Le violenze razziste in Sudafrica non sono nuove. Esplodono periodicamente e non sono nuove nemmeno nella storia. Sempre, quando c’è la crisi, quando le risorse sono poche, quando le classi dirigenti non riescono (o non vogliono) dividere la ricchezza i più poveri finiscono per contendersi violentemente le briciole. Il razzismo quasi sempre è il pretesto migliore per occultare quella che veramente è la posta in gioco.
Il Sudafrica è una economia emergente, membro dei BRICS, con grandi risorse e protagonista di una crescita, negli anni scorsi, veramente formidabile. L’ex paese dell’Apartheid è anche un grande investitore in Africa, capace di fare concorrenza a potenze come la Cina, l’India, la Malesia e le vecchie potenze europee.
Nonostante tutto questo, nonostante la sua storia, nonostante Mandela, non è riuscito ad esprimere una classe politica capace realmente di fare a meno del razzismo.
Le violenze xenofobe di questi giorni sono proprio il frutto della incapacità della classe politica di promuovere uno sviluppo equo. Il razzismo in Sudafrica, tra l’altro, è il prodotto della chiusura del governo e delle multinazionali (nelle quali il governo è tra i principali azionisti) davanti agli scioperi del settore minerario, del platino e dell’oro, e del settore automobilistico.
Settimane e mesi di scioperi non sono riusciti a far lievitare i salari a livelli almeno dignitosi. Anzi, alcuni scioperi, come quello di Marikana (34 minatori uccisi dalla polizia con colpi alle spalle) si sono trasformati in eccidi che non avevano nulla da invidiare a quelli del regime dell’apartheid.
I lavoratori che, nonostante lotte eroiche non riescono a vincere, finiscono per vedere negli immigrati dei concorrenti, dei rivali che fanno diminuire il loro potere contrattuale. Ecco, il razzismo di questi giorni, è figlio di quegli avvenimenti ma anche delle colpevoli incapacità dei paesi vicini ai quali appartengono gli immigrati che subiscono violenze.
Lo Zimbabwe del dinosauro Mugabe, per esempio, che ha affamato la sua popolazione che ha finito per vedere nel Sudafrica una terra dove, forse, si poteva sopravvivere. O il Mozambico del miracolo economico nel quale però la classe dirigente non è mai cambiata e la popolazione rurale è rimasta ai tempi del colonialismo.
Insomma il razzismo di oggi in Sudafrica è una guerra tra i più poveri, tra qli ultimi di una scala sociale che non è molto cambiata dai tempi dell’apartheid ad oggi. Allora c’era il razzismo tra bianchi e neri, ora tra neri e neri.
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Paolo Brera (ilsole24ore)
IL SUDAFRICA sperava di aver spento l'incendio, e
invece in strada sono tornati i machete e la furia, le urla e i saccheggi, il
sangue e le proteste. Sei morti e un'ottantina di arresti in due settimane,
cinquemila stranieri costretti a fuggire lasciandosi dietro una vita per
nascondersi in stadi presidiati dalla polizia, o in campi allestiti alla
meglio. Kenya, Malawi e Zimbabwe hanno invitato i loro concittadini ad
abbandonare subito il paese, e la multinazionale Sasol ha rimpatriato 340
lavoratori sudafricani dallo stabilimento in Mozambico per paura di ritorsioni.
«Sono scioccato e disgustato — dice il presidente dello Zimbabwe,Robert Mugabe —da
quello che è successo a Durban, dove cinque o sei persone sono state arse vive
da membri della comunità zulu». La xenofobia — male antico cresciuto tra le
pieghe dell'a
partheid, quando i bianchi opponevano indiani e
neri di altri paesi africani per contendere il lavoro ai neri cui avevano tolto
terre e proprietà—di tanto in tanto torna a bruciare case e a rapire vite: nove
anni fa toccò a Città del Capo, sette anni fa a Johannesburg; oggi l'odio
divampa in mezzo paese. Il maremoto di violenze iniziato dieci giorni fa a
Durban si è propagato alle township di Johannesburg dove venerdì sera la
polizia ha sparato all'impazzata pallottole di gomma per tentare di riportare
la calma, tra arresti, aggressioni e saccheggi. Una crisi così violenta da
spaventare il paese e da suggerire al presidente Zuma di rinunciare al viaggio
di Stato in Indonesia. Ogni notte è un incubo: neri contro neri e poveri contro
poveri, in un paese devastato dalle contraddizioni e dalla disoccupazione al
25%. Non sono i bianchi nel mirino della furia, ma altri neri africani
provenienti dalla Nigeria o dalla Somalia dall'Etiopia, dallo Zimbabwe.«Ci rubano
il lavoro», dicono nei ghetti delle periferie di Durban e Johannesburg. Le
ultime violenze, venerdì, sono divampate ad Alexandra, la "township"
più difficile di Johannesburg in cui i neri sopravvivono dividendosi un
gabinetto in decine di famiglie tra pidocchi e topi, martoriati dall'Aids e
dalle gang che s'ammazzano per strada. il quartiere che ospita la prima case in
cui approdò Mandela appena arrivato in città, una casa-stanza con il tetto di
lamiera che affaccia in un cortile sgangherato nella baraccopoli. Lì accanto,
venerdì, la polizia in tenuta antisommossa sparava pallottole di gomma a uomini
con i machete in mano, pronti ad assaltare i negozietti degli stranieri
atterriti. Alla radice dell'esplosione d'odio c'è una frase scellerata pronunciata
—o«tradotta male»,secondo la sua versione— dal re zulu Goodwill Zwelithini
secondo cui gli stranieri devono «fare i bagagli e andarsene a casa loro»
perché rubano il lavoro ai sudafricani. Parole che sentiamo anche in Italia, ma
che diventano benzina in un paese in cui la violenza, la povertà e l'estrema
ineguaglianza sono una miccia perennemente accesa. Quando un negoziante
straniero di Durban ha sparato a quattro ladri uccidendo per errore una cliente
sudafricana, la folla infuriata è scesa in strada minacciando e attaccando gli
stranieri, assaltando e derubando migliaia di negozi. Dalle periferie di Umlazi
e Kwa Mashu a Durban a quelle di Primrose e Benoni a Johannesburg, il furore
spaventa l'intero Sudafrica. «È preoccupante —dice il presidente Zuma, che ieri
a Durban ha visitato il campo di Chatsworth per gli stranieri sfollati —i
problemi, se ci sono, vanno risolti diversamente».
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