21
marzo 2018
10.29 (Internazionale)
Questo articolo è stato pubblicato il 6 gennaio 2017 a pagina 40 di Internazionale, con il titolo “La politica ai tempi di Facebook”.
Alle 8.30 del 9 novembre 2016 Michal Kosinski si è svegliato nella
sua stanza all’hotel Sunnehus di Zurigo. Kosinski, che ha 34 anni e fa
il ricercatore, era in Svizzera per tenere una conferenza
all’Eidgenössische technische hochschule (Eth), il politecnico di
Zurigo. Il tema dell’incontro era “i pericoli dei
big data e la rivoluzione digitale”, un argomento su cui tiene regolarmente conferenze in tutto in mondo.
Kosinski è uno dei massimi esperti di psicometria, una branca della
psicologia che si fonda sull’analisi dei dati. Quella mattina,
accendendo la tv nella sua camera d’albergo, Kosinski ha scoperto che la
bomba era esplosa: contrariamente a tutte le previsioni avanzate dai
più noti statistici, Donald Trump era stato eletto presidente degli
Stati Uniti. Kosinski è rimasto a lungo a guardare i festeggiamenti per
la vittoria del candidato repubblicano. Seguendo i risultati che
arrivavano dai vari stati, ha avuto la sensazione che l’esito delle
elezioni presidenziali statunitensi potesse avere qualcosa a che fare
con i suoi studi. Alla fine ha tirato un profondo sospiro e ha spento la
tv.
Quello stesso giorno un’azienda britannica poco nota con sede a
Londra ha diffuso un comunicato stampa: “Prendiamo atto con grande
soddisfazione del fatto che il nostro rivoluzionario approccio alle
comunicazioni basate sui dati ha svolto un ruolo centrale nella
straordinaria vittoria del presidente eletto Trump”. Il comunicato
attribuiva queste dichiarazioni a un certo Alexander James Ashburner
Nix, britannico, 41 anni, amministratore delegato della
Cambridge Analytica.
In pubblico Nix si presenta vestito sempre in modo impeccabile, con
abiti su misura, occhiali firmati e i capelli biondi e ondulati
pettinati all’indietro. Ecco dunque i nostri tre personaggi: il
riflessivo Kosinski, l’elegante Nix e il sorridente Trump. Il primo ha
reso possibile la rivoluzione digitale, l’altro l’ha messa in atto e il
terzo ne ha tratto vantaggio.
Tutto quello che facciamo, sia online sia offline, lascia delle tracce digitali
Chi non ha passato gli ultimi cinque anni su un altro pianeta ha
certamente sentito parlare dei big data. Il senso di quest’espressione è
che tutto quello che facciamo, sia online sia offline, lascia delle
tracce digitali. Ogni acquisto fatto con la carta di credito, ogni
ricerca su Google, ogni spostamento che facciamo con il cellulare in
tasca, ogni like su Facebook: tutto è conservato da qualche parte. Per
molto tempo l’utilità di questi dati non è stata chiara, salvo forse
quando ci capitava sullo schermo del computer la pubblicità di uno
strumento per misurarsi la pressione da soli subito dopo aver cercato
“pressione alta” su Google. Non si capiva bene neanche se i big data
fossero un pericolo o un’opportunità per gli esseri umani. Tutto è
diventato più chiaro il 9 novembre 2016,
quando si è saputo
che l’azienda dietro la campagna elettorale online di Donald Trump e
dietro la campagna per la Brexit era una protagonista del settore dei
big data, la Cambridge Analytica guidata da Alexander Nix.
Per capire il risultato delle presidenziali statunitensi, ma anche
quello che attende l’Europa nei prossimi mesi, dobbiamo partire da uno
strano episodio avvenuto nel 2014 allo Psychometrics centre
dell’università di Cambridge, l’istituto dove lavorava proprio Kosinski.
La psicometria, detta anche psicografia, è la disciplina che misura le
caratteristiche psicologiche di un individuo, la sua personalità
insomma. Negli anni ottanta due équipe di psicologi hanno teorizzato che
ogni caratteristica di una persona può essere misurata in base a cinque
parametri o aspetti della personalità, i cosiddetti
big five: l’apertura mentale (
openness, quanto siamo aperti alle esperienze nuove), la coscienziosità (
conscientiousness, quanto siamo perfezionisti), l’estroversione (
extraversion, quanto siamo socievoli), l’amicalità (
agreeableness, quanto siamo collaborativi e rispettosi degli altri) e la stabilità emotiva (
neuroticism, quanto siamo facilmente turbati).
Sulla base di questi parametri (riassunti per brevità nell’acronimo
dei termini in inglese, Ocean), è possibile fare una valutazione
relativamente esatta del tipo di persona che abbiamo di fronte, compresi
i suoi bisogni, i suoi timori e il suo probabile comportamento. Il
metodo fondato sui
big five è diventato uno standard della
psicometria. Per molto tempo, però, il problema di questo metodo è stato
la raccolta dei dati, che veniva fatta tramite un complicato
questionario pieno di domande personali. Poi sono arrivati internet,
Facebook e Kosinski.
Questionari per tutti
Nel 2008, quando era studente a Varsavia, la vita di Michal Kosinski
arrivò a un punto di svolta. La sua richiesta di fare un dottorato a
Cambridge fu accolta e fu accettato dallo Psychometrics centre, una
delle più antiche istituzioni del settore. Si trovò così a collaborare
con un altro studente, David Stillwell, che oggi insegna alla Judge
business school di Cambridge. Un anno prima Stillwell aveva lanciato
un’app per Facebook, che non era ancora diventato un gigante. L’app si
chiamava MyPersonality e permetteva agli utenti di riempire vari
questionari psicometrici, compreso un certo numero di quesiti
psicologici tratti dal questionario sulla personalità basato sui big
five (“vado facilmente nel panico” oppure “contraddico il prossimo”).
All’utente veniva attribuito un “profilo di personalità” costituito
dal suo punteggio individuale calcolato in base ai big five. Poi
l’utente poteva scegliere se condividere con gli studiosi i dati del suo
profilo Facebook. Kosinski e Stillwell si aspettavano che il
questionario fosse riempito al massimo da qualche decina di studenti
come loro. Invece nel giro di poco tempo centinaia, poi migliaia, poi
milioni di persone rivelarono le loro più intime convinzioni. I due
dottorandi si ritrovarono all’improvviso in possesso del più vasto
insieme di dati mai raccolto che abbinasse profili Facebook con punteggi
psicometrici.
Negli anni successivi Kosinski e il suo collega hanno elaborato un
metodo abbastanza semplice. Come prima cosa, fornivano ai soggetti
intervistati un questionario sotto forma di quiz online. In base alle
risposte calcolavano i punteggi personali dei soggetti secondo i big
five. Quindi confrontavano i risultati con altri dati online riferiti a
quei soggetti, per esempio i like e le cose pubblicate e condivise su
Facebook, ma anche il sesso, l’età e il luogo di residenza. Tutto questo
consentiva ai due ricercatori di stabilire correlazioni e comporre un
ritratto più chiaro di ogni individuo. Kosinski e Stillwell osservarono
così che da semplici azioni eseguite online era possibile ricavare
deduzioni molto affidabili.
Per esempio, i maschi che mettevano il like alla marca di cosmetici
Mac avevano qualche probabilità in più di essere gay, mentre uno dei
migliori indicatori della loro eterosessualità era il like al Wu-Tang
Clan. Quelli che seguivano Lady Gaga tendevano a essere estroversi,
mentre quelli che mettevano un like a una pagina di filosofia tendevano a
essere introversi. Ora, se è vero che ognuna di quelle informazioni,
presa singolarmente, era troppo debole per realizzare una previsione
affidabile, le proiezioni ottenute dalla combinazione di decine,
centinaia o migliaia di singoli elementi diventavano molto accurate.
I nostri smartphone sono grandi questionari psicologici che compiliamo di continuo, spesso senza nemmeno rendercene conto
Negli anni successivi Kosinski e la sua équipe hanno lavorato senza
sosta ad affinare i loro modelli. Nel 2012 Kosinski dimostrò che in base
a una media di 68 like dati da un utente su Facebook era possibile
prevedere il colore della pelle (con un’approssimazione del 95 per
cento), l’orientamento sessuale (88 per cento) e l’appartenenza al
partito democratico o a quello repubblicano (85 per cento). Ma c’era
dell’altro. Si potevano stabilire anche il quoziente d’intelligenza, la
religione e se facesse uso di alcolici, sigarette e droghe. Attraverso i
dati era addirittura possibile dedurre se il soggetto fosse figlio di
genitori divorziati. Un segnale dell’efficacia del modello era la sua
esattezza nel prevedere le risposte delle persone. Kosinski continuò a
lavorare al progetto instancabilmente.
In poco tempo il modello fu in grado di valutare ogni persona meglio
della media dei suoi colleghi di lavoro, semplicemente basandosi su
dieci like dati su Facebook: con soli 70 like riusciva a battere gli
amici, con 150 i genitori e con 300 il compagno o la compagna. Con un
numero ancora maggiore di like si poteva addirittura superare quello che
una persona sapeva di se stessa. Il giorno in cui Kosinski pubblicò
questi risultati ricevette due telefonate: una minaccia di querela e
un’offerta di lavoro, entrambe da Face-book.
I like su Facebook sono diventati privati solo in seguito: in passato
l’impostazione di base era che chiunque poteva vedere i like dati dagli
altri. Questa novità, però, non ha ostacolato i raccoglitori di dati:
mentre Kosinski chiedeva sempre il consenso degli utenti di Facebook,
oggi molte app e quiz online chiedono l’accesso ai dati privati come
condizione preliminare per i test di personalità. Chiunque voglia
valutarsi sulla base dei suoi like su Facebook può farlo sul sito web di
Kosinski,
Apply magic sauce, e poi confrontare i risultati ottenuti con quelli di un classico questionario Ocean da cento domande
sul sito dello Psychometric centre.
Ma ormai non era questione solo di like, e neanche solo di Facebook:
ora Kosinski e la sua équipe potevano assegnare punteggi nei big five
anche solo in base al numero delle foto di profilo di ogni utente su
Facebook o al numero dei suoi contatti, che è tra l’altro un valido
indicatore dell’estroversione. Tuttavia noi riveliamo qualcosa di noi
stessi anche quando non siamo collegati. Per esempio, il sensore di
movimento del cellulare rivela la rapidità dei nostri spostamenti e le
distanze che copriamo, e questi dati sono correlati all’instabilità
emotiva. La conclusione di Kosinski fu che i nostri smartphone sono
grandi questionari psicologici che compiliamo di continuo, spesso senza
nemmeno rendercene conto.
Ma soprattutto – ed ecco il punto decisivo – la cosa funziona anche
al contrario: non solo si possono creare profili psicologici a partire
dai nostri dati, ma questi dati possono anche essere usati per ricercare
categorie specifiche, per esempio tutti i padri ansiosi, tutti gli
introversi arrabbiati o tutti gli elettori democratici indecisi.
Kosinski, insomma, aveva essenzialmente inventato una specie di motore
di ricerca di persone.
A un certo punto cominciò a intuire le potenzialità, ma anche i
rischi del suo lavoro. Internet gli era sempre sembrato un dono del
cielo. Quello che voleva davvero era restituire qualcosa, condividere:
visto che i dati si possono copiare, perché non fare in modo che tutti
ne traggano vantaggio? Era quello lo spirito di tutta una generazione,
all’alba di una nuova era che trascendeva le limitazioni del mondo
fisico. Poi, però, Kosinski si chiese cosa sarebbe successo se qualcuno
avesse abusato del suo motore di ricerca di persone per manipolarle. E
così decise di includere in buona parte dei suoi lavori scientifici
l’avvertimento che il suo metodo poteva “costituire una minaccia per il
benessere, la libertà e perfino la vita delle persone”. Ma nessuno, a
quanto pare, ha davvero capito il messaggio.
All’inizio del 2014 Kosinski è stato avvicinato da un professore
associato di nome Aleksandr Kogan, che portava una richiesta da parte di
un’azienda interessata al suo metodo. L’azienda, ricorda Kosinski,
voleva accedere al database di MyPersonality, ma Kogan era vincolato dal
segreto e non poteva rivelare a quale scopo. All’inizio Kosinski e i
suoi collaboratori hanno valutato l’offerta, che avrebbe comportato
enormi guadagni per l’istituto. Lo psicologo polacco, però, esitava.
Così Kogan ha finito per svelare il nome dell’azienda: si chiamava Scl,
Strategic Communication Laboratories. Kosinski l’ha cercata su Google:
“Siamo leader tra le agenzie di gestione delle campagne elettorali”,
ha letto sul sito.
Scl era un’azienda che forniva servizi di marketing basati sui modelli
psicologici, e uno dei suoi obiettivi era influenzare i processi
elettorali. Influenzare i processi elettorali? Turbato, Kosinski si è
messo a sfogliare il sito. Che razza di azienda era? E quali erano le
intenzioni dei suoi dirigenti?
Kosinski ignorava che dietro la Scl si nascondeva un gruppo di
aziende. A causa dell’intricata struttura societaria non era facile
capire in quanti settori fosse attiva e chi fosse esattamente il
proprietario. La struttura societaria poteva essere ricostruita
attraverso varie fonti, tra cui la Uk Companies House, i Panama papers e
il registro delle società del Delaware, negli Stati Uniti. Alcune
ramificazioni erano implicate nel rovesciamento di vari governi di paesi
in via di sviluppo, altre avevano elaborato metodi per la manipolazione
psicologica degli afgani per conto della Nato. Ma, soprattutto, la Scl
era la casa madre della Cambridge Analytica, l’opaco gigante dei big
data che ha lavorato per la campagna elettorale online di Trump e a
favore della Brexit.
Kosinski non sapeva ancora niente di tutto questo, ma ha avuto una
brutta sensazione. “La cosa cominciava a puzzare”, ricorda. Dopo
ulteriori indagini ha scoperto che Aleksandr Kogan aveva segretamente
registrato un’azienda che faceva affari con la Scl. Come avrebbe poi
rivelato il Guardian nel dicembre del 2015, e come dimostrano alcuni
documenti a cui Das Magazin ha avuto accesso, la Scl era venuta a
conoscenza del metodo messo a punto da Kosinski proprio attraverso
Kogan. All’improvviso lo psicologo polacco ha capito che forse la Scl
aveva riprodotto (o copiato?) lo strumento di misurazione dei big five
basato sui like su Facebook, per girarlo alla Cambridge Analytica,
l’azienda che si occupa di influenzare i processi elettorali. A quel
punto Kosinski ha interrotto immediatamente i contatti con Kogan e ha
informato il direttore dello Psychometric centre di Cambridge.
Nell’università è sorto un conflitto complicato, perché l’istituto era
preoccupato per la sua reputazione. In seguito Kogan si è trasferito a
Singapore, si è sposato e ha cambiato nome, assumendo quello di Dr.
Spectre. Quanto a Michal Kosinski, ha finito il dottorato e, dopo aver
ricevuto una proposta di lavoro da Stanford, si è trasferito negli Stati
Uniti.
Per un anno tutto è rimasto tranquillo. Poi nel novembre del 2015 il
più estremo dei due comitati elettorali favorevoli alla Brexit, quello
identificato dallo slogan “Leave.Eu” e appoggiato dal leader populista
Nigel Farage, ha annunciato di aver affidato la gestione della sua
campagna online a un’azienda di big data: la Cambridge Analytica. E qual
era il punto di forza dell’azienda? Un marketing politico di tipo
innovativo, detto microtargeting, fondato sulla misurazione
della personalità degli elettori in base alle loro tracce digitali.
Tutto secondo il modello Ocean.
A quel punto Kosinski ha cominciato a ricevere email da gente che gli
chiedeva cosa avesse a che fare con quell’azienda: gente a cui veniva
subito in mente il suo nome quando sentiva o leggeva parole come
Cambridge, personalità e analisi. Dal momento che sentiva per la prima
volta il nome di quell’azienda, Kosinski è andato sul sito della
Cambridge Analytica ed è inorridito: il suo metodo ormai era impiegato
su vasta scala per finalità politiche. Dopo il referendum sulla Brexit,
il 23 giugno 2016, amici e conoscenti gli hanno scritto: “Guarda un po’
cos’hai combinato”. Dovunque andasse, Kosinski era obbligato a spiegare
che con quell’azienda non aveva niente a che spartire.
Il forum Concordia
Sono passati i mesi e si è arrivati al 19 settembre 2016. Le elezioni
presidenziali negli Stati Uniti si avvicinavano rapidamente. Nel salone
blu dell’albergo Grand Hyatt di New York risuonavano gli accordi di
chitarra di Bad moon rising, dei Creedence Clearwater Revival
per l’apertura del Concordia summit. Questo evento annuale è una specie
di Forum economico mondiale in miniatura: tra gli invitati c’erano
personalità provenienti da tutto il mondo, tra cui il presidente della
Svizzera, Johann Schneider-Ammann. A un certo punto un’annunciatrice ha
esclamato con voce flautata: “Un bell’applauso per Alexander Nix,
amministratore delegato della Cambridge Analytica”. È salito sul palco
un uomo magro in abito scuro. Sul salone è calato il silenzio.
Molti dei presenti sapevano che quell’uomo era il nuovo responsabile
delle strategie digitali di Trump. Qualche settimana prima, un po’
cripticamente, il candidato repubblicano aveva twittato: “Tra non molto
mi chiamerete mister Brexit”. E in effetti diversi osservatori hanno
notato somiglianze impressionanti tra il programma elettorale di Trump e
quello del movimento di destra a favore della Brexit. Pochi, però,
avevano colto il nesso con l’accordo fra Trump e un’azienda di marketing
chiamata Cambridge Analytica.
Fino a quel momento la campagna digitale di Trump era stata gestita
in sostanza da un’unica persona: Brad Parscale, un esperto di marketing e
fondatore di una startup fallita che ha creato per Trump un rudimentale
sito web per 1.500 dollari. Trump non se la cava bene con le tecnologie
digitali, tant’è vero che non ha il computer sulla scrivania. La sua
assistente personale ha rivelato una volta che non scrive neanche le
email e che lei stessa ha dovuto convincerlo a comprare uno smartphone,
da cui ora twitta continuamente. La sua avversaria Hillary Clinton,
invece, seguiva le orme del primo “presidente dei social network”,
Barack Obama. Gli indirizzi degli elettori democratici erano nelle sue
mani. Lavorava con i prestigiosi analisti dei BlueLabs e aveva incassato
l’appoggio di Google e della DreamWorks. Quando nel giugno del 2016 è
arrivato l’annuncio che Trump aveva ingaggiato la Cambridge Analytica,
l’establishment di Washington ha storto il naso. Stranieri con vestiti
di sartoria che non capiscono gli Stati Uniti e il popolo americano? Ma
stiamo scherzando?
“È per me un privilegio prendere la parola oggi davanti a voi. Vi
parlerò del potere dei big data e della psicografia nel processo
elettorale”, ha esordito Alexander Nix. Intanto alle sue spalle
compariva il logo della Cambridge Analytica: una rete con tanti nodi,
una specie di mappa che richiama la silhouette di un cervello. “Appena
un anno e mezzo fa il senatore repubblicano Ted Cruz era uno dei
candidati meno popolari”, ha spiegato l’uomo biondo con quel cristallino
accento britannico che rende nervosi gli statunitensi esattamente come
succede agli svizzeri con l’accento tedesco. “Meno del 40 per cento
della popolazione statunitense ne aveva sentito parlare”, ha detto
commentando un’altra diapositiva.
Verso la fine del 2014 la Cambridge Analytica ha cominciato a
partecipare attivamente alla campagna elettorale per le presidenziali
negli Stati Uniti, fornendo consulenze a Cruz grazie ai finanziamenti di
Robert Mercer, un inafferrabile miliardario statunitense che si è
arricchito con i software. In sala tutti conoscevano la folgorante
ascesa del senatore conservatore Cruz, uno degli eventi più sorprendenti
della campagna elettorale. Come aveva fatto Cruz a diventare l’ultimo
serio sfidante di Trump alle primarie repubblicane, passando dal 5 al 35
per cento? Ebbene, ha spiegato Nix, fino a quel momento le campagne
elettorali erano state organizzate sempre sulla base di concetti
demografici: “Ma è un’idea ridicola. È come dire che tutte le donne
devono ricevere lo stesso messaggio perché appartengono allo stesso
genere, e lo stesso messaggio va indirizzato a tutti gli afroamericani
perché appartengono allo stesso gruppo etnico”. Nix intendeva dire che
fino a quel momento le altre macchine elettorali si erano basate su
considerazioni demografiche, mentre la Cambridge Analytica si avvaleva
della psicometria.
Negli Stati Uniti, ormai, quasi tutti i dati personali si possono comprare e vendere
Sarà anche vero, ma il ruolo della Cambridge Analytica nella
campagna di Cruz è controverso. Nel dicembre del 2015 la squadra
elettorale di Cruz ha attribuito il suo successo all’uso psicologico di
dati e di analisi. Dalle colonne di Advertising Age, un’autorevole
rivista dedicata alla pubblicità, un cliente politico ha definito il
personale della Cambridge Analytica al seguito della campagna di Cruz
come “una ruota in più”, ma ha giudicato “eccellente” il suo prodotto di
punta: i modelli realizzati dalla Cambridge Analytica sui dati relativi
agli elettori. Allo stesso modo, non è ancora chiaro fino a che punto
la Cambridge Analytica sia stata coinvolta nella campagna Leave.Eu.
L’azienda rifiuta di rispondere a domande su questi argomenti.
Poi Nix è passato alla diapositiva seguente: cinque volti diversi,
ciascuno corrispondente a un profilo di personalità. È il modello big
five, ovvero Ocean. “Noi della Cambridge Analytica”, si è esaltato Nix,
“siamo riusciti a elaborare un modello per individuare la personalità di
ogni singolo adulto negli Stati Uniti”. Ormai aveva il pubblico in
pugno. Ha continuato affermando che il successo della Cambridge
Analytica si basa sulla combinazione di tre elementi: la scienza
comportamentale che si avvale del modello Ocean, l’analisi dei big data e
le inserzioni pubblicitarie mirate. L’ultima espressione indica una
pubblicità personalizzata: in altre parole, il più possibile in linea
con la personalità di ogni consumatore.
Nix ha spiegato con candore in che modo la Cambridge Analytica
ottiene questo risultato. Innanzitutto, la sua azienda compra dati
personali da una gamma di fonti diverse: registri anagrafici e
automobilistici, informazioni sugli acquisti, dati delle tessere
omaggio, iscrizioni ai club, ma riesce a sapere anche quali riviste
leggono le persone e quali chiese frequentano. Sullo schermo Nix ha
mostrato i loghi di fornitori di dati attivi a livello globale, come
Acxiom ed Experian. Negli Stati Uniti, ormai, quasi tutti i dati
personali si possono comprare e vendere. Vuoi sapere dove abitano donne
ebree? Puoi semplicemente comprare le informazioni, numeri di telefono
compresi. La Cambridge Analytica incrocia poi queste informazioni con i
registri elettorali del Partito repubblicano e altri dati online come i
like su Facebook (anche se attualmente l’azienda nega di aver usato dati
relativi a Facebook) ed elabora un profilo di personalità basato sui
big five. In un attimo le tracce digitali si traducono in persone reali,
ognuna con i suoi timori, i suoi bisogni, i suoi interessi. E
l’indirizzo di residenza.
Centro di controllo
Il metodo ricorda da vicino i modelli sviluppati da Kosinski. Secondo
Nix, anche la Cambridge Analytica usa “sondaggi sui social network” e
dati relativi a Facebook. E fa esattamente quello che Kosinski temeva:
“Abbiamo elaborato”, ha detto Nix vantandosi, “il profilo di personalità
di tutti i cittadini adulti degli Stati Uniti. Sono 220 milioni di
persone”. Poi ha aperto una schermata e ha spiegato: “Questa è
un’applicazione che abbiamo realizzato per la campagna elettorale del
senatore Cruz”. È apparso un centro di controllo digitale. A sinistra
c’erano dei diagrammi, a destra una mappa dell’Iowa, lo stato in cui
Cruz ha conquistato un numero di voti sorprendentemente alto alle
primarie. Appena sulla mappa sono comparsi centinaia di migliaia di
puntini rossi e blu, Nix ha ristretto i criteri di ricerca.
“Repubblicani”, e sparivano i puntini blu; “ancora indecisi”, e
sparivano altri puntini; “maschi”, e così via. Alla fine è rimasto solo
un nome, completo d’età, indirizzo, interessi, personalità e tendenze
politiche.
Come fa la Cambridge Analytica a rivolgersi a ogni singola persona
con un messaggio politico mirato? Nix ha mostrato come sia possibile
rivolgersi in modo differenziato agli elettori di ogni categoria
psicografica, prendendo come esempio il secondo emendamento della
costituzione degli Stati Uniti, quello che garantisce a ogni cittadino
il diritto di possedere armi da fuoco: “Per convincere le persone
fortemente nevrotiche e coscienziose, serve la minaccia del furto in
casa e la sicurezza rappresentata da un’arma”. L’immagine a sinistra
dello schermo raffigurava la mano di un intruso che sfonda una finestra.
L’immagine sulla destra ritraeva un uomo e un bambino in piedi in un
campo al tramonto: entrambi impugnavano armi da fuoco e stavano
chiaramente sparando alle anatre. “Questa invece serve per i soggetti
chiusi e disponibili, quelli che hanno a cuore le tradizioni, le
abitudini e la famiglia”.
Di colpo le impressionanti incoerenze di Trump, la sua criticata
volubilità e l’insieme dei suoi messaggi contraddittori si sono rivelati
un asso nella manica: Trump aveva un messaggio diverso per ogni
elettore. Che si sia comportato come un algoritmo perfettamente
opportunistico, seguendo puramente e semplicemente le reazioni del suo
pubblico, è qualcosa che la matematica Cathy O’Neil aveva già notato
nell’agosto del 2016. “Praticamente ogni messaggio lanciato da Trump si
basava su dati digitali”, ha ricordato Nix. Il giorno del terzo
dibattito televisivo fra Trump e Clinton, la squadra del candidato
repubblicano ha testato, soprattutto attraverso Face-book, 175mila
variazioni di inserzioni sui temi della campagna elettorale, pur di
trovare quelle giuste. Nella maggior parte dei casi i messaggi
differivano tra loro solo per dettagli microscopici, con l’obiettivo di
rivolgersi ai destinatari nel modo più consono al loro profilo
psicologico. C’erano titoli diversi, colori e didascalie diversi,
accompagnate da una foto o da un video. Come lo stesso Nix ha spiegato
in un’intervista a Das Magazin, queste variazioni quasi impercettibili
servono a raggiungere anche i gruppi più piccoli: “In questo modo siamo
in grado di rivolgerci in modo mirato a un intero villaggio come a un
condominio, e perfino a singole persone”.
A Miami c’è un quartiere chiamato Little Haiti. Per evitare che i
suoi abitanti votassero per Clinton, lo staff che seguiva la campagna
elettorale di Trump ha messo in circolazione la notizia del fallimento
della Clinton foundation in seguito al terremoto di Haiti. Uno degli
obiettivi era tenere lontani dai seggi i potenziali elettori della
candidata democratica, tra cui ci sono persone di sinistra ma indecise,
molti afroamericani e molte giovani donne: queste persone, per dirla con
un dipendente dell’organizzazione di Trump, andavano “scoraggiate”
dall’andare a votare. L’obiettivo è stato raggiunto attraverso i
cosiddetti dark post, cioè inserzioni sponsorizzate che si presentano come titoli di ultimissime notizie. I dark post
compaiono su Facebook e possono essere visti solo dagli utenti che
hanno profili specifici. Un esempio sono i video rivolti agli
afroamericani, in cui Hillary Clinton definiva “predatori” i maschi
neri.
Al Concordia summit Nix ha terminato il suo intervento proclamando la
fine della pubblicità a tappeto. “Di certo i miei figli non capiranno
mai questo modo di concepire le comunicazioni di massa”, ha osservato.
Poi, prima di scendere dal palco, ha annunciato che uno dei candidati
rimasti in corsa per le presidenziali stava usando la nuova tecnologia
lanciata dalla Cambridge Analytica.
Agli attivisti della campagna di Trump è stata fornita un’app che
consentiva di individuare le idee politiche degli abitanti di un posto
All’epoca era ancora impossibile capire esattamente in che modo le
truppe digitali di Trump stessero prendendo di mira la popolazione
statunitense, perché sferravano i loro attacchi non tanto con gli spot
sulle emittenti tv in chiaro, quanto con messaggi personalizzati sui
social network e sulle tv digitali. E mentre gli organizzatori della
campagna elettorale di Clinton, in base al modello demografico, erano
convinti che la loro candidata fosse in testa, un giornalista di
Bloomberg, Sasha Issenberg, andava a San Antonio, nell’ufficio della
campagna digitale per l’elezione di Trump, e con sua grande sorpresa
apprendeva che lì stava per aprire i battenti “un secondo quartier
generale” del candidato repubblicano.
Il personale della Cambridge Analytica (una decina di persone) al
seguito della campagna di Trump ha ricevuto centomila dollari nel luglio
del 2016, 250mila ad agosto e cinque milioni a settembre. Da quanto ci
ha detto Nix, in totale ha incassato più di 15 milioni. A partire da
luglio, infatti, agli attivisti della campagna di Trump è stata fornita
un’app che consentiva di individuare le idee politiche e le personalità
degli abitanti di un posto. Un’app simile era stata usata durante la
campagna per la Brexit. Grazie a questo strumento i ragazzi del porta a
porta erano in grado di suonare solo agli appartamenti abitati da
persone segnalate come ricettive ai messaggi di Trump. Non solo: gli
attivisti partivano già armati di linee guida per poter intavolare con
gli elettori una conversazione “su misura” per la loro personalità. Alla
fine registravano le reazioni nell’app e quei nuovi dati finivano nei
computer dell’organizzazione.
Neanche questa era propriamente una novità: anche la squadra di
Clinton ha fatto cose simili, ma per quanto ne sappiamo non ha usato i
profili psicometrici. In ogni caso la Cambridge Analytica ha suddiviso
la popolazione statunitense in 32 personalità tipo e ha concentrato gli
sforzi solo su 17 stati. Inoltre, così come Kosinski era arrivato alla
conclusione che gli uomini che mettono il like su Facebook ai cosmetici
Mac hanno qualche probabilità in più di essere gay, la Cambridge
Analytica ha scoperto che la preferenza per le automobili di
fabbricazione statunitense era tipica dei potenziali elettori di Trump.
Ora questi dati mostravano al candidato repubblicano quali messaggi
funzionavano meglio e dove. La decisione di concentrarsi sul Michigan e
sul Wisconsin nelle settimane conclusive della campagna presidenziale è
stata presa sulla base dell’analisi dei dati. Insomma, il candidato
Trump è diventato lo strumento per l’applicazione di un modello.
Ma in che misura i metodi della psicometria hanno effettivamente
influito sul risultato delle presidenziali statunitensi? Quando
l’abbiamo chiesto alla Cambridge Analytica, l’azienda ha rifiutato di
fornire prove dell’efficacia della sua campagna. Probabilmente la
domanda sull’importanza del targeting psicometrico per l’esito
delle elezioni è destinata a restare senza risposta, eppure qualche
indizio c’è. Uno è la sorprendente ascesa di Cruz alle primarie. Un
altro è l’aumento del numero degli elettori andati alle urne nelle zone
rurali del paese. Un altro ancora è il calo degli elettori afroamericani
che hanno scelto il voto anticipato. Il fatto che Trump abbia speso
relativamente poco si spiega forse con la grande efficacia delle
inserzioni pubblicitarie basate sulla personalità del destinatario. Lo
stesso vale per il fatto che, rispetto a Clinton, Trump ha investito
molto di più nella campagna digitale che in quella televisiva. Facebook
si è dimostrato l’arma più efficace per la sua vittoria, come hanno
confermato i tweet dei componenti della sua squadra.
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Molti hanno sostenuto che i veri sconfitti di queste elezioni sono
stati gli statistici, i cui pronostici si sono rivelati così poco
azzeccati. Ma potrebbe anche essere vero l’opposto: gli statistici hanno
aiutato Trump a vincere le elezioni, ma solo quelli che hanno usato il
nuovo metodo. Trump storce spesso il naso quando parla di ricerca
scientifica, eppure – ironia della storia – per la sua campagna
elettorale si è avvalso di uno strumento altamente scientifico. Un altro
grande vincitore è la Cambridge Analytica. Un suo consigliere
d’amministrazione, Steve Bannon, ex presidente del giornale online di
destra Breitbart News, è stato nominato consigliere strategico di Trump.
Marion Maréchal-Le Pen, aspirante leader del Front national e nipote
della candidata alle presidenziali francesi Marine, ha twittato che, se
Bannon la invitasse a collaborare, lei accetterebbe senz’altro. Poi c’è
il video della Cambridge Analytica con la registrazione di una riunione
intitolata “Italia”. La Scl si è interessata attivamente alla politica
italiana già nel 2012. Ora la Cambridge Analytica rifiuta ogni commento
sulla notizia secondo cui sono in corso colloqui con la prima ministra
britannica Theresa May, ma Nix sostiene che sta ampliando la sua base di
clienti in tutto il mondo e che ha ricevuto richieste di informazioni
dalla Svizzera e dalla Germania.
Analisi scientifica
Kosinski ha osservato tutti questi eventi dal suo ufficio all’università
di Stanford. Lo psicologo reagisce agli eventi di questi mesi con
l’arma più affilata a disposizione dei ricercatori: l’analisi
scientifica. Con la collega Sandra Matz ha condotto una serie di test
che saranno presto resi pubblici. Ne abbiamo visto i primi risultati e
sono allarmanti. Lo studio conferma l’efficacia del targeting basato
sulla personalità, dimostrando che questo tipo di marketing è in grado
di attirare fino al 63 per cento di contatti in più nelle campagne su
Facebook e anche 1.400 conversioni in più, proponendo prodotti e
messaggi confezionati su misura per la personalità di ogni consumatore.
Lo studio, inoltre, dimostra che questo metodo è adattabile: la maggior
parte delle pagine di Facebook che promuovono prodotti o marchi sono
condizionate dalla personalità ed è possibile mirare con precisione a
molti consumatori partendo da un’unica pagina.
Il mondo si è capovolto: il Regno Unito si prepara a uscire
dall’Unione europea, Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti e
a Stanford lo studioso polacco Kosinski, che ha tentato di mettere in
guardia il mondo dai rischi del targeting psicologico in politica, ha
ricevuto nuove email di accusa. “No”, dice piano scuotendo la testa,
“non è colpa mia. La bomba non l’ho costruita io: ho solo fatto vedere
che esiste”.
(Traduzione di Marina Astrologo)
Questo articolo è stato pubblicato
il 6 gennaio 2017
a pagina 40 di Internazionale, con il titolo “La politica ai tempi di
Facebook”. L’originale era apparso sul settimanale svizzero
Das Magazin.