25.3.11

Ora è certo, il nucleare è un rischio. Ma quanto siamo disposti a rischiare?

Marco Morosini (da Avvenire)

Forse il Giappone è il solo paese capace di trasformare, suo malgrado, una catastrofe industriale in un boomerang per la fede nelle megatecnologie. Così non è improbabile che – come già quello di Lisbona del 1755 – questo tragico terremoto giapponese mini la fede di molti che pensavano di vivere nel migliore dei mondi (tecnologici) possibili. Sull’orlo della catastrofe atomica si è messo un paese che ha invaso il mondo con prodotti tecnologici perfetti e con automobili che hanno la più bassa quota d’avarie, il paese con la massima conoscenza di terremoti e tsunami e con la massima competenza antisismica, il paese con la più alta quota di centrali atomiche pro capite dopo la Francia e con la più vasta esperienza di danni atomici. Così molti si chiedono: se i tecnici più esperti del mondo non riescono a controllare i loro reattori atomici, perché dovremmo credere a chi promette che altri, meno esperti, siano invece capaci di farlo?

Con quel buon senso di cui molti esperti sembrano fare a meno, certe catastrofi tecnologiche ed economiche sembrano facili da capire a posteriori. Prendete per esempio il Concorde, l’aereo passeggeri supersonico oggi custodito in un museo: nel 2000 avrebbe dovuto essere l’aereo più venduto al mondo, dicevano i costruttori. Oggi pare strano che tanti tecnici pensassero davvero che, in un mondo dove il petrolio costa e inquina sempre di più, si potessero vendere centinaia di supersonici dal consumo triplo di quello degli altri aerei. O prendete le "Torri gemelle". Secondo il loro progettista dovevano resistere anche all’impatto meccanico di un Jumbo; in effetti l’11 settembre non crollarono per gli schianti, ma per lo stress termico del cherosene incendiato, che il progettista non aveva calcolato. Anche a Fukushima forse è andata così: sì, i tecnici avevano pensato a tante ipotesi, ma non a tutte. Gli esperti del rischio lo confermerebbero: con le megatecnologie la possibilità del massimo evento avverso è reale, ma la sua probabilità è così piccola che alcuni di essi raccontano alla popolazione che è "praticamente" nulla; che le centrali atomiche "sono sicure". Ma se così fosse, le compagnie d’assicurazione farebbero a gara per poter assicurare un rischio in cui c’è solo da guadagnare e "sicuramente" niente da perdere. Invece in Svizzera ogni centrale è assicurata per un massimale di 1 miliardo di franchi, a fronte di un danno possibile di 100 miliardi stimato dall’Ufficio federale della protezione civile; una proposta di legge chiede di introdurre un’assicurazione obbligatoria per 500 miliardi, il che porterebbe ad aumenti del kWh tra 5 e 50 centesimi (ora ne costa 20). In Germania il massimo danno coperto è di 2,5 miliardi di euro per centrale, contro un massimo danno stimato dallo Stato di 5.500 miliardi. Altre stime arrivano a 11 mila miliardi. Per questo numerose organizzazioni tedesche stanno raccogliendo firme per introdurre una vera assicurazione obbligatoria delle centrali (www.atomhaftpflicht.de). Secondo queste cifre le centrali atomiche, a differenza di un’automobile, viaggiano quasi senza assicurazione. È curioso che mentre secondo certe élites «il mercato deve dirigere tutto», per i rischi atomici proprio costoro ignorino il segnale forte e chiaro del mercato delle assicurazioni, capace altrimenti di dare un prezzo a qualunque rischio.

È interessante osservare che in questo caso la risposta del mercato del rischio e quella del filosofo sono simili. Di fatto, non è che le assicurazioni calcolino un premio troppo alto per le centrali atomiche. Semplicemente non assumono quel rischio. Per qualunque prezzo. Il prezzo di un rischio si basa sulla moltiplicazione dell’ammontare del massimo danno per la probabilità che esso si verifichi. Quando però il danno diventa incalcolabile e irreparabile, se la sua probabilità è di un milionesimo o un miliardesimo non cambia nulla. Quando il rischio è la perdita totale, semplicemente non può essere assunto. Nell’era dei megarischi è necessario quindi orientarsi all’"euristica della paura", che dà la preferenza a considerare l’ipotesi più avversa concepibile, a prescindere dal calcolo delle probabilità, quando essa contempla una perdita inammissibile. È questo il messaggio centrale del filosofo Hans Jonas, nel suo classico Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (1979).
"Too-cheap-to-meter" (troppo-a-buon-mercato-per-misurarla) promettevano i profeti dell’elettricità atomica quando 30 anni fa pronosticavano la scomparsa dei contatori elettrici dalle nostre case. "Troppo costosa per poterla pagare" sembra invece il messaggio che ci viene dal Giappone.

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