Un sentiero di lettura a partire da una inchiesta mondiale coordinata dallo studioso Manuel Castells su «Mobile communication e trasformazione sociale». Un pianeta dove blog, chat-room e sms possono far cadere e eleggere presidenti o dare vita a «comunità intime a tempo pieno»
Benedetto Vecchi
Matrix, ovvero il dominio delle tecnologie digitali sugli umani. La trilogia dei fratelli Andy e Larry Wachowski voleva essere solo una colta performance sulla pervasività della Rete nelle produzione delle relazioni sociali e interpersonali e sulla cancellazione del confine tra reale e virtuale in una realtà plumbea dove nulla era consentito se fosse in contrasto con i rapporti di potere e le gerarchie necessari all'accumulazione di ricchezza, simboleggiata dall'energia elettrica prodotta da cavie umane. L'unica resistenza era incarnati dagli abitanti di Zion, città sotterranea e simulacro di una forma di vita altera e antagonista all'intelligenza collettiva sussunta dalle macchine.
Ma ciò che rimane interessante dell'immaginario collettivo proposto da quei film, oramai datati a causa anche della crisi economica mondiale, è l'inquietante figura dell'homo cablato, cioè gli uomini e donne costantemente connessi alla Rete. Un tema, questo, che lo studioso Manuel Castells aveva a sua volta marginalmente affrontato in un'altra trilogia, questa volta cartacea, enfaticamente salutata, tanto dai suoi detrattori che dai suoi estimatori, come la summa di una prassi culturale critica delle tendenze ambivalenti presenti nella «società in rete».
Un medium universale
Il capitalismo contemporaneo - definito informazionale da Castells, a causa della centralità dell'informazione nel processo produttivo - è così mobile che anche gli uomini e le donne devono avere la possibilità di essere connessi alla rete ovunque si trovino. I volumi di Castells furono però pubblicati quando la tecnologia wireless non era molto diffusa, mentre erano connessi a Internet solo cinquecento milioni di uomini e donne nel pianeta. Ora, i «naviganti» della rete hanno superato la soglia del miliardo, mentre il telefono cellulare è diventata la tecnologia più diffusa nel mondo, al punto che le nuove generazioni di questi manufatti digitali possono consentire non solo di telefonare, ma mandare messaggi, fare fotografie e brevi video, connettersi alla Rete, scrivere brevi testi, scambiarsi e-mail. Il medium universale del ventunesimo secolo, dicono oramai studiosi, ingegneri e teste d'uovo delle imprese transnazionali, non è il computer, ma proprio quell'oggetto facile da usare, trasportare e (relativamente) economico che è il telefono cellulare: il manufatto tecnologico che rende attuale la figura dell'homo cablato. Il quale corre molti rischi - privacy messa in pericolo, possibilità di essere continuamente tracciato e dunque controllato in ogni momento, cancellazione di ogni confine tra tempo di lavoro e tempo di vita - ma anche molte possibilità di arricchire la sua socialità. Dunque, una condizione ambivalente, dove oppressione e rivolta sono realtà e prospettive entrambi presenti.
La comunicazione è mobile
Giunge quindi a proposito la pubblicazione dell'inchiesta mondiale condotta da Manuel Castells con Mireia Fernàndez-Ardèvol, Jack Linchhuan e Araba Sey su Mobile communication e trasformazione sociale dalla casa editrice milanese Guerini e Associati (pp. 318, euro 26,50). Castells, infatti, insegna in California; Mireira Fernàndez in Spagna, Jack Linchuan a Hong Kong, Araba Sey tra Washington e l'Africa. Ognuno di loro si è occupato di un continente e dopo oltre quattro anni di lavoro hanno elaborato i dati raccolti, proponendo ipotesi interpretative su come funziona socialmente la comunicazione wireless, cioè senza fili. Un lavoro che diffida dell'enfasi scientista sulle virtù miracolistiche del telefono cellulare nel favorire la socialità e lo sviluppo economico.
Già con lo rovinosa caduta delle imprese dot.come nel 2001 Castells aveva intravisto i limiti del libero mercato, individuando nelle esperienze avanzate di welfare state - la Finlandia - una possibile prevenzione a un possibile bailout non solo finanziario, come testimonia il saggio scritto con Pekka Himanen sulla Società dell'informazione e welfare state (Guerini eAssociati). Alla luce di quanto avvenuto, il determinismo di chi vede nel mercato e nella tecnologia la mano salvifica del capitalismo ha infatti la stessa tossicità di un mutuo subprime. Interessante a questo proposito la lunga intervista a Manuel Castells contenuta nell'ultimo numero della rivista «Millepiani» (Tecnometamorfosi della soggettività contemporanea, pp. 188, euro 17), nella quale lo studioso di origine catalana respinge con decisione ogni pretesa euristica di alcuni studi che fanno discendere la realtà sociale dal potere trasformativo della tecnologia, invitando semmai a considerare i rapporti di potere la chiave di accesso alla comprensione di quanto avviene dentro e fuori lo schermo. Un'attitudine critica che emerge anche in questa inchiesta, dove gli autori smontano molti dei luoghi comuni che accompagnano le tecnologie wireles, evidenziandone le ambivalenze.
La generazione txt
È indiscutibile, ad esempio, che il telefono cellulare non stia sostituendo la vecchia cornetta, sebbene il numero degli abbonati al telefono fisso sia, dal 2001, inferiore al numero dei possessori di un cellulare, strumento complementare alla comunicazione con il vecchio doppino telefonico, anche se viene usato in misura maggiore, condizionando così le strategie imprenditoriali, le quali stanno sempre più attuando una politica delle tariffe che rende i cellulari un costo «sostenibile» per tutti. Allo stesso tempo, però, i telefoni cellulari sono preferiti dalle fasce delle popolazioni a basso reddito, come i migranti, i disoccupati e i precari, che scelgono le schede prepagate perché consentono una più accorta pianificazione delle spese destinante alla comunicazione. Da qui l'intensivo uso degli short message system, i famigerati sms che hanno attirato l'attenzione di semiologi e esperti della comunicazione per il linguaggio usato e perché viatico a «comunità intime a tempo pieno», dove ci si «tiene in contatto» anche quando si stanno svolgendo altre attività. Fattore, quest'ultimo, che non è solo prerogativa della cosiddetta generazione txt, come sono stati battezzati tutti quei giovani che usano i telefoni cellulari, ma anche da parte di chi fa un uso intensivo dei cellulari per lavoro. Le tecnologie wireless sono il manufatto digitale privilegiato per chi lavora senza fissa dimora, ma più che aumentare la produttività sono tecnologie che aiutano ad attenuare il senso di isolamento e di straniamento che il lavoro mobile alimenta. Allo stesso tempo, però, i telefoni cellulari sono da considerare come un «guardiano senza fili», perché il lavoratore può essere costantemente controllato, come dimostrano i progetti della Samsung Electronics di monitorare gli spostamenti dei suoi dipendenti.
Continua il digital divide
Altro luogo comune che viene analizzato è relativo alla leggenda metropolitana sui telefoni cellulari usati prevalentemente dalle donne per «ciacolare». I dati sostengono invece che vengono usati per parlare con il proprio partner, i propri amici o i collghi di lavoro allo stesso modo sia dai maschi che dalle donne. Anzi, la propensione a telefonare solo «per sapere come butta» è più spiccata tra i maschi che non tra le donne. Altrettanto evidente è il fatto che la diffusione del telefono cellulare segue le geografie e le gerarchie dell'economia globale, con buona pace di chi lo aveva indicato come lo strumento per colmare il digital divide, dato che i «palmari» consentono la connessione a internet. Le tecnologie wireless sono come Internet concentrate nel nord del mondo e in particolar modo nelle grandi metropoli. Certo la Cina, l'India e l'Africa hanno conosciuto notevoli «indici di penetrazione», ma si tratta pur sempre, nella maggioranza dei casi, di cellulari con basse potenzialità tecnologiche.
Una ricerca sulla comunicazione wireless che si rispetti deve inoltre fare i conti con le modalità d'uso dei «giovani», categoria spesso schiacciata a una contingenza biografica dove si consumano tutti i riti di passaggio all'età adulta. I giovani vanno intesi, semmai, come uno specifico gruppo sociale che manifesta modalità di consumo, di rapporto intermittente con il mercato del lavoro, che sviluppa forme di vita e produce manufatti culturali. Per quanto riguarda il rapporto con la tecnologia «senza fili», i dati della ricerca presentano un quadro molto unitario, perché i cellulari, come la rete, sono medium usati proprio per costituire spazi di socialità autonomi non solo dal mondo adulto, ma anche delle istituzioni delegate al controllo e la formazione dei giovani. Da qui le bizzarrie del linguaggio usato associate a un uso delle tecnologie per essere presenze attive negli «spazi dei flussi», cioè in quelle relazioni sociali che vengono costituite oltre i confini rigidi che delimitano gli «spazi dei luoghi». L'uso intensivo degli sms e degli mms vanno quindi considerati una tecnologica complementare alle chat room e ai siti Internet peer to peer usati per condividere musica e video.
Mobilitazioni mordi e fuggi
Lo sviluppo di forme di vita e sfere pubbliche «autonome» rendono altresì incongruente la distinzione tra virtuale e reale che ha frequentemente caratterizzato le analisi sulle tecnologie digitali. Lo spazio della comunicazione diviene quindi il contesto dove il virtuale si presenta come la concretizzazione delle potenzialità inespresse nella realtà al di fuori lo schermo. L'esempio più evidente sono i flash mobs studiati dal teorico statunitense dei media Howard Rheingold nel volume Smart mobs (Raffaello Cortina), cioè quelle mobilitazioni estemporanee decise con il cellulare, che diviene lo strumento per mobilitare un gruppo più o meno numeroso di persone per raggiungere un obiettivo. E se a Tokyo è accaduto che centinaia di giovani si siano dati appuntamento in un centro commerciale tutti vestiti come il Keanu Reeves nel film Matrix, nelle Filippine e in Spagna i telefoni cellulari sono stati gli strumenti per organizzare manifestazioni contro i governi di quei paesi. A Manila per cacciare un presidente corrotto, a Madrid per smascherare le bugie di un governo che voleva addossare all'Eta l'attacco terroristico alla stazioni della capitale che ha provocato centinaia di morti. Attacco da subito rivendicato da un gruppo islamico radicale affiliato a Al Qaeda.
In entrambi i casi, sono state mobilitazioni «vincenti», perché il presidente corrotto è stato cacciato, mentre in Spagna i flash mobs hanno avuto il potere di ribaltare i risultati elettorali, determinando la sconfitta del governo conservatore di Guy Aznar. Lo stesso , anche se non coronate da successo, è accaduto negli Stati Uniti durante le primarie del 2003 con i supporter di di Howard Dean, con l'attivismo di MoveOn a favore di John Kerry o il travolgente tam-tam per invitare al voto i giovani durante le elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria di Barack Obama.
Esempi non tutti citati in questa ricerca, anche se i suoi autori quando analizzano gli «eventi» di Manila e Madrid non indugiamo mai in un asfittico determinismo tecnologico. Anzi, sottolineano con forza che sono state mobilitazioni vincenti perché collocate in contesti dove la «memoria» dei movimenti sociali del passato è stata conservata proprio nello spazio intangibile e virtuale della comunicazione digitale, per poi essere usata nelle manifestazioni convocate attraverso il flusso di bit e sms. Come tuttavia scrive Manuel Castells scrive in un saggio apparso lo scorso anno nell'«International Journal of Communication» (consultabile in rete all'indirizzo www.manuelcastells.info/en/index.htm), la diffusione di telefoni cellulari, la proliferazione dei blog, l'entrata in campo di palmari e persino il primo meeting sull'«attivismo mobile» accelerano la formazione dello «spazio dei flussi» all'interno del quale l'homo cablato può prendere dimora.
L'homo cablato va quindi interpretato come una figura che viene prodotta dai rapporti sociali dominanti, ma che al tempo stesso viene destrutturata e reinventata dalle pratiche sociali di uomini e donne che intessono relazioni conflittuali con le modalità con cui vengono presentate le tecnologie digitali. L'homo cablato è quindi sempre l'esito di un conflitto tra le imprese hig-tech e la realtà sociali su come debba essere usata la rete, comprendendo in essa anche le reti di telecomunicazioni «senza fili». Un conflitto che non solo modifica la sua silhouette, ma anche i processi attraverso la quale l'intelligenza collettiva diviene la materia nelle imprese che garantisce un'innovazione permanente.
L'importanza di questa ricerca non va quindi ricercato negli aggregati statistici che presenta, ma nella tesi che, dando per scontate la diffusione e pervasività delle tecnologie digitali, considera lo «spazio dei flussi» il constesto in cui prende forma nuove procedure per la decisione politica al di fuori del suo monopolio esercitato dallo stato. La plasticità nell'uso della rete e della tecnologia delle comunicazione senza fili è da considerare espressione del nuovo panorama prodotto dalla diffusione di queste sfere pubbliche costituite dentro, ma anche contro le regole dominanti. Anche in questo caso, l'ambivalenza è il loro tratto distintivo, perché convivono tanto proposte avanzate in nome della tradizione che di rivolta e opposizione. Ma anche di come l'intelligenza collettiva lì sviluppata possa essere ricondotta alle logiche economiche capitalistiche. In fondo, come accadeva in Matrix gli abitanti di Zion scoprono che anche la loro rivolta è propedeutica all'innovazione delle forme di controllo e dominio. La scommessa è di usare le tecnologie ditiali affinché vengano recisi i fili del controllo. Affinché non venga solo garantita l'esistenza di zone autonome, ma di poter inventare altre istituzioni da quelle vigenti.
ilmanifesto.it
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