5.3.14

La strana guerra di Andriy dentro la base assediata dai russi

“Combattere? Mica sono matto”
Il fuciliere ucraino e l’ordine di “ far finta di niente”


di Nicola Lombardozzi (la Repubblica)

PEREVALNOE (base della 37esima brigata fanteria della Marina ucraina)- Il fuciliere Andriy è in piena crisi di nervi. Arrampicato su un muro della caserma ammira le evoluzioni di un blindato russo con un suo coetaneo ben saldo sulla torretta: «E da me cosa vorrebbero? Che uscissi fuori a combattere contro questi qui?». Non è mancanza di coraggio, più che altro confusione. La stessa che si è impadronita di centinaia di migliaia di soldati ucraini in questi giorni assurdi divisi tra una rivoluzione ancora troppo fragile e un’invasione in piena regola. Andriy ce l’ha con i suoi amici d’infanzia che lo chiamano continuamente sul telefonino per chiedergli di arrendersi all’esercito amico venuto dall’Est; con i suoi superiori che sono più agitati di lui e non sanno cosa decidere; con quei «maledetti rompipalle» degli ufficiali addetti all’indottrinamento ideologico (antica eredità di tutti gli eserciti sovietici) che continuano invece a ordinargli di ribellarsi, di resistere all’occupazione.
Difficile calmarlo stando dall’altra parte di una parete di più di dieci metri e riuscendo a intravedere solo un paio di occhi da ventenne e un berretto di lana da assaltatore calcato sulla fronte. Andriy è troppo esasperato per fare un discorso lineare, parla senza pause, continua a voltarsi in equilibrio instabile per assicurarsi di non essere ascoltato né da i suoi né dai russi che ci circondano, ma quello che ne viene fuori è un racconto surreale e drammatico di quello che sta succedendo all’interno di questa base a 40 chilometri dal capoluogo Simferopoli, dotata di truppe scelte, autoblinde, pezzi d’artiglieria leggera, insomma il meglio della Difesa ucraina in Crimea.
Tutto è cominciato la mattina di domenica, dopo l’adunata e prima delle esercitazioni quotidiane. I ragazzi della base hanno visto che davanti ai loro cancelli c’erano dei colleghi con armi nuove di zecca, passamontagna sul viso e un armamento invidiabile. «Chi sono questi? Russi? Americani? E noi che dobbiamo fare?». Risposta: «Niente, fate come se non ci fossero ».
La voce di Andrjy si fa stridula: «Capite? Mi addestro da anni per combattere e poi mi ritrovo preso in ostaggio da sconosciuti». Orgoglio da soldato e perplessità da cittadino. Andrjy è anche lui di origine russa come la maggioranza di abitanti della Crimea, detesta «quelli della rivoluzione di Kiev», la sua famiglia abita a Pionerskoe, il primo villaggio a una decina di minuti di marcia da qui. «Loro vanno in piazza ad applaudire l’intervento di Putin. Li capisco e condivido pure. Ma io sono un soldato o no?».
Sul prato tutto intorno una compagnia di soldati russi ha dispiegato camion, blindati e pattuglie armate che perlustrano la valle giorno e notte. Hanno cucine da campo, tende, mense, e attrezzature di un livello che i loro colleghi ucraini non hanno mai visto. Sembra una scorta protettiva più che un assedio. Ma in caserma si fa appunto finta di niente come da ordini. Il comandante ucraino esce di tanto in tanto per andare dalla moglie che abita qui vicino. Passa senza fare una piega tra gli incappucciati che aprono e chiudono i cancelli della sua base, segue su Internet e in tv gli sviluppi internazionali, cerca di rinviare ogni decisione.
E i suoi soldati discutono, domandano, litigano fra di loro. C’è stata pure qualche scazzottata. Anche perché le pressioni non mancano. Tra le camerate qualcuno ha portato un foglio da firmare con il giuramento di fedeltà alla repubblica autonoma di Crimea. Chiede a ogni singolo commilitone di aderire. Andriy non firma: «Ho giurato fedeltà all’intera Ucraina. Tecnicamente è un tradimento ». E poi rimarca un aspetto meno nobile ma fondamentale: «E se poi si mettono tutti d’accordo, a me che succede?».
Ma i partiti sono due. Gli ufficiali specializzati in “indottrinamento”, per natura vicini alle alte sfere della capitale, fanno invece pressioni per aderire alla rivoluzione nazionale. Andrjy sorride nervosamente: «Ti chiamano in disparte, ti dicono che bisogna respingere questo assedio, liberare il territorio della caserma. Loro che sono ufficiali da scrivania dicono a me, soldato semplice, di organizzare un contrattacco. Follia pura».
E non sono pressioni da poco. L’altra sera tra i vialetti della caserma è comparsa perfino la sagoma colossale e baffuta di Oleksandr Kozmuk, per tanti anni ministro della Difesa ucraino. Qualcuno è riuscito a farlo passare beffando la sorveglianza dei russi e della milizia popolare che li affianca, attraverso un cancello laterale conosciuto a pochi. Usando gergo e modi da consumato militare di mestiere, diceva a ognuno di resistere, che qualcuno a Kiev stava studiando un piano per cacciare via i russi e che presto l’operazione sarebbe cominciata. E il nostro fuciliere non riesce proprio a capire: «A parte che io non ho niente contro questi ragazzi venuti dalla Russia, ragioniamo dal punto di vista di pura tecnica militare: ci schiaccerebbero senza nemmeno sforzarsi troppo».
La testa di Andrjy scompare all’improvviso. Alle nostre spalle è arrivata un pattuglia di russi. Restano in silenzio, ma agitano le canne dei fucili verso nord per indicarci cortesemente la strada statale. Da queste parti, per il momento, decidono loro.



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