Sebastiano Maffettone (corriere.it)
Due giovani professori sono stati sospesi dall’insegnamento. D’altra parte, che cosa si poteva fare? Erano stati così ingenui da farsi sorprendere mentre si scambiavano fotocopie di articoli scientifici tra una lezione e l’altra. Il loro comportamento era ovviamente intollerabile perché contrastava con i principi su cui si basa la Nuova Università. Le prescrizioni che ne derivano—diciamoci la verità—sono inequivocabili. Dovrebbe essere oramai chiaro a tutti che la Nuova Università non è un luogo di ricerca e studio. Questi sono lussi che non interessano davvero nessuno. Piuttosto la Nuova Università si occupa di cose serie e importanti. Come compilare documenti, infiniti documenti, indire riunioni, tantissime riunioni. Tutto in sostanza, tranne che ricerca e studio. Non è precisamente proibito studiare, a essere sinceri, ma risulta evidente che la cosa deve restare in ambito privato, soprattutto senza esporre agli effetti negativi della ricerca gli studenti. Si teme, infatti, che sparute minoranze di studenti possano essere incuriosite dai libri e addirittura interessate alla riflessione critica, oggetti e attività ritenute inammissibili nella Nuova Università, corrompendo loro stessi e gli altri. Se studiare, leggere, pensare, discutere criticamente sono scoraggiati nella Nuova Università, non è in realtà vero che la ricerca sia eliminata del tutto. La ricerca, come ben sappiamo, non si pratica nella Nuova Università e i libri tradizionali sono banditi. Tuttavia si valuta la ricerca per ore e ore al giorno. Sotto l’egida di un organo denominato fantasiosamente «Anvur», la ricerca viene costantemente monitorata.
La Nuova Università tiene molto a queste procedure. Il loro consuntivo compare in un documento di grande rilievo, chiamato «Ava», che impone ai dipartimenti di autovalutarsi periodicamente e di comunicare l’esito agli organi supremi. Ma c’è di più. I risultati della ricerca sono registrati tramite uno strano strumento detto «Vqr». Tutti sanno che, nella Nuova Università, è più facile scrivere un articolo scientifico che registrarlo nel Vqr, e anche per questo le migliori energie degli Atenei sono destinate a favorire la seconda operazione. Tutti i risultati della ricerca sono poi tenuti in grande considerazione dall’organo ministeriale chiamato «Cineca», e diventano centrali per le pluriennali procedure di abilitazione che dovrebbero fornire le liste dei docenti idonei. In questa prospettiva, rimane una perplessità diffusa: come è possibile che la ricerca venga considerata tanto rilevante per le abilitazioni quando è normalmente ostacolata? Non conosco nessuno che sia stato in grado di rispondere a questa domanda, se non facendo appello all’importanza di pratiche rituali e magiche. La Nuova Università, però, non si arresta per così poco, e mantiene in forma docenti e amministrativi facendoli partecipare a un minimo di cinque riunioni al giorno.
I membri della Nuova Università non si interrogano su queste pratiche in pubblico. Troppa curiosità potrebbe svantaggiarli. Molti, però, nel segreto della coscienza hanno dei dubbi. Mi rivolgo a costoro, per cercare di dare una possibile interpretazione dei principi su cui si basa la Nuova Università, in modo che non credano alla loro pura irrazionalità. Questi principi, come ho detto, tendono a ostacolare lo studio e il pensiero. La ratio che li sottende non è però così misteriosa. Il potere burocratico-politico considera l’attività dell’intellettuale critico inutile se non pericolosa. Soprattutto, ritiene inconcepibile pagare qualcuno per svolgerla. I principi della Nuova Università, dove si valuta tutto senza mai pensare a che cosa serva, sono destinati precisamente a scoraggiare gli intellettuali per tendenza: sia loro ben chiaro che la Nuova Università non è luogo per loro. Ma sono destinati soprattutto a dare un senso al pagamento degli stipendi di quei professori che ancora si ritengono intellettuali critici. Il loro stipendio è commisurato alla quantità di documenti che compilano e al numero di riunioni cui partecipano. E che non si illudano soprattutto che alla Nuova Università serva gente che ama la cultura scientifica e umanistica per se stessa.
Si narra che l’idea di Nuova Università sia stata concepita da economisti fondamentalisti del mercato, ma—come succede nelle vicende umane—il messaggio dei primi economisti si è col tempo perduto nei meandri ministeriali. Ora come ora, assomiglia più all’Unione Sovietica che ai sogni di Friedman o Hayek. Contrariamente al socialismo reale, però, la Nuova Università appare inattaccabile: tutto misura e niente significato; tanta efficienza senza sapere perché. Nel frattempo, il pensiero critico langue e viene respinto ai margini. Solo per dovere di cronaca, riporto il fatto che si fantastica di giovani che discutono animatamente di filosofia, matematica e arte nelle periferie e nelle campagne. Cose d’altri tempi, dirà qualcuno. Può essere. Ma intanto, mentre studio e ricerca da noi sono all’indice e non si investe nella cultura, in altri Paesi si fa l’opposto. In altri Paesi, a cominciare dalla Germania, si ritiene che il sistema educazionale sia il migliore antidoto alla crisi e il motore per lo sviluppo futuro. Sarà proprio un caso che questi Paesi funzionano meglio del nostro?
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