di BARBARA SPINELLI
PARLANDO in nome della Chiesa italiana, il cardinale Bagnasco ha usato parole molto chiare, ieri, davanti al Consiglio permanente dei vescovi. Il nome del presidente del Consiglio non viene fatto, ma è di Berlusconi che parla: quando denuncia "i comportamenti licenziosi e le relazioni improprie", quando ricorda il "danno sociale (che essi producono) a prescindere dalla loro notorietà".
Quando cita l'articolo 54 della Costituzione e proclama: "Chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell'onore". Non è la prima volta che il Presidente della Cei critica l'immoralità insediatasi ai vertici del governo italiano, ma questa volta le parole sono più precise e dure, il tono si fa drammatico perché il Vaticano ormai ne è consapevole: la personalità stessa del premier è elemento della crisi economica che sta catturando l'Italia, e all'estero la sua figura non è più giudicata affidabile. Tra le righe, Bagnasco fa capire che le dimissioni sarebbero la via più opportuna: "Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale, allora non ci sono né vincitori né vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto".
Come in altre occasioni, non manca la critica parallela alla magistratura: critica che Berlusconi ha abilmente sfruttato a proprio favore, per lungo tempo, presentandosi come politico vicino alla Chiesa e da essa appoggiato. Il Cardinale ha dubbi "sull'ingente mole di strumenti di indagine messa in campo, quando altri restano disattesi e indisturbati" e giunge sino a dirsi "colpito dalla dovizia delle cronache a ciò dedicate": sono dubbi e sbigottimenti non del tutto comprensibili, perché è pur sempre grazie alla magistratura e alla dovizia delle cronache che la Chiesa stessa, infine, ha dovuto constatare i "comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui"; "l'improprio sfruttamento della funzione pubblica"; i "comitati d'affari che, non previsti dall'ordinamento, si autoimpongono attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica con remunerazioni, in genere, tutt'altro che popolari"; l'evasione fiscale infine, "questo cancro sociale" non sufficientemente combattuto. Senza le inchieste della stampa indipendente, senza le intercettazioni ordinate dai pubblici ministeri, senza la documentazione sugli innumerevoli reati imputati al premier, la Chiesa non potrebbe fondatamente pronunciare, oggi, il suo "non possumus".
Anche in questo caso tuttavia, Bagnasco cambia tono rispetto agli anni scorsi. Pur esprimendo dubbi su magistrati e giornalisti, si rifiuta di metter sullo stesso piano le condotte degli uni e degli altri: "La responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che pur non mancano (...) La questione morale, complessivamente intesa, non è un'invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un'evenienza grave, che ha in sé un appello urgente".
La questione morale non è un'invenzione mediatica: lo dicono da tempo tanti cattolici, laici e non, e la Chiesa italiana sembra volerli ascoltare, meno riottosamente di ieri. Si capisce che non faccia nomi espliciti, che non usi l'arma ultima che è la richiesta esplicita di dimissioni: sarebbe un'interferenza nella politica italiana, non promettente per il futuro anche se comprensibilmente invocata da molti. La Chiesa già interviene molto sulle scelte delle nostre istituzioni (il testamento biologico è un esempio), e non sarebbe male se in tutti gli ambiti osservasse la prudenza politica che manifesta verso Berlusconi, non nominandolo espressamente. Forse la condanna che oggi pronuncia - che questo giornale ha chiesto con forza - non può che essere spirituale, al momento: il cristiano non compra l'amore, non compra il consenso, non mente, non inganna, non privilegia i ricchi contro i poveri, non presta falsa testimonianza. Su questi e altri peccati ce ne sono, di cose da dire.
La vera questione, a questo punto, concerne i cattolici che sono nella maggioranza, e che dovranno giustificare ora le innumerevoli connivenze, i silenzi così tenaci e vili. Cosa pensano Formigoni, o Giovanardi, delle parole che vengono dal vertice della Conferenza episcopale italiana? Con che faccia il ministro Rotondi parla di Berlusconi come di un "santo puttaniere"? Perché "santo"? Per tutti costoro, più che per la Chiesa, vale oggi il comandamento di Gesù: "Sia invece il vostro parlare "sì sì", "no no", il di più viene dal maligno". Il Cardinale sembra avere in mente questi politici quando constata: "Colpisce la riluttanza a riconoscere l'esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l'impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità".
Non è escluso che il Papa abbia avuto il suo peso, nel linguaggio più aguzzo cui la Chiesa italiana ricorre. Da quando si è inasprita la crisi, Benedetto XVI ha usato parole di grande severità contro le ingiustizie e le diseguaglianze che lo sconquasso economico sta dilatando. Va in questa direzione l'omelia pronunciata l'11 settembre a Ancona. E nel viaggio in Germania il Pontefice non ha esitato ad ammettere che la Chiesa per prima è oggi scossa alle fondamenta: che per sopravvivere e rinascere deve "demondanizzare" se stessa, deve farsi scandalosa. Nel discorso al Konzerthaus di Friburgo ha ricordato che uno dei tanti fattori che rendono "poco credibile" la Chiesa è il suo apparato, e sono le sue ricchezze materiali.
Demondanizzarsi, riscoprire l'umiltà e la povertà: è un progetto di vita alto, è l'antica denuncia che Antonio Rosmini fece nelle Cinque Piaghe della Chiesa (inizialmente la Sacra Congregazione dell'Indice condannò il grande libro, nel 1849). "La Chiesa non deve forse cambiare? Non deve forse, nei suoi uffici e nelle sue strutture, adattarsi al tempo presente, per raggiungere le persone di oggi che sono alla ricerca e in dubbio?" lo ha chiesto a Friburgo il Papa, stavolta, e quel che ha chiesto è importante anche per l'Italia, alla cui costruzione e alla cui unità tanti cattolici laici hanno contribuito. Così come è essenziale anche il discorso sulla povertà. È già un passo non irrilevante la disponibilità di Bagnasco a farsi giudicare, sulle sovvenzioni che la Chiesa riceve dallo Stato italiano: "Facciamo notare che per noi, sacerdoti e vescovi, e per la nostra sussistenza, basta in realtà poco. Così come per la gestione degli enti dipendenti dalle diocesi. Se abusi si dovessero accertare, siano perseguiti secondo giustizia, in linea con le norme vigenti".
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