10.8.05

Karl Marx Show

Il Moro prossimo venturo
«Karl Marx Show», romanzo picaresco sulla famiglia Marx ai tempi del crollo del Muro
AUGUSTO ILLUMINATI
Il Moro si aggira per Londonistan, non troppo sorpreso, dato che aveva visto dilagare i ristorantini pakistani intorno a Dean Street e più tardi, durante i picnic intorno agli Hampstead Ponds, mica tanto lontano dall'ultima sua casa e dall'estremo domicilio cimiteriale di Highgate, si era imbattuto in svariate famigliole con turbanti, fazzolettoni, barbe e spiedini. I confini passavano dentro tutta la città, probabilmente all'interno di ogni generazione di immigrati. Quel che gli riusciva nuovo e inquietante, dopo essersi spinto con il tube fino a Finsbury Park, era il visibile manifestarsi di un'opposizione radicale all'Impero (vittoriano? hardt-negriano?) in forme decisamente sgradevoli. Non era il solito discorso del vecchio nemico Bakunin e peggio ancora dei suoi seguaci nichilisti alla Neciaiev, ma addirittura un fanatico terrorismo religioso, che appariva quasi l'unica alternativa effettiva al trionfo del mercato capitalistico e allo zelante allineamento delle aristocrazie operaie - se ancora operaie potevano chiamarsi. Che fine aveva fatto l'oppio dei popoli? - l'altro, quello fumabile e iniettabile continuava a fluire tranquillamente dagli stessi paesi da cui provenivano attentatori, dirottatori, smerciatori e ristoratori etnici. Ancora una volta le sue previsioni erano smentite e le analisi confermate.

Il capitalismo andava malissimo e produceva catastrofi sempre maggiori, ma i suoi avversari (di becchini non era proprio il caso di parlare) non erano affatto quelli che lui aveva auspicato e in parte anche organizzato al tempo della I e II Internazionale. Anche le più simpatiche moltitudini arcobalenate lo lasciavano perplesso, al pari del maggio francese: un casino come la Comune di Parigi e per di più disarmate. Quei clowns poi a Gleneagles, proprio come il pagliaccio Bakunin, il suo alter ego a spasso nel tempo...

Questo sarebbe forse oggi il supplemento di riflessioni del Marx incazzato e curioso rispetto alla stesura 1993 del libro di Juan Goytisolo, La saga de los Marx, oggi ben tradotto da Chiara Vighi (unico rilievo: l'improbabile moscovita rue Arbat di p. 46) con il titolo Karl Marx Show per L'ancora-Cargo (Napoli, pp. 199, € 12,50). Marx e la numerosa e tribolata famiglia (compresa Helena Demuth, ossia la fedele Lenchen) viaggiano nel tempo, assistono ai misfatti staliniani e brezhneviani, alla perestrojka, al crollo del muro, agli sbarchi degli albanesi illusi di trovare le ricchezze di Dallas in Puglia, alle controversie sul fallimento del marxismo e del socialismo reale, ma constatano anche il dilagare della miseria e dell'oppressione nel terzo mondo, il regresso economico e culturale dell'est europeo, le terrificanti migrazioni di fine secolo.

La soap La baronne rouge sulla vita di Jenny von Westphalen, la nobile e sfortunata moglie di Marx, seguita da un dibattito con specialisti assortiti e interrotta da una nuova invasione di albanesi, interseca e conclude le peripezie del romanzo, prima che la parola sia lasciata all'appassionata testimonianza di Lenchen, apologia dell'uomo Marx più che del pensatore e del politico.

L'idea conduttrice di Goytisolo è che il filosofo di Treviri ha azzeccato le denuncie e fallito le profezie: proprio quando il tracollo del socialismo reale ha screditato la dottrina marxista, il trionfo del monetarismo e della libera impresa ha riportato il mondo alle condizioni di sfruttamento selvaggio e anarchico della rivoluzione industriale descritta nel Capitale, con l'aggravante di conflitti tribali e rigurgiti nazionalistici che nel XIX secolo si erano attenuati, almeno in Europa. I soprusi e i crimini dei sistemi che al marxismo più o meno speciosamente si richiamavano e che in qualche modo l'autoritarismo di Marx stesso aveva prefigurato passano in secondo piano rispetto ai disastri di un mondo sconvolto dalla globalizzazione e dal pensiero unico, dalla banalizzazione relativistica e dalla devastazione mafiosa e ambientale. Crollano le statue, si bruciano le edizioni di stato, mentre le antiche analisi vengono spaventosamente convalidate da guerre e nuove povertà. I rivoluzionari devono riconoscere che il loro tempo è concluso e che se ne apre un altro, diversamente rivoluzionario che però li esclude.

A questo sparigliamento delle certezze corrisponde la forma ucronica e picaresca del romanzo, il suo saltare dalla fine ottocento agli anni `80 e `90 del secolo successivo, dalle mitologie e miserie rivoluzionarie alle mitologie e miserie mediatiche, dalle lettere e resoconti sulla vita londinese della famiglia Marx agli approcci postmoderni, femministi e televisivi che ne destrutturano e strumentalizzano le vicende per fare cassa o sbandierare ideologie alternative. Lo spettacolo ha risucchiato e neutralizzato gli orrori della storia, disattivando ogni possibile giudizio in un perpetuo Porta a Porta. A volte il gioco riesce, a volte meno, e il libro è fatto sia per dispiacere al lettore marxista ortodosso sia per rovinare il progetto (nella finzione) dell'editore, che avrebbe voluto un romanzo scandalistico e denigratorio. Che naturalmente è uscito ed è stato ampiamente tradotto, ma per esempio in Italia appare almeno un decennio dopo le versioni inglese e francese, sebbene il suo autore non si possa dire certo sconosciuto alle mode dei passati decenni e magari oggi, con la sua attenzione alle tragedie balcaniche e al mondo islamico, potrebbe offrirci qualche utile suggerimento.
ilmanifesto.it

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