In una scuola paritaria ragazzi promossi agrazie al 10 in religione: che però non dovrebbe esprimere un voto numerico, ma solo un giudizio. E nella mattanza di ore e di posti di lavoro prodotta dalla riforma Gelmini, l'ora di religione è la sola a non subire tagli: docenti nominati dalla Curia, ma pagati dalle tasse degli italiani
C’era una volta la laicità nel nostro Paese. E ora non c’è più. Notizia  recente: in un liceo paritario romano – il Seraphicum – i ragazzi sono  stati ammessi all’Esame di Stato con il contributo di 10 in religione.  Violazione all’art. 309 del Testo Unico delle leggi sulla scuola che  stabilisce modalità e criteri di valutazione di chi si avvale  dell’Insegnamento Religione cattolica: giudizi e non voti. Il Nuovo  Concordato e le successive intese applicative si uniformarono alla  normativa statale, che stigmatizza ogni forma di discriminazione  determinata dall’avvalersi o no di  IRC, che – per ora – è ancora  facoltativo. Scuola e Costituzione ha diffidato l’Ufficio scolastico del  Lazio, che al momento non ha ancora risposto. Attendiamo fiduciosi.
Chi sale,chi scende 
 Nella mattanza di ore (e di posti di lavoro) prodotta in tutti gli  ordini di scuola dalla “riforma”, l’IRC è il solo a non subìre tagli,  arrivando così a una percentuale più ampia sul monte-ore: i nostri  studenti fanno meno Italiano ma più Religione! Il paradosso è che negli  anni del più grande licenziamento di massa della storia della scuola  italiana, gli insegnanti di Rc sono addirittura aumentati: 26.000 in  servizio, di cui 14.000 di ruolo. Docenti che hanno una singolare,  doppia matrice giuridica: nominati (o rimossi) dalla Curia, pagati dalle  tasse di tutti gli Italiani. ”L’ora di Religione non si tocca”, aveva  detto Gelmini all’inizio dello scorso anno scolastico. La sollecitazione  era venuta dalla “lettera cIRColare” della Congregazione Vaticana per  l’Educazione cattolica, che condannava il fatto che in molti Paesi siano  state introdotte “nuove regolamentazioni civili, che tendono a  sostituirlo (l’insegnamento della  IRC, ndr) con un insegnamento del  fatto religioso di natura multiconfessionale o di etica e cultura  religiosa, anche in contrasto con le scelte e l’indirizzo educativo che i  genitori e la Chiesa intendono dare alla formazione delle nuove  generazioni”. “Si potrebbe anche creare confusione o generare  relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della  religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in  un modo comparativo e “neutro”. Perciò “(bisogna che) l’insegnamento  religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la stessa  esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline”.  Infine la Congregazione “non smette di denunciare l’ingiustizia che si  compie quando gli alunni cattolici e le loro famiglie vengono privati  dei propri diritti educativi ed è ferita la loro libertà religiosa”. Il  mondo alla rovescia: incalzano i vertici. Per il presidente della Cei,  Bagnasco, l’ora di IRC “non si configura come una catechesi  confessionale, ma come una disciplina culturale nel quadro delle  finalità della scuola”. L’arcivescovo di Torino, Poletto, sostiene che  l’ora di  IRC “non è solo cultura, ma non è nemmeno catechismo”. Perché  soprassedere su pressioni così insistite? Come non interrogarsi sul  senso di questo privilegio?
Le rassicurazioni della Gelmini 
 Intanto le scuole paritarie (la maggior parte di ispirazione cattolica)  lamentano la mancata erogazione dei fondi loro destinati per l’a.s.  2009/10. Le rassicura Gelmini in persona, assicurando che le risorse  sono state “rimesse nel capitolo di spesa e attendiamo il via libera  dalla Conferenza Stato-Regioni” e affermando: “Nella Finanziaria 2011 i  soldi per le paritarie non si toccano”. Cioè, il budget previsto per le  paritarie (534 milioni) sarà regolarmente erogato: tagli brutali alla  scuola pubblica, fondi inalterati per le private. Gelmini ha poi  aggiunto: “Non bisogna dimenticare che la scuola paritaria permette allo  Stato un risparmio di oltre 6 miliardi di euro”. Il calcolo teorico  della spesa a carico dello Stato se gli studenti delle paritarie  frequentassero la pubblica è ricorrente argomentazione mercantile, a cui  siamo avvezzi. Che però non considera che la scuola della comunità  pubblica – istituzione della Repubblica – esiste a prescindere da quelle  quote di studenti. Poiché è lo Stato a garantire l’istruzione, lo  spreco è la creazione di istituti privati che ricevono fondi grazie alla  legge di parità. Gelmini non apprezza (e non stupisce) l’investimento  della collettività in funzione dell’interesse generale e del confronto  dialettico, garantiti dalla scuola pubblica. Sono concetti che non fanno  parte della cultura grossolana di chi ci governa. E che, temo, stanno  scomparendo anche dalla coscienza di molti di noi, nella rinuncia alla  vigilanza intransigente su questo arretramento lento ma inesorabile da  diritti e principi inalienabili.
 
 
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