo schermo e l'altra davanti allo schermo. La prima,  quella degli spurghi, a Voghera. Vicino a Chicago l'altra. Situazioni e  contesti molto diversi. In comune hanno una cosa. Ci raccontano aspetti  dell'odio che sono oggi cruciali. Ai tempi di Internet e del “mercato  dell'odio”. Per usare le parole di Giovanni Ziccardi, autore di un  interessantissimo saggio, L'odio online, edito da Raffaello Cortina.  
Quali sono questi aspetti? Alla domanda se le nuove tecnologie abbiano  aumentato la diffusione dell'odio, Ziccardi, attivissimo docente di  informatica giuridica alla Statale di Milano, risponde sì. Questo sì  viene da uno studioso che ha una grandissima passione per la materia che  studia e per le nuove tecnologie in genere, che si esalta a varcare e  farci varcare le nuove frontiere. Uno dei motivi della sua risposta  affermativa ha a che fare con la sala del cinema Arlecchino di Voghera:  il buio, l'anonimato. Il filtro virtuale deresponsabilizza, tira fuori  istinti tremendi. Trasforma i dottor Jeckyll offiline in Mr Hyde online.   
Per quanto riguarda l'altro aspetto, il film si riferisce  alla realtà, anche se sembra appartenere alla sfera del comico. I  nazisti dell'Illinois non sono un'invenzione di John Landis e hanno  davvero ottenuto il permesso di manifestare ricorrendo alla Corte  Suprema di quello Stato. La quale ha stabilito che non si può negare la  libertà di espressione. Anche quando riguarda l'espressione di idee  aberranti. Di più: la manifestazione si svolgeva a Skokie, un sobborgo  di Chicago, dove vivevano diversi ebrei scampati allo sterminio o  discendenti di superstiti dai lager. Un avvocato ebreo aveva difeso i  nazisti, sostenendo che la Shoah  era frutto di una situazione di mancanza di libertà e non era certo con  i divieti che si immunizzava una società dal ripetersi di un tale  evento. 
Ziccardi nota un altro fattore importante. La maggior  parte dei server, delle architetture tecnologiche dove avviene  fisicamente la navigazione, si trova negli Stati Uniti o comunque  nell'America del Nord. Dunque dobbiamo tenere conto del contesto  culturale dove ci muoviamo per capire come comportarci nella prevenzione  e repressione dell'odio online. Un contesto la cui localizzazione  territoriale non è così scontata e immediata. Vale per Facebook, Twitter e altri mezzi di comunicazione, ormai diffusissimi. 
Nello specifico Ziccardi non si occupa di banale odio interpersonale e privato, ma di quello che si definisce “hate speech” in senso tecnico, anche se i due sistemi sono connessi. Hate speech  cioè la manifestazione verbale aggressiva che usa la religione, la  razza, la politica per colpire il bersaglio... Omofobia, antisemitismo,  razzismo, sessismo... Di fronte all'intensificarsi del fenomeno,  all'accrescersi dell'odio tra una maglia e l'altra della Rete, quali  atteggiamenti si possono adottare? Ziccardi distingue due approcci,  anche legislativi, opposti. Negli Stati Uniti ci si continua a  comportare come con i nazisti dell'Illinois. A non intervenire se non  c'è un “clear and present danger”, una minaccia immediata e concreta  (l'incitamento all'odio di stampo islamista sicuramente rientra nella  fattispecie). In Europa si cerca di correre ai ripari normando. Del  resto il danno può essere solo morale ma non per questo meno pericoloso.  Ammesso che da un livello non si passi all'altro. 
Il dibattito  - questo è un punto importante e spiazzante del libro - risale agli  anni successivi alla seconda guerra mondiale. Dopo la distruzione, si  raccolgono i cocci, anche dei sistemi giuridici. La propaganda  hitleriana è la madre di tutti gli hate speech. E Goebbels il padre. A  prevalere, anche a livello di organismi sovranazionali, è stato  l'approccio europeo, non quello americano. La libertà di espressione è  importante ma bisogna pensare alle vittime, alla sofferenza dei soggetti  dell'odio. Gli stati membri dell'Onu possono adottare norme che  puniscono e limitano. 
Questo approccio storicamente prevale,  come rivela Ziccardi, grazie alla pressione dei paesi totalitari, del  blocco comunista dell'Est. I paesi dell'Est, sovietici e non sovietici,  sono quelli che hanno più sofferto le persecuzioni contro gli ebrei.  Auschwitz era in Polonia, e in Ucraina, anche con metodi meno  sofisticati, si sono sterminati oltre un milione di ebrei. Naturale che  dai quei paesi vengano istanze di controllo e autocontrollo. Fa parte  della storia oltre che dell'ideologia giuridica totalitaria,  interventista per definizione. Non dimentichiamo che la parola “pogrom”  viene dalla Russia. Bisognerebbe poi notare che l'antisemitismo ha  continuato a proliferare oltre Cortina, nonostante, anzi durante questa  fase legislativa. Una contraddizione forse solo apparente. Subito dopo i  vari colpi di stato comunisti, i dirigenti ebrei dei partiti comunisti  sono stati epurati. Processati e spesso uccisi. Si pensi al caso Rudolf  Slanský in Cecoslovacchia. E al periodo finale della vita di Stalin. Il  dittatore georgiano, appena prima di morire nel 1953, pensa bene di  denunciare l'ennesimo complotto. La congiura dei medici ebrei. Inoltre  solo la fine fisica ha impedito che realizzasse il progetto di  trasferire gli ebrei dell'Unione sovietica in una repubblica creata ad  hoc in Siberia, il Birobidž, nell'estremo oriente dell'Imperium. 
Se Internet - come apprendiamo da fonte non certo tacciabile di  neofobia -, pur essendo teoricamente uno strumento neutro, può diventare  un brodo di coltura dell'odio, come comportarci? Ziccardi non ha  soluzioni, ma per non intristirci con derive neoluddiste, propone un  cocktkail di tre ingredienti. Legge, tecnologia e formazione. Non è per  un approccio legislativo troppo libertario, all'americana. E neanche  invasivo, vista anche la matrice totalitaria individuata dietro una  certa scuola di pensiero giuridica. Come lamentava Eleanore Roosevelt,  la moglie del presidente, al tempo della Ricostruzione posbellica,  legislazioni repressive della libertà di espressione possono essere  usate, a discrezione del potere, per perseguitare dissidenti,  incarcerare, zittire. Si veda la Turchia. Ziccardi è comunque per  intervenire, normare. Sia pure in modo leggero. 
Secondo  ingrediente del cocktail: la tecnologia... La tecnologia, oltre a creare  problemi, può offrire soluzioni. Così come per la pornografia, si  mettono a punto software che individuano contenuti da filtrare in Rete.  Non osceni ma “hateful”. Per ora funzionano fino a un certo punto questi  programmi. Diciamo al 70 per cento. Il loro grado di fallibilità non  concerne solo la mancata individuazione di contenuti aggressivi. Ma  anche la censura di contenuti che non lo sono. Un bel rischio, ma gli  spazi di miglioramento sono pressoché infiniti. Nel caso della  pornografia è tutto più semplice perché in generale i contenuti  veicolati sono video e provengono da siti che dichiarano di essere  riservati a un pubblico adulto. Qui Ziccardi cita Sweetie, un bambina  virtuale con lineamenti orientali che adesca pedofili in rete e li porta  nella bocca della polizia postale. Potrà nascer qualcosa del genere  anche per l'odio? 
C'è poi la questione formativa, il terzo  ingrediente del cocktail Ziccardi. La soglia d'età per il possesso di  uno smartphone è sempre più bassa. In Italia ormai i bambini di sette  anni e mezzo hanno uno smartphone. Bisogna educare, essere vigili e non  troppo tolleranti. Bambini e ancora di più adolescenti non si rendono  conto di essere crudeli, di fare del male. Persino il bullismo  femminile, dice Ziccardi, in passato praticamente inesistente, è fiorito  grazie alla Rete. Per non parlare di territori nuovi come il revenge porn,  la pubblicazione di video spinti fatti con la ex fidanzatina se lei ti  lascia, o la partner occasionale, sempre per metterla in difficoltà,  vendicandosi di qualcosa.  
Va tenuto presente un altro aspetto.  Quello che nel libro viene indicato come “mercato dell'odio”. L'odio,  l'insulto, la rissa in Rete, attira click e quindi soldi. I politici  sanzionati dalla legge per espressioni d'odio online poi vengono  premiati nelle urne. Dalla Francia alla Germania all'Olanda. Anche i  comuni cittadini non scherzano. Basta vedere come alcuni utenti si sono  scatenati sul mancato raggiungimento del quorum al referendum sulle  piattaforme. Con espressioni anche violente, non solo piene dei consueti  insulti. Tale Marie_Bloo su Twitter scrive: “Io trivellerei la testa a  tutti quelli che oggi non sono andati a votare”. Le nuove tecnologie  aprono continuamente nuove frontiere, che la legge non sempre può o deve  inseguire. Si parla della necessità, molto onerosa, non di prevedere il  futuro, ma di “prevedere il presente”. Di capire e valutare quello che  sta già accadendo, e porterà a breve un cambiamento dei comportamenti. 
Il dilemma tra censura e tolleranza non è di facile scelta. Dosare il  cocktail facendolo virare verso un retrogusto repressivo o anarchico è  un rischio onnipresente. Ziccardi, durante la presentazione del libro al  festival del giornalismo di Perugia, ha raccontato un episodio  esilarante ma significativo e inquietante. Da persone mite qual è,  sebbene vulcanica e desiderosa del confronto, ha tentennato un po'  quando gli hanno proposto di aprire un blog sul sito del Fatto Quotidiano.  Il sito è lettissimo, una delle testate online più lette in Italia, e  ha commentatori molto vivaci e polemici. La forza del giornale è la  mancanza di padroni e censure. Al suo primo post, Ziccardi ha scelto di  fare un esperimento. Ha pubblicato la recensione di romanzo storico, Nel ventre,  di Sergio Claudio Perroni. L'obiettivo era raggiungere zero commenti.  Il romanzo gli era piaciuto moltissimo, ne parlava bene ma in modo  neutro ed era sicuro che nessun lettore del Fatto avrebbe  polemizzato su un'opera di ambientazione tanto lontana. Pirro Neottolemo  e dintorni... La notte prima di entrare a Troia i soldati achei  nascosti nel ventre del cavallo parlano, hanno bisogni fisiologici  (uscire a fare la pipì?), paure. Possono essere scoperti. Morale: primo  giorno zero commenti. Secondo, terzo ecc. niente. Dopo una settimana una  lettrice (l'utente luisaloffredo) fa un commento di questo  tenore: “E forse è proprio da lì che son cominciati i nostri guai:  l'inganno osannato perché indice di ingegno! Se ci scrollassimo di dosso  quest'idea ci sarebbero forse meno 'furbi' e più onesti! In un paese  come l'Italia di certo non abbiamo bisogno di un'altra legittimazione  dell'inganno! Se per una volta qualcuno avesse detto: che schifo battere  il nemico con l'inganno, allora si che sarebbe stato un'altro punto di  vista! Ma si sa, qui si preferisce: il fine giustifica i mezzi!”. Amen. 
 
 
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