2.5.06

150 anni dopo. «Professor Freud, ma lei è mio papà»

Edoardo Sanguineti

Freud. Venga, venga avanti, la prego. Non deve mica sentirsi a disagio. Qui, i clienti, io li ricevo quando voglio. L´avrà vista, lì sull´uscio, la mia targhetta d´ottone, bella lucida, che dice: «consultazione perpetua, giorno e notte».
Sanguineti. Certamente, l´ho vista. Ma io, vede, non vengo mica qui in veste di paziente.
F. Lasciamola perdere, la veste. Perché, guardi, dicono tutti così. Ma siamo tutti pazienti, qui. Mi dica dunque quali disturbi l´affliggono.
S. Non si tratta di disturbi, illustre professore, anche se mi rendo conto, naturalmente, di disturbarla non poco. Si tratta semplicemente di alcune domande, assai discrete, che sarebbe mia intenzione sottoporre alla sua cortesia.
F. Gran brutto giro di parole, per incominciare. E sarà bene che io le dica immediatamente che le domande, se di domande si tratta, sarò io a porle, e non lei. Capirà bene, che è il mio mestiere. Ma perché se ne sta lì in piedi, titubante e perplesso? Si metta comodo qui, sopra questo lettino, bello disteso, come se dovesse farci una dormita, giù. Adesso si concentri, chiuda gli occhi, si rilassi, ecco, così. Parli pure, se ne ha voglia, ma si lasci andare. Io mi metto qui, fuori tiro, e se permette, prenderò soltanto qualche appunto,
S. Veramente, sì, ero io che volevo prendere qualche appunto.
F. Tutti così, benedett´uomo, tutti così: è un´epidemia. Ho pensato di definirla, questa sindrome qui, una «nevrosi da scambio». Come lei può constatare, consiste in un tentativo di inversione delle parti, per cui si vogliono alterare i ruoli e rovesciare i rapporti: è come se lei, tanto per dire, essendo un fratello di una sorella, volesse fare la sorella di suo fratello, cioè la sua sorella, di lei, e si convincesse che sua sorella, invece, è il fratello della sorella, cioè suo fratello, di lei sorella. Sono stato chiaro? Lei ha sorelle?
S. No, illustre professore: sono figlio unico.
F. Gran brutta situazione, altamente patogena, di norma. Penso al suo papà, poveretto, che ne avrà visto delle belle, immagino. Per non parlare della sua povera mamma, ahi, ahi, ahi. Ma ecco, torniamo alla nostra nevrosi da scambio. Si metta bene in testa, gentile visitatore, che il medico interroga, e che il paziente risponde. E che io sono qui per interrogare, sono qui per sapere, e che mi pagano, proprio per questo, anche qui, sissignore: che sono mantenuto, io, qui, per i miei punti interrogativi, non per altro. Capito?
S. Sì, chiarissimo. Quello che voglio dirle è tutt´altro: perché lei deve sapere che da tanto, tanto tempo io sognavo di poterla incontrare.
F. Benissimo, ci siamo, ci siamo. Guardi, con lei, che mi è simpatico, anche perché è piuttosto timido - e io, per i timidi, sa, per gli introversi, come diceva quel disgraziato - ma lasciamo perdere - ci ho una certa tenerezza - con lei io voglio giocare a carte scoperte - per quel che si può e che l´onore della professione permette. E insomma, nei limiti del lecito, procederemo confidenzialmente, come alla luce del sole: le va bene? Anzi, per non accrescere ulteriormente il suo manifesto stato di disagio, perché la vedo lì sopra il lettino, che si scontorce e si dibatte non poco, io parlerò di lei come di una terza persona, di cui noi andiamo familiarmente discorrendo, così fra di noi, per amore di pettegolezzo, per il piacere di chiacchierare: per esempio, diremo, il signor Zeta: le piace?
S. Sì, sì, benissimo.
F. - Or dunque, mi ascolti. Capita da me, un certo giorno, un certo signor Zeta, non meglio identificato, e due cose emergono subito. Primo, egli risulta affetto - già lo abbiamo accertato - dalla ben nota nevrosi da scambio, situabile sintomaticamente sull´asse interrogazione/risposta. Secondo, egli accenna, sebbene brevemente, a un sogno, probabilmente ricorrente, se non addirittura ossessivo, nel quale sono coinvolto io medesimo, il Freud: quanto a detto sogno, si sa per ora chr lo Zeta brama, pare da tempo, incontri onirici, non meglio definiti, con il Freud.
S. No, onirici no.
F. Non onirici?
S. No, no, incontri veri, come questo.
F. Sognava un incontro, in sogno.
S. Sognava in sogno, naturalmente: ma, nel sogno, l´incontro era ben reale. Sognava questo, che io mi vivo adesso, che lui si vive adesso, cioè, là, lo Zeta.
F. Scusi che prendo un appunto. (Il signor Zeta - lei, intanto, si distragga un po´, si rilassi - sogna di incontrarmi fuori del sogno, e parla di un incontro vero, virgola, che se lo vive adesso, punto. Alla luce della nevrosi di base sopra indicata, virgola, il soggetto dimostra un intenso desiderio di identificazione con il medesimo Freud, due punti: il rovesciamento interrogazione, sbarretta, risposta, può dunque chiarirsi come brama male repressa di sottoporre il Freud, fatto paziente, virgola, a oggetto di analisi, con corrispondente sostituzione di persona, punto). Ehm, ho scritto qui poche parole, non ci badi, e vada avanti.
S. Professore, io mi sento così inibito.
F. Ha detto inibito?
S. Certo, capirà, un uomo come lei con un uomo come me, vedermelo qui davanti, cioè dietro veramente, che mi ascolta, che mi risponde: io, ecco, non ho più parole. Mi sento un tale complesso di inferiorità.
F. Lei, questo Freud, come se lo vedeva, in sogno?
S. Ecco, io non so bene come spiegarle, quelle cose che vedevo: perché si vede che stanno come sepolte in me, dentro, sotto, nel profondo, giù. A me, già, mi pareva di conoscermelo come da sempre, il Freud, lì nel sogno.
F. (Notare l´impressione di virgolettato, déjà vu, fine del virgolettato, sottolineato il virgolettato). Dica, dica, non pensi a me.
S. Ci penso per forza, ci penso. Comunque, sì, io associavo la sua immagine alle figure più alte che avevo incontrato nella mia povera vita, e mi sentivo attratto verso di lei da un impulso infrenabile, e tuttavia accompagnato da una strana angoscia. La sua presenza mi pareva che dovesse sollevarmi tutto, in alto, sopra me stesso, sublimarmi, quasi. Per me, guardi, era come un padre, il Freud.
F. Eh, ho capito bene?
S. Capito che cosa?
F. Ha detto: come un padre?
S. Sì, e non saprei come dire diversamente.
F. Ahi, ahi, ahi.
S. Che cosa significa, questo lamento?
F. Significa, purtroppo, che il suo caso deve fermarsi qui. Perché significa, signore mio, che siamo già alle solite, al padre, cioè all´Edipo, cioè al triangolo, e a tutto. E quando siamo lì, a tutto, allora si chiude, e basta. Oh, poveretto lei, ma che caso semplice che è, che caso trasparente! Così, se lei vuole che il nostro incontro abbia un minimo di sviluppo, anche uno sviluppino soltanto, qui si deve fare marcia indietro, prima che ci arrivi anche la Giocasta, egregio dottore, e non ci sia più rimedio, per noi. Dunque, torniamo di corsa al sogno, e vediamo se ci troviamo una qualche scappatoia. Mi racconti, per filo e per segno, quello che si vedeva nel suo sogno, avanti.
S. Io sognavo così. Che mi vedevo davanti il Freud, cioè lei, di colpo, che mi diceva subito: «Venga, venga avanti, la prego». E mi faceva segno che venivo avanti. E mi faceva coraggio, e diceva: «Non deve mica sentirsi a disagio». E mi spiegava che i clienti, lui, se li riceveva quando voleva, ormai. E mi raccontava che ci aveva una targhetta d´ottone, sull´uscio suo, là nell´oltremondo, che diceva una cosa come questa, mi sembra: «consultazione perpetua, giorno e notte». E poi mi diceva se l´avevo vista, la targhetta. E io dicevo che l´avevo vista. Ma gli spiegavo, però, che non ero mica un paziente, io. Allora lui diceva che tutti dicevano così, che non erano pazienti e che invece erano tutti pazienti, da vivi e da morti, nell´oltremondo come nel mondo. E allora si metteva che voleva farmi delle domande, a me, che mi diceva che disturbi ci avevo. E io dicevo che non erano disturbi, ma che volevo fargli delle domande, io, e lo dicevo in un modo tutto gentile...
F. Mi scusi, caro Zeta, ma veniamo, la prego, così di un salto, di colpo, alla fine del sogno.
S. È che non l´ho mai vista, professor Freud, la fine. Mi sono svegliato, sempre, prima.
F. E allora, attento. È tutto secondo le regole, vedrà. Adesso lei solleva lentamente la sua testa, su, dal lettino, e poi il busto, su fino a portarsi in posizione seduta. Poi lei si volge indietro, e mi guarda. E io, come avviene di norma, per tutte le ombre dell´oltremondo, diventerò trasparente come l´acqua, e svanirò sereno, nel puro niente. E allora, dottor Zeta, lei alzerà un grido, terribile, di pianto, ma un grido sommesso, un po´ strozzato, e quasi livido, diafano, così, che farà come si sentirà, poi, come le verrà più spontaneo, e più naturale, come le sgorga proprio adesso, su dal profondo, guardi, attento, adesso che si gira, che mi cerca qui con gli occhi, ecco.
S. Papà, papà, papà, papà.

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