3.12.05

LAVORO & WELFARE - Modello danese? Meglio la «flexicurity»

ANDREA FUMAGALLI
Dopo l'intervento di Prodi, l'articolo di Giavazzi sul Corriere della Sera , la risposta di Galapagos su il manifesto del 29 novembre 2005, il modello nordico di regolazione sociale del mercato del lavoro sembra tornato in auge nel dibattito programmatico del centro-sinistra. Si è parlato di modello danese, si è fatto riferimento a quello olandese e a quello svedese; si tratta di tre casi fra loro differenti, ma in parte accomunati da un'unica parola: flex-security, neologismo inglese che potremmo tradurre «flessibilità in sicurezza». Esso deriva dal flexibility and security act (denominato flex-security act), in vigore in Olanda dal 1° gennaio 1999, e dai richiami, molto vaghi, che sono stati fatti negli atti della Commissione europea che hanno accompagnato una serie di summit sino all'ultimo di Lisbona. In tale ambito, si fa riferimento a una serie di misure di governance del mercato del lavoro e di welfare omogenee e in linea di continuità con i processi di compromesso sociale made in Europe all'interno di un restyling del modello sociale europeo. Nella discussione in atto ci sono come minimo due vizi: uno metodologico e uno di sostanza.Riguardo al primo, si parla del modello danese o del modello olandese come se fossero esportabili e imitabili per semplice volontà politica. Non è affatto così: la regolazione del mercato del lavoro e del welfare in Olanda (dove pesa più il welfare) e in Danimarca (dove pesano di più la flessibilità e la precarietà del lavoro) si basa su una triangolazione tra sindacati, associazioni imprenditoriali e stato che si fonda su una struttura produttiva coesa e omogenea con un peso prevalente della media e grande impresa e un peso del lavoro salariato di circa il 90% della forza lavoro complessiva, un tasso di sindacalizzazione degli attivi intorno all'80% e una rete di protezione sociale che data dai primi anni del XX secolo, frutto di un'evoluzione secolare. Si tratta di elementi che non sono presenti in Italia o in Francia e che renderebbero impossibile l'adozione di simili modelli e specie di raggiungere i risultati demagogicamente sperati sia da Prodi che da Giavazzi. Non è difficile immaginare, infatti, che del modello danese, ad esempio, verrebbe accolta solo la parte relativa alla libertà di licenziare e di flessibilizzare (meglio, precarizzare) ulteriormente un mercato del lavoro che già tra i più precari d'Europa.Per quanto riguarda il contenuto, invece, a differenza del recente innamoramento del centro-sinistra, la sinistra radicale e libertaria, che ha inventato e organizzato le prime vertenze sul lavoro precario e sulla precarietà esistenziale culminate con le recenti edizioni della EuroMayDay 005, sta discutendo da tempo la proposta di flexicurity. Essa, e non flexsecurity, fa riferimento ad alcune proposte concrete che poco o nulla hanno a che spartire con il progetto olandese e dei paesi nordici. La proposta di flexicurity ha lo scopo di favorire l'introduzione di un reddito di esistenza come pilastro di un nuovo sistema di welfare e di renderlo praticabile e perseguibile non solo come obiettivo teorico ma soprattutto come obiettivo pratico e immediato. Il ragionamento è, per alcuni versi, molto semplice, anche se a volte non compreso da chi, anche nella sinistra radicale, ha troppo nostalgia del passato industrialista e operista dell'epoca fordista. Partendo dal presupposto che oggi la vita non solo viene asservita al lavoro, ma messa al lavoro (la differenza è sostanziale), l'unica retribuzione corretta è la remunerazione della vita; in secondo luogo, poiché l'attività di produzione, materiale e immateriale, presenta un'organizzazione reticolare sul territorio ed è sempre più caratterizzata dalla gestione dei flussi di merci, informazioni e persone, il luogo del conflitto è composto sia dai luoghi di lavoro (sempre più frammentati e sempre più sottoposti a ricattabilità) che dal territorio in cui la produzione si determina. Ne consegue che per aprire una vertenza territoriale sul reddito di esistenza è necessario allo stesso tempo coniugare le pratiche di conflitto sul territorio con quelle che si autorganizzano nei luoghi di lavoro. La nostra proposta di flexicurity ha proprio questo significato: costituire un ponte tra agitazione sindacale in termini di diritti e garanzie del lavoratore/trice e nuovo welfare che fa del reddito di esistenza, diretto e indiretto, il suo perno essenziale. Non è un caso che i quattro punti in cui si articola la proposta di flexicurity sono la costituzione di una cassa sociale per garantire continuità di reddito monetario incondizionato, una cassa sociale per garantire servizi sociali adeguati (casa, mobilità sapere, socialità, ecc., ovvero reddito indiretto), una drastica riduzione delle tipologie contrattuali oggi esistenti e infine un salario minimo orario per coloro che non sono contrattualizzati (oramai quasi il 50% della forza lavoro e buona parte del lavoro precario).Infine, presuppone l'attuazione di un nuovo tipo di welfare a livello municipale, fondato su una politica fiscale adeguata ai nuovi cespiti di ricchezza che oggi sono dominanti. Sempre più infatti è lo sfruttamento di beni comuni, quali il territorio, la conoscenza, la struttura reticolare e relazionale, l'attività di consumo e di riproduzione, insieme ai nuovi servizi alle imprese (dal trasporto e dalla logistica delle merci sino ai servizi finanziari, linguistico-comunicativi e di design) che è alla base della produzione di ricchezza nei nostri territori, a scapito sempre più della produzione materiale e industriale. Occorre intercettare questi nuovi flussi di reddito per reperire le risorse necessarie alla costruzione di un nuovo welfare municipale.Si tratta di punti, che - come è facile osservare - non hanno nulla a che vedere con la legislazione olandese, danese o con alcune proposte del centro-sinistra o di Giavazzi, tutte tese a cercare, in modo illusorio e strumentale o al limite assistenziale, di governare la flessibilità del lavoro, senza minimamente preoccuparsi delle condizioni di reddito e di vivibilità oggi fortemente compromessi.Tale punto di vista, osserviamo, è assente nelle discussioni sul programma del centro-sinistra. Eppure, proposte in tal senso sono state presentate nei convegni di Sbilanciamoci e su alcuni siti (come www.sinistriprogetti.it) e nelle discussioni preparatorie della MayDay.
ilmanifesto.it

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