14.11.08

Università, due proposte

Giovanni Sartori

Il ministro dell'Istruzione non si è lasciato spaventare troppo dalle proteste, ma abbastanza da accettare ragionevoli rinvii e ripensamenti. Nel frattempo direi che la Gelmini, nel complesso, si sia mossa bene. Sulla scuola il ripristino del «maestro unico» non è una tragedia (se tagli ci debbono essere, e essere ci devono, questo non è esiziale), il ripristino dei voti espressi in numeri è una semplificazione utile, e quello del voto in condotta necessario. I maestri non debbono restare indifesi, gli studenti che vanno a scuola per studiare non devono essere danneggiati dai cattivi studenti; e poi nessuna organizzazione al mondo può funzionare senza incentivi e punizioni, senza premi e sanzioni. Invece la scuola è stata sfasciata da una pedagogia «senza punizioni» (quella, dicevo nel mio articolo precedente, divulgata dal dr. Spock) che oramai ha contagiato persino la magistratura. Vedi il recente pronunziamento di una Corte di Cassazione per il quale un docente commette un reato se «minaccia» uno studente di bocciatura! E vedi l'altrettanto assurda dilatazione del principio della privacy che consente a uno studente maggiorenne di chiedere che i suoi voti scolastici non vengano comunicati ai genitori (che di solito lo accasano)! Siamo matti? Sì, direi proprio che lo siamo.
Ma veniamo all'Università, che è ancora una partita largamente aperta. Primo problema: la qualità dei professori. È, purtroppo, mediamente bassa. I docenti bravi, anche bravissimi, ci sono ancora; ma sono schiacciati da una valanga di «baroncini» insediati in cattedra da una politica universitaria (di indistintamente tutti i governi post-68) miope e demagogica.
Quando io vinsi il mio concorso a cattedra, i posti di professore di ruolo erano, in tutta Italia, 3000; oggi i docenti a vita sono circa 65 mila. I «precari» protestano perché per loro non c'è posto. Già. Non c'è posto perché se l'Università viene imbottita a colpi di migliaia alla volta di 30-35enni docenti di ruolo, finisce che per 30-40 anni i posti li occupano loro. Elementare. Eppure si continua così. Su queste colonne Giavazzi ha giustamente protestato per i nuovi concorsi già banditi. Purtroppo sono già banditi. L'andazzo è demenziale; ma come si rimedia?
La mia proposta è di anticipare l'età della pensione da 70 a 60 anni. Non per tutti, si intende; ma per i «baroncini» che da quando sono andati in cattedra non hanno mai scritto un libro e anche per coloro che le lezioni le fanno sì e no.
Un secondo rimedio, oramai inderogabile (anche perché ci aspetta una istruzione regionalizzata da un federalismo incontrollabile), è l'abolizione del valore legale del titolo di studio. Che era dovuta sin da quando l'autonomia delle singole Università ha consentito una stessa laurea (legalmente tale) per corsi di studio completamente diversi. Ma che è dovutissima oggi per combattere la mala pianta delle Università cartacee che sono spuntate ognidove, e anche delle scandalose lauree «precoci» conseguite in due anni (e anche meno). Valga per tutti il caso della Kore di Enna, che laurea in anticipo il 79 per cento dei suoi iscritti. Qui il discorso si dovrebbe allargare alla laurea «breve », la cui introduzione ha prodotto effetti devastanti. Ma una cosa alla volta. Intanto onore al merito di chi cerca di rivalutare il merito.
corriere.it

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