martedì 19/02/2019
di Marco Travaglio (ilfattoquotidiano)
Siccome qualcuno aveva evocato il primo referendum processuale della storia, quello indetto da Ponzio Pilato fra Gesù e Barabba, possiamo tranquillamente dire che qui mancava Gesù. Ma ha rivinto Barabba. E non perché Matteo Salvini sia un bandito, anche se è (anzi ormai era) indagato per sequestro di persona aggravato di 177 migranti appena salvati dal naufragio. Ma perché, quando si chiede al “popolo” di pronunciarsi non su questioni di principio, ma su casi penali dei quali non sa nulla, la risposta che arriva di solito è sbagliata. E quella data ieri dalla maggioranza degli iscritti 5Stelle non è solo sbagliatissima: è suicida. La stessa, peraltro, che auspicavano i vertici, terrorizzati dalla reazione di Salvini, cioè dalle ripercussioni sul governo e dunque sulle proprie poltrone. Chi aveva sperato che gli iscritti dessero una lezione agli eletti, anzi ai “dipendenti” come li chiamava un tempo Grillo, facendoli rinsavire e rammentando loro i valori fondativi della legalità, dell’uguaglianza, della lotta ai privilegi di Casta, è rimasto deluso. Per salvare Salvini, i 5Stelle dannano se stessi. Nemmeno le parole sagge e oneste dei tre sindaci di punta – Appendino, Nogarin e Raggi – raccolte ieri dal Fatto sono servite a restituire la memoria alla maggioranza della “base”.
È bastato meno di un anno di governo perché il virus del berlusconismo infettasse un po’ tutto il mondo 5Stelle. E l’impietoso referto del contagio è facilmente rintracciabile nelle dichiarazioni dei senatori che già da giorni volevano a tutti i costi salvare Salvini e nei commenti sul Blog delle Stelle dei loro degni iscritti che li hanno seguiti anziché fermarli sulla strada dell’impunità. Dicono più o meno tutti la stessa cosa: siccome ora governiamo noi e la Lega, decidiamo noi chi va processato e chi no, alla faccia dei giudici politicizzati che vorrebbero giudicare le nostre scelte unanimi per rovesciare il governo. Questo, in fondo, era il messaggio in bottiglia mal nascosto nella decisione di affidare agli iscritti una scelta che avrebbero dovuto assumere, senza esitazione alcuna, il capo politico Di Maio e il suo staff. Una scelta naturale, quasi scontata, quella dell’autorizzazione a procedere, che era stata annunciata fin da subito, quando arrivò in Parlamento la richiesta del Tribunale dei ministri su Salvini: “Vuole il processo? Lo avrà”. Ma poi era stata prontamente ribaltata, peraltro senza mai essere ufficializzata, quando Salvini aveva cambiato idea intimando con un fischio ai partner di salvarlo dal processo. Riuscendo nell’impresa di spaccarli a metà.
Ergo, a decidere la linea del primo partito d’Italia, sono i capricci dell’alleato-rivale. Che ha imposto ai 5Stelle un voltafaccia pronunciato a mezza bocca, senza nessuno che se ne assumesse la paternità e la responsabilità. Un atto non dovuto, gratuito (il governo non sarebbe certo caduto sulla Diciotti) di sottomissione a Salvini: lo stesso che prende i 5Stelle a pesci in faccia sul Tav, le trivelle e prossimamente sull’acqua pubblica, straccia spudoratamente il Contratto di governo e poi pretende l’asservimento totale degli alleati senza restituire nemmeno un pizzico di lealtà. Così le storiche parole d’ordine di Beppe Grillo e la lezione di Gianroberto Casaleggio – “Ogni volta che deroghi a una regola, praticamente la cancelli” – sono finite nel dimenticatoio, con la scusa che “questa volta è diversa”, “non è come con gli altri governi”, “non ci sono di mezzo le tangenti”. Ma “solo” un sequestro di persona, che sarà mai. E tanti saluti a quei fresconi dei sindaci Raggi, Appendino e Nogarin, più volte indagati o imputati non certo per storie di vil denaro, ma per atti compiuti nell’esercizio delle funzioni di governo, che mai hanno detto una parola contro i magistrati e si sono sempre difesi nei, non dai processi.
Certo, qualcuno avrebbe votato diversamente se il caso Diciotti fosse stato presentato sul blog in maniera corretta e veritiera, e non nel modo menzognero e truffaldino studiato apposta per subornare gli iscritti (il No per il Sì al processo, e viceversa; il quesito cambiato in corsa ieri mattina per blindare ancora meglio il Sì all’impunità; il sequestro di persona spacciato per un banale “ritardo nello sbarco”; l’invocazione del salvacondotto per “l’interesse dello Stato”, del tutto sconosciuto alla norma costituzionale, che consente il no al processo solo in caso di “interesse pubblico preminente” o “costituzionalmente rilevante”). Ma la perfetta identità di vedute fra la maggioranza degli eletti e il quasi 60% degli iscritti votanti è un dato di fatto da prendere in considerazione per quello che è: i vertici hanno ormai la base che si meritano, e viceversa.
Però, da ieri, il M5S non è più il movimento fondato dieci anni fa da Grillo, Casaleggio e decine di migliaia di militanti. È qualcosa di radicalmente diverso, che ancora non conosciamo appieno e di cui dunque non possiamo immaginare il destino. Ma che non promette nulla di buono, se la maggioranza emersa ieri dal blog resterà tale, scoraggiando e allontanando la pur cospicua minoranza di pentastellati rimasti coerenti e fedeli ai valori originari. Qui non è questione di presunte svolte a destra o a sinistra. E non è in ballo l’eterno giochino tra ortodossi e dissidenti, o fra dimaiani, fichiani e dibattistiani. Ma qualcosa di ben più profondo. Se il M5S perde la stella polare della legge uguale per tutti, gratta gratta gli resta ben poco, perché quello era il fondamento di tutte le altre battaglie, l’ubi consistam della sua diversità, anzi della sua alterità rispetto ai vecchi partiti. I quali non mancheranno di rinfacciarglielo a ogni occasione: “Visto? Ora siete come noi. Benvenuti nel club”. Dalle stelle alle stalle.
I link ai giornali degli articoli spesso cambiano e diventa difficile se non impossibile recuperare i testi ai quali si riferivano. Questo è l'archivio on-line del blog Giornale-NOTIZIEOGGI
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19.2.19
27.10.18
Il nemico sbagliato
di Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano)
“Draghi avvelena il clima invece di tifare per l’Italia”. Questa replica di Luigi Di Maio alle dichiarazioni del presidente della Bce
denota una buona dose di infantilismo e di inadeguatezza. E non è degna
di un vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo. Ma neppure di
un leader politico che dovrebbe essere sintonizzato con i cittadini o,
quantomeno, con i suoi elettori. Chiunque abbia qualche euro da parte,
incluso chi vota 5Stelle e Lega, è allarmato dallo spread che non accenna a calare
e per le turbolenze e le speculazioni sui mercati che portano con sé i
guai delle banche imbottite di titoli di Stato e i declassamenti del
nostro mostruoso debito pubblico. Cioè danneggiano le tasche non degli
speculatori, che anzi ci campano, ma dei risparmiatori, che ci
rimettono. E anche il più gialloverde dei risparmiatori
sa benissimo che cosa merita di essere ascoltato fra le analisi
argomentate di Draghi e le repliche sgangherate dei ministri italiani.
Draghi, oltre a essere uno dei più autorevoli e stimati personaggi che
vanti oggi l’Italia, non è un euroburocrate in campagna elettorale,
diversamente dai vari Oettinger, Moscovici e Juncker.
E non è neppure un nemico dell’Italia, visto che si è scontrato
duramente con gli ultrà tedeschi, filo-tedeschi e anti-italiani
allergici alle cannonate del Quantitative easing che con l’acquisto massiccio di titoli di Stato ha aiutato per cinque anni i Paesi europei più indebitati, Italia in primis.
Se Draghi avesse voluto associarsi ai giochini ributtanti della Commissione europea per rovesciare o commissariare il governo gialloverde, non gliene sarebbero mancate le occasioni. Invece ha fatto esattamente l’opposto: ha spiegato più volte che le parole, con mercati così sensibili e volubili, pesano come pietre, e che chi dall’opposizione sale nelle istituzioni dovrebbe cambiare linguaggio, perché anche le sparate degli urlatori grillo-leghisti fanno danni incalcolabili. Quanto alla manovra, non l’ha mai presa di petto, anzi ha ricordato che non è la prima volta che l’Italia o un altro governo europeo sfora i limiti fissati e si è detto favorevole a un compromesso fra Ue e Italia e persino ottimista sulla possibilità di ottenerlo. L’ha ripetuto l’altroieri (“Sono fiducioso che un accordo sarà trovato”), anche se Di Maio&C. non se ne sono accorti. Ed è arrivato a dire che allo spread contribuiscono più le uscite degli urlatori anti-euro (ormai esclusivamente leghisti, specie dopo le rassicurazioni di Conte, Tria, Di Maio e perfino Salvini sulla permanenza dell’Italia nell’eurozona) che non una manovra sul 2,4% deficit-Pil.
Tutto questo, per chi sa leggere anche quello che, per il suo ruolo, il presidente della Bce non può dire, è un assist importante al governo soprattutto ai 5Stelle. Molto diverso dalle minacce e degli ultimatum degli agonizzanti sparafucile di Bruxelles. Tradotto in soldoni: nessuno vi chiede di ritirare la manovra; potreste persino lasciarla così com’è, o quasi; purché mettiate la museruola ai vostri urlatori che regalano appigli agli speculatori, salvo poi dire che parlavano a titolo personale quando ormai il danno è fatto; perché le commissioni Ue passano, ma gli speculatori restano, ed è meglio tenerli lontani dal nostro culo. Se così stanno le cose – e abbiamo ottimi motivi per ritenere che stiano così (leggete Stefano Feltri a pag. 3), e la parte più responsabile del governo (Conte, Tria, Giorgetti, persino il vituperato Savona) l’ha capito da un pezzo – è stupefacente che Di Maio non se ne renda conto e continui a respingere la mano tesa di Draghi, accomunandolo ai rottweiler di Bruxelles e rinunciando a incunearsi fra le divisioni di chi cerca il dialogo con l’Italia e chi vuole la guerra con un occhio alle elezioni. Che Salvini giochi al “tanto peggio tanto meglio”, si è capito: il Cazzaro Verde pensa (o si illude: lo spread preoccupa anche la parte più avveduta dei suoi elettori) di lucrare più voti strillando fino a primavera che ce l’han tutti con noi.
Ma, se abbiamo capito bene, non è questa la strategia dei 5Stelle: al Circo Massimo, Di Maio e Fico hanno annunciato alleanze nel prossimo Europarlamento con tutte le forze che non si riconoscono nel decrepito fronte Ppe-Pse (attualmente al governo), né nella destra salvinian-lepeniana, né nei liberalconservatori dell’Alde (nel cui gruppo peraltro il M5S aveva provato a entrare, invano). Cosa resta? La sinistra-sinistra (che l’altroieri, con Mélenchon e altri, ha difeso la manovra italiana nell’indifferenza dei 5Stelle) e i Verdi (i più simili ai pentastellati, malgrado le diffidenze reciproche). Se non vogliono stare né con chi ha rovinato l’Europa né con chi vorrebbe distruggerla definitivamente, ma con chi vuole cambiarla seriamente, i 5Stelle dovrebbero cambiare linguaggio e uscire dall’infantilismo che ieri ha portato Di Maio a mandare a quel paese Draghi, cioè l’unica autorità europea che non fa campagna elettorale contro l’Italia e tenta, per quel che può, di aiutarla. Dargliene atto e comportarsi di conseguenza, magari iniziando a pensare a una patrimoniale, non significa ritirare o stravolgere la manovra, cedere ai diktat dell’Ue, dei mercati e dello spread, rinunciare a dialogare con la Russia (lo chiede anche Prodi, molto più “amico di Putin” di Salvini, che manco lo conosce) o con Trump (chi si scandalizza per la sua telefonata a Conte dimentica 70 anni di alleanza con gli Usa e i salamelecchi di Gentiloni a The Donald) o con la Cina. Significa guardarsi dai veri nemici, distinguerli dagli amici insospettabili, parlare un linguaggio da statisti e non da asilo Mariuccia o da osteria, smetterla di fare gli struzzi per esorcizzare la dura realtà dei numeri. Cioè fare gli interessi del tanto strombazzato “popolo”.
Se Draghi avesse voluto associarsi ai giochini ributtanti della Commissione europea per rovesciare o commissariare il governo gialloverde, non gliene sarebbero mancate le occasioni. Invece ha fatto esattamente l’opposto: ha spiegato più volte che le parole, con mercati così sensibili e volubili, pesano come pietre, e che chi dall’opposizione sale nelle istituzioni dovrebbe cambiare linguaggio, perché anche le sparate degli urlatori grillo-leghisti fanno danni incalcolabili. Quanto alla manovra, non l’ha mai presa di petto, anzi ha ricordato che non è la prima volta che l’Italia o un altro governo europeo sfora i limiti fissati e si è detto favorevole a un compromesso fra Ue e Italia e persino ottimista sulla possibilità di ottenerlo. L’ha ripetuto l’altroieri (“Sono fiducioso che un accordo sarà trovato”), anche se Di Maio&C. non se ne sono accorti. Ed è arrivato a dire che allo spread contribuiscono più le uscite degli urlatori anti-euro (ormai esclusivamente leghisti, specie dopo le rassicurazioni di Conte, Tria, Di Maio e perfino Salvini sulla permanenza dell’Italia nell’eurozona) che non una manovra sul 2,4% deficit-Pil.
Tutto questo, per chi sa leggere anche quello che, per il suo ruolo, il presidente della Bce non può dire, è un assist importante al governo soprattutto ai 5Stelle. Molto diverso dalle minacce e degli ultimatum degli agonizzanti sparafucile di Bruxelles. Tradotto in soldoni: nessuno vi chiede di ritirare la manovra; potreste persino lasciarla così com’è, o quasi; purché mettiate la museruola ai vostri urlatori che regalano appigli agli speculatori, salvo poi dire che parlavano a titolo personale quando ormai il danno è fatto; perché le commissioni Ue passano, ma gli speculatori restano, ed è meglio tenerli lontani dal nostro culo. Se così stanno le cose – e abbiamo ottimi motivi per ritenere che stiano così (leggete Stefano Feltri a pag. 3), e la parte più responsabile del governo (Conte, Tria, Giorgetti, persino il vituperato Savona) l’ha capito da un pezzo – è stupefacente che Di Maio non se ne renda conto e continui a respingere la mano tesa di Draghi, accomunandolo ai rottweiler di Bruxelles e rinunciando a incunearsi fra le divisioni di chi cerca il dialogo con l’Italia e chi vuole la guerra con un occhio alle elezioni. Che Salvini giochi al “tanto peggio tanto meglio”, si è capito: il Cazzaro Verde pensa (o si illude: lo spread preoccupa anche la parte più avveduta dei suoi elettori) di lucrare più voti strillando fino a primavera che ce l’han tutti con noi.
Ma, se abbiamo capito bene, non è questa la strategia dei 5Stelle: al Circo Massimo, Di Maio e Fico hanno annunciato alleanze nel prossimo Europarlamento con tutte le forze che non si riconoscono nel decrepito fronte Ppe-Pse (attualmente al governo), né nella destra salvinian-lepeniana, né nei liberalconservatori dell’Alde (nel cui gruppo peraltro il M5S aveva provato a entrare, invano). Cosa resta? La sinistra-sinistra (che l’altroieri, con Mélenchon e altri, ha difeso la manovra italiana nell’indifferenza dei 5Stelle) e i Verdi (i più simili ai pentastellati, malgrado le diffidenze reciproche). Se non vogliono stare né con chi ha rovinato l’Europa né con chi vorrebbe distruggerla definitivamente, ma con chi vuole cambiarla seriamente, i 5Stelle dovrebbero cambiare linguaggio e uscire dall’infantilismo che ieri ha portato Di Maio a mandare a quel paese Draghi, cioè l’unica autorità europea che non fa campagna elettorale contro l’Italia e tenta, per quel che può, di aiutarla. Dargliene atto e comportarsi di conseguenza, magari iniziando a pensare a una patrimoniale, non significa ritirare o stravolgere la manovra, cedere ai diktat dell’Ue, dei mercati e dello spread, rinunciare a dialogare con la Russia (lo chiede anche Prodi, molto più “amico di Putin” di Salvini, che manco lo conosce) o con Trump (chi si scandalizza per la sua telefonata a Conte dimentica 70 anni di alleanza con gli Usa e i salamelecchi di Gentiloni a The Donald) o con la Cina. Significa guardarsi dai veri nemici, distinguerli dagli amici insospettabili, parlare un linguaggio da statisti e non da asilo Mariuccia o da osteria, smetterla di fare gli struzzi per esorcizzare la dura realtà dei numeri. Cioè fare gli interessi del tanto strombazzato “popolo”.
13.6.18
Virzì: “Amici di sinistra che avete votato M5s, prendetevi le vostre responsabilità”
Il regista: “Mi davano della Cassandra quando io dicevo ‘guardate che questi sono fascisti’. Oh, purtroppo ho avuto ragione”
David Allegranti
13 Giugno 2018
Virzì: “Amici di sinistra che avete votato M5s, prendetevi le vostre responsabilità”
Dice Paolo Virzì, regista, livornese con residenza a Roma, quindi “in esilio” come un altro livornese Simone Lenzi, di cui peraltro è amico (solo che uno sta nella Capitale l’altro, fedifrago, nel Pisano), insomma dice Paolo Virzì che aveva ragione lui. I suoi amici “de sinistra” lo sfottevano quando li metteva in guardia sui Cinque stelle: “Mi davano della Cassandra – spiega al Foglio – quando io dicevo ‘guardate che questi sono fascisti’. Oh, purtroppo ho avuto ragione: sono fascisti per davvero! Mobilitare le persone utilizzando l’odio, il disprezzo, sulla base di un mantra motivazionale – ‘non è stata colpa tua ma degli altri’ – come nei rehab per gli alcolisti anonimi. Funziona su quelle persone che si sentono tagliate fuori, escluse, fragili.
“Molti elettori del M5s sono persone che si sono sentite escluse e frustrate, scatenano la loro rabbia quando scrollano la loro timeline”
Ed è sostanzialmente una tecnica parafascista, era chiaro fin da subito. Il disprezzo per la cultura e per gli artisti sono un classico della predicazione fascista e nazista goebbelsiana. E a Grillo, che è un comico – anche se non mi fa ridere dal 1982 – ogni tanto scappa di bocca quella mezza verità propria dei giullari: ‘siamo dei nazisti light’, disse lui ridendo. Quelle tecniche di mobilitazione del consenso sono tipicamente naziste, goebbelsiane. E’ bastato sostituire gli ebrei con i negri e gli intellettuali ‘della casta’. Questa narrazione potentissima funziona, ma sono stati poco accorti ad allearsi con qualcuno più spregiudicato di loro, che va a toccare le corde del fascismo antropologico, razzista, maschilista, quello intimo e naturale degli italiani”.
Ben rappresentato, dice Virzì, dalla “miseria umana di Alessandro Di Battista, il peggior scrittore del mondo. A Hollywood danno non solo gli Oscar per i film più belli ma anche i Razzie Award per quelli più brutti. Ecco, se ne esistesse uno per la scrittura lo vincerebbe Di Battista, con la sua prosa a metà fra la retorica adolescenziale e il narcisismo patologico e mitomane, senza un briciolo di controllo, senza l’ombra di ironia, di consapevolezza del tono: il vuoto totale. Il video dove con la fidanzata annuncia la restituzione della liquidazione è un capolavoro di melensaggine fasulla, fa ridere ma mette anche i brividi per il cattivo gusto. Ecco per esempio questo signore dice che antifascismo e fascismo sono cose del passato; chi ha invece un briciolo di confidenza con la storia del nostro paese sa che il fascismo è la condizione naturale del nostro paese, ‘una malattia morale’, diceva Croce, ‘l’autobiografia di una nazione’, aggiungeva Gobetti. L’antifascismo è stato l’antidoto praticato da una minoranza virtuosa, grazie alla quale abbiamo aspirato a una possibile guarigione. I partigiani erano qualche migliaio di persone e hanno culturalmente vinto, ma non è mai stata una conquista consolidata, non siamo diventati tutti antifascisti di colpo. E’ stata l’aspirazione di essere migliori di quella cosa ridicola e tremenda che eravamo stati e che siamo. La nostra natura è fondamentalmente fascista e chi lavora con gli umori della rete lo sa bene. I dententori del sentiment della rete e chi usa le tecnologie per fare propaganda tengono bene a mente questa cosa. Roberto Saviano scrive un tweet e la gente gli risponde che deve morire o che gli devono togliere la scorta. Riflessi del nostro squadrismo naturale, direi organico e biologico”.
“Mi rivolgo a chi da sinistra li ha votati: abbiate il coraggio di dire che avevate voglia di un tocco di nuovo fascismo”
Ma tutto, ripete sempre Virzì, era chiaro fin dall’inizio. “Non c’era bisogno di Salvini che governa i traffici migratori con i tweet per accertare una cosa che era chiara fin da subito: si tratta di fascismo. E’ stato il fascismo a indebolire i corpi intermedi e a prendersela con le fasce deboli del paese. E’ stato il fascismo a mobilitare la rabbia delle persone. E’ la nostra storia. Poi, certo, ci sono elementi di cretinismo naturale. Si è avverata la profezia di Fruttero e Lucentini. La prevalenza del cretino. La rivolta del cretino che perfettamente si sposa con la mediocrità italiana. Molti elettori del M5s sono persone che si sono sentite escluse e frustrate, scatenano la loro rabbia quando scrollano la loro timeline. Sono personcine, impiegatucci, baby pensionati, falsi invalidi che non vedono l’ora di non sentirsi più in soggezione verso nessuno. Che sia Saviano o Sergio Mattarella. Ho tanti amici di sinistra che hanno votato per i Cinque stelle. Mi rivolgo a loro: abbiate il coraggio di dire che avevate voglia di fascismo; è rincuorante e galvanizza. Ha pure gli inni, le marce, le canzoncine”.
In Italia, dice Virzì, “è stato creato un racconto deformato della realtà, al quale hanno contribuito in tantissimi. Dai costituzionalisti per il No del 4 dicembre agli autorevoli commentatori del Corriere della Sera. Hanno dipinto l’Italia come una fogna. E’ stata la madre di tutte le fake news, e cioè che bastasse chiunque pur di sostituire questi ‘criminali’ e questi ‘mafiosi’ che stavano governando l’Italia. I primi risultati sono arrivati nelle realtà locali, dove sono state indebolite le istituzioni e dove hanno fatto fare un passo indietro drammatico alla cosa pubblica. Su internet gira questo video beffardo. All’inizio si vede Virginia Raggi che nel 2013 va in un parchettino vicino casa sua ed esibisce tre pezzettini di vetro e una cornice di legno, mostrandoli con dovizia di particolari. Sul finale del video si vede com’è oggi il parco, cioè una discarica, una giungla impenetrabile con sorci e vipere. Nel mio quartiere, all’Aventino, ormai la raccolta dell’immondizia la fanno i benestanti che mandano i loro camerieri a portarla via. Dove governano i Cinque stelle il servizio pubblico è insomma venuto meno. A Livorno uguale: la gente va a curarsi a Pisa. Il risultato è che sparisce il welfare, che è l’unica cosa di sinistra in questi tempi difficili. Lo stato sociale. I servizi, la scuola. Gli aiuti per gli svantaggiati. I Cinque stelle con la loro retorica gentista hanno fatto arretrare le istituzioni e il risultato è che i più poveri e i disagiati, come dicono a Livorno, ‘la pigliano ner culo’”.
Quello del M5s, dice Virzì, è “un progetto di presa del potere che ha garantito a tantissimi ragazzi un’occupazione che non avevano. Il M5s è anche una straordinaria agenzia di collocamento. Ho sentito con le mie orecchie mamme apprensive per il futuro dei loro figli zucconi a scuola, suggerire: ‘Ma perché non ti candidi con i 5 stelle? Tanto i rimborsi mica devi restituirli tutti…’. Ecco, in un paese in cui l’ascensore è bloccato questa prospettiva può essere appetitosa. Quanti sono tra consiglieri comunali, regionali e parlamentari? I Cinque stelle hanno realizzato una specie di miracolo italiano. Naturalmente a spese della verità. Per merito di una macchina formidabile, che lavora sporco grazie alle bolle consolatorie di Facebook che mettono in connessione pensionati e casalinghe disperate, e che dà la polvere agli strumenti tradizionali e di mobilitazione politica, i Cinque stelle si trovano oggi in una posizione che non meritano. E’ una commedia all’italiana: io ci vedo la rivincita e la vendetta del mediocre. L’ho visto in piccolo a Livorno: tutti quelli che andavano male a scuola improvvisamente oggi hanno delle cariche pubbliche. Il M5s è questo: è la rivincita di quelli che andavano male a scuola”.
Racconta Virzì: “I primi tempi che ho avuto a che fare con il M5s mi sembravano un movimento antiberlusconiano più radicato; dei girotondi più sboccati. Lo sentivo sui temi che mi sembrano importantissimi e riguardano l’ambiente e la sostenibilità dei processi industriali. Poi mi è capitato un episodio che mi ha turbato. Nel 2013, quando ero il direttore del Torino film festival, conferimmo il premio alla carriera a Carlo Mazzacurati. Un uomo profondo, mite, gentile. Sapevo che stava morendo di cancro e con sua moglie ci rendemmo conto che non avrebbe fatto in tempo a vedere l’uscita del nuovo film cui aveva lavorato. I Cinque stelle di Torino chiesero a Mazzacurati, come avevano già fatto con Ken Loach l’anno prima, di non ritirare il premio in solidarietà con certe proteste dei lavoratori dei servizi assunti dall’organizzazione per il festival. Da direttore assicurai la massima visibilità a quei lavoratori, che non avevano tutti i torti visto che erano sottopagati, come accade in tutti i festival. Succede a Venezia, a Cannes. A Carlo, che era una persona delicata e mi chiese cosa fare, io dissi: ‘Ci penso io a dare ascolto e palcoscenico a queste persone, ma il premio prenditelo, te lo meriti’. Ecco, un senatore del M5s ricoprì Carlo di insulti.
“Mi davano della Cassandra quando io dicevo ‘guardate che questi sono pericolosi. Purtroppo ho avuto ragione: lo sono davvero!”
E dire che era un senatore pagato dai cittadini, non un povero sfigato senza altri mezzi per farsi sentire. Mi colpì la violenza squadrista di quell’iniziativa, di un movimento all’epoca ancora minoritario. Sentii subito odore di fascismo. Era il 2013. In questi anni mi sono beccato shitstorm su internet, mi hanno bucato le gomme della bicicletta e al mercato della Garbatella con mia moglie sono stato assaltato con urlacci. C’era un loro gazebino, mi hanno urlato ‘Virzì ridacci i finanziamenti pubblici!’. Sono stati convinti dai loro spin doctor che lavorano nella comunicazione che nella sede del Pd c’è un grande ufficio dove si finanziano i film. ‘I film te li ha finanziati Renzi!’, mi gridavano. Ora, io capisco che chi è stato deluso dai partiti tradizionali, dai sindacati, ha il desiderio di una maggiore radicalità, di fare una battaglia viva e di essere rappresentato. Ma non si può non rendere conto che quella roba lì, il M5s, fa parte di un progetto di presa del potere di un’azienda, la Casaleggio Associati, che mobilita interessi non so quanto trasparenti, non respingendo le tecniche peggiori di mobilitazione del consenso attraverso odio, paura e disprezzo. Lo si è visto, appunto, nei comuni. A livello nazionale invece, siccome sono delle pippe, si fanno mangiare da una volpe arruffona di categoria B qual è Salvini. Non c’è da temere il Terzo Reich solo perché non hanno il talento per poterlo mettere in campo. Gli manca Hitler, hanno solo mediocri arrampicatori. Quindi, dico ai miei amici e compagni che per delusione hanno votato 5 stelle: svegliatevi. Prendetevi le vostre responsabilità. Non è sempre colpa degli altri, spesso è colpa nostra. Si torni a parlare la lingua della civiltà, che si contrapponga a questo fanatismo che sta devastando le persone, a questo rigurgito di fascismo e di razzismo che tira fuori il peggio della nostra antropologia. Prima ribolliva ma si vergognava di manifestarsi. Se queste persone di sinistra sono stati solo ingannati, si sfoghino con un bel pianto liberatorio, avranno la nostra comprensione. Ma se sentiremo ancora ripetere la tiritera magica che ‘è colpa del Pd, di Soros, dei signori dello spread’, allora sono corresponsabili del degrado di questo paese”. Beh, Marco Travaglio lo dice sempre che è colpa del Pd se c’è il governo Conte. “E’ una tecnica, si chiama capro espiatorio. Funziona bene. Un giorno magari riguarderemo cosa è successo negli ultimi 4 anni, dal 2014 al 2018, e forse scopriremo che avevamo il miglior governo della Repubblica italiana e che siamo riusciti – mi ci metto anche io – con il nostro fastidio e la nostra suscettibilità, a sminuirlo, ad aprire le praterie a questo nuovo nazifascismo”. Ma quindi era meglio Renzi? “I cicli politici si esauriscono ed è giusto che ci siano dei ricambi. Renzi ha avuto una stagione relativamente lunga stando ai parametri della sinistra, almeno dal post Occhetto in poi. Prima di lui, i leader non facevano in tempo a prendere confidenza con l’ufficio della segreteria che già dovevano andarsene. Renzi è insomma durato abbastanza. Ora chissà che succederà. Di fronte a questi sentimenti meschini e trogloditi, avrei voglia di essere invaso da tutti questi africani forti, giovani, temerari. Solo che purtroppo l’invasione non c’è, contrariamente a quel che dice Salvini, perché abbiamo allontanato i problemi in modo in fondo molto pragmatico e cinico, accordandoci con malviventi libici. Ma continuo a sperare in una futura invasione. Siamo diventati un popolo brutto, triste, meschino, ignorante, con un crollo demografico totale, destinato quindi a estinguersi; non resta che sperare nell’energia di questi popoli che col loro dolore e la loro forza possono solo migliorarci”.
David Allegranti
13 Giugno 2018
Virzì: “Amici di sinistra che avete votato M5s, prendetevi le vostre responsabilità”
Dice Paolo Virzì, regista, livornese con residenza a Roma, quindi “in esilio” come un altro livornese Simone Lenzi, di cui peraltro è amico (solo che uno sta nella Capitale l’altro, fedifrago, nel Pisano), insomma dice Paolo Virzì che aveva ragione lui. I suoi amici “de sinistra” lo sfottevano quando li metteva in guardia sui Cinque stelle: “Mi davano della Cassandra – spiega al Foglio – quando io dicevo ‘guardate che questi sono fascisti’. Oh, purtroppo ho avuto ragione: sono fascisti per davvero! Mobilitare le persone utilizzando l’odio, il disprezzo, sulla base di un mantra motivazionale – ‘non è stata colpa tua ma degli altri’ – come nei rehab per gli alcolisti anonimi. Funziona su quelle persone che si sentono tagliate fuori, escluse, fragili.







“I cinque stelle si trovano in una posizione che non meritano. E’ una commedia: io ci vedo la rivincita e la vendetta di una società mediocre”
Quello del M5s, dice Virzì, è “un progetto di presa del potere che ha garantito a tantissimi ragazzi un’occupazione che non avevano. Il M5s è anche una straordinaria agenzia di collocamento. Ho sentito con le mie orecchie mamme apprensive per il futuro dei loro figli zucconi a scuola, suggerire: ‘Ma perché non ti candidi con i 5 stelle? Tanto i rimborsi mica devi restituirli tutti…’. Ecco, in un paese in cui l’ascensore è bloccato questa prospettiva può essere appetitosa. Quanti sono tra consiglieri comunali, regionali e parlamentari? I Cinque stelle hanno realizzato una specie di miracolo italiano. Naturalmente a spese della verità. Per merito di una macchina formidabile, che lavora sporco grazie alle bolle consolatorie di Facebook che mettono in connessione pensionati e casalinghe disperate, e che dà la polvere agli strumenti tradizionali e di mobilitazione politica, i Cinque stelle si trovano oggi in una posizione che non meritano. E’ una commedia all’italiana: io ci vedo la rivincita e la vendetta del mediocre. L’ho visto in piccolo a Livorno: tutti quelli che andavano male a scuola improvvisamente oggi hanno delle cariche pubbliche. Il M5s è questo: è la rivincita di quelli che andavano male a scuola”.
Racconta Virzì: “I primi tempi che ho avuto a che fare con il M5s mi sembravano un movimento antiberlusconiano più radicato; dei girotondi più sboccati. Lo sentivo sui temi che mi sembrano importantissimi e riguardano l’ambiente e la sostenibilità dei processi industriali. Poi mi è capitato un episodio che mi ha turbato. Nel 2013, quando ero il direttore del Torino film festival, conferimmo il premio alla carriera a Carlo Mazzacurati. Un uomo profondo, mite, gentile. Sapevo che stava morendo di cancro e con sua moglie ci rendemmo conto che non avrebbe fatto in tempo a vedere l’uscita del nuovo film cui aveva lavorato. I Cinque stelle di Torino chiesero a Mazzacurati, come avevano già fatto con Ken Loach l’anno prima, di non ritirare il premio in solidarietà con certe proteste dei lavoratori dei servizi assunti dall’organizzazione per il festival. Da direttore assicurai la massima visibilità a quei lavoratori, che non avevano tutti i torti visto che erano sottopagati, come accade in tutti i festival. Succede a Venezia, a Cannes. A Carlo, che era una persona delicata e mi chiese cosa fare, io dissi: ‘Ci penso io a dare ascolto e palcoscenico a queste persone, ma il premio prenditelo, te lo meriti’. Ecco, un senatore del M5s ricoprì Carlo di insulti.


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18.2.16
L’intervista, parla Cirinnà: «Sto pagando le ripicche fatte da certi renziani che volevano un premietto»
La senatrice: si aspettavano un posto, magari da sottosegretario
di Fabrizio Roncone
Come sta, come si sente, senatrice Cirinnà?
«Come mi sento? Sono amareggiata, delusa… e anche un po’ stanca».
di Fabrizio Roncone
Come sta, come si sente, senatrice Cirinnà?
«Come mi sento? Sono amareggiata, delusa… e anche un po’ stanca».
Tra l’altro, nel suo partito, il Pd, soffiano contro di lei, tira una brutta aria.
«Mhmm… Cioè?».
«Mhmm… Cioè?».
Dicono che ha sbagliato a fidarsi così tanto del Movimento 5 Stelle.
«No no, aspetti… Sa, in tutta questa brutta storia, cosa pago davvero io? Pago la lotta, la guerra profonda che c’è tra i renziani… Una cosa tremenda… No, dico: ma ha visto come s’è comportata con me la Di Giorgi? Guardi che lei è una renzianissima della prim’ora, stava a Firenze con Renzi… Eppure…».
«No no, aspetti… Sa, in tutta questa brutta storia, cosa pago davvero io? Pago la lotta, la guerra profonda che c’è tra i renziani… Una cosa tremenda… No, dico: ma ha visto come s’è comportata con me la Di Giorgi? Guardi che lei è una renzianissima della prim’ora, stava a Firenze con Renzi… Eppure…».
Continui.
«Beh, sì, insomma: così accanita, così spietata contro il mio Ddl…».
«Beh, sì, insomma: così accanita, così spietata contro il mio Ddl…».
E cosa avrebbe scatenato tante tensioni tra i renziani?
«La verità è che io pago le delusioni di molti… Ecco, sì».
«La verità è che io pago le delusioni di molti… Ecco, sì».
Non capisco: le delusioni rispetto a cosa?
«Ma come rispetto a cosa? Pago le delusioni di chi, e sono tanti, nutriva forti aspettative nell’ultimo rimpasto di governo… Stavano tutti lì ad aspettare il premietto, una promozione… Chi voleva guidare una commissione, chi avrebbe voluto diventare sottosegretario… E allora sono scattate volgari ripicche, atteggiamenti assolutamente disgustosi sia in Aula che fuori».
«Ma come rispetto a cosa? Pago le delusioni di chi, e sono tanti, nutriva forti aspettative nell’ultimo rimpasto di governo… Stavano tutti lì ad aspettare il premietto, una promozione… Chi voleva guidare una commissione, chi avrebbe voluto diventare sottosegretario… E allora sono scattate volgari ripicche, atteggiamenti assolutamente disgustosi sia in Aula che fuori».
Però anche alcuni suoi compagni di partito che provengono dal vecchio Pci, le hanno dimostrato una certa ostilità.
«Ma no, lasci stare. Uno come Migliavacca, ne sono sicura, mi avrebbe votato completamente tutto il “canguro”. E anche Sposetti… Uno molto rigido come lui, alla fine, davanti ad una legge così importante per il Paese, sono certa che non si sarebbe tirato indietro. Mi creda: pago le porcate che mi hanno fatto i renziani in guerra… contro i quali, come s’è visto, ho potuto purtroppo fare poco».
«Ma no, lasci stare. Uno come Migliavacca, ne sono sicura, mi avrebbe votato completamente tutto il “canguro”. E anche Sposetti… Uno molto rigido come lui, alla fine, davanti ad una legge così importante per il Paese, sono certa che non si sarebbe tirato indietro. Mi creda: pago le porcate che mi hanno fatto i renziani in guerra… contro i quali, come s’è visto, ho potuto purtroppo fare poco».
(Stiamo
parlando nel salone Garibaldi, il transatlantico di Palazzo Madama. È
in corso la riunione dei capigruppo che deciderà di far slittare di una
settimana la discussione sul ddl per le unioni civili: e la senatrice
Monica Cirinnà è qui, circondata dai rappresentanti della galassia
LGBT-Lesbiche Gay Bisessuali Transgender, che sono venuti a chiederle
cosa sia realmente accaduto in aula poche ora fa e che tra un po’,
davanti alla buvette, ingaggeranno un coraggioso confronto con la
grillina Paola Taverna. «A bbbello! Io le cosette che nun so’
democratiche… nun le votoooo! Io nell’incostituzionale nun ce scivolo».)
Senatrice Cirinnà, gira voce che lei
abbia ricevuto sul telefonino addirittura degli sms da parte di
esponenti del M5S, i quali le confermavano il totale appoggio in aula…
«Sì. Purtroppo, è così. Si sono rimangiati tutto: non hanno avuto un filo di vergogna, di imbarazzo... Ma che modo di fare politica è?».
«Sì. Purtroppo, è così. Si sono rimangiati tutto: non hanno avuto un filo di vergogna, di imbarazzo... Ma che modo di fare politica è?».
Le ha scritto anche il grillino Alberto
Airola, quello che poi ha preso la parola in aula, definendo
inaccettabile l’idea di votare il cosiddetto canguro-Marcucci?
«Sì: pure Airola mi aveva spedito un sms, assicurandomi il suo sostegno. Che roba… Che roba… Comunque, sia chiaro: io mi prendo tutta la responsabilità di essermi fidata del M5S! Tutta ma proprio tutta… Chiudo la mia carriera politica con questo scivolone…». (poi, nel pomeriggio, preciserà: «Ma no, certo che non l’abbandono il campo di battaglia»)
«Sì: pure Airola mi aveva spedito un sms, assicurandomi il suo sostegno. Che roba… Che roba… Comunque, sia chiaro: io mi prendo tutta la responsabilità di essermi fidata del M5S! Tutta ma proprio tutta… Chiudo la mia carriera politica con questo scivolone…». (poi, nel pomeriggio, preciserà: «Ma no, certo che non l’abbandono il campo di battaglia»)
Dicono che lei…
«No, aspetti: io mi prendo tutte le responsabilità, ma se qualcuno ha qualcosa da dire sul testo del Ddl 20/81, si deve sapere da chi e come è stato scritto. Eravamo in tre: io e i senatori Giuseppe Lumia e Giorgio Tonini, nell’ufficio di Giorgio. E lì abbiamo finito di limare il testo, sui cui contenuti tutto il gruppo del Pd s’era impegnato. E s’era impegnato, diciamolo, perché le unioni civili e le adozioni sono nel programma elettorale del partito».
«No, aspetti: io mi prendo tutte le responsabilità, ma se qualcuno ha qualcosa da dire sul testo del Ddl 20/81, si deve sapere da chi e come è stato scritto. Eravamo in tre: io e i senatori Giuseppe Lumia e Giorgio Tonini, nell’ufficio di Giorgio. E lì abbiamo finito di limare il testo, sui cui contenuti tutto il gruppo del Pd s’era impegnato. E s’era impegnato, diciamolo, perché le unioni civili e le adozioni sono nel programma elettorale del partito».
Ora cosa può accadere?
«Mi pare evidente che il testo non sia più centrale, è chiaro che ci sono pesantissime questioni politiche da risolvere e comunque io non lascio il mio nome su una legge schifezza».
«Mi pare evidente che il testo non sia più centrale, è chiaro che ci sono pesantissime questioni politiche da risolvere e comunque io non lascio il mio nome su una legge schifezza».
Il Pd potrebbe tentare di ricucire con il Movimento 5 Stelle?
«Ricucire? No, mi ascolti bene: io ho un brutto carattere. E se qualcuno mi fa una storta, non gli parlo proprio più».
«Ricucire? No, mi ascolti bene: io ho un brutto carattere. E se qualcuno mi fa una storta, non gli parlo proprio più».
(I
romani usano la parola “storta” in modo abbastanza intraducibile: è
qualcosa che sta a metà tra la scorrettezza e la mascalzonata. Alla
senatrice la parola scappa perché è nata a Roma 53 anni fa: e perché ci
mette passione. Da sempre. Vent’anni in consiglio comunale, al
Campidoglio: prima con i Verdi, poi con il Pd; battaglie politiche su
temi forti: la tutela delle donne, il rispetto dell’ambiente, la difesa
degli animali. Sposata con Esterino Montino, potente esponente del Pd
romano ed ora sindaco di Fiumicino, vivono in una specie di fattoria con
quattro cani, quattro gatti, due cavalle e una famigliola di asini.
«Pensi il destino: io, una che ha passato una vita a difendere gli
animali, mi ritrovo a dipendere da un canguro…»).
11.2.16
La “struttura delta” della Casaleggio. Ecco tutti i nomi e come funziona
Dal contratto imposto al M5S Roma fino alle webstar politiche: come l’azienda guadagna
Jacopo Iacoboni
Diciamo che è la struttura delta della Casaleggio, uno staff nello staff. Al punto 4a del «contratto» con il candidato sindaco del M5S a Roma, Gianroberto Casaleggio ha inserito una delle clausole più importanti, che possono passare inosservate: «Lo strumento per la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini è il sito beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma». Tradotto, tutto il traffico - anche video e social - deve passare dal blog. Ma chi gestisce in concreto questa “struttura” alla Casaleggio associati?
La Stampa è in grado di raccontarlo millimetricamente. Mentre Grillo parla di «Rai fascista», la Casaleggio guadagna dai video di Rai, La7 e Mediaset, con un sistema semplice e perfettamente legale. Prima cosa: ancor prima del boom del M5S, la Casaleggio ha costruito una quindicina di - chiamiamole così - webstar, da Di Battista a Fico, gente con un milione di iscritti su facebook, che è tenuta a concedere di pubblicare ogni proprio video sul sito di Grillo. Se Dibba fa una performance dalla Gruber, la deve mettere sul sito di Casaleggio. I video non vengono caricati su youtube (che non accetta caricamenti con monetizzazione di video protetti da copyright), ma su un altro servizio di cloud storage di video, che non ha evidentemente ancora stipulato accordi con le tv italiane e le società di produzione. A questo servizio la Casaleggio paga una quota per ricevere in cambio dei ritorni pubblicitari dagli spot che partono prima del video, e dai banner (attraverso Adwords o altre piattaforme di monetizzazione pubblicitaria). Per ogni video caricato e visto la Casaleggio incassa in percentuale una quota stimabile fino ai mille euro e oltre per ogni video visualizzato almeno centomila volte (dati variabili). Cosa che a suo tempo fece infuriare moltissimi parlamentari M5S, che però non hanno mai avuto la forza di stoppare questo meccanismo.
Alla Casaleggio tre persone hanno tenuto in mano operativamente la cosa, nel corso di questi anni in varie fasi: Pietro Dettori, che gestisce anche gli account twitter di Grillo, e molto spesso è autore materiale dei post (Grillo incredibilmente lascia fare anche quando poco o nulla sa di ciò che viene scritto, anche delle uscite più tremende), figlio di un imprenditore sardo legato in precedenza a Casaleggio. Biagio Simonetta, un giornalista, esperto di new media. Marcello Accanto, un social media manager. E, ultima entry, Cristina Belotti, che si occupa della tv La Cosa, una bella ragazza cresciuta curiosamente alla più pura scuola del centrodestra milanese, la scuola di Paolo Del Debbio - lavorava nella redazione del suo programma - e arrivata alla Casaleggio attraverso il network dei fratelli Pittarello; soprattutto Matteo, fratello di Filippo, storico braccio destro di Casaleggio, un passato anche da boy scout. Belotti è diventata collaboratrice di Luca Eleuteri, uno dei soci della Casaleggio (l’altro è Mario Bucchich; da non molto si sono aggiunti il programmatore storico della Casaleggio, Marco Maiocchi, e un uomo di marketing che collaborava con Casaleggio già in Webegg, Maurizio Benzi).
I tre che gestiscono il blog e le pagine social della galassia Casaleggio controllano tutto il giorno il trend di viralità dei contenuti pubblicati, attraverso le analisi comparate dei dati (usano insights di facebook e Google analytics). Con l’incrocio semplicissimo di questi due strumenti, sanno in ogni momento quanto stanno guadagnando. Le webstar politiche fanno fare soldi all’azienda. Un berlusconismo 2.0.
C’è però un’altra cosa in cui i «ragazzi» eccellono, e Dettori è bravissimo, la profilazione. È un loro divertimento sapere: chi si collega a un video, da dove, con quale software, quale browser, qual è la sua età e i suoi interessi. Non è proprio The Circle di Dave Eggers - l’azienda è troppo piccola; quello è il sogno.
Jacopo Iacoboni
Diciamo che è la struttura delta della Casaleggio, uno staff nello staff. Al punto 4a del «contratto» con il candidato sindaco del M5S a Roma, Gianroberto Casaleggio ha inserito una delle clausole più importanti, che possono passare inosservate: «Lo strumento per la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini è il sito beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma». Tradotto, tutto il traffico - anche video e social - deve passare dal blog. Ma chi gestisce in concreto questa “struttura” alla Casaleggio associati?
La Stampa è in grado di raccontarlo millimetricamente. Mentre Grillo parla di «Rai fascista», la Casaleggio guadagna dai video di Rai, La7 e Mediaset, con un sistema semplice e perfettamente legale. Prima cosa: ancor prima del boom del M5S, la Casaleggio ha costruito una quindicina di - chiamiamole così - webstar, da Di Battista a Fico, gente con un milione di iscritti su facebook, che è tenuta a concedere di pubblicare ogni proprio video sul sito di Grillo. Se Dibba fa una performance dalla Gruber, la deve mettere sul sito di Casaleggio. I video non vengono caricati su youtube (che non accetta caricamenti con monetizzazione di video protetti da copyright), ma su un altro servizio di cloud storage di video, che non ha evidentemente ancora stipulato accordi con le tv italiane e le società di produzione. A questo servizio la Casaleggio paga una quota per ricevere in cambio dei ritorni pubblicitari dagli spot che partono prima del video, e dai banner (attraverso Adwords o altre piattaforme di monetizzazione pubblicitaria). Per ogni video caricato e visto la Casaleggio incassa in percentuale una quota stimabile fino ai mille euro e oltre per ogni video visualizzato almeno centomila volte (dati variabili). Cosa che a suo tempo fece infuriare moltissimi parlamentari M5S, che però non hanno mai avuto la forza di stoppare questo meccanismo.
Alla Casaleggio tre persone hanno tenuto in mano operativamente la cosa, nel corso di questi anni in varie fasi: Pietro Dettori, che gestisce anche gli account twitter di Grillo, e molto spesso è autore materiale dei post (Grillo incredibilmente lascia fare anche quando poco o nulla sa di ciò che viene scritto, anche delle uscite più tremende), figlio di un imprenditore sardo legato in precedenza a Casaleggio. Biagio Simonetta, un giornalista, esperto di new media. Marcello Accanto, un social media manager. E, ultima entry, Cristina Belotti, che si occupa della tv La Cosa, una bella ragazza cresciuta curiosamente alla più pura scuola del centrodestra milanese, la scuola di Paolo Del Debbio - lavorava nella redazione del suo programma - e arrivata alla Casaleggio attraverso il network dei fratelli Pittarello; soprattutto Matteo, fratello di Filippo, storico braccio destro di Casaleggio, un passato anche da boy scout. Belotti è diventata collaboratrice di Luca Eleuteri, uno dei soci della Casaleggio (l’altro è Mario Bucchich; da non molto si sono aggiunti il programmatore storico della Casaleggio, Marco Maiocchi, e un uomo di marketing che collaborava con Casaleggio già in Webegg, Maurizio Benzi).
I tre che gestiscono il blog e le pagine social della galassia Casaleggio controllano tutto il giorno il trend di viralità dei contenuti pubblicati, attraverso le analisi comparate dei dati (usano insights di facebook e Google analytics). Con l’incrocio semplicissimo di questi due strumenti, sanno in ogni momento quanto stanno guadagnando. Le webstar politiche fanno fare soldi all’azienda. Un berlusconismo 2.0.
C’è però un’altra cosa in cui i «ragazzi» eccellono, e Dettori è bravissimo, la profilazione. È un loro divertimento sapere: chi si collega a un video, da dove, con quale software, quale browser, qual è la sua età e i suoi interessi. Non è proprio The Circle di Dave Eggers - l’azienda è troppo piccola; quello è il sogno.
4.11.14
Come cambia il debito pubblico #fuoridalleuro (Signori "venghino! venghino!" ad ammirare la strabiliante esibizione del mago Grillo per far sparire lo spread)
(dal Blog di Beppe Grillo)
Come cambia il debito pubblico #fuoridalleuro

"Il debito pubblico è una sorta di mito, su di esso girano voci, falsità, mezze verità. Questa percezione sfumata, inafferrabile, fa del debito pubblico uno strumento molto utile nelle mani di chi governa. Non appena un'opposizione in parlamento o nella società alza la testa contro la deriva neoliberista dell'Europa e dell'Italia viene sventolato ad arte il ricatto del debito pubblico. Si invoca una situazione di emergenza, lo spread che potrebbe tornare ad alzarsi, la mancanza di soldi, la sfiducia del Dio Mercato sui titoli di Stato...
Sul debito pubblico, quindi, va fatta chiarezza. Prima di poter deliberare bisogna conoscere, e l'obiettivo del M5S è che non vi siano più miti e superstizioni di fronte alle quali il cittadino si sente troppo debole per poter decidere.
Sul debito pubblico, quindi, va fatta chiarezza. Prima di poter deliberare bisogna conoscere, e l'obiettivo del M5S è che non vi siano più miti e superstizioni di fronte alle quali il cittadino si sente troppo debole per poter decidere.
A chi e a cosa serve il debito pubblico?
Allo Stato per finanziare la spesa pubblica non coperta dalle tasse dei suoi cittadini. In altre parole, quando lo Stato spende a deficit (spesa > tasse) chiede in prestito i soldi che le tasse non forniscono.
Cos'è e come funziona il debito pubblico?
Lo Stato si finanzia emettendo dei titoli di debito a diversa scadenza (Bot, Cct, Btpnel caso italiano). I risparmiatori che vogliano farlo, siano essi nazionali o esteri, comprano questi titoli di debito, finanziando lo Stato che li ha emessi. Alla scadenza dei titoli, lo Stato ha l'obbligo di restituire al creditore la somma presa in prestito, mentre durante il periodo di prestito lo Stato eroga al creditore gli interessi. Alla fine dei giochi il creditore che ha prestato 100 si vedrà restituito 100 più il tasso di interesse del titolo di debito che ha acquistato.
Il vero problema, quindi, sono gli interessi. Se questi aumentano troppo, una quota sempre maggiore di spesa pubblica dovrà essere dedicata ogni anno al loro pagamento.
I tassi di interesse aumentano quando lo Stato non riesce a vendere tutti i titoli che mette all'asta e quindi deve aumentare il loro rendimento per attrarre investitori, oppure quando i titoli di Stato vengono venduti in massa da chi li ha comprati, di solito per mancanza di fiducia circa la loro restituzione. Il costo del debito dipende quindi dalla fiducia che hanno i risparmiatori nei confronti dello Stato debitore.
Sarà ovvio, a questo punto, che possedere o meno la propria moneta fa per lo Stato, e per i suoi cittadini, tutta la differenza del mondo. L'Italia non può creare l'euro, ma poteva creare la lira.
Se lo Stato può creare la moneta con la quale deve ripagare il suo debito, può SEMPRE garantire il pagamento dei titoli di Stato che ha venduto. Se invece non può emettere la moneta deve procurarsela centesimo per centesimo per ripagare i titoli e gli interessi. Per farlo dovrà tassare ancor più i cittadini, tagliare la spesa produttiva e indebitarsi ancora. È il paradosso del debito che ripaga altro debito e si moltiplica su se stesso. Un circolo vizioso che parte dalla mancata sovranità monetaria.
I creditori avranno più fiducia in uno Stato sovrano della sua moneta, o in uno Stato che deve procurarsela tartassando i suoi cittadini? Per rispondere, basta vedere la dinamica del rapporto debito/Pil dal 1981, quando alla nostra Banca d'Italia è stato impedito di creare la lira per comprare i titoli di Stato invenduti sul mercato. Da quel momento i tassi di interesse sono esplosi e il debito è raddoppiato nel giro di 10 anni. L'euro è solo l'ultimo atto della spoliazione di sovranità monetaria dell'Italia iniziata con il "divorzio" tra Tesoro e Banca d'Italia del 1981.
Dobbiamo uscire da questa gabbia al più presto, riprenderci il controllo della nostra Banca d'Italia, permettendo ad essa se necessario di emettere moneta, abbattere gli interessi e aumentare la liquidità nell'economia reale. Liberarsi dal ricatto dei mercati è più semplice di quello che sembra.
Il debito pubblico denominato nella moneta di Stato può essere gestito virtuosamente e diventare la ricchezza dei cittadini, finanziando opere strategiche, settori ad alta occupazione, Stato sociale, istruzione, ricerca e scuola. È un debito che si ripaga da sé con la crescita del Pil, dell'occupazione e del gettito fiscale.
Se l'Italia uscisse dall'euro, moneta di fatto straniera, circa il 94% del suo debito pubblico sarebbe ridenominato in lire e lo spread tornerebbe nel dimenticatoio.
Fuori dall'euro per realizzare insieme l'Italia a 5 stelle!" M5S Senato
Il vero problema, quindi, sono gli interessi. Se questi aumentano troppo, una quota sempre maggiore di spesa pubblica dovrà essere dedicata ogni anno al loro pagamento.
I tassi di interesse aumentano quando lo Stato non riesce a vendere tutti i titoli che mette all'asta e quindi deve aumentare il loro rendimento per attrarre investitori, oppure quando i titoli di Stato vengono venduti in massa da chi li ha comprati, di solito per mancanza di fiducia circa la loro restituzione. Il costo del debito dipende quindi dalla fiducia che hanno i risparmiatori nei confronti dello Stato debitore.
Sarà ovvio, a questo punto, che possedere o meno la propria moneta fa per lo Stato, e per i suoi cittadini, tutta la differenza del mondo. L'Italia non può creare l'euro, ma poteva creare la lira.
Se lo Stato può creare la moneta con la quale deve ripagare il suo debito, può SEMPRE garantire il pagamento dei titoli di Stato che ha venduto. Se invece non può emettere la moneta deve procurarsela centesimo per centesimo per ripagare i titoli e gli interessi. Per farlo dovrà tassare ancor più i cittadini, tagliare la spesa produttiva e indebitarsi ancora. È il paradosso del debito che ripaga altro debito e si moltiplica su se stesso. Un circolo vizioso che parte dalla mancata sovranità monetaria.
I creditori avranno più fiducia in uno Stato sovrano della sua moneta, o in uno Stato che deve procurarsela tartassando i suoi cittadini? Per rispondere, basta vedere la dinamica del rapporto debito/Pil dal 1981, quando alla nostra Banca d'Italia è stato impedito di creare la lira per comprare i titoli di Stato invenduti sul mercato. Da quel momento i tassi di interesse sono esplosi e il debito è raddoppiato nel giro di 10 anni. L'euro è solo l'ultimo atto della spoliazione di sovranità monetaria dell'Italia iniziata con il "divorzio" tra Tesoro e Banca d'Italia del 1981.
Dobbiamo uscire da questa gabbia al più presto, riprenderci il controllo della nostra Banca d'Italia, permettendo ad essa se necessario di emettere moneta, abbattere gli interessi e aumentare la liquidità nell'economia reale. Liberarsi dal ricatto dei mercati è più semplice di quello che sembra.
Il debito pubblico denominato nella moneta di Stato può essere gestito virtuosamente e diventare la ricchezza dei cittadini, finanziando opere strategiche, settori ad alta occupazione, Stato sociale, istruzione, ricerca e scuola. È un debito che si ripaga da sé con la crescita del Pil, dell'occupazione e del gettito fiscale.
Se l'Italia uscisse dall'euro, moneta di fatto straniera, circa il 94% del suo debito pubblico sarebbe ridenominato in lire e lo spread tornerebbe nel dimenticatoio.
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21.4.13
Re Giorgio II
Paolo Becchi (grillo.it)
“Cerchiamo anzitutto di riassumere quanto è accaduto negli ultimi mesi. Il successo elettorale conseguito dal MoVimento 5 Stelle è andato al di là di ogni realistica previsione: 163 parlamentari per una nuova forza politica rappresentano di per sé una vittoria. Il MoVimento avrebbe voluto cominciare a lavorare seriamente nel Parlamento, ma questo non è stato possibile. Si è tentato di costringerlo a un voto di fiducia ad un governo a guida Bersani che con il senno di poi avrebbe implicato lo strangolamento dello stesso MoVimento. Il PD era già sull’orlo del precipizio e il MoVimento sarebbe finito nel baratro insieme a lui. Ecco perché la linea di non accettare l’accordo, un accordo finto perché mirante soltanto agli interessi del PD, era del tutto condivisibile. Tuttavia si sarebbe potuto cominciare a operare e lavorare costruttivamente nel Parlamento e invece si è voluto impedire il funzionamento di quello che è il cuore della nostra democrazia. E così un movimento che mira alla democrazia diretta ha dovuto farsi paladino della stessa democrazia rappresentativa tradita dagli altri partiti. La crisi continuava e si avvitava su se stessa. Il governo era in carica, ma il Parlamento paralizzato. Tutto nell’attesa del nuovo Presidente della Repubblica e del conferimento di un nuovo incarico di governo. Alle Quirinarie il MoVimento ha votato con il cuore e con la testa, proponendo come primi tre nomi una donna, Milena Gabanelli, e un uomo, Gino Strada, della società civile e un giurista di caratura internazionale, Stefano Rodotà. Alla fine dopo la rinuncia dei primi due candidati è subentrato il terzo, una delle figure più autorevoli della cultura giuridica nel nostro paese e che pur nella sua indipendenza (è stato un tempo uno degli indipendenti di sinistra) ha sempre appartenuto alla sinistra. Sembrava quasi naturale che un partito sedicente di sinistra potesse convergere su questo nome. Un uomo di quella levatura giuridica sarebbe stato comunque il garante di tutti e avrebbe svolto la sua funzione di super partes, fondamentale per un Presidente della Repubblica. E invece hanno offerto al popolo italiano uno spettacolo indecoroso e, diciamolo pure, mortificante per le persone che sono state mandate al massacro: prima Marini e poi Prodi. A questo punto non restava altro che constatare la completa dissoluzione, liquefazione di un partito, quello democratico, che sin dal suo inizio era attraversato da latenti contraddizioni. Su questo deserto non c’era altra via per ricompattare quel che restava della partitocrazia che recuperare Re Giorgio. Ma cosa è avvenuto nella votazione di ieri sera? Suscitando lo sdegno di tutti ieri Beppe Grillo ha parlato di un “colpo di Stato, che avviene furbescamente con l’utilizzo di meccanismi istituzionali“. Si tratta di un’affermazione che può sembrare del tutto inadeguata e addirittura pericolosa, così la giudica infatti tutta la stampa unanime, perché quando si parla di golpe siamo abituati a pensare a un colpo militare, a un cosiddetto pronunciamiento, per usare l’espressione della tradizione spagnola. Esistono tuttaviasvariate tecniche del colpo di Stato, come già aveva mostrato Curzio Malaparte nel suo saggio del 1931. Quello classico fu attuato da Luigi Bonaparte nel 1851 quando diede il colpo di grazia a quella Repubblica di cui lui stesso era Presidente per riuscire a farsi proclamare Imperatore di Francia. La cosa è ben descritta in un celebre saggio di Karl Marx del 1852, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Ci fu in quel caso una violazione dell’assetto costituzionale esistente e un suo mutamento: il Presidente divenne Imperatore dei francesi. Non è quello che è avvenuto ieri in Italia. Il Presidente è restato Presidente, non è stato incoronato Imperatore, ma è il primo Presidente della storia repubblicana ad assumere due mandati contro quella che era sino ad oggi una consuetudine costituzionale, quella cioè contraria ad una rielezione del Presidente della Repubblica. Inoltre è il primo Presidente della Repubblica ad essere applaudito in Parlamento, ma oggetto di una sollevazione popolare nelle piazze d’Italia. Il Coup d’État per Gabriel Naudé, che per primo se ne occupò nel 1639 nelle sue Considérations politiques sur le Coup d’État, ha le più svariate caratteristiche e tende pure a confondersi con la “ragion di Stato”. Ebbene è proprio questa ragion di Stato che ci ha consegnato ieri la rielezione di Napolitano.
Lo stesso Napolitano d’altro canto qualche mese fa aveva messo in evidenza i rischi per la democrazia di un suo secondo mandato. Riportiamo qui integralmente il testo di una lettera scritta da lui al quotidiano, oggi non più esistente, “Pubblico” e pubblicata il 28 settembre 2012: “Caro direttore, Le scrivo per sgomberare – spero definitivamente – il campo da ogni ipotesi di ‘Napolitano bis’. Non è solo un problema di indisponibilità personale, facilmente intuibile, da me ribadita più volte pubblicamente. La mia è soprattutto una ferma e insuperabile contrarietà che deriva dal profondo convincimento istituzionale che il mandato (già di lunga durata) di Presidente della Repubblica, proprio per il suo carattere di massima garanzia costituzionale, non si presti a un rinnovo comunque motivato. Né tantomeno a una qualche anomala proroga.”. Evidentemente Napolitano ci ha ripensato. La vecchia stagione del compromesso storico doveva concludersi con un inciucio storico ed è per questo, contraddicendo quanto da lui stesso affermato, che alla fine ha accettato il secondo mandato.
Non vi è dubbio che tutto sia avvenuto ancora una volta nel solco della legalità, ma la legalità in questo caso è diventata un’arma contundente con la quale si è voluto colpire il popolo italiano. I partiti moribondi hanno ricevuto una boccata di ossigeno, ma avranno ancora qualche mese, al massimo un anno di vita, non di più, perché il virus del MoVimeno ha ormai infettato il loro corpo e non si riuscirà più a debellarlo.”
“Cerchiamo anzitutto di riassumere quanto è accaduto negli ultimi mesi. Il successo elettorale conseguito dal MoVimento 5 Stelle è andato al di là di ogni realistica previsione: 163 parlamentari per una nuova forza politica rappresentano di per sé una vittoria. Il MoVimento avrebbe voluto cominciare a lavorare seriamente nel Parlamento, ma questo non è stato possibile. Si è tentato di costringerlo a un voto di fiducia ad un governo a guida Bersani che con il senno di poi avrebbe implicato lo strangolamento dello stesso MoVimento. Il PD era già sull’orlo del precipizio e il MoVimento sarebbe finito nel baratro insieme a lui. Ecco perché la linea di non accettare l’accordo, un accordo finto perché mirante soltanto agli interessi del PD, era del tutto condivisibile. Tuttavia si sarebbe potuto cominciare a operare e lavorare costruttivamente nel Parlamento e invece si è voluto impedire il funzionamento di quello che è il cuore della nostra democrazia. E così un movimento che mira alla democrazia diretta ha dovuto farsi paladino della stessa democrazia rappresentativa tradita dagli altri partiti. La crisi continuava e si avvitava su se stessa. Il governo era in carica, ma il Parlamento paralizzato. Tutto nell’attesa del nuovo Presidente della Repubblica e del conferimento di un nuovo incarico di governo. Alle Quirinarie il MoVimento ha votato con il cuore e con la testa, proponendo come primi tre nomi una donna, Milena Gabanelli, e un uomo, Gino Strada, della società civile e un giurista di caratura internazionale, Stefano Rodotà. Alla fine dopo la rinuncia dei primi due candidati è subentrato il terzo, una delle figure più autorevoli della cultura giuridica nel nostro paese e che pur nella sua indipendenza (è stato un tempo uno degli indipendenti di sinistra) ha sempre appartenuto alla sinistra. Sembrava quasi naturale che un partito sedicente di sinistra potesse convergere su questo nome. Un uomo di quella levatura giuridica sarebbe stato comunque il garante di tutti e avrebbe svolto la sua funzione di super partes, fondamentale per un Presidente della Repubblica. E invece hanno offerto al popolo italiano uno spettacolo indecoroso e, diciamolo pure, mortificante per le persone che sono state mandate al massacro: prima Marini e poi Prodi. A questo punto non restava altro che constatare la completa dissoluzione, liquefazione di un partito, quello democratico, che sin dal suo inizio era attraversato da latenti contraddizioni. Su questo deserto non c’era altra via per ricompattare quel che restava della partitocrazia che recuperare Re Giorgio. Ma cosa è avvenuto nella votazione di ieri sera? Suscitando lo sdegno di tutti ieri Beppe Grillo ha parlato di un “colpo di Stato, che avviene furbescamente con l’utilizzo di meccanismi istituzionali“. Si tratta di un’affermazione che può sembrare del tutto inadeguata e addirittura pericolosa, così la giudica infatti tutta la stampa unanime, perché quando si parla di golpe siamo abituati a pensare a un colpo militare, a un cosiddetto pronunciamiento, per usare l’espressione della tradizione spagnola. Esistono tuttaviasvariate tecniche del colpo di Stato, come già aveva mostrato Curzio Malaparte nel suo saggio del 1931. Quello classico fu attuato da Luigi Bonaparte nel 1851 quando diede il colpo di grazia a quella Repubblica di cui lui stesso era Presidente per riuscire a farsi proclamare Imperatore di Francia. La cosa è ben descritta in un celebre saggio di Karl Marx del 1852, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Ci fu in quel caso una violazione dell’assetto costituzionale esistente e un suo mutamento: il Presidente divenne Imperatore dei francesi. Non è quello che è avvenuto ieri in Italia. Il Presidente è restato Presidente, non è stato incoronato Imperatore, ma è il primo Presidente della storia repubblicana ad assumere due mandati contro quella che era sino ad oggi una consuetudine costituzionale, quella cioè contraria ad una rielezione del Presidente della Repubblica. Inoltre è il primo Presidente della Repubblica ad essere applaudito in Parlamento, ma oggetto di una sollevazione popolare nelle piazze d’Italia. Il Coup d’État per Gabriel Naudé, che per primo se ne occupò nel 1639 nelle sue Considérations politiques sur le Coup d’État, ha le più svariate caratteristiche e tende pure a confondersi con la “ragion di Stato”. Ebbene è proprio questa ragion di Stato che ci ha consegnato ieri la rielezione di Napolitano.
Lo stesso Napolitano d’altro canto qualche mese fa aveva messo in evidenza i rischi per la democrazia di un suo secondo mandato. Riportiamo qui integralmente il testo di una lettera scritta da lui al quotidiano, oggi non più esistente, “Pubblico” e pubblicata il 28 settembre 2012: “Caro direttore, Le scrivo per sgomberare – spero definitivamente – il campo da ogni ipotesi di ‘Napolitano bis’. Non è solo un problema di indisponibilità personale, facilmente intuibile, da me ribadita più volte pubblicamente. La mia è soprattutto una ferma e insuperabile contrarietà che deriva dal profondo convincimento istituzionale che il mandato (già di lunga durata) di Presidente della Repubblica, proprio per il suo carattere di massima garanzia costituzionale, non si presti a un rinnovo comunque motivato. Né tantomeno a una qualche anomala proroga.”. Evidentemente Napolitano ci ha ripensato. La vecchia stagione del compromesso storico doveva concludersi con un inciucio storico ed è per questo, contraddicendo quanto da lui stesso affermato, che alla fine ha accettato il secondo mandato.
Non vi è dubbio che tutto sia avvenuto ancora una volta nel solco della legalità, ma la legalità in questo caso è diventata un’arma contundente con la quale si è voluto colpire il popolo italiano. I partiti moribondi hanno ricevuto una boccata di ossigeno, ma avranno ancora qualche mese, al massimo un anno di vita, non di più, perché il virus del MoVimeno ha ormai infettato il loro corpo e non si riuscirà più a debellarlo.”
23.3.13
M5S. Ma sanno di cosa parlano?
Ernesto Maria Ruffini - Espresso Blog
Questa è stata la mia reazione alla conferenza stampa tenuta – con l’ormai nota aria da “eeeh-noi-si-che-la-sappiamo-lunga” – dalla capogruppo grillina alla Camera e da alcuni deputati del M5S, nella quale si è parlato dei bilanci di Camera e Senato: “La Camera dei deputati nel 2013 spenderà complessivamente 1.300 milioni di euro come budget per il suo funzionamento che sommato al budget del Senato arriva a sfiorare una cifra più o meno pari a 2 miliardi di euro”; cifre fornite, suppongo, dall’aspirante questore (della Camera), autodefinitasi nella stessa conferenza “mangiatrice di bilanci”. Ora come potete vedere qui e qui (pag. 52 e seguenti), le spese della Camera nel 2013 saranno 1.062 milioni (1.196 meno il riporto a esercizi futuri dell’avanzo di gestione di 134, che una spesa proprio non è) e quelle del Senato 567 milioni (584 milioni meno 17 milioni di risparmi da riversare allo Stato); totale: 1.629 milioni. Come dire che la capogruppo e la “mangiatrice di bilanci” esordiscono nei loro autoimposti ruoli di catonesse contabili con un errore di quasi 400 milioni, circa il 20% del totale; se il buongiorno (e la precisione) si vedono del mattino…
Ma anche volendo passare sopra l’errore (che appare grande più che altro per la presunzione con il quale è presentato dalle due esponenti del M5S), c’è qualcosa di sbagliato o, per meglio dire, di fuorviante nel discorso: ma davvero è questo il primo problema dell’agenda politica?
Allarghiamo un po’ il panorama e proviamo a fare un totalone, riferito al 2010, ultimo anno per il quale si dispongono di tutti i dati (in particolare quelli locali); è un calcolo consapevolmente spanno metrico (forse un po’ sottostimato), ma che approssima i cosiddetti “costi della politica” molto più di questo, frettolosamente presentato come tale dalla stampa (ma non dall’attento autore).
Stato (analisi per missione, voce “Organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e Presidenza del Consiglio dei ministri”): 3.161 milioni.
Regioni (tavola 2, voce “Servizi degli organi istituzionali”; impegni di spesa): 897 milioni; segnalo ai grillini che il 18% della somma era imputabile alla sola Sicilia: buon lavoro.
Province (tavola 3a, voce “Organi istituzionali, partecipazione e decentramento”; impegni di spesa): 404 milioni.
Comuni (tavola 3a, voci “Organi istituzionali, partecipazione e decentramento” e “Indennità per gli organi istituzionali degli enti”; impegni di spesa): 1.938 milioni.
Rimborsi_elettorali: 74 milioni; il dato però riguarda solo le regionali 2010; lo sostituisco con una media dal 1994 al 2010 (2.305 milioni complessivi), con il che si sale a 136 milioni. Peraltro, parte di queste cifre (se non tutte) passa già per i bilanci delle Camere, ma, visto l’importo (relativamente) contenuto, facciamo finta di niente.
Mancano le spese sostenute dallo Stato per l’organizzazione di elezioni, referendum, ecc., ma voglio credere che non sia intenzione dei grillini tagliare anche tali spese o addirittura annullarle; per quanto, a organizzarsi un poco, si potrebbe tornare a votare in un solo giorno e, magari, passare al voto elettronico.
Possiamo quindi dire che il costo complessivo (e approssimativo) della “macchina” politica è stato nel 2010 di 6.536 milioni. Di quanto supponiamo che i virtuosi grillini riescano a tagliare il tutto? Di metà, come propongono per le indennità parlamentare? Bene: sono 3.268 milioni di risparmi. Ora proviamo a confrontare questo risparmio con il totale delle spese pubbliche, sempre del 2010; perché, come diceva il compianto Luigi Spaventa, i numeri hanno senso quando sono relativi, quando sono commisurati a qualcosa. La spesa di tutte le amministrazioni pubbliche in Italia è stata, nel 2010, di 795.311 milioni, secondo il conto consolidato fornito da Banca d Italia (tavola a13.1).
Quindi il risparmio sarebbe il 4,1 per mille (neanche per cento) del totale. Come dire: devi pagare un conto di 1.000 euro, no, guarda, sono 996.
Sia ben chiaro, io non nego che ci siano buone ragioni per tagliare i costi della politica, ragioni, prima di tutto morali, che vanno al di là delle nude cifre. E, anche a voler considerare solo queste ultime, non sputerei certo su 3 miliardi e passa di euro di minori spese: sono pur sempre soldi o, come si direbbe a Genova, palanche. Insomma, è giusto farlo: e visto che per farlo basta volerlo, facciamolo anche subito.
Ma il punto è: basta questo per fare un programma di governo o anche solo costruirvi sopra l’azione di un partito politico? È sufficiente questo proposito per gettare fango sulla politica e sui partiti che hanno garantito la democrazia in questo Paese? Non c’è un po’ di sproporzione fra l’attenzione che vi si dedica e l’importanza concreta? Non si sta gettando un po’ di sabbia negli occhi?
E, infine, per tornare alla mia materia, il fisco, non è un po’ contraddittorio che il M5S sermoneggi sull’importanza cruciale di 3 miliardi su 795 e poi sostenga l’abolizione dell’Imu sulla prima casa con l’argomento “tanto-sono-solo-4-miliardi-su-714” (blog di Claudio Messora, “comunicatore” del M5S)?
Questa è stata la mia reazione alla conferenza stampa tenuta – con l’ormai nota aria da “eeeh-noi-si-che-la-sappiamo-lunga” – dalla capogruppo grillina alla Camera e da alcuni deputati del M5S, nella quale si è parlato dei bilanci di Camera e Senato: “La Camera dei deputati nel 2013 spenderà complessivamente 1.300 milioni di euro come budget per il suo funzionamento che sommato al budget del Senato arriva a sfiorare una cifra più o meno pari a 2 miliardi di euro”; cifre fornite, suppongo, dall’aspirante questore (della Camera), autodefinitasi nella stessa conferenza “mangiatrice di bilanci”. Ora come potete vedere qui e qui (pag. 52 e seguenti), le spese della Camera nel 2013 saranno 1.062 milioni (1.196 meno il riporto a esercizi futuri dell’avanzo di gestione di 134, che una spesa proprio non è) e quelle del Senato 567 milioni (584 milioni meno 17 milioni di risparmi da riversare allo Stato); totale: 1.629 milioni. Come dire che la capogruppo e la “mangiatrice di bilanci” esordiscono nei loro autoimposti ruoli di catonesse contabili con un errore di quasi 400 milioni, circa il 20% del totale; se il buongiorno (e la precisione) si vedono del mattino…
Ma anche volendo passare sopra l’errore (che appare grande più che altro per la presunzione con il quale è presentato dalle due esponenti del M5S), c’è qualcosa di sbagliato o, per meglio dire, di fuorviante nel discorso: ma davvero è questo il primo problema dell’agenda politica?
Allarghiamo un po’ il panorama e proviamo a fare un totalone, riferito al 2010, ultimo anno per il quale si dispongono di tutti i dati (in particolare quelli locali); è un calcolo consapevolmente spanno metrico (forse un po’ sottostimato), ma che approssima i cosiddetti “costi della politica” molto più di questo, frettolosamente presentato come tale dalla stampa (ma non dall’attento autore).
Stato (analisi per missione, voce “Organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e Presidenza del Consiglio dei ministri”): 3.161 milioni.
Regioni (tavola 2, voce “Servizi degli organi istituzionali”; impegni di spesa): 897 milioni; segnalo ai grillini che il 18% della somma era imputabile alla sola Sicilia: buon lavoro.
Province (tavola 3a, voce “Organi istituzionali, partecipazione e decentramento”; impegni di spesa): 404 milioni.
Comuni (tavola 3a, voci “Organi istituzionali, partecipazione e decentramento” e “Indennità per gli organi istituzionali degli enti”; impegni di spesa): 1.938 milioni.
Rimborsi_elettorali: 74 milioni; il dato però riguarda solo le regionali 2010; lo sostituisco con una media dal 1994 al 2010 (2.305 milioni complessivi), con il che si sale a 136 milioni. Peraltro, parte di queste cifre (se non tutte) passa già per i bilanci delle Camere, ma, visto l’importo (relativamente) contenuto, facciamo finta di niente.
Mancano le spese sostenute dallo Stato per l’organizzazione di elezioni, referendum, ecc., ma voglio credere che non sia intenzione dei grillini tagliare anche tali spese o addirittura annullarle; per quanto, a organizzarsi un poco, si potrebbe tornare a votare in un solo giorno e, magari, passare al voto elettronico.
Possiamo quindi dire che il costo complessivo (e approssimativo) della “macchina” politica è stato nel 2010 di 6.536 milioni. Di quanto supponiamo che i virtuosi grillini riescano a tagliare il tutto? Di metà, come propongono per le indennità parlamentare? Bene: sono 3.268 milioni di risparmi. Ora proviamo a confrontare questo risparmio con il totale delle spese pubbliche, sempre del 2010; perché, come diceva il compianto Luigi Spaventa, i numeri hanno senso quando sono relativi, quando sono commisurati a qualcosa. La spesa di tutte le amministrazioni pubbliche in Italia è stata, nel 2010, di 795.311 milioni, secondo il conto consolidato fornito da Banca d Italia (tavola a13.1).
Quindi il risparmio sarebbe il 4,1 per mille (neanche per cento) del totale. Come dire: devi pagare un conto di 1.000 euro, no, guarda, sono 996.
Sia ben chiaro, io non nego che ci siano buone ragioni per tagliare i costi della politica, ragioni, prima di tutto morali, che vanno al di là delle nude cifre. E, anche a voler considerare solo queste ultime, non sputerei certo su 3 miliardi e passa di euro di minori spese: sono pur sempre soldi o, come si direbbe a Genova, palanche. Insomma, è giusto farlo: e visto che per farlo basta volerlo, facciamolo anche subito.
Ma il punto è: basta questo per fare un programma di governo o anche solo costruirvi sopra l’azione di un partito politico? È sufficiente questo proposito per gettare fango sulla politica e sui partiti che hanno garantito la democrazia in questo Paese? Non c’è un po’ di sproporzione fra l’attenzione che vi si dedica e l’importanza concreta? Non si sta gettando un po’ di sabbia negli occhi?
E, infine, per tornare alla mia materia, il fisco, non è un po’ contraddittorio che il M5S sermoneggi sull’importanza cruciale di 3 miliardi su 795 e poi sostenga l’abolizione dell’Imu sulla prima casa con l’argomento “tanto-sono-solo-4-miliardi-su-714” (blog di Claudio Messora, “comunicatore” del M5S)?
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18.3.13
Si fa presto a dire nuovo
Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano
Gli innegabili aspetti positivi dell’elezione di Laura Boldrini e di Piero Grasso a presidenti di Camera e Senato li ha elencati ieri il nostro direttore Antonio Padellaro. Ma il coro di Exultet, con sottofondo di trombe e tromboni, che ha accompagnato la doppia votazione di sabato rischia di occultarne le ombre, che pure ci sono e vanno segnalate. A costo di passare per bastiancontrari. 1) È comprensibile che alcuni senatori di 5Stelle, pare di provenienza siciliana, non se la siano sentita di contribuire, astenendosi, al ritorno di Schifani (tuttoggi indagato per mafia a Palermo, sia pure con una richiesta di archiviazione dei pm pendente dinanzi al gip) alla presidenza del Senato. E abbiano dunque votato per Piero Grasso, evitando il peggio per la seconda carica dello Stato. Ma il metodo seguito non è stato dei più trasparenti: siccome tutti i candidati M5S si erano impegnati con gli elettori ad attenersi alle decisioni democraticamente assunte a maggioranza dai gruppi parlamentari, chi s’è dissociato dall’astensione decisa dal gruppo del Senato avrebbe dovuto dichiararlo e motivarlo apertamente, anziché rifugiarsi nel voto segreto. E precisare che lo strappo alla regola vale soltanto questa volta, in via eccezionale, trattandosi delle presidenze dei due rami del Parlamento, e non si ripeterà più. 2) Grillo, non essendo presente in Parlamento, deve rassegnarsi: i parlamentari di M5S saranno continuamente chiamati a votare sul tamburo, spesso con pochi secondi per riflettere, quasi sempre col ricatto incombente di dover scegliere il “meno peggio” per sfuggire all’accusa del “tanto peggio tanto meglio”, e neppure se volessero potranno consigliarsi continuamente con lui (che sta a Genova) e col guru Casaleggio (che sta a Milano). È la normale dialettica democratica, che però nasconde un grave pericolo per un movimento fragile e inesperto come 5 Stelle: la continua disunione dei gruppi parlamentari che, se non si atterranno alle regole che si sono dati, si condanneranno all’irrilevanza, vanificando lo strepitoso successo elettorale appena ottenuto. La regola non può essere che quella di decidere a maggioranza nei gruppi e poi di attenersi, tutti, scrupolosamente a quel che si è deciso. Anche quando il voto è segreto. Le eventuali eccezioni e deroghe vanno stabilite in anticipo, e solo per le questioni che interrogano le sfere più profonde della coscienza umana. Nelle prossime settimane il ricatto del “meno peggio” si ripeterà per la presidenza della Repubblica, per la fiducia al governo, per i presidenti delle commissioni di garanzia. Ogni qualvolta si fronteggerà un candidato berlusconiano e uno del centro o del centrosinistra, ci sarà sempre qualcuno che salta su a dire: piuttosto che Berlusconi, meglio D’Alema; piuttosto che Gianni Letta, meglio Enrico; piuttosto che Cicchitto, meglio Casini. Se ciascuno votasse come gli gira, sarebbe la morte del Movimento, che si ridurrebbe a ruota di scorta dei vecchi partiti, tradendo le aspettative dei milioni di elettori che l’hanno votato per spazzarli via o costringerli a rinnovarsi dalle fondamenta. ll che potrà avvenire solo se M5S, pur non rinunciando a fare politica, manterrà la sua alterità e sfuggirà a qualsiasi compromesso al ribasso, senza lasciarsi influenzare dai pressing dei partiti e dai media di regime. 3)Grasso e la Boldrini hanno storie diverse, non assimilabili in un unico, acritico plauso alla loro provenienza dalla mitica “società civile”. La Boldrini, per il suo impegno all’Onu in favore dei migranti, è una figura cristallina e super partes, mai compromessa con i giochetti della bottega politica. Grasso invece alle sirene della politica è stato sempre sensibilissimo, come dimostra la sua controversa carriera di magistrato antimafia: da procuratore di Palermo si sbarazzò dei pm più impegnati nelle indagini su mafia e politica e sulla trattativa Stato-mafia e trascurò filoni d’inchiesta che avrebbero potuto far emergere responsabilità istituzionali con una decina d’anni di anticipo; poi incassò la gratitudine del centrodestra, che di fatto lo nominò procuratore nazionale antimafia con tre leggi contra personam (incostituzionali) che eliminarono il suo concorrente Caselli; infine incassò la gratitudine del centrosinistra con la cooptazione nelle liste del Pd, dopo aver flirtato col Centro di Casini ed essersi guadagnato gli applausi del Pdl proponendo la medaglia al valore antimafia nientemeno che per Berlusconi. Solo la faccia del suo avversario Schifani può nascondere questi e altri altarini. 4) Il centrosinistra ha prevalso d’un soffio alle ultime elezioni col risultato più miserevole mai ottenuto da un vincitore nella storia della Repubblica: meno di un terzo dei votanti. Con che faccia Bersani e Vendola, nonostante le parole di apertura agli altri schieramenti per una distribuzione più equa delle presidenze delle Camere, se le sono accaparrate entrambe? Un minimo di decenza, oltrechè di spirito democratico, avrebbe dovuto indurli a rinunciare all’arroganza e all’ingordigia da poltrone, e a votare, senza mercanteggiare nulla in cambio, il candidato di 5 Stelle (o di un’altra coalizione) al vertice della Camera o del Senato. 5) A prescindere dai meriti e dai demeriti individuali, sia la Boldrini sia Grasso sono parlamentari esclusivamente grazie a quel Porcellum che i loro rispettivi partiti, Sel e Pd, contestano a parole e sfruttano nei fatti. Nessun elettore li ha scelti: sono stati cooptati nelle liste del centrosinistra dagli apparati, all’insaputa degli elettori, non avendo partecipato neppure alle primarie per i candidati. L’altroieri Vendola e Bersani li hanno estratti dal cilindro all’ultimo momento, senz’alcuna consultazione dei rispettivi gruppi, per dare una verniciata di nuovo alle vecchie logiche spartitorie che sarebbero subito saltate agli occhi se a incarnarle fossero stati i Franceschini e le Finocchiaro. Ma la sostanza non cambia. La Boldrini poi rappresenta un partito del 3% e ora presiede la Camera grazie a un altro meccanismo perverso del Porcellum: il mostruoso premio di maggioranza del 55% dei seggi assegnato allo schieramento che arriva primo, anche se non rappresenta nemmeno un terzo dei votanti. Grasso è presidente del Senato per conto di una coalizione minoritaria, con l’aggiunta decisiva di alcuni franchi tiratori del Centro e di 5 Stelle. Quanto di meno nuovo e trasparente si possa immaginare.
Gli innegabili aspetti positivi dell’elezione di Laura Boldrini e di Piero Grasso a presidenti di Camera e Senato li ha elencati ieri il nostro direttore Antonio Padellaro. Ma il coro di Exultet, con sottofondo di trombe e tromboni, che ha accompagnato la doppia votazione di sabato rischia di occultarne le ombre, che pure ci sono e vanno segnalate. A costo di passare per bastiancontrari. 1) È comprensibile che alcuni senatori di 5Stelle, pare di provenienza siciliana, non se la siano sentita di contribuire, astenendosi, al ritorno di Schifani (tuttoggi indagato per mafia a Palermo, sia pure con una richiesta di archiviazione dei pm pendente dinanzi al gip) alla presidenza del Senato. E abbiano dunque votato per Piero Grasso, evitando il peggio per la seconda carica dello Stato. Ma il metodo seguito non è stato dei più trasparenti: siccome tutti i candidati M5S si erano impegnati con gli elettori ad attenersi alle decisioni democraticamente assunte a maggioranza dai gruppi parlamentari, chi s’è dissociato dall’astensione decisa dal gruppo del Senato avrebbe dovuto dichiararlo e motivarlo apertamente, anziché rifugiarsi nel voto segreto. E precisare che lo strappo alla regola vale soltanto questa volta, in via eccezionale, trattandosi delle presidenze dei due rami del Parlamento, e non si ripeterà più. 2) Grillo, non essendo presente in Parlamento, deve rassegnarsi: i parlamentari di M5S saranno continuamente chiamati a votare sul tamburo, spesso con pochi secondi per riflettere, quasi sempre col ricatto incombente di dover scegliere il “meno peggio” per sfuggire all’accusa del “tanto peggio tanto meglio”, e neppure se volessero potranno consigliarsi continuamente con lui (che sta a Genova) e col guru Casaleggio (che sta a Milano). È la normale dialettica democratica, che però nasconde un grave pericolo per un movimento fragile e inesperto come 5 Stelle: la continua disunione dei gruppi parlamentari che, se non si atterranno alle regole che si sono dati, si condanneranno all’irrilevanza, vanificando lo strepitoso successo elettorale appena ottenuto. La regola non può essere che quella di decidere a maggioranza nei gruppi e poi di attenersi, tutti, scrupolosamente a quel che si è deciso. Anche quando il voto è segreto. Le eventuali eccezioni e deroghe vanno stabilite in anticipo, e solo per le questioni che interrogano le sfere più profonde della coscienza umana. Nelle prossime settimane il ricatto del “meno peggio” si ripeterà per la presidenza della Repubblica, per la fiducia al governo, per i presidenti delle commissioni di garanzia. Ogni qualvolta si fronteggerà un candidato berlusconiano e uno del centro o del centrosinistra, ci sarà sempre qualcuno che salta su a dire: piuttosto che Berlusconi, meglio D’Alema; piuttosto che Gianni Letta, meglio Enrico; piuttosto che Cicchitto, meglio Casini. Se ciascuno votasse come gli gira, sarebbe la morte del Movimento, che si ridurrebbe a ruota di scorta dei vecchi partiti, tradendo le aspettative dei milioni di elettori che l’hanno votato per spazzarli via o costringerli a rinnovarsi dalle fondamenta. ll che potrà avvenire solo se M5S, pur non rinunciando a fare politica, manterrà la sua alterità e sfuggirà a qualsiasi compromesso al ribasso, senza lasciarsi influenzare dai pressing dei partiti e dai media di regime. 3)Grasso e la Boldrini hanno storie diverse, non assimilabili in un unico, acritico plauso alla loro provenienza dalla mitica “società civile”. La Boldrini, per il suo impegno all’Onu in favore dei migranti, è una figura cristallina e super partes, mai compromessa con i giochetti della bottega politica. Grasso invece alle sirene della politica è stato sempre sensibilissimo, come dimostra la sua controversa carriera di magistrato antimafia: da procuratore di Palermo si sbarazzò dei pm più impegnati nelle indagini su mafia e politica e sulla trattativa Stato-mafia e trascurò filoni d’inchiesta che avrebbero potuto far emergere responsabilità istituzionali con una decina d’anni di anticipo; poi incassò la gratitudine del centrodestra, che di fatto lo nominò procuratore nazionale antimafia con tre leggi contra personam (incostituzionali) che eliminarono il suo concorrente Caselli; infine incassò la gratitudine del centrosinistra con la cooptazione nelle liste del Pd, dopo aver flirtato col Centro di Casini ed essersi guadagnato gli applausi del Pdl proponendo la medaglia al valore antimafia nientemeno che per Berlusconi. Solo la faccia del suo avversario Schifani può nascondere questi e altri altarini. 4) Il centrosinistra ha prevalso d’un soffio alle ultime elezioni col risultato più miserevole mai ottenuto da un vincitore nella storia della Repubblica: meno di un terzo dei votanti. Con che faccia Bersani e Vendola, nonostante le parole di apertura agli altri schieramenti per una distribuzione più equa delle presidenze delle Camere, se le sono accaparrate entrambe? Un minimo di decenza, oltrechè di spirito democratico, avrebbe dovuto indurli a rinunciare all’arroganza e all’ingordigia da poltrone, e a votare, senza mercanteggiare nulla in cambio, il candidato di 5 Stelle (o di un’altra coalizione) al vertice della Camera o del Senato. 5) A prescindere dai meriti e dai demeriti individuali, sia la Boldrini sia Grasso sono parlamentari esclusivamente grazie a quel Porcellum che i loro rispettivi partiti, Sel e Pd, contestano a parole e sfruttano nei fatti. Nessun elettore li ha scelti: sono stati cooptati nelle liste del centrosinistra dagli apparati, all’insaputa degli elettori, non avendo partecipato neppure alle primarie per i candidati. L’altroieri Vendola e Bersani li hanno estratti dal cilindro all’ultimo momento, senz’alcuna consultazione dei rispettivi gruppi, per dare una verniciata di nuovo alle vecchie logiche spartitorie che sarebbero subito saltate agli occhi se a incarnarle fossero stati i Franceschini e le Finocchiaro. Ma la sostanza non cambia. La Boldrini poi rappresenta un partito del 3% e ora presiede la Camera grazie a un altro meccanismo perverso del Porcellum: il mostruoso premio di maggioranza del 55% dei seggi assegnato allo schieramento che arriva primo, anche se non rappresenta nemmeno un terzo dei votanti. Grasso è presidente del Senato per conto di una coalizione minoritaria, con l’aggiunta decisiva di alcuni franchi tiratori del Centro e di 5 Stelle. Quanto di meno nuovo e trasparente si possa immaginare.
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14.3.13
Grillo politico? E' nato 20 anni fa
di Gigi Riva
«Tutto iniziò nel '92, quando nei camerini dello Smeraldo, a Milano, parlammo di pesticidi e ambiente». Il racconto di Marco Morosini, lo scienziato che da sempre «fornisce idee» al comico fondatore del M5S
Cosa sia Marco Morosini per Beppe Grillo è difficile da definire. Valga una citazione della "Neue Zürcher Zeitung" dell'anno scorso: «Come persone che gli hanno aperto gli occhi, Grillo nomina l'economista e premio Nobel americano Joseph Stiglitz, col quale discute regolarmente, il sociologo tedesco Wolfgang Sachs e lo scienziato italiano Marco Morosini, del Politecnico federale di Zurigo/ETH». Ma come gli ha «aperto gli occhi»? Bisogna fare molti passi indietro e tornare al 1992. Beppe è un comico che mira principalmente a far ridere e a fustigare sia i personaggi sia i tic del nostro vivere quotidiano e che ancora non affronta temi ecologici ed economici.
Marco è un milanese laureato in Chimica e tecnologia farmaceutica che ha da tre anni scelto l'estero, l'università di Ulm in Germania dove prenderà un dottorato in Chimica analitica ambientale. Beppe è in scena al teatro "Smeraldo" di Milano, Marco sta in platea e alla fine vuole conoscere la star, suggerirgli una battuta sui giornali troppo carichi di pubblicità. Incontro cruciale. La frase entra nello show. Segue un lungo pranzo in cui Morosini, fa ascoltare a Grillo l'audiocassetta di una conferenza che tiene nelle terze classi delle scuole medie. L'uomo è uno scienziato duro, di quelli che stanno in laboratorio col camice bianco, ma ha interessi multiformi. Gira film (molto premiati) sulle spedizioni in Antartide dove scopre che nei licheni di quei ghiacci ci sono tracce dei pesticidi che usiamo. Ed è il pretesto per parlare ai ragazzi di ecologia globale, di come i nostri comportamenti abbiano consegueze nefaste, tipo lasciare aperto un rubinetto mentre ci si lava i denti.
Chi ha seguito Grillo lo sa: temi, anche minimali, che entrano nei suoi monologhi. Tornato in Germania, inonda il fax dello showman di informazioni sullo sviluppo sostenibile. Nasce un'amicizia e una collaborazione assidua. Morosini, 60 anni, oggi riassume: «Ho scritto per lui duemila pagine, gli ho procurato contatti con persone del mondo che hanno buone idee da mettere in circolo, da Stiglitz a Sachs a molti altri colleghi, e ho scritto testi satirici per gli spettacoli, come facevo per "Cuore" e per "Linus". Farlo mi lusingava molto dal punto di vista umano. Mi dava la sensazione che i miei argomenti potessero essere divulgati, grazie a lui, con una grande potenza».
Dai suoi studi proposte che giudica «clamorose», nel senso che sono «suscettibili di far inalberare gli avversari e entusiasmare i fautori». Eccone alcune: ridurre il consumo di energia da 6000 a 2000 watt pro capite all'anno. Commento: «E' la più importante e la più solida. Non è mia. E' il cardine della scelta energetica del governo svizzero nel 2002 come obiettivo entro il 2050». Ridurre il consumo di materie prime da 40 a 20 tonnellate pro capite l'anno, per limitare il saccheggio che stiamo facendo del pianeta. Settimana di lavoro di 30 ore da subito e di 20 ore tra vent'anni, naturalmente allo stesso stipendio: «Perché un terzo del Pil che produciamo fa danni, un terzo serve a riparare i danni, solo un terzo è utile, basta concentrarsi su quest'ultimo. Del resto la nostra testa è piena di triangoli come ci hanno insegnato i retori, a partire da Cicerone, e alla base della nostra cultura c'è una Trinità». Ridurre il divario salariale a un rapporto massimo di uno a 12: «Nessun manager possa guadagnare in un mese più di quanto i suoi dipendenti guadagnano in un anno. Anche in questo caso è curioso come sia la Svizzera l'epicentro della rivolta internazionale contro le disuguaglianze come ha dimostrato il referendum vinto "Contro le retribuzioni abusive"». Dare agli azionisti il potere di votare in Internet i loro manager e i loro salari. «Ognuna di queste idee potrebbe essere oggetto di dibattito nazionale vivace come avviene in altri paesi. Invece sono state quasi ignorate dai media».
Morosini vorrebbe al più presto ridurre a 18 anni l'età per votare per il Senato, e aprire una discussione sul voto ai sedicenni, come vige in Austria dal 2007. Ed è comprensibile se il Movimento 5 Stelle ha fatto il pieno tra i giovani. Movimento che ora vede come una piramide: «Sul primo gradino ci sono i nove milioni di elettori. Sul secondo il milione o poco meno dei frequentatori del blog; sul terzo i 250 mila iscritti; sul quarto i 40 mila iscritti e identificati con documento che hanno diritto di partecipare alle scelte dei candidati; sul quinto gli iscriti ai meetup; sul sesto i candidati alle elezioni; sul settimo i 163 eletti; sull'ottavo ci sono due seggiole uguali ma diverse».
Lo scienziato è anche un cittadino italiano e come tale guarda la situazione parlamentare che si è prodotta «con molta curiosità e poca preoccupazione. Forse ci sarebbe da farsi tremare le gambe ma mi piace credere che siamo davanti a una grande opportunità. Può girare male e allora finiamo come la Grecia. Ma puà girare bene e allora facciamo come l'Islanda dove hanno mandato a casa tutta la classe dirigente, cambiato il governo, nazionalizzato le banche, annullato il proprio debito, il popolo ha riscritto la Costituzione (e senza un comitato di saggi con Calderoli presidente), c'è una sensazione di fratellanza possibile e l'idea che la vecchia Islanda era marcia, era giusto che crollasse e andava rifondata. Cosa che mi auguro per l'Italia». Quanto a lui che ruolo avrà? «Continuo a scovare diffondere idee che avranno senso nei decenni. Poi certo ci vuole la politica del giorno per giorno e nutro grande ammirazione per Casaleggio, Grillo, gli eletti e gli iscritti che ora la dovranno fare. La politica giorno per giorno cerco di guardarla come un appassionato di ippica guarda di striscio il campionato di calcio».
«Tutto iniziò nel '92, quando nei camerini dello Smeraldo, a Milano, parlammo di pesticidi e ambiente». Il racconto di Marco Morosini, lo scienziato che da sempre «fornisce idee» al comico fondatore del M5S
Cosa sia Marco Morosini per Beppe Grillo è difficile da definire. Valga una citazione della "Neue Zürcher Zeitung" dell'anno scorso: «Come persone che gli hanno aperto gli occhi, Grillo nomina l'economista e premio Nobel americano Joseph Stiglitz, col quale discute regolarmente, il sociologo tedesco Wolfgang Sachs e lo scienziato italiano Marco Morosini, del Politecnico federale di Zurigo/ETH». Ma come gli ha «aperto gli occhi»? Bisogna fare molti passi indietro e tornare al 1992. Beppe è un comico che mira principalmente a far ridere e a fustigare sia i personaggi sia i tic del nostro vivere quotidiano e che ancora non affronta temi ecologici ed economici.
Marco è un milanese laureato in Chimica e tecnologia farmaceutica che ha da tre anni scelto l'estero, l'università di Ulm in Germania dove prenderà un dottorato in Chimica analitica ambientale. Beppe è in scena al teatro "Smeraldo" di Milano, Marco sta in platea e alla fine vuole conoscere la star, suggerirgli una battuta sui giornali troppo carichi di pubblicità. Incontro cruciale. La frase entra nello show. Segue un lungo pranzo in cui Morosini, fa ascoltare a Grillo l'audiocassetta di una conferenza che tiene nelle terze classi delle scuole medie. L'uomo è uno scienziato duro, di quelli che stanno in laboratorio col camice bianco, ma ha interessi multiformi. Gira film (molto premiati) sulle spedizioni in Antartide dove scopre che nei licheni di quei ghiacci ci sono tracce dei pesticidi che usiamo. Ed è il pretesto per parlare ai ragazzi di ecologia globale, di come i nostri comportamenti abbiano consegueze nefaste, tipo lasciare aperto un rubinetto mentre ci si lava i denti.
Chi ha seguito Grillo lo sa: temi, anche minimali, che entrano nei suoi monologhi. Tornato in Germania, inonda il fax dello showman di informazioni sullo sviluppo sostenibile. Nasce un'amicizia e una collaborazione assidua. Morosini, 60 anni, oggi riassume: «Ho scritto per lui duemila pagine, gli ho procurato contatti con persone del mondo che hanno buone idee da mettere in circolo, da Stiglitz a Sachs a molti altri colleghi, e ho scritto testi satirici per gli spettacoli, come facevo per "Cuore" e per "Linus". Farlo mi lusingava molto dal punto di vista umano. Mi dava la sensazione che i miei argomenti potessero essere divulgati, grazie a lui, con una grande potenza».
Dai suoi studi proposte che giudica «clamorose», nel senso che sono «suscettibili di far inalberare gli avversari e entusiasmare i fautori». Eccone alcune: ridurre il consumo di energia da 6000 a 2000 watt pro capite all'anno. Commento: «E' la più importante e la più solida. Non è mia. E' il cardine della scelta energetica del governo svizzero nel 2002 come obiettivo entro il 2050». Ridurre il consumo di materie prime da 40 a 20 tonnellate pro capite l'anno, per limitare il saccheggio che stiamo facendo del pianeta. Settimana di lavoro di 30 ore da subito e di 20 ore tra vent'anni, naturalmente allo stesso stipendio: «Perché un terzo del Pil che produciamo fa danni, un terzo serve a riparare i danni, solo un terzo è utile, basta concentrarsi su quest'ultimo. Del resto la nostra testa è piena di triangoli come ci hanno insegnato i retori, a partire da Cicerone, e alla base della nostra cultura c'è una Trinità». Ridurre il divario salariale a un rapporto massimo di uno a 12: «Nessun manager possa guadagnare in un mese più di quanto i suoi dipendenti guadagnano in un anno. Anche in questo caso è curioso come sia la Svizzera l'epicentro della rivolta internazionale contro le disuguaglianze come ha dimostrato il referendum vinto "Contro le retribuzioni abusive"». Dare agli azionisti il potere di votare in Internet i loro manager e i loro salari. «Ognuna di queste idee potrebbe essere oggetto di dibattito nazionale vivace come avviene in altri paesi. Invece sono state quasi ignorate dai media».
Morosini vorrebbe al più presto ridurre a 18 anni l'età per votare per il Senato, e aprire una discussione sul voto ai sedicenni, come vige in Austria dal 2007. Ed è comprensibile se il Movimento 5 Stelle ha fatto il pieno tra i giovani. Movimento che ora vede come una piramide: «Sul primo gradino ci sono i nove milioni di elettori. Sul secondo il milione o poco meno dei frequentatori del blog; sul terzo i 250 mila iscritti; sul quarto i 40 mila iscritti e identificati con documento che hanno diritto di partecipare alle scelte dei candidati; sul quinto gli iscriti ai meetup; sul sesto i candidati alle elezioni; sul settimo i 163 eletti; sull'ottavo ci sono due seggiole uguali ma diverse».
Lo scienziato è anche un cittadino italiano e come tale guarda la situazione parlamentare che si è prodotta «con molta curiosità e poca preoccupazione. Forse ci sarebbe da farsi tremare le gambe ma mi piace credere che siamo davanti a una grande opportunità. Può girare male e allora finiamo come la Grecia. Ma puà girare bene e allora facciamo come l'Islanda dove hanno mandato a casa tutta la classe dirigente, cambiato il governo, nazionalizzato le banche, annullato il proprio debito, il popolo ha riscritto la Costituzione (e senza un comitato di saggi con Calderoli presidente), c'è una sensazione di fratellanza possibile e l'idea che la vecchia Islanda era marcia, era giusto che crollasse e andava rifondata. Cosa che mi auguro per l'Italia». Quanto a lui che ruolo avrà? «Continuo a scovare diffondere idee che avranno senso nei decenni. Poi certo ci vuole la politica del giorno per giorno e nutro grande ammirazione per Casaleggio, Grillo, gli eletti e gli iscritti che ora la dovranno fare. La politica giorno per giorno cerco di guardarla come un appassionato di ippica guarda di striscio il campionato di calcio».
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26.2.13
La rivoluzione M5S e il masochismo del Pd
Don Paolo Farinella (Micromega)
Chiedo scusa ai miei due lettori e mezzo, me che scrivo compreso, se sono costretto a citarmi da solo e per ben due volte. Ciò che conta sono le carte e la carta canta:
1. Nel «Pacchetto del mercoledì» N. 29 del 03 ottobre 2012, scrivevo:
Occorre una rivoluzione radicale, profonda, senza misericordia. I partiti, «questi» partiti non possono autoriformarsi. Bisogna mandarli tutti a casa, tagliando loro il maltolto che devono restituire. Allo stato attuale delle cose, sul mercato esistente, il Movimento 5 Stelle nonostante le difficoltà, in parte vere, in parte costruite dai suoi moltissimi avversari, «è inevitabile», cioè un male necessario … Dico che «è inevitabile» perché potrebbe essere, nell’arco di una stagione, la ruspa che fa piazza pulita e spiana il terreno dalle sterpaglie e dai rovi che indisturbati hanno cresciuto per colpa di coloro che avrebbero dovuto fare pulizia. Ora non basta più la ramazza, occorre la ruspa e il lanciafiamme.
2. A distanza di un mese è mezzo, nel «Pacchetto del mercoledì» N. 36 del 18 novembre 2012, scrivevo:
Grillo è una meteora inevitabile e il suo impatto sarà deflagrante. Egli al 90% è frutto dei partiti che oggi offrono ricette salvifiche, è figlio di Monti, è nipote di Bersani, è cugino di Di Pietro e tutti costoro gli stanno spianando una autostrada senza fargli pagare nemmeno dazio. Avremo Grillo al parlamento. Sarà un bene? Non lo so. So che peggio di così non può andare. So che non si può fare una legge per non fare eleggere Grillo e i suoi. Se volevano scongiurarne l’elezione, dovevano operare bene, fare buona politica, non rubare, non candidare delinquenti e prostitute, venduti e comprati, ignobili e debosciati. Non dovevano mangiare a quattro palmenti, affamando un paese intero. Ora è troppo tardi. Che Dio li perdoni e illumini Grillo che si trova sulle spalle una responsabilità enorme.
Monti di fatto è caduto il 7 dicembre 2012, quando il maggiordomo, Angelino Alfano, ha ritirato la fiducia del postribolo di Berlusconi al governo. Di conseguenza scrivevo quelle parole e quelle valutazioni due mesi prima che si dimettesse il governo e quando non si parlava ancora di elezioni e tutto faceva supporre che si sarebbe arrivati alla fine della legislatura. Il Movimento 5 Stelle aveva vinto le elezioni regionali e aveva sconvolto la Regione siciliana, ma ancora veniva dato intorno al 10% e tutto pensavano che fosse un bluff.
«Inevitabile»
Molti miei amici, superficiali e poco attenti alle parole, quando leggono, mi hanno accusato di «qualunquismo», mettendomi in guardia dal cavalcare «tigri di carta». Nessuno ha capito e io non mi sono speso in spiegazioni inutili che tanto non sarebbero servite a nulla.
Ho scritto e detto tante volte che «Grillo è inevitabile». Se le parole, con le quali vivo ogni giorno per lavoro, hanno un senso, «inevitabile», significa che «non si può evitare», qualunque provvedimento si voglia prendere. Secondo il dizionario Sabatini-Coletti si tratta di un aggettivo sostantivato che indica qualcosa «che accade senza che possa essere impedito». Sono sinonimi: ineluttabile, fatale. Il sostantivo si usa solo al singolare e significa: «Ciò che non si può evitare». Il termine è attestato dal sec. XIV. Una frana è inevitabile perché se il terreno è dissestato o è stato manomesso da incompetenti, «deve» cadere e, cadendo, travolge tutto. Non si può stare davanti a pararla con le mani.
La frana Movimento5Stelle, preparata da chi ha dissestato il terreno, minando la consistenza della terra e disboscando all’impazzata, è caduta come conseguenza logica e necessaria. Essa inoltre avverte che è solo l’anticipo perché il bello deve ancora venire e il botto sarà devastante per chi si è gingillato, credendo che bastassero battute sceme come «smacchiare il giaguaro» o «pettinare le bambole» per esorcizzare una valanga che si abbatteva sul sistema consunto e corrotto.
Ho vissuto sulla mia pelle questa demenza che ha colpito il Pd, ormai da anni: qualcuno mi ha detto che non mi hanno mai voluto invitare alle feste del loro partito a Genova con la motivazione che «lui ci critica». Imbecilli! Se invitano chi li loda, ecco i risultati. Avrebbero dovuto invitare solo quelli che li criticavano perché li mettevano in guardia e gli portavano il polso della strada, della gente e della vita, quella che essi avevano smarrito come hanno dimostrato le primarie e formazione delle liste. Hanno difeso la casta e le loro rendite.
Le primarie dovevano servire per scegliere i candidati, che però sono stati catapultati dall’alto per mettere al sicuro i funzionari di partito, sfruttando le possibilità della legge «porcata» contro la quale sbraitavano in pubblico. Avrebbero dovuto, almeno al loro interno, contestare quella legge e rispettare al millesimo i risultati delle primarie, senza sconti per alcuno. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Alla Camera ho votato Movimento5 Stelle e non sono pentito. Ci mancherebbe altro. O si cambia o si muore. Non si può «cambicchiare». Qualsiasi altro voto sarebbe stato una rassegnazione all’inciucio, all’imbecillità e al vuoto. Costoro non hanno capito che il re è nudo, anzi era nuda da anni e ora non è morto di freddo.
La fine del PD
Agli amici del Pd dico: ma veramente voi pensavate di vincere le elezioni con «questa» campagna elettorale, dopo vent’anni di virus berlusconista iniettato nel sangue della Nazione? Davvero pensavate che bastava un Bersani che ne ha fatte una più di Bertoldo per perdere le elezioni? Davvero pensavate che potevate vincere con la gente che avete presentato e senza uno straccio di programma, ma solo con confusioni del tipo «vedremo … faremo … questa roba qui … quella roba là …»? Quando la vittoria si profilava sicura, ecco che il partito tira fuori il Monte dei Paschi per garantirsi la sconfitta. Non bastava ancora, perché, rovina delle rovina, avete preso l’impegno di andare al governo con Monti, anche se aveste avuto la maggioranza assoluta. Non vi siete accorti che Monti ha strangolato l’Italia e voi gli andavate dietro, anzi lo rincorrevate; più quello, patetico, vi dava botte e più voi dicevate: «ancora, ancora, che mi piace tanto»? Questo non è masochismo, ma è sadismo masochistico patologico.
Vendola ha iniziato a scomparire anche nella sua Puglia, da quando ha cominciato a garantire che non avrebbe creato problemi con un eventuale, anzi certo, governo Monti, che significava anche Casini e Fini. Possibile che non vi siete accorti che vi stavate impiccando da soli, senza aiuto esterno? Berlusconi non c’entra nella vostra perdita, perché Berlusconi non ha vinto e non ha perso. La vostra colpa è solo vostra.
Avete salvato Berlusconi almeno tre volte e anche quando era col rantolo in gola gli avete praticato la respirazione bocca a bocca per farlo risorgere, riuscendoci egregiamente. Avete voluto governare con Monti che ammazzava il vostro popolo e volevate continuare a governare con lui che nulla ha da spartire col l’odore stesso di sinistra. Oggi mi chiedo se anche voi avete qualcosa di sinistra. Per questo vi dico: andate al diavolo, perché quando potevate non avete voluto governare. Quando potevate non avete cambiato la legge elettorale né avete fatto una legge per l’ineleggibilità di Berlusconi, predatore del bene comune e nemico della legalità.
Costui ha promesso la cancellazione dell’Imu e voi avete parlato di «rimodulazione», senza andare a vedere che la gente stava annegando e annaspava perché disperata. Quella legge l’avete votata voi in parlamento. Berlusconi se l’è scrollata di dosso subito, voi no e avete cincischiato. Quando Monti ha messo l’Imu avreste dovuto fare saltare il banco ed essere voi a pretendere di andare alle elezioni. Avete ammazzato il cavallo e pretendevate anche di andarci in groppa. L’ignobile di Arcore ha scaricato su di voi ogni responsabilità di quella indegna tassa. Siete fuori della Storia. Non avete diritto di parola, perché l’avete persa definitivamente.
Invece hanno tenuto in piedi le due anime, assolutamente divise, espresse da Letta e da Bersani, restando bloccati e a mezz’aria. Un po’ con Monti e un po’ con Vendola. Letta vuole Monti e Casini e Fini ad ogni costo; Bersani lo deve subire, pena lo squartamento del partito. Ora Casini e Fini sono scomparsi, Monti è azzoppato, ma «contento» e il PD è alla frutta «ora e nell’ora della morte». Molto centro e poca sinistra, anzi niente. Immobilismo totale, senza programma. Lo stesso giorno della disfatta, Letta, nipote del Letta (il «Nobil Uomo») in tv è andato a parlare contro Grillo e a rimpiangere l’Europa. Non si è reso conto che gli elettori hanno votato contro un’Europa finanziaria che aveva affamato i poveri, ucciso la Grecia e in Italia aveva creato quattro milioni di disoccupati, ma aveva salvato la finanza e gli interessi delle lobby. Questo Letta, perché non lo mandano da suo zio con Berlusconi perché il suo posto è solo lì?
Felice di non aver vinto
Berlusconi è felice di non avere vinto. Il suo scopo non era vincere, perché in questo caso avrebbe dovuto mantenere le promesse fatte, anche solo per finta, e non è in grado. Egli voleva sparigliare e sedersi al tavolo per condizionare sulla giustizia e salvare il suo patrimonio con le frequenze tv. C’è riuscito. Ora alzerà la posta: farà la proposta che governi il PD (l’uomo è pazzo, ma non è scemo) che così deve prendere contatto con Grillo e fargli alcune proposte. Ogni fallimento andrà a carico del PD e non di Berlusconi. Per sé pretenderà la presidenza della repubblica, che non potranno dargli, è ovvio!, ma servirà per avere in cambio il massimo.
L’uomo è esperto in ricatti e lo dimostrerà. Se il PD avesse un minimo di lungimiranza, direbbe al Capo dello Stato attuale: non c’è una maggioranza, noi ci ritiriamo. Non facciamo governi con nessuno. Non possiamo fare inciuci: abbiamo promesso che non avremmo governato mai con Berlusconi e quindi non siamo disponibili, ma non credo che lo faranno. Hanno paura di governare e quindi tenteranno di fare un governo solo per narcisismo personalistico, credendo di potere stare a galla e per accontentare la nomenclatura. Si autodistruggeranno entro pochi mesi. Premete il tasto «Esc».
Movimento5Stelle
Non ha alcuna intenzione di andare al governo e non smania, anche perché non è pronto per uno tsunami del genere. Nemmeno Grillo si aspettava un successo così enorme: è diventato il primo partito alla Camera e il terzo al Senato, ma solo perché c’è una legge fatta su misura di Berlusconi e della Lega. Altrimenti Grillo sarebbe stato primo anche al Senato. Grillo non ha fretta, ma sta seduto sulla riva ad aspettare i cadaveri dei suoi avversari. Nell’attesa non spenderà un centesimo, non cercherà rendite, ma si godrà il meritato silenzio dell’Aventino e osserverà dall’alto quello che succede tra i folli che Dio ha fatto impazzire.
Il suo risultato grande è questo: avere portato un esercito di oltre 100 deputate e deputati giovani, freschi, appassionati, forse inesperti (impareranno), puliti (almeno per ora) e decisi a scalzare le cariatidi abbarbicate alla poltrona. Nessuno più in Camera e Senato potrà fare quello che vuole, perché ora vi sono i cani da guardia che diranno tutto, sveleranno tutto, impediranno tutto e costringeranno ad abolire la casta che ha resistito contro ogni decenza. Diminuiranno gli stipendi così che molti daranno le dimissioni perché c’erano andati solo per quello.
Si aprono le danze
Cosa succederà ora? Secondo la logica, i passaggi sono obbligati per tutti. A mio parere, avverrà questo:
1. Il Pd riceverà l’incarico di fare un governo. Lo sventurato accetterà. Berlusconi sarà magnanimo e lascerà fare in attesa di dare la zampata o di scaricare ogni responsabilità, pretendendo per sé il Quirinale. Offrirà la presidenza di una camera a Grillo. Il PD, condizionato, non potrà gestire nulla, assumendosi ogni colpa.
2. Il PD rifiuta di fare il governo (se fosse furbo, ma non lo è!). L’incarico viene dato al PDL che non accetta (non è scemo). S’incarica una figura terza, da fuori del Parlamento: non può essere Monti che è il grande sconfitto di queste elezioni, così impara a improvvisarsi politicante. Una figura esterna gradita a PDL e PD che traghetti a nuove elezioni, previa riforma elettorale con elezione diretta del capo dello Stato e collegi uninominale a doppio turno (si accontenta la destra e la ex sinistra). In questa ipotesi, Grillo porrà sul piatto la spada di Attila e pretenderà di votare solo queste riforme: riduzione dei parlamentari, abolizione di ogni benefit e grassaggio, fuori dal parlamento chi è inquisito anche in primo grado, fuori tutti dopo due legislature, riduzione dello stipendio. Solo a queste condizioni, egli voterà «una tantum» con questi partiti.
3. Al momento della fiducia, al Senato, il Movimento5Stelle, esce dall’aula; alla Camera si astiene o esce per dare fisicamente l’immagine plastica di non appartenere alla casta. Voterà solo quelle leggi che vanno nella direzione del suo programma e della distruzione di questa inetta classe dirigente che ha spolpato il paese, riducendolo in macerie. Il Movimento5Stelle farà da becchino ad una legislatura di mezzo, di passaggio di transizione; non voterà quelle leggi e proposte che sono frutto di «compromesso». Sarebbe suicida.
4. Tra due mesi si voterà per il capo dello Stato. Berlusconi che «concede» il governo a Bersani, pretenderà per sé il Quirinale, sapendo che non potrà riceverlo, ma questo gli serve per alzare la posta e il ricatto. La situazione di stallo dovrà per forza portare all’elezione di una figura «extra», che deve essere gradita a Berlusconi che non transigerà e vorrà garanzie «scritte» sui processi e sulle sue imprese. Il suo scopo è raggiunto. Grillo si asterrà perché non vorrà partecipare alla spartizione. Il PD non potrà proporre un nome proprio. Forse dal cilindro delle impossibilità, salterà fuori Emma Bonino, così sarà contento il card. Ruini e Bertone che non l’hanno voluta alla presidenza del Lazio e ora se la ritroveranno al Quirinale, nel palazzo che fu dei papi. Con la Bonino, Berlusconi tratterà, perché Emma non gli è avversaria, ma spesso gli è attigua come cultura. In questo caso avremmo la Papessa Emma I e ci sarà da ridere.
5. Grillo si asterrà perché non vorrà partecipare alla spartizione. Grillo ha tutto l’interesse di starsene alla larga da destra e da sinistra, e non farà un governò con alcuno, anche se Bersani gli prometterà metà del suo non-regno. Pur di governare, Bersani offrirà a Grillo anche la pompa di benzina di suo padre (manco più sua), ma senza risultato. Se Grillo accettasse di governare con PD e PDL perderebbe in un solo colpo il consenso che ha raggiunto. E’ suo interesse, e anche interesse del Paese, che non accetti, in attesa che
6. Fra un anno si vada a votare con una nuova legge, diminuzione di parlamentari, riduzione degli stipendi azzeramento della casta e allora Grillo prenderà il 99%.
Onestà cercasi con rivoluzione
A urne ancora scottanti, infatti, Grillo ha mandato un messaggio chiaro via internet: «Ora l’onestà diventerà normalità». Questa è la vera novità di queste elezioni. Non è detto che sia proprio così male. Senza legalità e moralità non può esserci riforma della società e della politica. Aspettiamo con Speranza e fiducia.
L’Europa stia attenta e i mercati, o meglio, gli speculatori ricordino che in democrazia le elezioni vanno rispettate, chiunque le vinca, se siamo ancora in una parvenza democratica, cosa di cui dubito.
I vescovi italiani meditino e riflettano: il loro impegno e le loro manovre hanno fallito su tutta la linea, come ha fallito il pontificato che finisce in concomitanza. Fallimento totale, irreversibile. Sarebbe ora che dessero tutti le dimissioni per incompetenza profetica e inadeguatezza pastorale.
Una mia cara amica, O. di Padova, mi manda un link che analizza l’origine dei voti di Grillo in Veneto: la Lega ha travasato nel Movimento5Stelle, anche nella Verona di Tosi, e solo in minima parte è rimasta con Berlusconi, segno che hanno stomaco di ghisa. Questo mi preoccupa, perché non sono d’accordo con Grillo che non esiste più «destra» e «sinistra». Purtroppo non abbiamo più né l’una né l’altra e per questo si fa tutto un amalgama indifferente per cui si può cambiare vestito come capita. Bisogna avere una idea di società e di giustizia, di Stato e di mercato che non sono indifferenti. Le proposte di togliere i privilegi ai politici e il pensiero di un assegno di esistenza ai disoccupati e precari fanno paura alle lobby. I mercati hanno reagito male e lo spread è salito. Proprio per questo bisogna andare a fondo e fare sul serio per dimostrare che tutti hanno diritto di mangiare, bere, dormire e a volte anche divertirsi. Lo spread deve rassegnarsi. In Belgio, manca il governo da anni e l’economia va a gonfie vele.
Alla mia amica faccio notare che questa situazione l’hanno voluta chi come il PD ha espulso i suoi aderenti che erano con le popolazioni della NO-TAV, cioè contro gli sprechi per oggi e per le future generazioni sulle opere inutili e dannose. Chi ha basato la propria politica sullo spreco e sulla iattanza, compreso Vendola che ultimamente parlava come un libro stampato, forbito, ma annaspando senza appigli, ora deve o andarsene o cambiare, ma sarà difficile fare notare il cambiamento perché la gente è imbestialita e nessuno la ferma più. Al Senato ho votato SEL, nello spirito di Salomone, ma vedo che non è servito a niente perché alle prossime elezioni SEL scomparirà del tutto.
Mi limito a fare una lettura della situazione e poiché la storia si scrive con i fatti, i fatti sono questi. Ora bisogna lavorare perché la RIVOLUZIONE vada fino in fondo, eliminando ogni SPRECO, e riportando la POLITICA a vero SERVIZIO e non a strumento di potere per il proprio tornaconto. In questo senso, buon lavoro Movimento5Stelle: nessun accordo con alcuno, specialmente con Berlusconi, non siate teneri, non siate accomodanti, siate il maglio del rinnovamento e poi andiamo di nuovo a votare per eleggere non più di 120 deputati e 70 senatori, compresi i rappresentanti delle Regioni. Togliamo la biada ai mangiapane a tradimento e poi … «vamos a la playa».
Spero e prego che possa avverarsi e io possa vedere questo cambiamento frutto di una rivoluzione senza spargimento di sangue. Senza Grillo, avremmo avuto l’assalto al palazzo d’inverno con le conseguenze che tutti possono immaginare. O no?
Chiedo scusa ai miei due lettori e mezzo, me che scrivo compreso, se sono costretto a citarmi da solo e per ben due volte. Ciò che conta sono le carte e la carta canta:
1. Nel «Pacchetto del mercoledì» N. 29 del 03 ottobre 2012, scrivevo:
Occorre una rivoluzione radicale, profonda, senza misericordia. I partiti, «questi» partiti non possono autoriformarsi. Bisogna mandarli tutti a casa, tagliando loro il maltolto che devono restituire. Allo stato attuale delle cose, sul mercato esistente, il Movimento 5 Stelle nonostante le difficoltà, in parte vere, in parte costruite dai suoi moltissimi avversari, «è inevitabile», cioè un male necessario … Dico che «è inevitabile» perché potrebbe essere, nell’arco di una stagione, la ruspa che fa piazza pulita e spiana il terreno dalle sterpaglie e dai rovi che indisturbati hanno cresciuto per colpa di coloro che avrebbero dovuto fare pulizia. Ora non basta più la ramazza, occorre la ruspa e il lanciafiamme.
2. A distanza di un mese è mezzo, nel «Pacchetto del mercoledì» N. 36 del 18 novembre 2012, scrivevo:
Grillo è una meteora inevitabile e il suo impatto sarà deflagrante. Egli al 90% è frutto dei partiti che oggi offrono ricette salvifiche, è figlio di Monti, è nipote di Bersani, è cugino di Di Pietro e tutti costoro gli stanno spianando una autostrada senza fargli pagare nemmeno dazio. Avremo Grillo al parlamento. Sarà un bene? Non lo so. So che peggio di così non può andare. So che non si può fare una legge per non fare eleggere Grillo e i suoi. Se volevano scongiurarne l’elezione, dovevano operare bene, fare buona politica, non rubare, non candidare delinquenti e prostitute, venduti e comprati, ignobili e debosciati. Non dovevano mangiare a quattro palmenti, affamando un paese intero. Ora è troppo tardi. Che Dio li perdoni e illumini Grillo che si trova sulle spalle una responsabilità enorme.
Monti di fatto è caduto il 7 dicembre 2012, quando il maggiordomo, Angelino Alfano, ha ritirato la fiducia del postribolo di Berlusconi al governo. Di conseguenza scrivevo quelle parole e quelle valutazioni due mesi prima che si dimettesse il governo e quando non si parlava ancora di elezioni e tutto faceva supporre che si sarebbe arrivati alla fine della legislatura. Il Movimento 5 Stelle aveva vinto le elezioni regionali e aveva sconvolto la Regione siciliana, ma ancora veniva dato intorno al 10% e tutto pensavano che fosse un bluff.
«Inevitabile»
Molti miei amici, superficiali e poco attenti alle parole, quando leggono, mi hanno accusato di «qualunquismo», mettendomi in guardia dal cavalcare «tigri di carta». Nessuno ha capito e io non mi sono speso in spiegazioni inutili che tanto non sarebbero servite a nulla.
Ho scritto e detto tante volte che «Grillo è inevitabile». Se le parole, con le quali vivo ogni giorno per lavoro, hanno un senso, «inevitabile», significa che «non si può evitare», qualunque provvedimento si voglia prendere. Secondo il dizionario Sabatini-Coletti si tratta di un aggettivo sostantivato che indica qualcosa «che accade senza che possa essere impedito». Sono sinonimi: ineluttabile, fatale. Il sostantivo si usa solo al singolare e significa: «Ciò che non si può evitare». Il termine è attestato dal sec. XIV. Una frana è inevitabile perché se il terreno è dissestato o è stato manomesso da incompetenti, «deve» cadere e, cadendo, travolge tutto. Non si può stare davanti a pararla con le mani.
La frana Movimento5Stelle, preparata da chi ha dissestato il terreno, minando la consistenza della terra e disboscando all’impazzata, è caduta come conseguenza logica e necessaria. Essa inoltre avverte che è solo l’anticipo perché il bello deve ancora venire e il botto sarà devastante per chi si è gingillato, credendo che bastassero battute sceme come «smacchiare il giaguaro» o «pettinare le bambole» per esorcizzare una valanga che si abbatteva sul sistema consunto e corrotto.
Ho vissuto sulla mia pelle questa demenza che ha colpito il Pd, ormai da anni: qualcuno mi ha detto che non mi hanno mai voluto invitare alle feste del loro partito a Genova con la motivazione che «lui ci critica». Imbecilli! Se invitano chi li loda, ecco i risultati. Avrebbero dovuto invitare solo quelli che li criticavano perché li mettevano in guardia e gli portavano il polso della strada, della gente e della vita, quella che essi avevano smarrito come hanno dimostrato le primarie e formazione delle liste. Hanno difeso la casta e le loro rendite.
Le primarie dovevano servire per scegliere i candidati, che però sono stati catapultati dall’alto per mettere al sicuro i funzionari di partito, sfruttando le possibilità della legge «porcata» contro la quale sbraitavano in pubblico. Avrebbero dovuto, almeno al loro interno, contestare quella legge e rispettare al millesimo i risultati delle primarie, senza sconti per alcuno. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Alla Camera ho votato Movimento5 Stelle e non sono pentito. Ci mancherebbe altro. O si cambia o si muore. Non si può «cambicchiare». Qualsiasi altro voto sarebbe stato una rassegnazione all’inciucio, all’imbecillità e al vuoto. Costoro non hanno capito che il re è nudo, anzi era nuda da anni e ora non è morto di freddo.
La fine del PD
Agli amici del Pd dico: ma veramente voi pensavate di vincere le elezioni con «questa» campagna elettorale, dopo vent’anni di virus berlusconista iniettato nel sangue della Nazione? Davvero pensavate che bastava un Bersani che ne ha fatte una più di Bertoldo per perdere le elezioni? Davvero pensavate che potevate vincere con la gente che avete presentato e senza uno straccio di programma, ma solo con confusioni del tipo «vedremo … faremo … questa roba qui … quella roba là …»? Quando la vittoria si profilava sicura, ecco che il partito tira fuori il Monte dei Paschi per garantirsi la sconfitta. Non bastava ancora, perché, rovina delle rovina, avete preso l’impegno di andare al governo con Monti, anche se aveste avuto la maggioranza assoluta. Non vi siete accorti che Monti ha strangolato l’Italia e voi gli andavate dietro, anzi lo rincorrevate; più quello, patetico, vi dava botte e più voi dicevate: «ancora, ancora, che mi piace tanto»? Questo non è masochismo, ma è sadismo masochistico patologico.
Vendola ha iniziato a scomparire anche nella sua Puglia, da quando ha cominciato a garantire che non avrebbe creato problemi con un eventuale, anzi certo, governo Monti, che significava anche Casini e Fini. Possibile che non vi siete accorti che vi stavate impiccando da soli, senza aiuto esterno? Berlusconi non c’entra nella vostra perdita, perché Berlusconi non ha vinto e non ha perso. La vostra colpa è solo vostra.
Avete salvato Berlusconi almeno tre volte e anche quando era col rantolo in gola gli avete praticato la respirazione bocca a bocca per farlo risorgere, riuscendoci egregiamente. Avete voluto governare con Monti che ammazzava il vostro popolo e volevate continuare a governare con lui che nulla ha da spartire col l’odore stesso di sinistra. Oggi mi chiedo se anche voi avete qualcosa di sinistra. Per questo vi dico: andate al diavolo, perché quando potevate non avete voluto governare. Quando potevate non avete cambiato la legge elettorale né avete fatto una legge per l’ineleggibilità di Berlusconi, predatore del bene comune e nemico della legalità.
Costui ha promesso la cancellazione dell’Imu e voi avete parlato di «rimodulazione», senza andare a vedere che la gente stava annegando e annaspava perché disperata. Quella legge l’avete votata voi in parlamento. Berlusconi se l’è scrollata di dosso subito, voi no e avete cincischiato. Quando Monti ha messo l’Imu avreste dovuto fare saltare il banco ed essere voi a pretendere di andare alle elezioni. Avete ammazzato il cavallo e pretendevate anche di andarci in groppa. L’ignobile di Arcore ha scaricato su di voi ogni responsabilità di quella indegna tassa. Siete fuori della Storia. Non avete diritto di parola, perché l’avete persa definitivamente.
Invece hanno tenuto in piedi le due anime, assolutamente divise, espresse da Letta e da Bersani, restando bloccati e a mezz’aria. Un po’ con Monti e un po’ con Vendola. Letta vuole Monti e Casini e Fini ad ogni costo; Bersani lo deve subire, pena lo squartamento del partito. Ora Casini e Fini sono scomparsi, Monti è azzoppato, ma «contento» e il PD è alla frutta «ora e nell’ora della morte». Molto centro e poca sinistra, anzi niente. Immobilismo totale, senza programma. Lo stesso giorno della disfatta, Letta, nipote del Letta (il «Nobil Uomo») in tv è andato a parlare contro Grillo e a rimpiangere l’Europa. Non si è reso conto che gli elettori hanno votato contro un’Europa finanziaria che aveva affamato i poveri, ucciso la Grecia e in Italia aveva creato quattro milioni di disoccupati, ma aveva salvato la finanza e gli interessi delle lobby. Questo Letta, perché non lo mandano da suo zio con Berlusconi perché il suo posto è solo lì?
Felice di non aver vinto
Berlusconi è felice di non avere vinto. Il suo scopo non era vincere, perché in questo caso avrebbe dovuto mantenere le promesse fatte, anche solo per finta, e non è in grado. Egli voleva sparigliare e sedersi al tavolo per condizionare sulla giustizia e salvare il suo patrimonio con le frequenze tv. C’è riuscito. Ora alzerà la posta: farà la proposta che governi il PD (l’uomo è pazzo, ma non è scemo) che così deve prendere contatto con Grillo e fargli alcune proposte. Ogni fallimento andrà a carico del PD e non di Berlusconi. Per sé pretenderà la presidenza della repubblica, che non potranno dargli, è ovvio!, ma servirà per avere in cambio il massimo.
L’uomo è esperto in ricatti e lo dimostrerà. Se il PD avesse un minimo di lungimiranza, direbbe al Capo dello Stato attuale: non c’è una maggioranza, noi ci ritiriamo. Non facciamo governi con nessuno. Non possiamo fare inciuci: abbiamo promesso che non avremmo governato mai con Berlusconi e quindi non siamo disponibili, ma non credo che lo faranno. Hanno paura di governare e quindi tenteranno di fare un governo solo per narcisismo personalistico, credendo di potere stare a galla e per accontentare la nomenclatura. Si autodistruggeranno entro pochi mesi. Premete il tasto «Esc».
Movimento5Stelle
Non ha alcuna intenzione di andare al governo e non smania, anche perché non è pronto per uno tsunami del genere. Nemmeno Grillo si aspettava un successo così enorme: è diventato il primo partito alla Camera e il terzo al Senato, ma solo perché c’è una legge fatta su misura di Berlusconi e della Lega. Altrimenti Grillo sarebbe stato primo anche al Senato. Grillo non ha fretta, ma sta seduto sulla riva ad aspettare i cadaveri dei suoi avversari. Nell’attesa non spenderà un centesimo, non cercherà rendite, ma si godrà il meritato silenzio dell’Aventino e osserverà dall’alto quello che succede tra i folli che Dio ha fatto impazzire.
Il suo risultato grande è questo: avere portato un esercito di oltre 100 deputate e deputati giovani, freschi, appassionati, forse inesperti (impareranno), puliti (almeno per ora) e decisi a scalzare le cariatidi abbarbicate alla poltrona. Nessuno più in Camera e Senato potrà fare quello che vuole, perché ora vi sono i cani da guardia che diranno tutto, sveleranno tutto, impediranno tutto e costringeranno ad abolire la casta che ha resistito contro ogni decenza. Diminuiranno gli stipendi così che molti daranno le dimissioni perché c’erano andati solo per quello.
Si aprono le danze
Cosa succederà ora? Secondo la logica, i passaggi sono obbligati per tutti. A mio parere, avverrà questo:
1. Il Pd riceverà l’incarico di fare un governo. Lo sventurato accetterà. Berlusconi sarà magnanimo e lascerà fare in attesa di dare la zampata o di scaricare ogni responsabilità, pretendendo per sé il Quirinale. Offrirà la presidenza di una camera a Grillo. Il PD, condizionato, non potrà gestire nulla, assumendosi ogni colpa.
2. Il PD rifiuta di fare il governo (se fosse furbo, ma non lo è!). L’incarico viene dato al PDL che non accetta (non è scemo). S’incarica una figura terza, da fuori del Parlamento: non può essere Monti che è il grande sconfitto di queste elezioni, così impara a improvvisarsi politicante. Una figura esterna gradita a PDL e PD che traghetti a nuove elezioni, previa riforma elettorale con elezione diretta del capo dello Stato e collegi uninominale a doppio turno (si accontenta la destra e la ex sinistra). In questa ipotesi, Grillo porrà sul piatto la spada di Attila e pretenderà di votare solo queste riforme: riduzione dei parlamentari, abolizione di ogni benefit e grassaggio, fuori dal parlamento chi è inquisito anche in primo grado, fuori tutti dopo due legislature, riduzione dello stipendio. Solo a queste condizioni, egli voterà «una tantum» con questi partiti.
3. Al momento della fiducia, al Senato, il Movimento5Stelle, esce dall’aula; alla Camera si astiene o esce per dare fisicamente l’immagine plastica di non appartenere alla casta. Voterà solo quelle leggi che vanno nella direzione del suo programma e della distruzione di questa inetta classe dirigente che ha spolpato il paese, riducendolo in macerie. Il Movimento5Stelle farà da becchino ad una legislatura di mezzo, di passaggio di transizione; non voterà quelle leggi e proposte che sono frutto di «compromesso». Sarebbe suicida.
4. Tra due mesi si voterà per il capo dello Stato. Berlusconi che «concede» il governo a Bersani, pretenderà per sé il Quirinale, sapendo che non potrà riceverlo, ma questo gli serve per alzare la posta e il ricatto. La situazione di stallo dovrà per forza portare all’elezione di una figura «extra», che deve essere gradita a Berlusconi che non transigerà e vorrà garanzie «scritte» sui processi e sulle sue imprese. Il suo scopo è raggiunto. Grillo si asterrà perché non vorrà partecipare alla spartizione. Il PD non potrà proporre un nome proprio. Forse dal cilindro delle impossibilità, salterà fuori Emma Bonino, così sarà contento il card. Ruini e Bertone che non l’hanno voluta alla presidenza del Lazio e ora se la ritroveranno al Quirinale, nel palazzo che fu dei papi. Con la Bonino, Berlusconi tratterà, perché Emma non gli è avversaria, ma spesso gli è attigua come cultura. In questo caso avremmo la Papessa Emma I e ci sarà da ridere.
5. Grillo si asterrà perché non vorrà partecipare alla spartizione. Grillo ha tutto l’interesse di starsene alla larga da destra e da sinistra, e non farà un governò con alcuno, anche se Bersani gli prometterà metà del suo non-regno. Pur di governare, Bersani offrirà a Grillo anche la pompa di benzina di suo padre (manco più sua), ma senza risultato. Se Grillo accettasse di governare con PD e PDL perderebbe in un solo colpo il consenso che ha raggiunto. E’ suo interesse, e anche interesse del Paese, che non accetti, in attesa che
6. Fra un anno si vada a votare con una nuova legge, diminuzione di parlamentari, riduzione degli stipendi azzeramento della casta e allora Grillo prenderà il 99%.
Onestà cercasi con rivoluzione
A urne ancora scottanti, infatti, Grillo ha mandato un messaggio chiaro via internet: «Ora l’onestà diventerà normalità». Questa è la vera novità di queste elezioni. Non è detto che sia proprio così male. Senza legalità e moralità non può esserci riforma della società e della politica. Aspettiamo con Speranza e fiducia.
L’Europa stia attenta e i mercati, o meglio, gli speculatori ricordino che in democrazia le elezioni vanno rispettate, chiunque le vinca, se siamo ancora in una parvenza democratica, cosa di cui dubito.
I vescovi italiani meditino e riflettano: il loro impegno e le loro manovre hanno fallito su tutta la linea, come ha fallito il pontificato che finisce in concomitanza. Fallimento totale, irreversibile. Sarebbe ora che dessero tutti le dimissioni per incompetenza profetica e inadeguatezza pastorale.
Una mia cara amica, O. di Padova, mi manda un link che analizza l’origine dei voti di Grillo in Veneto: la Lega ha travasato nel Movimento5Stelle, anche nella Verona di Tosi, e solo in minima parte è rimasta con Berlusconi, segno che hanno stomaco di ghisa. Questo mi preoccupa, perché non sono d’accordo con Grillo che non esiste più «destra» e «sinistra». Purtroppo non abbiamo più né l’una né l’altra e per questo si fa tutto un amalgama indifferente per cui si può cambiare vestito come capita. Bisogna avere una idea di società e di giustizia, di Stato e di mercato che non sono indifferenti. Le proposte di togliere i privilegi ai politici e il pensiero di un assegno di esistenza ai disoccupati e precari fanno paura alle lobby. I mercati hanno reagito male e lo spread è salito. Proprio per questo bisogna andare a fondo e fare sul serio per dimostrare che tutti hanno diritto di mangiare, bere, dormire e a volte anche divertirsi. Lo spread deve rassegnarsi. In Belgio, manca il governo da anni e l’economia va a gonfie vele.
Alla mia amica faccio notare che questa situazione l’hanno voluta chi come il PD ha espulso i suoi aderenti che erano con le popolazioni della NO-TAV, cioè contro gli sprechi per oggi e per le future generazioni sulle opere inutili e dannose. Chi ha basato la propria politica sullo spreco e sulla iattanza, compreso Vendola che ultimamente parlava come un libro stampato, forbito, ma annaspando senza appigli, ora deve o andarsene o cambiare, ma sarà difficile fare notare il cambiamento perché la gente è imbestialita e nessuno la ferma più. Al Senato ho votato SEL, nello spirito di Salomone, ma vedo che non è servito a niente perché alle prossime elezioni SEL scomparirà del tutto.
Mi limito a fare una lettura della situazione e poiché la storia si scrive con i fatti, i fatti sono questi. Ora bisogna lavorare perché la RIVOLUZIONE vada fino in fondo, eliminando ogni SPRECO, e riportando la POLITICA a vero SERVIZIO e non a strumento di potere per il proprio tornaconto. In questo senso, buon lavoro Movimento5Stelle: nessun accordo con alcuno, specialmente con Berlusconi, non siate teneri, non siate accomodanti, siate il maglio del rinnovamento e poi andiamo di nuovo a votare per eleggere non più di 120 deputati e 70 senatori, compresi i rappresentanti delle Regioni. Togliamo la biada ai mangiapane a tradimento e poi … «vamos a la playa».
Spero e prego che possa avverarsi e io possa vedere questo cambiamento frutto di una rivoluzione senza spargimento di sangue. Senza Grillo, avremmo avuto l’assalto al palazzo d’inverno con le conseguenze che tutti possono immaginare. O no?
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