Concita De Gregorio
Ho ascoltato con attenzione il breve discorso con cui ieri Jose Luis  Rodriguez Zapatero, capo del governo spagnolo, ha annunciato che non si  presenterà alle prossime elezioni. Ho letto quelle otto cartelle scarse:  ho sottolineato le parole errori, responsabilità, progetto politico,  futuro. Zapatero è nato nel 1960, ad agosto compirà 51 anni. Ha assunto  la guida del governo a 43, sconfiggendo il Partito popolare di Aznar. Ha  ancora un anno da governare prima delle elezioni. Un anno, ha detto, è  il tempo «che ci permetterà di assumere con naturalezza e responsabilità  – a livello collettivo, di organizzazione di partito – la messa in moto  di quei processi fissati dal nostro statuto per scegliere la persona  che guiderà le nostre liste nel marzo 2012.
E perché questa persona possa a sua volta, dopo essere stata indicata,  disporre del tempo sufficiente per esprimere un progetto politico ed  illustrarlo ai cittadini». Questo processo passerà dalle primarie. Ho  trovato notevolissima la chiarezza con cui il capo in carica  dell’esecutivo ha parlato della crisi economica in corso, della sua  gravità e complessità, senza mai derubricare a «disagio percepito» le  sofferenze dei cittadini, senza illudere, senza nascondere, senza  mistificare. Senza negare le responsabilità del suo governo che, ha  detto, ha commesso certo errori ma sempre ci ha messo la faccia. Non ha  mai nominato, Zapatero, le molte leggi emanate in specie nel suo primo  mandato a ritmo di una ogni pochi giorni, leggi che hanno cambiato  radicalmente il tessuto sociale del paese: contro la violenza domestica  sulle donne, per l’assistenza gratuita alle persone con handicap, per il  riconoscimento e l’insegnamento scolastico della lingua dei segni, per  l’eliminazione della balbuzie come causa di esclusione dal pubblico  impiego, per l’eliminazione del concetto di colpa dalle cause di  divorzio, per le adozioni, per le unioni civili, per la non  discriminazione delle persone omosessuali. Ne cito poche, a memoria e in  ordine sparso, giusto per chiarire cosa intendo. E poi, più avanti, per  l’Uguaglianza e la non discriminazione, per la morte degna. 
Certo sul piano economico il grande errore dell’aver fatto dell’edilizia  il quasi esclusivo canale di occupazione e di crescita ha prodotto  molti danni il più grave dei quali è aver alimentato un’illusione tale  per cui la delusione, infine, è stata enorme. I sondaggi implacabili, la  popolarità in calo, le amministrative a rischio, per i socialisti. Una  grande aspettativa infranta. Ma non è dell’inevitabilità  dell’avvicendamento alla guida della coalizione che voglio parlare. È  del modo e delle ragioni con cui Zapatero la espone. Non più di due  mandati, dice. «Avevo detto al mio arrivo al governo, sette anni fa, che  otto, due mandati, sono un periodo che un esponente politico non deve  superare. Per il bene del partito, del paese, dell’idea che abbiamo di  democrazia. Persino, se me lo consentite, della sua propria famiglia.  Otto anni sono il tempo necessario per fare, oltre il quale è giusto  lasciar fare ad altri». Mentre Zapatero parlava, nella riunione di  partito, nessuno dei volti attorno a lui (i probabili successori seduti  dietro, i compagni accanto) ha mostrato sollievo, disappunto, stupore.  «E adesso, compagni, al lavoro. Il governo a governare, i candidati alle  amministrative a difendere il proprio programma, il partito ad  appoggiare i candidati e le riforme.
Dimostriamo ancora una volta chi siamo e come siamo. Una formazione  politica storica e carica di futuro. Un progetto che ha radici nella  società, tra i lavoratori, in quelli che non hanno abbastanza, nelle  donne e uomini che aspirano all’uguaglianza. Un partito democratico che  ama la libertà interna e il coraggio. È per questo che tra noi ci  chiamiamo compagni. Ecco, compagni. Io vi ringrazio». Sono abbastanza  sicura che il discorso di congedo di Zapatero, con qualche piccolo  adattamento ai casi nostrani, diventerebbe il perfetto manifesto di un  leader che volesse anziché lasciare la politica candidarsi, piuttosto,  alla guida – da sinistra – di questo nostro sventurato paese. Almeno una  traccia, se qualcuno volesse prendere spunto.
 
 
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