18.12.10

Hacker di tutto il mondo unitevi


Così la politica 2.0 sfida il potere
Da WikiLeaks a Piratebay cresce in nome della libertà d'informazione il popolo dei radicali online. Ma tra siti sabotati e beffe telematiche è davvero iniziata la cyberguerra?

di GABRIELE ROMAGNOLI

Va bene: Mark Zuckerberg è il personaggio dell'anno, Julian Assange quello del momento, l'informazione è soltanto su Internet, la rivoluzione si fa via Twitter, il social network è vivo, il political network lotta insieme a noi. Stop. Reload. È davvero così? Siamo alle soglie di una trasformazione epocale? All'annuncio della politica 2.0 come forma dilagante e presto unica di aggregazione, motivazione e infine di affermazione?
Ci sono indizi. E dubbi. Sono successe cose. E altre sono state solo immaginate (e si sa che l'immaginazione non è un territorio della politica). Ci sono autorevoli paladini della teoria. E altrettanto autorevoli avversari. Perfino i primi pentiti, voltagabbana o come volete chiamarli. Autorevoli pure quelli. Bisogna quindi procedere con ordine.

Anzitutto, spegnere gli abbaglianti. Intesi come quei fari per le allodole da cui il mondo mediatico si lascia accecare. La soggezione dell'informazione tradizionale rispetto a quella via Internet, a tutto ciò che circola in Internet, è imbarazzante, soprattutto negli effetti. La demonizzazione della realtà virtuale ha un solo gradino più basso: la sua idealizzazione. "Ha conosciuto l'assassino su Facebook!!!" fa il paio con "Liberata da una petizione online!!!". La stessa frenesia con cui si sono dragate le conseguenze dei social network si applica ora al cosiddetto political network. Già si è appurato che non è esistita una rivoluzione via Twitter in Iran o in Moldavia (a essere precisi,
non è proprio successa una rivoluzione, ma questo è un dettaglio). Non significa che non ci siano molti segnali del possibile. E che non siano globali.

Molto spesso vengono messi in un calderone, perché più sono gli ingredienti e più è probabile che qualcosa cuocia. Ecco allora la blogger cubana e quello cinese come esempi di resistenza che, bloccata nelle forme tradizionali e negli spazi di realtà, si afferma con i nuovi media e le vie del virtuale, riprecipitando laddove era stata bandita. Ecco il partito dei pirati in Svezia, il movimento che denuncia i brogli elettorali in Kenya. E WikiLeaks, ovviamente. E Anonymous, la piattaforma non delineata da cui è stata lanciata l'operazione Payvabck, la ritorsione contro i siti delle aziende che avevano tagliato fuori la "banda Assange". Il Courrier international ha sancito che "La cyberguerra è cominciata". Ma si tratta di realtà molto diverse, che non sono accomunabili e neppure lo vorrebbero, ma a cui viene riconosciuta una parentela.

L'Observer li ha messi insieme sotto l'etichetta di "radicali del web". Fin dalla partenza è evidente il pregiudizio, l'inestirpabile concezione della stampa tradizionale: chi agisce in quell'altrove è un hacker, un elemento dalla sessualità ambigua, dal pensiero liquido, anche a causa di agenti allucinogeni, probabilmente. Ma è vero: esiste una piattaforma mobile che si muove su Internet. Che cosa fa? Politica? In un certo senso. Quale? Fa opposizione. Denuda il re e qualche volta anche il giullare del re. Usa il mezzo per entrare nel sistema. Azzera il tempo. Ci abbiamo messo trent'anni per leggere sui nastri della Casa Bianca quel che il presidente Richard Nixon pensava degli italiani ("Non hanno la testa avvitata sul collo"). Con WikiLeaks sarebbero passati sì e no trenta giorni. Si disseminano le informazioni e le informazioni sono potere. Ma chi le raccoglie, chi le indirizza? Esiste davvero una forma di aggregazione nel web che faccia da base per un futuro politico diverso?

Questo è il dubbio. Già il social network crea uno pseudo rapporto. Hai davvero 1.000 amici se li hai su Facebook? Allo stesso modo: c'è vera adesione su Internet? La facilità del "contatto", della "partecipazione" non li rende altro da sé, pallide ombre? Faccio spesso questo esempio: prendete un qualsiasi sondaggio sul web, anche uno di quelli pubblicati dal sito di questo giornale. Tipo: quale priorità dovrebbe avere un prossimo governo? La legge elettorale, la riforma delle pensioni, le privatizzazioni, non so? Ecco: circa un 5% ogni volta vota "non so". Non è gente colta alla sprovvista per strada da un intervistatore tv, è pubblico avvertito, che naviga, che ha cliccato su quel particolare sondaggio, lo ha scelto per poter dire: non so. Più facile è intervenire più tutti lo fanno, anche per dire nulla.

I blog, i forum, sono diventati quasi supplichevoli: DI' LA TUA! Ma è questo digitare un qualsiasi parere la base di un reale intervento sulla scena politica? La fatica di una lettera è superiore a quella di una email, andare in piazza a protestare enormemente più sfiancante che battere qualche tasto. Ma nulla accade veramente se dal web non precipita là fuori. Si sono create nuove figure guida della decostruzione è vero, ma anche quelle lasciano dubbi. Il blogger più globalmente riconosciuto d'Italia è Beppe Grillo, ha anche organizzato manifestazioni e fatto eleggere rappresentanti, forse prepara un'autentica discesa in campo. Ma finora la sua forza è solo critica, è solo "vaffa" e "dagli allo psiconano". È la forza della denuncia, legittima e sacrosanta, tanto più quando attacca banche e società, che l'opposizione politica mai nomina, ma non lascia intravedere costruzioni alternative. L'aggregazione avviene in negativo, mai in positivo. Anche per Assange e WikiLeaks vale lo stesso limite: denudare il re può essere un primo passo, ma qual è il sistema alternativo a questa zozza monarchia? Per non chiedersi: Assange sopravviverebbe al "wikileaking" di se stesso?

Ci sono pensatori come Malcolm Gladwell, sempre alla ricerca dei "punti di svolta" della storia, che negano sia ancora arrivato quello in cui il web reinventa l'attivismo sociale. Ha scritto sul New Yorker che si corre il rischio di confondere gli strumenti con le idee e, soprattutto, che nessun movimento può progredire senza una gerarchia. Il network, per sua definizione, non ce l'ha. Basta leggere il documento redatto da "Anonymous". Rifiuta addirittura la definizione di "gruppo", è soltanto un "incontro" di "cittadini medi Internet", dove Internet è inteso come luogo transnazionale che accoglie questa massa fluida senza nome né volto, aggregata intorno a un singolo progetto. Ecco il punto: come si può determinare una strategia se non c'è un processo decisionale? Fa notare Gladwell, anche provocatoriamente se si vuole, che "Al Qaeda è diventata meno efficace da quando si è slabbrata la struttura gerarchica". E Al Qaeda è fluida, è un metodo, ma almeno ha degli obiettivi comuni precisati e concordati alla base.

Il political network non li ha ancora individuati se non in quel ripetuto processo di smascheramento di un potere che, siamo onesti, conosciamo già nella sua nefandezza senza bisogno di vederlo in faccia. Non avevamo bisogno del rilascio dei nastri per sapere che a Nixon facevano ribrezzo gli ebrei (se non lo finanziavano), né di WikiLeaks per convincerci che Gheddafi è disturbato. Aumenta la sfera di libertà, si dice. Jaron Lanier, pioniere della libertà virtuale, scrive che "il web è stato inondato da una fiumana di tecnologie, dietro cui c'è un'ideologia che promuove una libertà radicale, ma paradossalmente si tratta di una libertà riservata più alle macchine che alle persone". E Tom Steinberg, fondatore di "My Society" ammette: "Se dovessi fare una campagna elettorale e avessi cento da spendere lo investirei tutto in tv e volantini. Internet non serve a far cambiare idea alla gente, ma solo a rafforzarla in quel che già pensa e a farle fare qualcosa per realizzarlo, tipo finanziare un candidato". È quel che ha fatto Obama sul web: non ha convinto nessun incerto o ex repubblicano, ma si è fatto dare soldi da chi era convinto democratico. Conscio che alla fine in democrazia non vince il migliore, ma il più ricco. Anche grazie al web. E questa per ora è la sola rivoluzione possibile via Internet: finanziare l'alternativa, foss'anche un tranquillo signore con idee moderate vestite di nuovo come era ed è Barack Obama.

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