Mentre i libri dei mostri sacri della scrittura scalano le classifiche e  producono lenzuolate di encomi, le comunity online dei lettori  bistrattano e maltrattano le opere dei venerati maestri
Gli antipatizzanti di Umberto Eco, che non hanno digerito le lenzuolate di encomi in mondovisione per il suo Cimitero di Praga (unica voce fuori dal coro, l’Osservatore Romano)  e si rodono a vederlo svettare nella lista dei best-seller, possono  trovare conforto nelle recensioni dei lettori su Internetbookshop  (www.ibs.it). “Finalmente ho finito di leggerlo – si sfoga per esempio  Giorgio G. – è una sensazione di sollievo. Dopo una prima parte  abbastanza accettabile, almeno per quanto riguarda la spedizione dei  Mille, il lunghissimo periodo parigino ha destato in me un moto di  repulsione. È mai possibile che uno scrittore colto e preparato si lasci  andare a scrivere simili fandonie (anche se lui dichiara che tutti gli  avvenimenti sono accaduti realmente)? Fandonie che sfociano nel cattivo  gusto più becero, come la descrizione della ‘messa nera’? Avevo  apprezzato alcuni dei libri di Eco, ma questo mi ha proprio dissuaso dal  comprarne altri, se mai ne scriverà” (voto: 2 su 5 punti complessivi,  quindi insufficiente).
Riccardo confessa: “È la prima volta che  non riesco a finire un romanzo di Eco. Peccato, perché l’inizio sembrava  interessante… Se non si è proprio lettori onnivori, lo sconsiglio”  (2/5). Guglielmo parla di “operazioni di montaggio da inserire, magari  un gradino più in su, nella stessa categoria di Dan Brown”. Ancora più  drastico uno che si firma, nientemeno, Alexandre Dumas:  “Ennesima riproposta, noiosa e stiracchiata all’inverosimile, di una  storia presentata da Eco nel volume Sei passeggiate nei boschi narrativi  nel quale, fra tanta confusione di fatti e situazioni, collegava lo  sterminio degli ebrei a una scena del Cagliostro di Dumas” (voto 1).  Naturalmente ci sono anche gli entusiasti come Enrico (“Formidabile!”,  5/5) o Roberto (“Grazie, professore! Un capolavoro!”), ma non bastano a  risollevare la media, che resta bassina: 3,21. Molto al di sotto del suo  diretto competitore Giorgio Faletti (Appunti di un  venditore di donne, Baldini Castoldi Dalai) che sia pur presso  un’audience forse meno esigente raccoglie un autentico plebiscito: 4,4.  Un bello smacco per la Bompiani, con gran giubilo di Alessandro Dalai.
Più diviso il pubblico di un’altra star delle classifiche, Niccolò Ammaniti (Io e te, Einaudi). Non tutti sono d’accordo con Antonio D’Orrico  che su Sette ha sparato la consueta iperbole: “Mi fa schifo tanto è  bravo”, paragonandolo a Manzoni. Accanto all’orgasmo dei fan più  acritici, “Un gioiellino che ti cattura dalla prima all’ultima pagina.  Grazie AMMA!” (Mikarlo), “Letto in meno di due ore… stupendo e  commovente” (Ianì Valastro), spuntano parecchie voci dissonanti. Come  uno che si nasconde dietro il nickname Saxsoul: “E così anche Ammaniti,  dopo aver scritto una serie di romanzi di qualità, si è ridotto a fare  le marchette per il periodo di Natale”. O il perfido Maurizio, che pur  lodando il libro mette il dito su una castroneria indegna del figlio di  uno psicoanalista: “I bambini delle elementari non si stendono sul  lettino per le psicoterapie, ma giocano con il terapeuta”.
O il più  spietato di tutti, tale Rupert: “Racconto stiracchiato fino a diventare  libretto, caratteri giganteschi, spaziatura che un tir ci può fare  inversione di marcia in una sola manovra, prezzo (10 euro) del tutto  immotivato. La quarta di copertina, inspiegabilmente, parla della  irruzione di una ‘sconosciuta’ nella cantina dove il protagonista  Lorenzo si è rifugiato: salvo poi scoprire che si tratta della  sorellastra del protagonista (quindi tanto sconosciuta non è, ma di  certo fa più Hitchcock parlare di ‘sconosciuta’ al posto di  sorellastra). Nell’ultima pagina del libro, quattro righe di nota  esplicativa di cui non si sentiva assolutamente la mancanza: ma  evidentemente Ammaniti ritiene così stupido (e giustamente) un lettore  che sgancia dieci euro per questo suo nuovo libro, da sentirsi in  obbligo di spiegare anche l’evidenza. ‘Io e te’, ovvero ‘You and me’,  come le tariffe promozionali per i cellulari. E infatti, più telefonato  di così…”. In ogni caso, l’ex ragazzo prodigio riesce a portare a casa  un eccellente 4 di media.
Ben più misera la pagella del meno giovane Andrea De Carlo  (Leielui, Bompiani) che non raggiunge la sufficienza (2,47 su 5),  sommerso da un diluvio di giudizi negativi e a volte ingenerosi, come il  seguente di tale Sonim: “Questo sarebbe un libro per cui spendere venti  euro? me l’hanno prestato e nonostante ciò mi vergognavo  nell’approfittare dell’ingenuità di chi l’ha acquistato. Definirlo  bellissimo, coinvolgente, commovente, il migliore di Andrea, significa  aver capito zero della letteratura che ci circonda e di quanto De Carlo  ha composto fino al 2002, anno del suo ultimo libro decente I veri nomi.  Mi insospettisce il ritmo di autori troppo prolifici (tipo 3 libri in 4  anni) a meno che non si tratti di Philip Roth o King  (che pure qualche granchio lo prendono), perché le storie che propongono  sono troppo raffazzonate e compilate in fretta. In questo caso  allungate pure di almeno 200 pagine inutili, giusto per garantire il  prezzo pieno di copertina. Consiglio ad Andrea De Carlo un amaro esame  di coscienza al di là delle vendite e un riposo rigenerante per le idee  con un arrivederci almeno al 2013. Questo libro vende e venderà perché  titolo, copertina e sinossi richiamano il pubblico degli adolescenti o  dei consumatori avidi di film sentimentali di serie b che cercano storie  rassicuranti e calde in vista dell’inverno. Chi vuole leggere un autore  italiano con una bella storia da raccontare, si rivolga a Piperno o Veronesi”.
Mah, io non ne sarei tanto sicuro. Dì la verità, Sonim, non è che per  caso sei amico di uno dei due citati? O peggio, non sarai tu stesso un  loro pseudonimo? Peraltro, se andiamo a vedere le pagelle, XY di Veronesi (Fandango) riesce a racimolare un magro 3,2 e il bravo Piperno (Persecuzione.  Il fuoco amico dei ricordi, Mondadori) lo supera di poco con una media  del 3,4: “Non ho aspettato cinque anni il tuo nuovo libro per poi  ritrovarmi a leggere una sorta di compitino”, scrive un certo Slapsy che  si professa suo ammiratore.
Più che una grande rete, il Web è un  gigantesco mattatoio che non risparmia neppure gli animali sacri.  Ma è  anche un sismografo che registra gusti e sbalzi d’umore del pubblico ben  più fedelmente delle classifiche di vendita. La domanda è: in che  misura possiamo e dobbiamo affidarci a questo strumento, per capire se  un libro merita di essere comprato e letto? I recensori online sono per  lo più anonimi o schermati da un nickname.
Come si fa a distinguere i  lettori autentici da quelli fasulli? Chi ci garantisce che certi  commenti non siano dettati dall’editore, o dall’autore, o dai suoi  rivali? Come possiamo smascherare le zie premurose, gli amanti delusi o  le ex mogli vendicative?
Nel suo seguitissimo blog Pierre Assouline, critico letterario di Le Monde, parlava giorni fa di “morte della prescrizione, nascita della raccomandazione e agonia del critico”.
Lo spunto, un’inchiesta del sito Nonfiction.fr  che ha cercato di far luce su chi orienti oggi le scelte dei francesi  in libreria: al primo posto resta l’inserto letterario per eccellenza, Le Monde des livres, seguito dal settimanale Télérama e  da alcune trasmissioni radio del mattino. Ma cresce l’influenza di  blog, siti multimediali e librerie online come Amazon. La  “raccomandazione” numerica, il clic del mouse, il passaparola  elettronico sta soppiantando la “prescrizione” del critico tradizionale.  Calma però, avverte Assouline: è troppo presto per annunciare  la Rivoluzione Culturale, espressione peraltro che fa rizzare i capelli  in testa a chiunque abbia un po’ di memoria. Ve li immaginate gli  intellettuali col cappello dell’asino mandati a zappare la terra, e le  Guardie Rosse degli uffici marketing che arringano le folle dei lettori  imbestialiti al grido di “morte alle élite, viva la democrazia  letteraria”?
Se l’unica alternativa alle conventicole  accademico-editoriali è il populismo del click, stiamo davvero freschi.  Certo, finché nelle pagine culturali i romanzi di Eco o di Ammaniti  raccolgono solo applausi, è inutile poi lamentarsi che il mercato abbia  ammazzato una critica già defunta.
 
 
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