Tommaso Di Francesco (il Manifesto)
La maggioranza dei membri della Commissione Ue non capisce nulla di questioni mondiali. Vedi il tentativo di far entrare nella Ue l’Ucraina. È megalomania… hanno posto a Kiev la scelta o Ue o Est…ci vuole una rivolta del Parlamento europeo contro gli eurocrati di Bruxelles, così si rischia la terza guerra mondiale»: (prima di quelle di Bergoglio) sono le parole allarmate dell’ex cancelliere tedesco Schmidt in un’intervista alla Bild di tre mesi fa che non parla ancora di ingresso esplosivo di Kiev. Pericolo sul quale, con tentativo non riuscito di influenzare le scelte di Obama che invece rilancia il riarmo atlantico sulla base del presunto sconfinamento-invasione russa dell’Ucraina, si sono pronunciati gli ex segretari di Stato Usa Kissinger e Brzezinski e perfino l’ex capo del Pentagono dell’amministrazione Obama, Robert Gates che nel suo libro di memorie ha scritto: «L’allargamento così rapido della Nato a est è un errore e serve solo ad umiliare la Russia, fino a provocare una guerra». Non è servito a nulla a quanto pare.
Lamentano i governi europei che è in gioco l’unità territoriale dell’Ucraina e Federica Mogherini, Mrs Pesc in pectore davanti al Parlamento europeo, per farsi perdonare di essere considerata filorussa dati gli interessi dell’Eni, ha la faccia tosta di accusare: «È colpa di Putin». Se gli stava veramente a cuore l’unità territoriale dell’Ucraina, perché i governi europei insieme alla Nato e agli Usa con tanto di capo della Cia John Brennan, senatori repubblicani guidati da McCain e segretario di stato Kerry tutti su quella piazza, hanno alimentato e sostenuto dalla fine del 2013 fino al maggio 2014 la rivolta, spesso violenta e di estrema destra, di Piazza Majdan che ha rimesso di fatto in discussione l’unità territoriale del Paese. Mentre l’ambasciatrice Usa mandava affan… l’Europa. Era colpa di Putin anche la rivolta di piazza Majdan? Magari perché aveva soccorso, pronta cassa, le richieste di Kiev quando l’Ue se ne lavava le mani in preda alla sua crisi?
E come dimenticare che quella rivolta è stata nazionalista ucraina e antirussa, non solo anti-Putin, ma contraria ai diritti delle popolazioni dell’est che avevano sostenuto ed eletto Yanukovitch — certo corrotto, ma non meno dell’attuale Poroshenko e del premier dimissionario Yatsenyuk. La rivolta di Majdan è stata nazionalista antirussa, contro gli interessi politici e sociali delle popolazioni dell’est, di lingua russa all’80%, quando non proprio russe e comunque filorusse, legate alla Russia per appartenenze storiche, religiose e culturali e per legame economico imprescindibile e complementare alla propria sopravvivenza, tutt’altro che garantita dall’associazione delle regioni dell’ovest all’Ue.
È lì, in quel sostegno strumentale e ideologico, come se fosse un nuovo ’89, dato dall’Occidente europeo ed americano che si è consumata l’unità dell’Ucraina che a quel punto si è associata all’Ue solo a metà.
Ora accade che il governo di Kiev dimissionato pochi giorni fa dal presidente Poroshenko annunci, di fronte alla presunta invasione — è il quarto allarme in due mesi — la richiesta di adesione all’Alleanza atlantica. «Il governo ha sottoposto al parlamento un progetto di legge per annullare lo status fuori dei blocchi dell’Ucraina e tornare sulla via dell’adesione alla Nato» ha dichiarato quasi in fuga il premier uscente, già leader di Majdan, Yatseniuk. E subito il segretario della Nato Ander Fogh Rasmussen, ha ammiccato: «Ogni paese ha diritto di scegliere da sé le proprie alleanze». Tanto più che la decisione sembra andare incontro alle ultime parole di Obama che, ormai incapace di uscire dal «militarismo umanitario» degli Stati uniti, sciorina per fermare l’orso russo (quel Putin che gli ha impedito di impelagarsi ancora di più nella guerra in Siria) la «nuova» agenda del riarmo americano e Nato nell’Europa dell’est, dalla Polonia, ai Paesi baltici — andrà in Estonia per questo domani — e alle finora neutrali Finlandia e Svezia.
Altro che nuova agenda: è la scellerata strategia della Nato in atto da più di venti anni a partire dalle guerre nei Balcani, con relativa redistribuzione di costi per la difesa sullo scacchiere europeo, tra gli stessi paesi ora alle prese con la lacerante crisi economica. Una strategia che in questi venti anni ha visto l’ingresso di tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia nella Nato, con missioni in guerre alleate, a partire dall’ex Jugoslavia (dove, a specchio capovolto della storia, i raid Nato hanno aiutato i ribelli dell’Uck — criminali, dice ora l’indagine della stessa commissione Ue Eulex — ad ottenere l’indipendenza) e ancora tante basi, strutture d’intelligence, siti missilistici, ogive nucleari, scudi spaziali tutti quanti ai confini russi.
Senza l’allargamento a est della Nato non ci troveremmo sull’orlo di un conflitto spaventoso in Ucraina, né ci sarebbe stata la sceneggiata arrogante di una leadership di oligarchi voltagabbana che ha destabilizzato l’Ucraina con la violenza della piazza «buona» perché sedicente filoeuropea, e che ora cavalca la repressione sanguinosa della piazza «cattiva» perché filorussa. Senza la Nato esisterebbero una politica estera e di difesa dell’Ue. Intanto in queste ore nell’est ucraino si combatte, Kiev è all’offensiva. Secondo l’Onu i morti, tanti i civili, in quattro mesi sono più di 2.600.
Se dal vertice Nato che si apre domani a Cardiff, in Galles, arrivasse un sì alla richiesta incendiaria di Kiev e se si avvia, come accade, lo schieramento di forze militari Nato in dichiarate esercitazioni anti-Russia o ai confini russi, come ha chiesto l’irresponsabile Cameron, è l’inizio della fine. Cioè la separazione delle regioni dell’est con l’intervento, stavolta vero, della Russia nella guerra, a quel punto motivata a difendere dalle truppe occidentali le popolazioni russo-ucraine, lo status proclamato dagli insorti filo-russi ma anche lo stesso territorio russo. Quando invece è chiaro che l’Ucraina resterà unita finché non apparterrà ad alcun blocco militare e se ci sarà un tavolo negoziale per una federalizzazione del paese capace di garantire l’autonomia sostanziale dell’est. È quello che chiede anche Putin quando dichiara: «Devono essere immediatamente avviati negoziati sostanziali non su questioni tecniche, ma sull’organizzazione politica della società e sul sistema statale nel sud-est dell’Ucraina allo scopo di garantire incondizionatamente gli interessi delle persone che vivono lì», ma le sue parole sono tradotte in modo propagandistico dai media velinari: «Voglio uno Stato nell’est».
È la stessa richiesta che formula, inascoltato, sul Corriere della Sera, Sergio Romano, tra i pochi ad intendersi di Russia. Federale e neutrale sono le due parole chiave garanzia di pace anche per l’Ue, e certo non aiuta l’elezione a presidente dell’Unione del polacco Tusk, leader della Polonia che vanta un contenzioso storico su una parte della terra ucraina considerata ancora «polacca».
Altrimenti sarà, e non a pezzetti, la terza guerra mondiale in piena Europa. E siamo a cento anni fa. È il nuovo che avanza, la «nuova generazione» alla guida europea tanto cara a Renzi. Ora la Mrs Pesc Mogherini, anche se è stata commissariata da un vice-Pesc tedesco, ha l’occasione di dimostrarsi per una volta europea e non schiacciata sull’Alleanza atlantica e sugli Stati uniti. Qualcosa ci dice che non saremo ascoltati.
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