di BARBARA SPINELLI
QUANDO giudichiamo il conflitto fra potere politico e giustizia, conviene sempre alzare gli occhi, guardare oltre i nostri confini, usare la memoria, per capire se davvero chi governa ha in mente una soluzione che migliora le cose o una regressione formidabile, dissimulata dietro finte promesse. La riforma della giustizia che Berlusconi proporrà giovedì è un caso esemplare, e se suscita tante apprensioni è perché non scioglie ma accentua i conflitti tra poteri pubblici, e anzi vuol devitalizzare parte di questi poteri. È una riforma che non perfeziona ma disprezza il nostro patrimonio giuridico, e l'idea che i poteri debbano esser molti perché non predomini uno solo. È una regressione che non solo mortifica la Carta costituzionale ma è in aperta contraddizione con princìpi giuridici che l'Unione europea chiede agli Stati di rispettare. Spesso la regressione avanza in tal modo: presentandosi come rivoluzionaria. È osservando quel che accade in Francia che l'impressione di un indietreggiamento italiano si conferma vistosamente. Negli ultimi due mesi il malcontento dei magistrati francesi si è inasprito, e il loro obiettivo, non nuovo, si è fatto più che mai nitido: liberare infine pm e procure dal potere politico.
Succede così che il patrimonio italiano divenga un traguardo, nel preciso momento in cui Berlusconi vorrebbe ridurre l'indipendenza dei magistrati dalla politica. Se prima in Europa eravamo considerati all'avanguardia, nella separazione dei poteri, oggi rischiamo di trovarci in coda. Una miopia radicale verso il mondo, e l'indifferenza al peso che l'Europa ha nelle nostre vite (con le sue leggi vincolanti) sono alla radice di quello che può divenire un grave impoverimento: giuridico, democratico, della memoria. Alla base di questa miope indifferenza c'è una doppia fallacia. Prima fallacia: l'idea che in democrazia la sovranità si concentri tutta sul popolo, che elegge governi e parlamenti non sottoposti al vaglio di poteri terzi. Seconda fallacia: la finzione di una sorta di autarchia giuridica e politica dello Stato-nazione, e l'ignoranza di un'Europa già in parte federale, che esercita sovranità parallele a quelle degli Stati grazie a leggi, politiche comuni, costumi democratici concernenti anche la separazione dei poteri. L'idea che solo uno sia il potere decisivo - il popolo - è spesso scambiata con la democrazia ma non lo è, e l'Europa s'è unita con questa consapevolezza. L'illusione monolitica è un'eredità del 1789 - meglio: della sua estremizzazione giacobina, nazionalista - e spiega lo speciale malessere francese. Nella tradizione giacobina la giustizia non è un istituto indipendente, nonostante l'articolo XVI della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789: è l'arma del popolo sovrano, dell'esecutivo che esso elegge. Qui è il suo vizio d'origine, e ancor oggi il pubblico ministero francese non è al servizio di tutti ma mantiene un rapporto di dipendenza dal governo.
I magistrati riformatori in Francia non si limitano a invocare autonomia completa, ma si battono perché il paese interiorizzi la democrazia costituzionale di cui l'Europa è levatrice. È in questo quadro che reclamano un'autentica Corte costituzionale, e soprattutto l'indipendenza del pubblico ministero. Spetta a quest'ultimo l'obbligo di esercitare l'azione penale, come imposto dall'articolo 112 della nostra Costituzione: non alla politica, come accade a Parigi e come Berlusconi vorrebbe in Italia. Il 15 dicembre scorso la Corte di cassazione francese, interpellata sulla custodia cautelare, ha giudicato che "il pubblico ministero non è un'autorità giudiziaria indipendente", visto che "non garantisce l'indipendenza e l'imparzialità prescritte dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo", e dalla Convenzione Ocse sulla corruzione. Non a caso chi auspica l'autonomia dei pm comincia, in Francia, col cambiare le parole costituzionali. Nel titolo VIII appare l'"autorità giudiziaria". Molti (tra loro l'associazione Terra Nova, in un recente rapporto) esigono che il termine autorità sia sostituito da "potere giudiziario".
Con secoli di ritardo Parigi riscopre dunque la separazione dei poteri di Montesquieu, si libera del giacobinismo, è stanca di ridurre la democrazia al suffragio universale: "In Francia - dice il rapporto di Terra Nova - la giustizia non è più il potere indipendente, guardiano della libertà individuale, descritto da Montesquieu. È sotto tutela dell'esecutivo". Tanto più è soggetta "all'influenza di interessi privati e partigiani. È una giustizia parziale, a due velocità: clemente verso chi è protetto dall'esecutivo, sempre più speditiva verso chi non è protetto". È pensando con severa memoria la propria storia che i magistrati francesi si ribellano. Solo una Corte costituzionale e un pubblico ministero indipendenti possono divenire punti fermi, più durevoli delle mutevoli maggioranze. I governi sono mortali, in democrazia. Non la Costituzione e la giustizia.
Non è solo la storia nazionale a entrare in gioco, abbiamo visto, ma l'Europa che delle varie memorie ha fatto tesoro, trascendendole. È quest'ultima a preconizzare una giustizia più indipendente, prescrizioni non di comodo, infine la riforma più desiderata dagli italiani: processi più brevi per tutti, non per uno o per pochi. In particolare - lo ricordano da anni il giurista Bruno Tinti e Marco Travaglio - l'Europa chiede che le carriere del giudice e del pm non siano separate: che "gli Stati, ove il loro ordinamento giudiziario lo consenta, adottino misure per consentire alla stessa persona di svolgere le funzioni di pm e poi di giudice, e viceversa", per "la similarità e complementarietà delle due funzioni" (raccomandazione della Commissione anticrimine del Consiglio d'Europa, 30-6-00).
Nella riforma Berlusconi sono assenti queste norme costituzionaliste, ed è il motivo per cui di regressione si tratta. L'obiettivo è mettere le procure sotto tutela politica, duplicare il Consiglio superiore della magistratura neutralizzandolo, staccare la polizia giudiziaria dai pm assoggettandola al solo potere politico (forse la misura più pericolosa, perché in tal modo il governo ha in mano le chiavi per chiudere e aprire un processo penale). Ed è separare le carriere del pm e del giudice per degradare il pm a "avvocato dell'accusa", più vicino per cultura all'avvocato della difesa che al giudice: mentre con l'ordinamento attuale il pubblico ministero è tenuto a considerare anche gli elementi a discarico, non solo quelli a carico dell'imputato. Qui è la ragione prima per cui separare le carriere è un rischio. È un vero insulto ai Pm, spiega Tinti: "Il Pm tutela gli interessi della collettività, l'avvocato quelli del suo cliente. Per il Pm non è importante che l'imputato venga condannato; è importante che il colpevole venga condannato. L'avvocato difensore, lui sì, è uomo di parte", avendo per obbligo quello di " far assolvere il cliente oppure fargli avere la pena più ridotta".
Quel che ci si domanda è come mai l'Europa, pur avendo leggi e princìpi, conti così poco. In realtà essa difende i princìpi con estrema forza prima dell'adesione: i candidati devono avere giudici indipendenti e separazione dei poteri (se l'Italia fosse oggi candidata, certo non entrerebbe). Questo dicevano i criteri di Copenhagen fissati nel '93 per l'ammissione dei paesi dell'Est: i criteri non erano solo economici (esistenza di un'affidabile economia di mercato) ma anche politici e giuridici (presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, stato di diritto, diritti dell'uomo, rispetto-tutela delle minoranze). Ancor più stringenti sono i criteri nel caso della Turchia.
Con i paesi che sono già nell'Unione, invece, l'Europa è intimidita, inerte. Varcata la porta d'ingresso solo i parametri economici pesano, diventando addirittura un ombrello che ripara gli autoritarismi. Quanto più sei dentro, e rispetti i parametri finanziari, tanto più sei libero di fare quel che ti pare con la democrazia. Se solo volesse, l'Europa potrebbe agire, arginare. Il Trattato di Lisbona agli articoli 6 e 7 prevede interventi e sanzioni dell'Unione per quei Paesi dell'Unione in cui si verifichino gravi rischi per la democrazia e per la libertà. Ma sinora gli articoli non sono stati invocati né tantomeno applicati all'Italia. Eppure i rischi ci sono ormai davvero e sono seri. Si parla molto dell'assenza di anticorpi, in Italia. Ma l'Europa ha gli stessi difetti, pur possedendo strumenti e leggi per salvaguardare le proprie democrazie.
Nessun commento:
Posta un commento