4.4.11

La traccia di Zapatero

Concita De Gregorio

Ho ascoltato con attenzione il breve discorso con cui ieri Jose Luis Rodriguez Zapatero, capo del governo spagnolo, ha annunciato che non si presenterà alle prossime elezioni. Ho letto quelle otto cartelle scarse: ho sottolineato le parole errori, responsabilità, progetto politico, futuro. Zapatero è nato nel 1960, ad agosto compirà 51 anni. Ha assunto la guida del governo a 43, sconfiggendo il Partito popolare di Aznar. Ha ancora un anno da governare prima delle elezioni. Un anno, ha detto, è il tempo «che ci permetterà di assumere con naturalezza e responsabilità – a livello collettivo, di organizzazione di partito – la messa in moto di quei processi fissati dal nostro statuto per scegliere la persona che guiderà le nostre liste nel marzo 2012.

E perché questa persona possa a sua volta, dopo essere stata indicata, disporre del tempo sufficiente per esprimere un progetto politico ed illustrarlo ai cittadini». Questo processo passerà dalle primarie. Ho trovato notevolissima la chiarezza con cui il capo in carica dell’esecutivo ha parlato della crisi economica in corso, della sua gravità e complessità, senza mai derubricare a «disagio percepito» le sofferenze dei cittadini, senza illudere, senza nascondere, senza mistificare. Senza negare le responsabilità del suo governo che, ha detto, ha commesso certo errori ma sempre ci ha messo la faccia. Non ha mai nominato, Zapatero, le molte leggi emanate in specie nel suo primo mandato a ritmo di una ogni pochi giorni, leggi che hanno cambiato radicalmente il tessuto sociale del paese: contro la violenza domestica sulle donne, per l’assistenza gratuita alle persone con handicap, per il riconoscimento e l’insegnamento scolastico della lingua dei segni, per l’eliminazione della balbuzie come causa di esclusione dal pubblico impiego, per l’eliminazione del concetto di colpa dalle cause di divorzio, per le adozioni, per le unioni civili, per la non discriminazione delle persone omosessuali. Ne cito poche, a memoria e in ordine sparso, giusto per chiarire cosa intendo. E poi, più avanti, per l’Uguaglianza e la non discriminazione, per la morte degna.

Certo sul piano economico il grande errore dell’aver fatto dell’edilizia il quasi esclusivo canale di occupazione e di crescita ha prodotto molti danni il più grave dei quali è aver alimentato un’illusione tale per cui la delusione, infine, è stata enorme. I sondaggi implacabili, la popolarità in calo, le amministrative a rischio, per i socialisti. Una grande aspettativa infranta. Ma non è dell’inevitabilità dell’avvicendamento alla guida della coalizione che voglio parlare. È del modo e delle ragioni con cui Zapatero la espone. Non più di due mandati, dice. «Avevo detto al mio arrivo al governo, sette anni fa, che otto, due mandati, sono un periodo che un esponente politico non deve superare. Per il bene del partito, del paese, dell’idea che abbiamo di democrazia. Persino, se me lo consentite, della sua propria famiglia. Otto anni sono il tempo necessario per fare, oltre il quale è giusto lasciar fare ad altri». Mentre Zapatero parlava, nella riunione di partito, nessuno dei volti attorno a lui (i probabili successori seduti dietro, i compagni accanto) ha mostrato sollievo, disappunto, stupore. «E adesso, compagni, al lavoro. Il governo a governare, i candidati alle amministrative a difendere il proprio programma, il partito ad appoggiare i candidati e le riforme.

Dimostriamo ancora una volta chi siamo e come siamo. Una formazione politica storica e carica di futuro. Un progetto che ha radici nella società, tra i lavoratori, in quelli che non hanno abbastanza, nelle donne e uomini che aspirano all’uguaglianza. Un partito democratico che ama la libertà interna e il coraggio. È per questo che tra noi ci chiamiamo compagni. Ecco, compagni. Io vi ringrazio». Sono abbastanza sicura che il discorso di congedo di Zapatero, con qualche piccolo adattamento ai casi nostrani, diventerebbe il perfetto manifesto di un leader che volesse anziché lasciare la politica candidarsi, piuttosto, alla guida – da sinistra – di questo nostro sventurato paese. Almeno una traccia, se qualcuno volesse prendere spunto.

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