Guido Rossi (ilsole24ore)
Si stanno oggi svolgendo le operazioni di referendum in Crimea per decidere il distacco dall'Ucraina e la eventuale adesione alla Federazione Russa, alla quale aveva appartenuto fino al 1954.
Il ricorso alla forma più classica di democrazia diretta, come il referendum, rivela purtroppo, anche in questo drammatico caso, la mancanza di una governance mondiale, poiché l'esito positivo di quel referendum non sarà riconosciuto né dagli Stati Uniti, né dall'Unione Europea.
Il processo di annessione alla Russia ha peraltro caratteristiche sostanziali di natura puramente militare decisamente palesi. Le truppe di Mosca, all'interno della Crimea e ammassate minacciose ai confini dell'Ucraina, non nascondono le intenzioni del Cremlino, in particolare di Putin, di un confronto diretto internazionale con gli Stati Uniti d'America dettato da esigenze di politica militare di dominio, sdegnosa di qualsivoglia diplomazia o mediazione e foriera di possibili pericoli d'ogni genere, da tempo dimenticati in Europa.
A livello internazionale assistiamo dunque all'uso della democrazia attraverso il voto popolare sovrano, suo limitato e spesso erroneo sinonimo, ma sovente, come qui, apparente strumento di legittimazione del potere.
È pur vero che l'uso strumentalmente abusato di forme democratiche, rivelatore di una ricerca costante ancorché di volta in volta diversa, ma di identica matrice, si verifica anche a livello di Unione Europea.
La sovranità popolare è infatti estranea sia all'organo di governo, cioè la Commissione, sia al Consiglio e soprattutto alla Bce, la quale certamente costituisce, come esattamente scrive Etienne Balibar, un tentativo di "rivoluzione dall'alto", nell'epoca in cui potere economico, finanziario e politico non si distinguono più l'uno dall'altro. Eppure sarebbe ben difficile non riconoscere la sovranità di fatto della Bce nella sua determinante influenza sulle politiche economiche degli Stati membri, ad iniziare dalle imposte politiche di austerità e di rigore di bilancio, introdotte poi passivamente anche a livello costituzionale dagli Stati membri.
Nello stesso tempo sono messe a repentaglio l'indipendenza, la legittimazione e la stessa sovranità degli Stati nazione, via via svuotati di identità. E tutto ciò avviene nella totale subordinazione del Parlamento europeo ai poteri esclusivi di iniziativa legislativa della Commissione che ha, in qualche misura, sanzionato la perdita di ogni riscontro democratico da parte di uno dei tre poteri fondamentali, cioè quello legislativo.
Prima di continuare il discorso, sembra purtroppo necessaria una parentesi che dimostra chiaramente il carattere generale di questo deficit di democrazia, globalmente individuabile nell'ambito delle democrazie liberali anche a livello interno dei singoli Stati nazione. Basterà un riferimento, pur trascurando quelli nostrani, agli Stati Uniti d'America, dove un recente editoriale del New York Times dall'inquietante titolo "The Dying Art of Legislating" riporta l'allarmante fenomeno delle dimissioni volontarie dal Congresso di ben 21 membri della Camera e 6 senatori, tutti autorevoli e ben noti per i loro fondamentali contributi all'attività legislativa negli ultimi decenni, i quali motivano le loro dimissioni perché il Congresso non legifera più, sanzionandone, conclude l'articolo, la decadenza del ruolo nella vita della nazione americana.
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