22.2.13

I sondaggi fanno tremare i partiti. Lo scenario di una valanga grillina

 Il Pd teme il calo di Monti: in Senato potrebbe essere ininfluente  (corriere.it)

Si fanno ma non si dicono. E si sfornano in continuazione. Tre alla settimana, almeno per quanto riguarda il centrosinistra. E raccontano tutti - punto in percentuale in più, punto in percentuale in meno - la stessa storia. Grillo è in salita, costante e, apparentemente, inarrestabile. Il Movimento 5 Stelle si è piazzato al secondo posto, giusto dietro il Partito democratico. La forbice tra le due forze politiche è ampia. E non colmabile, ma i dati rivelano che mentre il trend del Pd tende al ribasso, quello dei grillini, al contrario, è in rialzo.
Però non è solo questa la ragione del cruccio del centrosinistra. Non è solo questo il motivo dei pensieri bui dei dirigenti del Partito democratico. A preoccupare i vertici del Pd sono anche i sondaggi che riguardano Monti. Che aprono una prospettiva inquietante. Non è affatto detto, dati alla mano, che il listone del premier riesca a guadagnare al Senato un numero adeguato di seggi. Già, perché se Bersani non riuscirà a ottenere una vittoria piena pure a Palazzo Madama, avrà bisogno come il pane di un gruppo di sostegno montiano. Tradotto in cifre: Scelta civica dovrà ottenere almeno 15, 20 senatori. Tanti ne serviranno, in caso di pareggio, per consentire al Partito democratico di mettere in piedi un governo di centrosinistra.

Peccato che questi numeri non siano, almeno al momento, una sicurezza. I sondaggi infatti raccontano che nelle regioni chiave i montiani arrancano e non riescono a sottrarre voti consistenti al centrodestra. I dirigenti del Pd si sono guardati in faccia con un certo sconcerto, l'altro giorno, quando hanno esaminato i dati segretissimi forniti loro dai sondaggisti. Per forza. Quelle cifre hanno confermato tutti i loro timori: lì dove il Partito democratico va bene, il listone del premier è in affanno. Ergo: non è al centrodestra che il premier toglie i voti. Perciò, detto in parole povere, un Monti che non riesce a fare argine nei confronti delle truppe berlusconiane rischia di servire poco o niente al centrosinistra.

Di più, e di peggio: nelle regioni chiave, quelle in cui centrosinistra e centrodestra combattono la battaglia campale per il Senato, i montiani rischiano di essere ininfluenti. In Lombardia è testa a testa. In Sicilia pure. In Veneto Bersani e i suoi alleati perdono senza possibilità di sorprese dell'ultima ora, mentre in Campania la vittoria è saldamente nelle loro mani e di lì non si sposterà. Ebbene, in queste regioni Monti rischia di non fare comunque la differenza. Il che significa che tutti i calcoli che sono stati fatti finora al Partito democratico vanno rivisti.

«Non avremo mai il mito dell'autosufficienza: i problemi del Paese sono gravi e non si può pensare di risolverli governando con il 51 per cento»: erano queste, fino a qualche settimana fa, le parole che Bersani amava ripetere in tutti i suoi conversari con amici, collaboratori e compagni di partito. Il segretario pensava al Professore, ovviamente. E al suo movimento. E nel Pd si ragionava sulle poltrone da affidare ai cosiddetti centristi. Quella della presidenza del Senato in primis, che un giorno spettava a Monti e quello dopo a Casini. Ma soprattutto quella del Quirinale. Ora è «tutto da rifare», come avrebbe detto Gino Bartali. Per questo Bersani ha lanciato l'occhio sui grillini.

«Nessuna apertura - spiega il segretario, pragmatico come sempre - ma, comunque andranno le elezioni, loro saranno in Parlamento. Perciò, come sta già accadendo in altre regioni dove governiamo, ci rivolgeremo a tutti, e quindi anche a loro. Porteremo i nostri provvedimenti in Parlamento e in quella sede ci confronteremo con le altre forze politiche, grillini inclusi». È un ragionamento, quello di Bersani, che non fa una piega, stando alle dichiarazioni di D'Alema e Renzi. Solo gli ex ppi frenano. Rosy Bindi continua a sparare a palle incatenate contro il comico genovese e Beppe Fioroni spiega: «Grillo è di destra, quella è la sua cultura, quella è la sua deriva e noi con lui non c'entriamo proprio nulla». Un segnale all'indirizzo di Bersani? Già, ma anche di quel Romano Prodi che, stando alle voci dei palazzi della politica, punterebbe sull'apporto dei grillini per arrivare al Quirinale.

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