GIULIO SAPELLI (Corriere)
L’onda alta del dramma delle manifestazioni, e poi delle migrazioni,  che dalle sponde africane giungono a lambire i lidi dell’Italia,  sembrano sconvolgere il nostro Paese incapace di poter progettare un  futuro fondato sull’inclusione sociale. 
Questa incapacità investe tutta l’Europa ed è la prova di una comunità  di destino con l’Africa assai più profonda di quanto non ci appaia a  prima vista. Non è solo il destino dell’Italia che si mette alla prova  sulle spiagge Nord Africane, ma è l’intera idea di Europa che si  infrange sui flutti del Mediterraneo, incagliata nelle secche  dell’egoistico interesse nazionale e nell’incapacità culturale e quindi  economica di consentire la circolazione delle persone. Occorreva il  dramma nord africano per far ricordare a tutti che la persona non è una  merce e che la sua circolazione non è un fatto meccanico e neutrale, ma  invece culturale e politico. Oggi è questa la sfida: garantire l’ordine  sociale tanto al nord quanto al sud del Mediterraneo. Ho già ricordato  sul Corriere che il dramma libico altro non è che la punta di un  processo che si dipana a partire dal cuore stesso dell’Africa sub  sahariana, come dimostra lo stesso intervento francese e inglese in  Libia che ha come fine il controllo delle risorse della Costa d’Avorio,  del Gabon e della Nigeria e poi, inevitabilmente dell’ex Congo belga  attorno alla regione dei grandi laghi. Il disegno neo imperiale francese  e inglese ha di mira la difesa degli intessi occidentali a fronte del  tentativo di dominio cinese dell’Africa, secondo una strategia che è  diversa da quella europea. In cambio delle risorse naturali che estrae  grazie al lavoro forzato dei suoi sudditi, l’Impero di Mezzo lascia in  Africa infrastrutture di ogni genere, che assicurano nel contempo la  crescita dei territori e del consenso tra le popolazioni locali. A  differenza del modello francese, che spartisce con i capi tribali locali  le risorse. Ma tutto ciò provoca immensi spostamenti di forza di lavoro  e crea un esercito industriale di riserva caratterizzato da dure lotte  tra gli stessi lavoratori. Volete degli esempi? Eccone due: i lavoratori  del settore petrolifero del Gabon hanno incrociato le braccia dall’ 1  al 4 aprile, sino a quando il governo non si è impegnato a espellere  tutti i lavoratori irregolari immigrati. Il secondo esempio viene dalla  stessa Libia. Nel bel mezzo della guerra le navi cinesi incrociano nel  Mediterraneo per evacuare 36.000 cinesi che lavoravano in Libia: l’hanno  fatto in circa una settimana. E la comunità cinese non era la più  numerosa: veniva dopo quella bengalese e tunisina. Oggi sono i tunisini  che ospitano più di 125.000 libici ivi rifugiatisi per sfuggire alla  guerra. Insomma: la migrazione dal sud al nord del Mediterraneo e tra  gli stati africani è un fenomeno destinato a intensificarsi. Non si  riesce, quindi, a garantire né l’occupazione stabile in Europa né la  migrazione controllata e regolare in Africa e tra l’Africa e l’Europa.  Credere che tutto questo immenso processo possa essere compresso,  ostacolato, deviato solo sulla base di quelli che ci si rappresenta come  interessi nazionali è illusorio: il disordine non può che aumentare.  Solo un patto tra Europa e Africa, senza estremismi e improvvisazioni,  potrà lentamente creare un ordine che consenta di regolare e limitare i  flussi migratori e nel contempo creare nuova occupazione. Un compito  difficile e immenso. Occorre armarsi di ragionevole sopportazione e di  sacrificio perché le nostre consuetudini saranno sottoposte a  limitazioni e trasformazioni. Se non faremo così la democrazia diverrà  incompatibile con lo sviluppo sociale ed economico e lo spettro della  dittatura si affaccerà anche in Europa. In Nord Africa, del resto, ha —  in realtà — solo cambiato volto, come ben sanno gli osservatori più  attenti e consapevoli delle strutture di potere dei regimi in cui oggi  dilaga un conflitto che da esplosivo è destinato a farsi intermittente e  continuo. Nessuno è un’isola: la campana suona per tutti.
 
 
Nessun commento:
Posta un commento