Internet migliora le nostre possibilità o ci aliena e ci controlla? Fa bene o fa male? Abbiamo chiesto a studiosi ed esperti di intervenire sul tema
MAURIZIO FERRARIS (La Repubblica)
"Le persone più giovani oramai fanno sempre più fatica a distinguere tra reale e virtuale"
Dopotutto non è un caso se la sede dei server di WikiLeaks sia un rifugio antiatomico dimesso nel centro di Stoccolma. La guerra fredda è finita, ed è stata sostituita da una guerra di documenti, perché, come scriveva negli anni trenta Ernst Jünger, «la guida della guerra non è là dove è visibile il soldato adorno dei contrassegni allusivi al ceto cavalleresco, ma là dove, in sembianza poco appariscente è chino sulle sue carte topografiche, fra il ronzio dei telefoni e il gracchiare delle radio da campo». La tempesta documentale scatenata da WikiLeaks sarebbe stata impossibile senza due fattori che hanno intrinsecamente a che fare con i poteri della scrittura: da una parte, il Web, ossia la rete in cui i documenti vengono diffusi; dall'altra, il mondo della carta stampata, che ne assicura la selezione e, per così dire, la canonizzazione.
In questo senso, si tratta della punta emersa di un iceberg, quella che in questo momento è sotto i riflettori, ma la vera domanda riguarda la natura, i rischi e le risorse di questa esplosione della scrittura (di documenti in senso largo, dalle immagini ai video) che non ha equivalenti nella storia umana.
Abbiamo provato a ragionarne con Urs Gasser, direttore del Berkman Center for Internet and Society all'Università di Harvard, Juan Carlos De Martin, condirettore del Centro NEXA su Internet e Società del Politecnico di Torino, Barry Smith, direttore del National Center For Ontologic Research della Università di Buffalo, Bernard Stiegler, direttore dell'Institut de recherche et d'innovation del Centre Georges Pompidou, John Naughton, autore di A Brief History of the Future: the Origins of the Internet, considerato il miglior libro su Internet, e Pierre Musso, che ha la cattedra di "Modellizzazione degli immaginari, innovazione e creazione" sostenuta da Télécom Paris-Tech e dalla Università di Rennes.
Ferraris. Kevin Kelly, co-fondatore di Wired, in un libro uscito da poche settimane What Technology Wants, ha sostenuto che il Web va concepito non tanto come uno strumento passivo, ma come un organismo che persegue in autonomia i propri fini.
Insomma, che è la tecnica che comanda, non l'uomo. La prima domanda che uno si può porre è se le cose siano mai andate altrimenti. In fondo, anche la ruota e il fuoco (per non parlare della clava) hanno dominato l'evoluzione dell'umanità molto più di quanto non ne siano stati dominati.
De Martin. Anch'io credo che sia sempre stato così: la tecnica ha sempre determinato l'umanità. In proposito sottolineo, però, un aspetto importante che caratterizza sia i computer sia il Web: sono entrambe invenzioni piattaforma, cioè senza un uso fissato a priori. Un coltello, una lampadina, un'automobile permettono di fare una cosa soltanto e in tal senso ci servono e ci condizionano allo stesso tempo.
Un computer, invece, fa ciò che noi desideriamo che faccia. Anche usi mai pensati in precedenza. In altre parole, sia i computer sia il Web sono intrinsecamente generativi.
Stiegler. In questo senso, l'irruzione del Web nella nostra vita è paragonabile all'irruzione della scrittura nella vita quotidiana dei Greci all'epoca di Socrate. E come la scrittura secondo Socrate il Web è un pharmakon, cioè, insieme, un veleno e un rimedio.
Musso. Questo spiega le reazioni di rigetto. Con ogni innovazione tecnologica c'è uno scontro tra immaginari ambivalenti: da una parte, le promesse di libertà, di progresso e di comunicazione e, dall'altra, la minaccia di alienazione, di controllo o di regressione. Queste visioni contrapposte definiscono gli usi potenziali e contribuiscono a socializzare l'innovazione. Non solo la scrittura, ogni tecnica è un pharmakon, Zeus e Prometeo, Faust e Frankenstein abitano la relazione che l'Occidente ha con la tecnologia. Il Web non fa eccezione a questa dialettica del tecnomessianismo e del tecno-catastrofismo.
De Martin. In proposito, trovo però fortemente irritante l'atteggiamento di una parte consistente della classe dirigente italiana che è passata, senza soluzione di continuità, dal dire che il Web era una moda passeggera a dire che il Web ci rende stupidi. A ben vedere, non è diverso dal dire che la scrittura è una moda passeggera, o che rende stupidi. Ma, come la storia insegna, non è andata così, e molto probabilmente sarà lo stesso per il Web.
Naughton. Certo. E non siamo che all'inizio. Il Web si è diffuso nel 1993, da allora sono passati solo 17 anni. Siamo nella stessa posizione dei cittadini di Magonza nel 1472, 17 anni dopo che a Magonza era stata stampata la prima Bibbia di Gutenberg. Non avevano la minima idea di come quella tecnologia avrebbe cambiato il mondo. Quello che al momento appare evidente è che il fenomeno della pubblicazione, che un tempo stava al centro, oggi ha luogo nella periferia. Il vero problema di questa nuova scrittura è semmai quanto possa sopravvivere: non ne abbiamo idea, e anzi abbiamo moltissime prove di quanto facilmente possa svanire.
Stiegler. La cosa più importante, nel Web, è che combina il "real time", che sembrava la caratteristica e il destino delle tecnologie derivate dall'informatica, e che è così vicino alla pulsione, e il tempo differito della scrittura, che è anche il tempo dell'azione ritardata, della critica, della sublimazione. Ragione e passione, per esprimersi un po' sommariamente, si intrecciano nel Web.
Ferraris. A questo proposito, non si può dimenticare quanto la vita affettiva delle persone sia mediata dal Web. Anche qui, gli apocalittici, o semplicemente i nostalgici, sostengono che queste relazioni sono tendenzialmente inautentiche, ma non si vede perché: dopotutto, la passione di Werther era essenzialmente epistolare, eppure difficilmente la si potrebbe definire "inautentica".
Gasser. Le nostre ricerche sull'uso di Internet da parte dei bambini o di persone talmente giovani da non potersi immaginare una vita senza Google o Wikipedia mostrano che fra offline e online c'è un confine sempre più incerto. I nativi dell'epoca digitale non distinguono fra il mondo reale e il cyberspazio- Internet è semplicemente una parte integrata della loro vita. Inoltre, delle indagini rivelano che gente che ha molte relazioni in rete, anche offline tende a comunicare più di gente che non ha contatti online.
Entrambe le osservazioni suggeriscono che non ci sia una divisione netta fra le relazioni in rete e quelle nella realtà, né dunque un "gap di autenticità". Rimane comunque una questione interessante - e aperta - come le norme della comunicazione evolvano nello spazio digitale e come influiscano sulla qualità delle relazioni, siano queste online o offline.
Ferraris. Più che dell'autenticità, quella di cui si sente la mancanza è la solitudine, o meglio una certa irresponsabilità, perché in effetti la nostra esperienza è di essere perennemente assediati dalla scrittura, da richieste di risposta che generano altrettante responsabilità.
Smith. Quanto all'assedio della scrittura, la maggior parte delle persone, ne sono certo, hanno ancora pace. Quelli che non hanno pace - come noi - sono vittime di un accidente storico: siamo nati in un frangente in cui i benefici delle forme potenziate di collaborazione permesse da Internet non sono ancora stati controbilanciati dalle nuove misure che saranno create in futuro per diminuire i loro effetti negativi.
Ferraris. Temo però che ci sia un aspetto negativo difficile da controbilanciare. Chi si mette in tasca un telefonino non solo accede a un sistema di connessione totale, ma anche si mette volontariamente in una rete di mobilitazione totale, in cui il lavoro (e dunque anche lo sfruttamento) invade ogni sfera della vita: abbiamo il Web sottomano, ma siamo anche in mano al Web. E questo è un problema rispetto al quale non vedo rimedi semplici, certo non un qualche luddismo o astensionismo rispetto al Web.
Stiegler. Bisogna trovare dei modi di organizzazione e delle regole pratiche (delle terapeutiche e delle tecniche del sé, come diceva Foucault) che, in particolare, permettano di rendere efficaci gli scambi e di lavorare in modo cooperativo. Per me il Web è lo spazio di quelle che chiamo "cooperative del sapere", è così che me ne servo in continuazione, e ne posso solo essere felice.
Certo talvolta ci sono degli effetti nocivi, ma questo vale per tutto ciò rispetto a cui non si è riusciti a organizzare una terapia - e ogni pharmakon necessita di una terapia. In questo senso, il futuro del Web dipende essenzialmente da noi. Dipende dalla nostra capacità di rimettere in causa le nostre idee, sorte quando il pharmakon era diverso (era la scrittura su carta), e dunque era diversa la terapia, senza dimenticarle, ma trasformandole in vista del pharmakon, il Web, e grazie ad esso, senza restarne ingabbiati.
“Aumenta la nostra possibilità di cooperare con gli altri, rendendo efficaci gli scambi”
LE VOCI
PIERRE MUSSO Ha la cattedra di "Modellizzazione degli immaginari"
URS GASSER Direttore del Berkman center di Harvard ha scritto "Born Digital"
JUAN CARLOS DE MARTIN Condirettore del centro NEXA su Internet al Politecnico di Torino
BERNARD STIEGLER Direttore dell'Istituto di ricerche e di innovazione del Centre Pompidou
BARRY SMITH Direttore del dipartimento di Ontologia all'Università di Buffalo
JOHN NAUGHTON Ha scritto "A brief history of the future: the origins of the Internet"
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