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20.9.15

Tutto quello che c’è da sapere sulle elezioni in Grecia

internazionale.it
Dopo mesi di serrati negoziati tra la Grecia e i suoi creditori internazionali, il nuovo primo ministro Alexis Tsipras – già uscente – è stato costretto ad accettare le durissime condizioni di un nuovo piano di salvataggio triennale da 85 miliardi di euro.
Con il paese sull’orlo della bancarotta, il 14 agosto il parlamento di Atene ha approvato il terzo accordo per il salvataggio in cinque anni. Quasi un terzo dei 149 parlamentari di Syriza, il partito di sinistra di Tsipras, si è rifiutato di sostenerlo e il primo ministro, di 41 anni, si è dimesso, aprendo così la strada alle quinte elezioni politiche in sei anni.
Come siamo arrivati a questo punto?
La Grecia è stata obbligata a chiedere aiuti internazionali nel 2010 quando si è trovata sull’orlo del fallimento, appena nove anni dopo essere entrata nell’euro.
La Grecia ha ricevuto più di trecento miliardi di euro in aiuti internazionali. Ma questi sono stati concessi a condizioni molto severe, con un programma d’austerità che ha comportato pesanti tagli al bilancio e un’impennata delle tasse.
L’economia della Grecia si è inabissata: il pil è sceso del 25 per cento dal 2010. La disoccupazione riguarda circa il 26 per cento della forza lavoro (che in maggioranza non riceve sussidi), gli stipendi sono calati del 38 per cento e le pensioni del 45 per cento. Circa il 18 per cento della popolazione non ha soldi sufficienti per mangiare e il 32 per cento vive sotto la soglia di povertà.
Visto che la maggior parte dei fondi di salvataggio è stata usata per pagare i debiti del paese, non è stato investito quasi niente per il rilancio economico. E, soprattutto, il debito greco oggi è quasi il doppio della produzione economica annuale del paese, cioè il 180 per cento del pil.
Alle elezioni di gennaio, gli elettori greci, stremati, hanno finito per perdere la pazienza con i partiti tradizionalmente al potere. Promettendo di stracciare gli accordi sugli aiuti responsabili della “crisi umanitaria”, Syriza ha ottenuto una clamorosa vittoria.
Quali sono le questioni principali e qual è lo scenario più probabile?
Due mesi fa Tsipras godeva di grande popolarità, con un tasso di consensi del 70 per cento, dato che era l’unico primo ministro greco ad avere perlomeno provato a opporsi ai piani dei creditori della Grecia. I sondaggi mostrano che oggi, tra le persone di età compresa tra i 18 e i 44 anni che hanno contribuito a portarlo al potere, il sostegno a Syriza è crollato.
Buona parte del 62 per cento dei greci che nel referendum di luglio hanno votato contro il nuovo salvataggio sono scontenti del partito perché ha finito per accettare un accordo che aveva promesso di rigettare.

Cruciale per l’esito delle elezioni di domenica sarà il comportamento di questi elettori di Syriza delusi. Alcuni sembrano attratti dalla sinistra ancor più radicale, alcuni persino dal partito di estrema destra Alba dorata (il più popolare per le persone tra i 18 e i 24 anni).
Ma in molti sembrano anche disposti a fidarsi dell’offerta di “ritorno alla stabilità” proposta dal leader di Nea dimokratia, Vangelis Meimarakis. I sondaggi suggeriscono che il vantaggio di Syriza su Nea dimokratia si sia, come minimo, sensibilmente ridotto. Secondo alcuni, i due partiti sono praticamente testa a testa.
I principali partiti politici
Dalla caduta del regime dei colonnelli nel 1974, le elezioni in Grecia sono state dominate da due partiti politici: Nea dimokratia, di centrodestra, e il Partito socialista, Pasok. Dal 1981 in poi, alle elezioni politiche i due partiti hanno sempre ottenuto, in totale, l’84 per cento dei voti. Tutto è cambiato con il crollo dell’economia greca e i piani di salvataggio che ne sono seguiti. Nelle tre tornate elettorali che si sono svolte a partire dal maggio 2012, il risultato complessivo dei due partiti è stato rispettivamente del 32, 42 e 32,5 per cento.
Al contrario, il sostegno nei confronti dei partiti più piccoli è cresciuto. Prima delle elezioni del maggio 2012 il sostegno per Alba dorata era inferiore allo 0,5 per cento, mentre da allora è sempre stato superiore al 5 per cento.
I partiti e le coalizioni che si presentano alle elezioni di domenica 20 settembre sono 19. Ecco i partiti che hanno le maggiori possibilità di entrare nel prossimo parlamento greco.
Come funzioneranno le elezioni?
Sono circa 9,8 milioni i greci che hanno diritto di voto e ai partiti serve almeno il 3 per cento dei voti per entrare in parlamento con un mandato di quattro anni.
Il parlamento greco ha trecento seggi: 250 deputati sono eletti con un meccanismo proporzionale, mentre gli altri 50 sono automaticamente assegnati al partito che conquista il maggior numero di voti.
I deputati sono eletti a partire dalle liste di candidati di 56 circoscrizioni geografiche. Gli elettori di Atene, dove vive metà della popolazione nazionale, eleggono 58 dei trecento deputati.
La quota di voti necessaria per una maggioranza assoluta di 151 seggi dipenderà da come sarà distribuito il risultato generale tra i partiti: se tutti i partiti ottenessero seggi in parlamento, il 40 per cento dei voti potrebbe significare una vittoria netta. Se invece molti voti si disperdessero tra i partiti più piccoli, che non riescono a superare lo sbarramento del 3 per cento, la quota necessaria per la maggioranza dei seggi si abbasserà.
Anche se in Grecia esiste l’obbligo di votare, non viene fatto rispettare. L’affluenza è scesa notevolmente nell’ultimo decennio. Negli anni ottanta era costantemente sopra l’80 per cento. Nei dieci anni fino al 2005 l’affluenza media è scesa al 75 per cento. Nelle ultime elezioni di gennaio è stata inferiore al 64 per cento.
Nel caso in cui nessun partito ottenga la maggioranza assoluta, il presidente Prokopis Pavlopoulos darebbe al leader del partito principale il mandato di formare una coalizione. Se ciò non fosse possibile, il cosiddetto mandato esplorativo andrebbe al secondo partito e poi al terzo.
Secondo i sondaggi, nessun partito sarebbe in grado di ottenere seggi sufficienti da poter formare da solo un governo di maggioranza. Entrambi i favoriti, Nea dimokratia e Syriza, avrebbero bisogno di formare una coalizione con uno o più partiti per poter governare. Pasok, To potami e l’Unione dei centristi sarebbero i candidati più probabili a entrare in una coalizione del genere.
Un’altra possibilità è una coalizione tra Nea dimokratia e Syriza, anche se Tsipras non è molto favorevole all’ipotesi.

17.7.15

Yanis #Varoufakis: la nostra battaglia per salvare la #Grecia


Quando si deve negoziare senza avere nessuna possibilità di far accettare la propria posizione, non è più una negoziazione. E’ un ricatto. E oggi tutti abbiamo di fronte la verità. La Grecia è stata ricattata ed è sottoposta a un vero e proprio colpo di Stato. Possiamo pensare che debba sottostare a questa occupazione, oppure no. Ma non possiamo non tenere conto di come questa è avvenuta. E a raccontarcelo è Yanis Varoufakis in questa sua intervista su NewStatesman tradotta da Claudia Baldini. Dopo averla letta, capirete molte cose dell’Accordo dell’Eurosummit. E di Alexis Tsipras. Il consiglio è di non perderne neppure una riga.
La redazione
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[questa conversazione ha avuto luogo prima dell’accordo]

Harry Lambert : Allora, come ti senti?
Yanis Varoufakis : Mi sento in cima al mondo: non devo più vivere attraverso questo calendario frenetico, che era assolutamente disumano, semplicemente incredibile. Due ore di sonno ogni giorno per cinque mesi. …Sono anche sollevato: io non devo sostenere più a lungo questa incredibile pressione di negoziare per una posizione che trovo difficile da difendere, anche se sono riuscito a forzare l’altro lato ad accettare, tu sai cosa voglio dire.
HL: Com’è stato ? Ti ha soddisfatto come lavoro?
YV: Oh , sì sono stato contento. Ma mi sono reso conto da quella posizione privilegiata che le mie paure erano confermate … I “poteri forti” parlano e decidono per te, direttamente, e ho verificato, come tutti noi temevamo, che la situazione era peggiore di quanto si immagina! Così è stato divertente. E’ come avere un posto in prima fila.
HL: A che cosa ti riferisci ?
YV: La completa mancanza di scrupoli democratici, a nome dei difensori presunti della democrazia in Europa. La abbastanza chiara comprensione dall’altra parte che conviene stare sulla stessa barca. Ciò, ovviamente, non potrà mai venire fuori in questo momento. Per avere cifre molto alte di prestito ti guardano negli occhi e ti dicono: “Hai ragione, in quello che stai dicendo, ma noi dobbiamo andare a ‘sgranocchiare’ comunque”.
HL: Ho letto i verbali dei tuoi interventi: hai detto che i creditori si sono opposti alle vostre obiezioni. Perché, che cosa è successo quando hai detto “Io cerco di parlare di economia dentro all’ Eurogruppo, nessuno qui discute della ragionevolezza di quello che propongo”?
YV: Non è che non fossero d’accordo: è che c’era il rifiuto di impegnarsi in argomenti economici. Buco nero. Hai spiegato un argomento sul quale hai davvero lavorato per assicurarti della sua logica e coerenza e…hai solo di fronte sguardi fissi nel vuoto. E’come non avessi parlato. Gli interventi sono già preparati, non ribattono su quello che hai relazionato. Si potrebbe anche aver cantato l’inno nazionale svedese, avresti avuto la stessa risposta. E questo è sorprendente, io sono abituato che se qualcuno viene utilizzato per un dibattito accademico… l’altro lato si impegna sempre a capire e a ragionare. Beh non c’era alcun impegno. Non era nemmeno fastidio, era proprio come se non avessi parlato.

HL: Quando sei arrivato, all’inizio di febbraio, questo atteggiamento era uguale?
YV: Beh, ci sono state persone che erano in sintonia a livello personale, così, sai, a porte chiuse, in via informale, in particolare da parte del FMI. [HL: “Da più alti livelli?” YV: “Certo ,dai più alti livelli, dai più alti livelli”.] Ma poi all’interno dell’Eurogruppo, qualche parola gentile e il gioco è fatto, dietro il paravento della versione ufficiale.
In fondo Schäuble è stato coerente in tutto. La sua opinione era “Non sto discutendo il programma. Questo è stato accettato dal governo precedente e che non può assolutamente cambiare per una nuova elezione. Perché abbiamo elezioni in continuazione, siamo in 19, se ogni volta che c’è una elezione cambiamo qualcosa, i contratti tra noi non significano più nulla. ”
A quel punto, non ho resistito, perché dietro questo atteggiamento c’è il rifiuto della democrazia e il prevalere dei conti tuoi sulla politica, ho dovuto alzarmi e dire: “Beh, forse non dovremmo tenere più le elezioni per i paesi indebitati”. Non c’è stata nessuna risposta. L’unica interpretazione che posso dare della loro visione è “Sì, che sarebbe una buona idea, ma sarebbe difficile da fare. Quindi o firmare sulla linea sia decisa o sei fuori “.
HL : E Merkel ?
YV : Io non ho mai avuto nulla a che fare con la Merkel, i ministri delle finanze parlano solo con i ministri delle finanze, i primi ministri parlano ai cancellieri . Da quello che ho capito io, era molto diversa come atteggiamento dal suo ministro. Politica, ecco. Cercò di rassicurare il nostro primo ministro [ Tsipras ], ha detto: ” Troveremo una soluzione , non ti preoccupare , io non permetterò che accada niente di terribile, basta fare i compiti a casa e collaborare con le istituzioni , il lavoro con la Troika ; non ci può essere via di uscita da questo”.
Questo non è quello che i miei colleghi ministri economici hanno detto a me, sia dal capo dell’Eurogruppo e il dottor Schäuble , sono stati molto chiari. Ad un certo punto il capo dell’Eurogruppo si è espresso con me in modo inequivocabile : “Si tratta di un cavallo: o uno si tiene stretto in sella su di esso o è morto”.
HL : E ciò quando è stato?
YV : Fin dall’inizio, fin dall’inizio. Ci siamo conosciuti all’inizio di febbraio.
HL: Allora, perché restare in ballo fino all’estate?
YV: Beh, uno non ha un’alternativa. Il nostro governo è stato eletto con un mandato per negoziare. Quindi il nostro primo mandato era quello di creare lo spazio e il tempo di avere una trattativa e raggiungere un altro accordo. Questo è stato il nostro mandato – il nostro mandato era quello di negoziare, non era per venire alle mani con i nostri creditori.
I negoziati si sono fermati a metà, perché dall’altra parte si rifiutava di negoziare. Hanno insistito su un “accordo globale”, il che significava che volevano parlare di tutto. La mia interpretazione è che quando si vuole parlare di tutto, non si vuole parlare di niente. Ma siamo andati dietro quella corrente, per non contraddire.
E guarda, c’erano posizioni assolutamente formulate sul nulla da loro. Così avrebbero … Lascia che ti faccia un esempio. Ci hanno detto: abbiamo bisogno di tutti i dati sul percorso fiscale con cui i Greci pagano le tasse, abbiamo bisogno di tutti i dati su imprese di proprietà statale. Così abbiamo speso un sacco di tempo a cercare di fornire loro tutti i dati e rispondere a questionari e con innumerevoli incontri che per illustrare i dati forniti.
Così è stata la prima fase. La seconda fase riguardava l’Iva: che cosa avessimo intenzione di fare in materia di IVA. Avrebbero poi rifiutato la nostra proposta, ma non ne hanno fatto una loro.
Prima avessimo avuto la possibilità di concordare l’IVA con loro, prima saremmo passati ad un altro problema, come la privatizzazione. Avrebbero chiesto cosa volessimo fare per la privatizzazione, abbiamo fatto delle proposte, hanno rifiutato. Allora ho capito che si doveva perdere tempo: poi avrebbero spostano su un altro argomento, come le pensioni, da lì ai mercati, da lì ai rapporti di lavoro, da rapporti di lavoro a tutti i tipi di cose giuste? Così è andata, come un gatto che si morde la coda.
Ci siamo sempre sentiti con il governo, sulla difficoltà a farci ascoltare, che non siamo riusciti a sospendere il processo che volevano farci ad ogni costo.
Il mio intervento fin dall’inizio è stato questo: Questo è un paese che si è arenato, che si è arenato da tempo. …Sicuramente abbiamo bisogno di riformare questo paese – siamo d’accordo su questo. Perché il tempo è l’essenza, e perché nel corso dei negoziati la banca centrale stringeva la liquidità [sulle banche greche] e noi eravamo sotto pressione, per non soccombere, la mia proposta costante alla troika era molto semplice: siamo d’accordo su tre o quattro importanti riforme come il sistema fiscale, come l’IVA, e cerchiamo di farle immediatamente. E ci allentate le restrizioni di liquidità da parte della BCE. Volete un accordo globale, ok. Ma cerchiamo di portare avanti negoziati e nel frattempo introduciamo queste riforme in Parlamento da un accordo tra noi e voi.
E hanno detto: “No, no, no, questo deve essere una revisione globale. Nulla sarà attuato se non avete il coraggio di introdurre una legislazione completa. Sarà considerato un’azione unilaterale ostile al processo di raggiungimento di un accordo”. E poi, naturalmente, qualche mese più tardi avrebbero detto ai media che non avevamo riformato il paese e che ci hanno fatto perdere del tempo! E così … [ridacchia] siamo andati avanti..
Così, quando la liquidità era quasi esaurita completamente, e noi eravamo in ritardo, o quasi-default, al FMI, hanno introdotto le loro proposte, che erano assolutamente impossibili … totalmente non vitali e tossiche. Così hanno sempre rinviato e ritardato, era chiara la volontà che non si voleva un accordo diverso da quello che c’era prima.
HL: Hai provato a lavorare insieme con i governi di altri paesi indebitati ?
YV: La risposta è no, e il motivo è molto semplice: sin da subito proprio quei paesi hanno reso molto chiaro che erano i nemici più avversi del nostro governo , fin dall’inizio. E la ragione, naturalmente, è stato il loro più grande incubo sarebbe stato il nostro successo: se fossimo riusciti a negoziare un accordo migliore per la Grecia, avrebbero dovuto rispondere alle loro stesso popolo perché non hanno negoziare come noi stavano facendo.
HL: E la partnership con i partiti più affini, come Podemos, poteva servire?
YV: Non proprio. Voglio dire, abbiamo sempre avuto un buon rapporto con loro , ma non c’era niente da fare – la loro voce non avrebbe mai potuto penetrare il muro dell’Eurogruppo. E in effetti, più parlavano in nostro favore, cosa che hanno fatto, e più ostile il ministro delle Finanze spagnolo diventava verso di noi.
HL: E George Osborne? Quali sono stati i vostri rapporti come con lui?
YV: Oh molto buono, molto piacevole, eccellente. Ma è fuori dal giro, non è parte dell’Eurogruppo. Quando ho parlato con lui in diverse occasioni si vedeva che era molto simpatico. E in effetti se si guarda al Telegraph, i più grandi sostenitori della nostra causa sono stati i conservatori! A causa della loro euroscetticismo, eh … non è solo Euroscetticismo; si tratta di una visione di Burke della sovranità del parlamento – nel nostro caso è stato molto chiaro che il nostro parlamento è stato trattato come spazzatura.
HL: Qual è il più grande problema con il modo generale le funzioni dell’Eurogruppo?
YV: [Per esemplificare …] C’è stato un momento in cui il presidente dell’Eurogruppo ha deciso di muoversi contro di noi ed efficacemente ci ha chiuso fuori, e poi fa sapere che la Grecia era essenzialmente sulla sua via d’uscita dalla zona euro. …C’è una convenzione che devono essere essere comunicati in modo unanime, e il presidente non può essere solo, in una riunione della zona euro ed escludere uno Stato membro. E lui disse: “Oh, io sono sicuro che posso farlo”.
Così ho chiesto un parere legale. Ha creato un po’ di subbuglio. Per circa 5-10 minuti l’incontro si fermò, gli impiegati, i funzionari stavano parlando tra di loro, sul loro telefono cellulare, e, infine, qualche funzionario, qualche esperto legale si rivolse a me e disse le seguenti parole, che «Beh, l’Eurogruppo non esiste in legge, non vi è alcun trattato che ha convocato questo gruppo “.
Quindi quello che abbiamo è un gruppo inesistente che ha il maggior potere di determinare la vita degli europei. Non è responsabile verso chiunque, dato che non esiste nella legge; non verbale è redatto; ed è riservata. Quindi nessun cittadino sa mai ciò che viene detto all’interno. …Queste sono decisioni quasi di vita o di morte, e nessun membro deve rispondere a nessuno.
HL: Ed è vero che l’Eurogruppo è controllato dagli atteggiamenti tedeschi?
YV: Oh, completamente e assolutamente. Non atteggiamenti – ordini da parte del ministro delle finanze della Germania. È tutto come un’orchestra molto ben sintonizzata e li è il direttore. Tutto avviene in sintonia. Ci saranno momenti in cui l’orchestra qualcuno non rispetta la partitura, ma lui lo convoca e lo mette di nuovo in linea.
HL: Non c’è energia alternativa all’interno del gruppo, può contare qualcosa il potere francese?
YV: Solo il ministro delle finanze francese ha fatto obiezioni che erano diverse dalla linea tedesca, ma molto debolmente. Si capiva che doveva usare un linguaggio molto giudizioso, per non far pensare di essere contrario. E in ultima analisi, quando Dott. Schäuble ha risposto ed effettivamente ha determinato la linea ufficiale, la ministra francese, alla fine, ha sempre accettato.
HL: Parliamo del tuo background teorico, e del pezzo su Marx nel 2013, quando hai detto:
“Una uscita greca o portoghese o soprattutto italiana dalla zona euro farebbe presto a portare ad una frammentazione del capitalismo europeo, ottenendo un grave recessione nelle regioni a est del Reno e a nord delle Alpi, mentre il resto d’Europa sarebbe nella morsa della stagnazione. Chi pensi che dovrebbe beneficiare di questo sviluppo? La sinistra progressista, che risorgerà dalle ceneri delle istituzioni pubbliche europee? O la Gilda nostalgica dei nazisti, i neofascisti assortiti, gli xenofobi e gli imbroglioni? Non ho assolutamente alcun dubbio su quale dei due farà meglio da una disintegrazione della zona euro “.
… Così sarebbe? un Grexit inevitabilmente aiuterà Alba Dorata, non c’è dubbio?
YV: Beh, guarda , io non credo nelle versioni deterministiche della storia. Syriza ora è una forza molto dominante. Se riusciremo a uscire da questo pasticcio uniti, e gestire correttamente una Grexit … sarebbe possibile avere un’alternativa . Ma non sono sicuro che potremmo gestirlo, perché la gestione del crollo di una unione monetaria richiede una grande quantità di know-how, e non sono sicuro che l’ abbiamo qui in Grecia, senza l’aiuto di estranei .
HL : Devi aver pensato a una Grexit dal primo giorno …
YV : Sì , assolutamente.
HL: Sono stati fatti i preparativi?
YV: La risposta è sì e no. Abbiamo avuto un piccolo gruppo, un ‘gabinetto di guerra’ all’interno del ministero, di circa cinque persone che stavano simulando questo: così abbiamo lavorato in teoria, sulla carta, tutto ciò che doveva essere fatto [per preparare / in caso di Grexit]. Ma è una cosa fare in teoria, a livello di 4-5 persone, è tutta un’altra faccenda è preparare il paese per grexit. Per preparare il paese una decisione esecutiva doveva essere presa, ma non è mai stata presa.
HL: Ma la scorsa settimana, c’è stata una decisione che si sentiva che si erano diretti verso la soluzione della Grexit?
YV: La mia idea era: dobbiamo stare molto attenti a non attivarla. Non volevo che ciò si avverasse . Non volevo che questa sventura fosse come il famoso detto di Nietzsche ‘ se guardi nell’abisso molto a lungo, l’abisso comincerà a guardare te’. Ma ho anche creduto fortemente che nel momento in cui l’Eurogruppo ci ha chiuso le banche, dovevamo tentare questo processo.
HL: Giusto. Quindi ci sono due opzioni, per quanto posso capire, una Grexit immediata, oppure fare cambiali e prendere il controllo della banca della Banca di Grecia [quindi, potenzialmente, ma non necessariamente e immediatamente precipitare una Grexit]?
YV: Certo, certo. Non ho mai creduto che dovessimo andare direttamente a una nuova moneta. La mia idea era, e ho spiegato questo al governo , che se avessero osato chiudere le nostre banche, che giudico mossa aggressiva di incredibile ostilità, anche noi avremmo dovuto rispondere in modo aggressivo ma senza attraversare il punto di non ritorno.
Dovevamo rilasciare i nostri pagherò, o almeno annunciare che stavamo per farlo per rilasciare la nostra liquidità in euro; avremmo dovuto operare un taglio ai legami impostici dalla BCE nel 2012 o annunciare che stavamo per farlo; e così prendere noi il controllo della Banca di Grecia. Questo è stato il trittico, le tre cose, che avremmo dovuto tentare se la BCE avesse chiuso le nostre banche.
… Stavo attento a ciò che non doveva accadere. La Bce ha chiuso le nostre banche per un mese, al fine di trascinarci in un accordo umiliante. Quando è successo, e molti dei miei colleghi non potevano credere fosse vero, la mia raccomandazione era di dare una risposta “energica”, ma è stata rifiutata.
HL : E quanto eravate a favore o contro ?
YV: Beh, mi permetto di dire che su sei persone eravamo solo due. … Una volta che ho verificato ciò ho dato il mio ordine di chiudere le banche consensualmente con la BCE e la Banca di Grecia. Ero contrario, ma l’ho fatto perché io sono un giocatore di squadra, credo nella responsabilità collettiva.
E poi è venuto il referendum, che ci ha dato una spinta incredibile , una spinta che avrebbe giustificato il piano contro la BCE , ma poi quella notte il governo ha deciso che la volontà del popolo, questo clamoroso ‘No’ , non doveva essere sfruttato per risposte di rottura.
Invece avrebbe dovuto portare a grandi concessioni verso l’altro lato: la riunione del Consiglio dei leader politici, con il nostro Presidente del Consiglio ad accettare la premessa che qualunque cosa accada , qualunque porcheria faccia l’altra parte, non avremmo mai dovuto rispondere in alcun modo che apparisse come una sfida. E in sostanza, questo significa ripiegamento. … Cessate di negoziare.
HL: Così non si può sperare ora , che questo accordo sia molto meglio rispetto la scorsa settimana, anzi sarà peggio ?
YV: Certo, semmai sarà peggio . Confido e spero che il nostro governo insisterà sulla ristrutturazione del debito, ma non riesco a vedere come il ministro delle finanze tedesco potrà mai firmare una cosa del genere nella prossima riunione dell’Eurogruppo. Se lo fa, sarà un miracolo o un impazzimento.
HL: Esattamente, perché, come hai spiegato, non è nella sua testa vero?
YV: Penso di sì, penso di sì. A meno che [ a Schäuble] non giungano ordini diversi dal Cancelliere. Che è poi tutto da vedere, se lei interverrà per farlo.
HL: Per cambiare un poco argomento, ci potrebbe forse spiegare, in parole povere per i nostri lettori, le sue obiezioni alla versione Piketty del “Capitale”?
YV: Beh, vorrei dire in primo luogo, mi sento in imbarazzo perché Piketty è stato di grande aiuto a me e al governo, e sono stato un critico terribile per lui nella mia recensione del suo libro! Apprezzo molto la sua posizione nel corso degli ultimi mesi, e ho intenzione di dirglielo quando lo incontrerò a settembre.
Ma la mia critica del suo libro è giustificata. Il suo sentimento è corretto. La sua avversione per la disuguaglianza. La sua analisi, però, indebolisce l’argomento, per quanto mi riguarda. Perché nel suo libro il modello neoclassico del capitalismo dà molto poco spazio per costruire il caso che vuole costruire, a meno di usare per la costruzione del suo caso parametri che lo mettono in fallo. In altre parole, se fossi un avversario della sua tesi che la disuguaglianza è integrata nel capitalismo, sarei in grado di prendere da parte il suo esempio e mettere in crisi la sua analisi.
HL: Non voglio entrare troppo nel dettaglio, perché questo non ci agevola ad andare alle conclusioni.
YV: Sì …
HL: … ma si tratta della complessità del racconto?
YV: Sì, egli usa una definizione di capitale che rende impossibile il capire cos’è il capital e – quindi è una contraddizione di termini. [Clicca qui –  http://yanisvaroufakis.eu/2014/10/08/6006/  – per la  recensione critica di Varoufakis al Capitale del XXI secolo di Piketty]
HL: Torniamo alla crisi. Io capisco molto poco del suo rapporto con Tsipras …
YV: Lo conosco dalla fine del 2010, perché ero un convinto critico del governo, a quel momento, anche se una volta ero vicino ad esso. Ero vicino alla famiglia Papandreou – lo sono ancora in un certo senso – ma sono diventato importante … allora era una grande novità che un ex consigliere stava dicendo “Stiamo facendo finta che il fallimento non sia accaduto, stiamo cercando di coprirlo con nuovi prestiti insostenibili “, quel genere di cose insomma ..che sostengo ancora.
Ho riflettuto su alcune uscite di allora, e Tsipras era un leader molto giovane che cercava di capire cosa stava succedendo, ciò che la crisi rappresentava, e come si sarebbe dovuto posizionare.
HL: C’è stato un primo incontro, lo ricordi?
YV: Oh, sì. Era la fine del 2010, siamo andati in una caffetteria, eravamo in tre amici, e il mio ricordo è che egli non aveva ancora idee chiare, la dracma contro l’euro, sulle cause della crisi, mentre io avevo molto chiara, devo dire, un’opinione su quello che stava succedendo.
E’ un dialogo continuo il nostro avviato da allora, che si è svolto nel corso degli anni è un amico che … credo che mi abbia aiutato a plasmare la visione di ciò che dovrebbe essere fatto.
HL : Allora, come ci si sente ora, dopo quattro anni e mezzo , di non essere più a lavorare al suo fianco ?
YV : Beh, io continuo a lavorare al suo fianco , credo che siamo molto vicini. La nostra separazione è stato estremamente amichevole. Non abbiamo mai avuto problemi tra di noi, mai, fino ad oggi. E io sono molto vicino a Euclid Tsakalotos [ il nuovo ministro delle finanze ].
HL: E presumibilmente ti stai ancora parlando con tutti e due questa settimana?
YV : Io non ho parlato con Alexis nel corso degli ultimi due giorni, ma io parlo con Euclid, sì, e ritengo che Euclid mi sia molto vicino, e viceversa, e non lo invidio affatto . [ Ridacchiando. ]
HL: Saresti scioccato se Tsipras si dimettesse ? E gli hai perdonato di non avere accettato il tuo piano?
YV: Niente mi sconvolge in questi giorni – la nostra zona euro è un luogo molto inospitale per le persone decenti. Non c’è da perdonare, ognuno fa la sua parte . Mi addolorerebbe se dovesse essere costretto ad accettare un pessimo affare. Ma questo perché, io lo posso capire: lui è il Premier e sente di avere l’obbligo di rispondere alle persone che lo sostengono, che non vogliono abbandonare l’Euro, ma non vogliono nemmeno essere umiliati . Lui ha l’obbligo morale di sostenerci, di non lasciare che questo paese diventi uno Stato fallito.
HL: Ma se il tuo piano fosse stato approvato ?
YV : Tsipras alla fine non fu d’accordo e io capisco il perché. Non potevo garantire che la Grexit funzionasse. Dopo che Syriza era andata al governo in gennaio, un piccolo team aveva pensato “in teoria, sulla carta” come avrebbe potuto funzionare. Io l’ ho detto: ” Non sono sicuro che avremmo potuto gestirla, perché gestire il collasso di una unione monetaria richiede una grande quantità di competenze e non sono sicuro che le abbiamo qui in Grecia, senza aiuti esterni”. Ci saranno altri anni di austerità, ma io so che Tsipras ha preso l’impegno “di non permettere il fallimento della Grecia”.
HL: Ma allora, perché non restare ?
YV : Io non ho intenzione di tradire il mio punto di vista, che ho affinato fin dal 2010, che questo paese deve fermare l’estensione del debito e facendo finta di farcela, dobbiamo smettere di contare su nuovi prestiti fingendo che abbiamo risolto il problema, quando non non è vero; quando abbiamo reso il nostro debito ancor meno sostenibile, a condizione di ulteriore austerità che ancora di più riduce l’economia; e sposta l’onere ulteriore sui non abbienti, creando una crisi umanitaria. E’ una cosa che non ho intenzione di accettare. Io non ho intenzione di esserne parte. Io sono in una posizione diversa dal premier.
HL: Ultima domanda : terrai rapporti con coloro con cui dovevi negoziare?
YV: Uhm, non sono sicuro. Io non ho intenzione di citare tutti i loro nomi ora. Solo nel caso in cui potrei distruggere la loro carriera! [Ride.]

28.6.15

Referendum Grecia: Lettera di Tsipras ai greci e "Il tempo è ora". Documento politico approvato dal comitato nazionale Altra Europa con Tsipras del 21 giugno 2015

«Greche e greci,

da sei mesi il governo greco conduce una battaglia in condizioni di asfissia economica mai vista, con l’obiettivo di applicare il vostro mandato del 25 gennaio a trattare con i partner europei, per porre fine all’austerity e far tornare il nostro paese al benessere e alla giustizia sociale. Per un accordo che possa essere durevole, e rispetti sia la democrazia che le comuni regole europee e che ci conduca a una definitiva uscita dalla crisi.

In tutto questo periodo di trattative ci è stato chiesto di applicare gli accordi di memorandum presi dai governi precedenti, malgrado il fatto che questi stessi siano stati condannati in modo categorico dal popolo greco alle ultime elezioni. Ma neanche per un momento abbiamo pensato di soccombere, di tradire la vostra fiducia.

Dopo cinque mesi di trattative molto dure, i nostri partner, sfortunatamente, nell’eurogruppo dell’altro ieri (giovedì n.d.t.) hanno consegnato una proposta di ultimatum indirizzata alla Repubblica e al popolo greco. Un ultimatum che è contrario, non rispetta i principi costitutivi e i valori dell’Europa, i valori della nostra comune casa europea. È stato chiesto al governo greco di accettare una proposta che carica nuovi e insopportabili pesi sul popolo greco e minaccia la ripresa della società e dell’economia, non solo mantenendo l’insicurezza generale, ma anche aumentando in modo smisurato le diseguaglianze sociali.

La proposta delle istituzioni comprende misure che prevedono una ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, nuove diminuzioni dei salari del settore pubblico e anche l’aumento dell’IVA per i generi alimentari, per il settore della ristorazione e del turismo, e nello stesso tempo propone l’abolizione degli alleggerimenti fiscali per le isole della Grecia. Queste misure violano in modo diretto le conquiste comuni europee e i diritti fondamentali al lavoro, all’eguaglianza e alla dignità; e sono la prova che l’obiettivo di qualcuno dei nostri partner delle istituzioni non era un accordo durevole e fruttuoso per tutte le parti ma l’umiliazione di tutto il popolo greco.
Queste proposte mettono in evidenza l’attaccamento del Fondo Monetario Internazionale a una politica di austerity dura e vessatoria, e rendono più che mai attuale il bisogno che le leadership europee siano all’altezza della situazione e prendano delle iniziative che pongano finalmente fine alla crisi greca del debito pubblico, una crisi che tocca anche altri paesi europei minacciando lo stesso futuro dell’unità europea.

Greche e greci,

in questo momento pesa su di noi una responsabilità storica davanti alle lotte e ai sacrifici del popolo greco per garantire la Democrazia e la sovranità nazionale, una responsabilità davanti al futuro del nostro paese. E questa responsabilità ci obbliga a rispondere all’ultimatum secondo la volontà sovrana del popolo greco.

Poche ore fa (venerdì sera n.d.t.) si è tenuto il Consiglio dei Ministri al quale avevo proposto un referendum perché sia il popolo greco sovrano a decidere. La mia proposta è stata accettata all’unanimità.
Domani (oggi n.d.t.) si terrà l’assemblea plenaria del parlamento per deliberare sulla proposta del Consiglio dei Ministri riguardo la realizzazione di un referendum domenica 5 luglio che abbia come oggetto l’accettazione o il rifiuto della proposta delle istituzioni.

Ho già reso nota questa nostra decisione al presidente francese, alla cancelliera tedesca e al presidente della Banca Europea, e domani con una mia lettera chiederò ai leader dell’Unione Europea e delle istituzioni un prolungamento di pochi giorni del programma (di aiuti n.d.t.) per permettere al popolo greco di decidere libero da costrizioni e ricatti come è previsto dalla Costituzione del nostro paese e dalla tradizione democratica dell’Europa.

Greche e greci,

a questo ultimatum ricattatorio che ci propone di accettare una severa e umiliante austerity senza fine e senza prospettiva di ripresa sociale ed economica, vi chiedo di rispondere in modo sovrano e con fierezza, come insegna la storia dei greci. All’autoritarismo e al dispotismo dell’austerity persecutoria rispondiamo con democrazia, sangue freddo e determinazione.

La Grecia è il paese che ha fatto nascere la democrazia, e perciò deve dare una risposta vibrante di Democrazia alla comunità europea e internazionale.

E prendo io personalmente l’impegno di rispettare il risultato di questa vostra scelta democratica qualsiasi esso sia.

E sono del tutto sicuro che la vostra scelta farà onore alla storia della nostra patria e manderà un messaggio di dignità in tutto il mondo.

In questi momenti critici dobbiamo tutti ricordare che l’Europa è la casa comune dei suoi popoli. Che in Europa non ci sono padroni e ospiti. La Grecia è e rimarrà una parte imprescindibile dell’Europa, e l’Europa è parte imprescindibile della Grecia. Tuttavia un’Europa senza democrazia sarà un’Europa senza identità e senza bussola.

Vi chiamo tutti e tutte con spirito di concordia nazionale, unità e sangue freddo a prendere le decisioni di cui siamo degni. Per noi, per le generazioni che seguiranno, per la storia dei greci.

Per la sovranità e la dignità del nostro popolo».

Alexis Tsipras


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Abbiamo detto già molte – troppe – volte che “il tempo è ora”.

Dobbiamo dire oggi che “siamo già oltre”.

1. Per questo dobbiamo prendere noi, e dobbiamo chiedere a tutti i nostri interlocutori politici, sociali e a importanti personalità, un PUBBLICO IMPEGNO, solenne, convinto, a dare concretamente inizio al processo costituente di una forza e di una soggettività politica nuova che abbia – come abbiamo ripetuto fin dalla nostra nascita - l'ambizione di essere alternativa al quadro politico esistente, a quello delle larghe intese tra popolari e socialisti in Europa, e a quello italiano in cui il renzismo ha ormai cancellato non solo le figure ma il concetto stesso della tradizione di sinistra.

Spetta a noi, che ci siamo posti fin dall’inizio il problema della rappresentanza politica come nodo cruciale della crisi di sistema italiana, la responsabilità, grande, di lavorare per superare l’ostacolo dei molteplici progetti concorrenziali a sinistra e creare le condizioni di una coalizione politica e sociale capace di competere – come in Grecia e in Spagna - per una reale alternativa di governo.

Dovrà essere – pena un fallimento che sarebbe ora senza appello – un processo partecipato e democratico, ampio, includente, capace di coinvolgere la moltitudine estesa di chi non sopporta più lo stato di cose esistente e non vuole limitarsi alla testimonianza.

L’adesione a esso di tutte le esperienze organizzate che si muovono alla sinistra del PD ne è la condizione necessaria, perché senza un segnale di superamento dell’attuale frammentazione non c’è credibilità. Ma non sufficiente, perché senza la costruzione di una road map fatta soprattutto di lotte e mobilitazioni, e senza un radicamento sociale, non si uscirebbe dall’ambito penitenziale della irrilevanza.

Per questo il “tavolo” con cui lavorare dovrà essere ampio, molto più esteso di noi, di quello costituito dalle sole forze politiche organizzate e dei nostri tradizionali interlocutori. E non dovrà stare nel chiuso di una stanza, ma estendersi ai “luoghi della vita” e ai territori. In quella sede si definiranno le tappe e le caratteristiche del processo costituente, che non potrà ricalcare le forme verticistiche e pattizie di esperienze come "Sinistra Arcobaleno" o "Rivoluzione civile", ma riprendere l'ispirazione che ci ha unito nel progetto dell'Altra Europa con Tsipras.

Ma da subito la nostra parte la dobbiamo fare. Abbiamo il dovere di lanciare, ancor prima di agosto, un messaggio chiaro e forte: che ci siamo. Che partiamo. Che possiamo farcela. Lo dobbiamo ai tanti che aspettano da troppo tempo. Lo dobbiamo ai greci, lo dobbiamo ai migranti lasciati sugli scogli, lo dobbiamo a chi ogni giorno è umiliato da questo governo. Per questo lavoriamo perché già a luglio ci sia un segno tangibile che il processo si è messo in marcia.

Facciamo sì che sia un “percorso del fare”. Individuiamo fin d’ora nell’iniziativa referendaria sui temi e le lotte più vicini alla vita delle persone un terreno su cui impegnarsi da subito. Impegniamoci a costruire su ogni tema la più larga rete di soggetti, che già ci sono, e già sono attivi, in primo luogo sui temi della scuola e del Jobs Act, dello Sblocca Italia, dell'Italicum, delle controriforme costituzionali.

Costruiamo questo processo in una cornice esplicitamente internazionale: lo si dichiari fin d’ora inscritto nello spazio europeo in cui muovono forze che come noi si battono, a cominciare da Syriza e Podemos, con le quali giungere a esplicite dichiarazioni d’intenti comuni.

Pensiamo sia necessario costruire un unico soggetto alternativo al PD e che faccia riferimento al GUE sul terreno europeo. Anche per questo motivo riteniamo necessario avanzare una proposta sul terreno della forma politica. La nostra casa comune deve tenere insieme forme diverse del fare politica, dell'agire sociale e culturale, della costruzione della rappresentanza, della democrazia diretta, della partecipazione e costruzione del conflitto e delle pratiche mutualistiche. Dunque non un partito unico ma una casa in cui stiano insieme molteplici forme di attivazione e di adesione. Ci prefiggiamo di costruire una nuova modalità dell'agire collettivo e della costruzione della decisione sulla coalizione sociale, politica e culturale.

2. I nostri tempi di azione e di discussione sono drammaticamente inadeguati rispetto alla velocità vertiginosa con cui procedono le cose del mondo che ci sta intorno. Dell’Italia. Dell’Europa.

Dai giorni della nostra assemblea di Roma, lo scenario è già cambiato. In peggio.

Lo sapevamo che l’Europa – la quale da quando siamo nati è sempre stata lo spazio di riferimento della nostra identità e del senso della nostra azione politica – doveva essere cambiata alle radici. Che lì stava la radice della crisi, e dal suo rovesciamento dipendeva la possibilità di sopravvivere a quella crisi. Ma l’Europa come si rivela oggi – l’Europa finita che si mostra senza vergogna – va oltre ogni più cruda visione e pre-visione.

L’Europa che muore l’abbiamo vista a Ventimiglia, a Milano, a Roma Tiburtina – in quei mucchi di cenci trattati come rifiuti e che sono invece umanità.

La vediamo nelle immagini dei vertici di lusso, con le facce patinate dei Commissari che stringono la garrota al collo della Grecia.

Un continente che non sa più dare speranza a nessuno, né a quelli che vengono qui da lontano, né a quanti vi abitano e vi soffrono, è già morto. Comunica un senso di morte che cancella la storia. E la politica. E umilia il pensiero.

Dà il segno di una bancarotta insieme antropologica e politica.

Dobbiamo entrare in quest’ordine d’idee. Per la prima volta è diventato immaginabile, e forse anche possibile, un cedimento strutturale della costruzione europea – finanziario o politico. Viviamo una condizione eccezionale – uno “stato d’eccezione” e di pericolo come mai dopo la seconda guerra mondiale. Per il fallimento verticale delle élite. Per la dissoluzione, rapidissima, delle tradizionali culture politiche (particolarmente drammatico il dissolvimento delle socialdemocrazie). Per l’imbarbarimento antropologico che dilaga. Per il sadismo nei confronti della parte più fragile delle proprie popolazioni, imposto da un’applicazione ottusa e feroce del dogma neo-liberista.

A ogni tornata elettorale nazionale o locale la mappa si fa più chiara: un centro neoliberista che ha ormai assorbito quasi senza resistenza le tradizionali social-democrazie, circondato da un’ondata di protesta e di rifiuto in chiave populista che soprattutto a nord e a est assume il colore fosco della xenofobia e del razzismo. Solo sul versante mediterraneo, in Grecia e in Spagna (oltre che in Irlanda), la resistenza si esprime con forme di radicalità democratica e solidaristica.

Il che ci dice che l’unico antidoto in grado di resistere alla deriva fascistoide e alla mobilitazione del disumano dentro la crisi europea è l’esistenza di una sinistra forte, radicata e radicale, determinata e con chiarezza alternativa all’intero paradigma neo-liberista. Siamo convinti che la costruzione di una sinistra radicata, popolare e capace di raccogliere consenso, oggi si possa costruire nella radicale alternatività, a tutti i livelli e per ragioni diverse al PD e alle destre. Alternatività non solo a livello elettorale, a partire dalle prossime competizioni amministrative, ma anche nelle pratiche politiche, nella riconnessione di sociale e politico per modificare i rapporti di forza e sulla questione morale.

Per questo la nostra responsabilità è oggi enorme. Nel contribuire alla formazione di quella nuova coalizione sociale e politica a dimensione europea – a cominciare dall’asse Mediterraneo – capace di alimentare vere e proprie lotte di liberazione, europee e nazionali, contro l’austerità e la Troika, com’è nel nostro progetto originario. Sul terreno sociale, politico e culturale, per contrastare la deriva xenofoba, razzista e oscurantista che si registra sul terreno del consenso e del senso comune. La dimensione europea è e deve essere per noi fondativa della costruzione del soggetto unitario.

La costruzione anche in Italia di una AAA (Alleanza contro le politiche di austerità) è un punto fondamentale per la realizzazione della mobilitazione del prossimo autunno, così come pensiamo sia fondamentale. Che Altra Europa promuova iniziative unitarie sui nodi cruciali del rapporto Europa-Italia: dal TTIP che determinerebbe un ulteriore processo di deregolamentazione a scapito della sovranità popolare, alla questione dei/delle migranti, per noi cruciale perché si parla della possibilità o meno che questa UE resti umana, alla questione dei diritti di libertà e dei diritti civili di donne e uomini. È evidente che la nostra alternatività al socialismo europeo come responsabile delle politiche di austerità e al PD che le incarna in Italia, si fonda su questioni politiche dirimenti.

3. Renzi oggi è più debole. Ma proprio per questo più pericoloso (la vicenda della scuola insegna): da una parte continua a picconare quanto rimane dei residui culturali e istituzionali di quella che un tempo era la sinistra, dall’altra alimenta con la propria azione e i propri fallimenti in campo economico i peggiori sentimenti di chi risponde a una condizione sociale bloccata nella crisi accodandosi alla peggior destra fascistoide alla Salvini. E noi siamo spaventosamente inadeguati. Noi, TUTTI.

Se un dato è emerso chiaro dalle recenti elezioni amministrative è che oggi, a sinistra, non c’è salvezza per nessuno al di fuori di un processo unitario che superi, rapidamente – bisognerebbe dire istantaneamente – l’attuale frammentazione e il messaggio d’impotenza che trasmette. Le uniche realtà in cui si sono ottenuti risultati positivi – tali cioè da dimostrare che esiste una forza in campo, in grado di dire che “si può” senza rischiare l’assoluta irrilevanza, come la Toscana e la Liguria – sono quelle in cui si sono presentate liste chiaramente unitarie e anche, in qualche modo, capaci di comunicare qualche segnale, sia pur timido, di innovazione.

D’altra parte la geografia politica emersa da quel voto, e resa cogente dall’Italicum, in particolare dal sistema del ballottaggio, strutturata su un tripolarismo con PD, 5Stelle e destra ad egemonia salviniana tutti in competizione per il premio al ballottaggio, ci costringe a mettere in campo, in fretta, una proposta che faccia da quarto incomodo, pena l’evaporazione di tutta la nostra area nella logica del voto utile (questa volta non più tanto al PD quanto ai 5 stelle) o nell’astensione. Esigenza resa tanto più impellente dall’accelerazione in senso xenofobo e imbarbarito delle posizioni sui migranti, di cui la volgare e disgustosa uscita di Grillo è un segnale inquietante (la corsa all’elettorato di destra è partita, e sarà feroce, nel nome della difesa degli interessi degli italiani).

Abbiamo la responsabilità di costruire un’alternativa politica ed elettorale efficace e credibile al PD renziano che ha indubbiamente perso la propria “spinta propulsiva”, ma che continua a occupare prepotentemente lo spazio politico italiano e a proseguire l’azione di manomissione della democrazia e di disgregazione della società che l’ha caratterizzato fin dall’inizio. Sempre più chiaramente il renzismo è l'ultima tappa nella perdita di senso del Paese: per questo non solo va fermato, ma contrastato con un’alternativa chiara, di governo e di sistema.

Altra Europa con Tsipras

approvato dal Comitato Nazionale il 21/6/2015

24.6.15

L’ideologia che condiziona i risultati

Mario Deaglio (La Stampa)

Pensavamo che il rinvio sistematico delle decisioni politicamente scomode fosse una prassi tipicamente italiana; dobbiamo constatare che sta rapidamente diventando una prassi europea. E’ questa, infatti, l’ottava volta da febbraio che una riunione sul debito greco, indicata come «decisiva» alla vigilia, si conclude con un rinvio. Una simile lentezza su una questione nella quale le cifre in gioco, pur importanti, non sono colossali pare dovuta a tre motivi diversi.

Il primo è il «rischio finanziario», ossia il pericolo che il debito greco provochi un effetto-valanga, travolgendo le banche (greche e di altri Paesi) che detengono i titoli di questo debito. Il loro valore crollerebbe in caso di non pagamento, il crollo coinvolgerebbe anche gli operatori che hanno nel loro portafoglio i titoli di queste banche. Si innescherebbe una catena mondiale di forti ripercussioni negative, come successe per la banca americana Lehman Brothers, con il pericolo di nuova recessione mondiale.

In realtà, questo rischio appare ben controllato perché la maggior parte del debito greco è ora sottratta alle normali contrattazioni, essendo detenuta da grandi istituzioni europee e internazionali che, pur con un segno meno in bilancio, non sarebbero compromesse da queste perdite.

La vera paura, che attanaglia mercati e governi, è un’altra: visto il parziale condono alla Grecia del debito, altri Paesi indebitati potrebbero mettersi sulla stessa strada. Perché il Portogallo, che sopporta, senza contestare Bruxelles, misure economiche molto gravose, a causa dei suoi debiti, dovrebbe continuare a essere «virtuoso», visto che un grande accordo sul debito greco dimostrerebbe che la virtù finanziaria non paga? Perché, la Spagna - che tra qualche mese potrebbe essere governata da Podemos - non dovrebbe opporsi alla continuazione di pesanti misure di austerità?

Questo rischio - che si può definire «rischio politico» - non è facile da controllare e rende particolarmente inquieta un’Unione Europea che vede aprirsi così, la strada della propria disgregazione. Per questo si sta facendo strada l’idea che, anche nel caso di un’uscita della Grecia dall’euro, dovrebbe essere fissato l’obiettivo del suo rientro: l’Unione Europea dovrebbe essere pronta, oltre ad accettare un lunghissimo prolungamento del periodo di restituzione, anche a finanziare trasformazioni produttive dell’economia ellenica, senza le quali, dentro o fuori dell’euro, l’economia greca rimarrebbe disastrata.

Il rischio che però intimorisce di più la comunità internazionale è quello di cui si parla di meno e che potrebbe essere definito il «rischio ideologico». Alcuni mesi fa, in diverse occasioni, il primo ministro greco, Alexis Tsipras, definì come «ricatto alla democrazia» l’intimazione al suo Paese di restituire, alle date concordate, quanto ricevuto in prestito. Affermando implicitamente che «la democrazia passa davanti al debito», Tsipras ha sostenuto che uno stato democratico potrebbe legittimamente non pagare, specie se i creditori sono banche straniere.

Andando ancora più in là, non manca chi sommariamente invoca la distruzione della ricchezza finanziaria, che deriverebbe da una nuova crisi, e una «ripartenza da zero». In questo caso, la Grecia potrebbe diventare la testa di ponte di un nuovo movimento mondiale per il non pagamento del debito estero, finalizzato al superamento dell’attuale ordine economico. Le potenzialità «sovversive» di questa posizione spiegano, tra l’altro, il tentativo del cancelliere tedesco, Angela Merkel, di evitare a ogni costo uno scontro nel quale un sistema di mercato come l’attuale, che si vanta di aver superato le ideologie, sarebbe particolarmente vulnerabile

Nell’attuale crisi, solo alla minuscola Islanda è riuscito di non pagare il debito, ma ha dovuto ugualmente accettare dure misure di austerità che ne hanno rimesso in piedi l’economia. Prima dell’economia, però, il dilemma posto dalla Grecia è una questione di grandi scelte preliminari, di ideologia, appunto. Nell’«Edipo Re», una delle più importanti tragedie greche, rispondendo all’indovinello della Sfinge, Edipo diede il via ad avvenimenti terribili e luttuosi. Per questo, finché può, a Bruxelles si preferisce rinviare o rallentare, non rispondere agli indovinelli.


19.3.15

Ma la nostra sinistra vive ancora nel '900

Massimo Cacciari (L'Espresso)

Altrove, le trasformazioni globali hanno creato partiti nuovi e pragmatici contro le disuguaglianze. In Italia invece prevale sempre il sonno dogmatico

Come si è giunti a una crisi tanto radicale di quelle correnti politiche che ereditavano in Italia tradizioni,e uomini, della sinistra novecentesca? Come è possibile che una storia di tale portata, la storia del "movimento operaio" italiano, sembri contrarsi oggi all'azione di una minoranza debole e divisa del Partito di Renzi, del tutto subalterna a fatti e misfatti di quest'ultimo? Le cause sono molteplici, non c'è dubbio, e anzitutto di ordine materiale: sono strutturalmente mutati i rapporti di produzione e di classe, è finita l'Italia della grande industria e dell' "operaio massa", la grande rivoluzione tecnologica del nuovo Millennio ha rivoluzionato culture e forme di vita. Ma si tratta di processi irreversibili che hanno interessato tutte le società europee e hanno più o meno drammaticamente colpito tutti i loro sindacati e tutte le loro socialdemocrazie. Perché solo da noi sembrano averne cancellato ogni traccia? E perché in altri Paesi il loro crollo ha pure prodotto nuovi, giovani movimenti "di sinistra", i Podemos e gli Tsipras, mentre in Italia l'immenso spazio politico della protesta, gli effetti sociali della grande crisi da cui siamo lungi dall'essere usciti, sono stati capitalizzati esclusivamente dai Grillo e ora pure dai Salvini? Temo che la domanda nasconda un errore fatale di prospettiva. E l'asfittica sedicente "sinistra" italiana che si consola collocando nel proprio solco quelle esperienze. E sperando una propria rinascita sul loro modello. In realtà esse esprimono proprio l'esaurirsi della "geografia" politica novecentesca, non hanno nulla a che fare con i contenuti tradizionali di "destra" e "sinistra". La loro "ideologia" è un'arma leggerissima, un' " aura " piuttosto che un'arma, e la loro forza sta nel restare ancorati in modo assolutamente pragmatico alle ragioni della protesta, e cioè al dilagare delle disuguaglianze, dell'insicurezza e delle paure. L'agilità tattica con cui si muove uno Tsipras è la naturale conseguenza di questa collocazione del suo movimento. Rivolto interamente ad affrontare la crisi nella sua concretezza, a tentare di rispondere al dramma di chi la vive in carne ed ossa.
DEGLI ORIZZONTI STRATEGICI meglio per ora tacere. La "politica al comando" è un lusso retorico che oggi non ci possiamo permettere. Da questo punto di vista, i Podemos e gli Tsipras appaiono anche mille leghe oltre Madame Le Pen e Monsieur Salvini, zavorrati da arcaiche ideologie regressive. Ma, per analoghi motivi, neppure hanno a che fare con le disperse membra della nostra "sinistra", che proprio quelle trasformazioni e quella crisi che hanno espresso gli Tsipras non ha saputo né comprendere né rappresentare. Ammesso e non concesso che le nuove forze spagnole e greche possano dirsi "sinistra", esse sono lontane dalla nostra tradizionale quanto lo è Renzi. Renzi ne esprime il superamento nel senso di un decisionismo populistico, che svuota il ruolo del binomio indissolubile Parlamento-sistema dei partiti. Si tratta di una formidabile tendenza del nostro tempo, che gli eredi del "movimento operaio" si ostinano da decenni a non voler vedere,e quindi a non saper in alcun modo contrastare. I Podemos e gli Tsipras, da parte loro, invece, si oppongono a tale tendenza ricalcando esattamente la figura del tribuno del popolo. La loro è auctoritas tribunicia nel senso più proprio. Ma è estremamente difficile per il tribuno imporre la legge, svolgere duratura azione di governo in perenne lotta col Senato (alias, i "decisori" ultimi delle politiche europee). La cultura politica del tribuno può solo occasionalmente giungere ad esprimere una energia riformatrice, in grado di mutare l'intero assetto della res publica. Abbiamo così una vecchia sinistra conservatrice che si batte contro la prospettiva incarnata da Renzi in nome di principi, regole e assetti istituzionali, estranei ogni giorno di più agli interessi effettivi della base sociale che essa dovrebbe rappresentare e una "nuova sinistra" di tipo tribunizio, incapace di affrontare la crisi dell'idea stessa di rappresentanza, che stiamo vivendo, al suo livello proprio, quello storico, di sistema.
UNA DOZZINA D'ANNI FA in Italia si fu sul punto di veder nascere un grande Podemos, che forse avrebbe potuto anche svegliare dal proprio sonno dogmatico la sinistra conservatrice. Ma, ahimè, si rivelò subito che il suo leader (vero Sergio?) era culturalmente consustanziale proprio a quest'ultima... e anche da quell'aborto ci vennero Grillo e grillini. Per molti motivi, per il bene stesso della nostra malatissima democrazia, è sperabile che quella opportunità si ripresenti, ma il dramma di allora ritornerà come pura farsa se saranno gli stessi, insieme ai loro nati stanchi epigoni, a volerla interpretare.

27.1.15

La divina sorpresa che viene da Atene

Barbara Spinelli (il fatto quotidiano)
Contro l'ortodossia

Nella storia francese, quel che è accaduto domenica in Grecia ha un nome: si chiama “divine surprise”. Il maggio 68 fu una divina sorpresa, e prima ancora – il termine fu coniato da Charles Maurras – l’ascesa al potere di Pétain. La storia inaspettatamente svolta, tutte le diagnosi della vigilia si disfano. Fino a ieri regnava l’ortodossia, il pensiero che non contempla devianze perché ritenuto l’unico giusto, diritto. L’incursione della sorpresa spezza l’ortodossia, apre spazi ad argomenti completamente diversi. La vittoria di Alexis Tsipras torce la storia allo stesso modo. Non è detto che l’impossibile diventi possibile, che l’Europa cambi rotta e si ricostruisca su nuove basi.

Non avendo la maggioranza assoluta, Syriza dovrà patteggiare con forze non omogenee alla propria linea. Ma da oggi ogni discorso che si fa a Bruxelles, o a Berlino, a Roma, a Parigi, sarà esaminato alla luce di quel che chiede la maggioranza dei greci: una fondamentale metamorfosi – nel governo nazionale e in Europa – delle politiche anti-crisi, dei modi di negoziare e parlarsi tra Stati membri, delle abitudini cittadine a fidarsi o non fidarsi dell’Unione. Ricominciare a sperare nell’Europa è possibile solo in un’esperienza di lotta alla degenerazione liberista, alla fuga dalla solidarietà, alla povertà generatrice di xenofobie: è quel che promette Tsipras. I tanti che vorrebbero perpetuare le pratiche di ieri proveranno a fare come se nulla fosse. I partiti di centrodestra e centrosinistra continueranno a patteggiare fra loro – son diventati agenzie di collocamento più che partiti – ma la loro natura apparirà d’un tratto stantia; per esempio in Italia apparirà obsoleto qualunque presidente della Repubblica, se i nomi vincenti sono quelli che circolano negli ultimi giorni. Dopo le elezioni di Tsipras, anche qui sono attese divine sorprese che scompiglino i giochi tra partiti e oligarchie. Non si può naturalmente escludere che Tsipras possa deludere il proprio popolo, ma il pensiero nuovo che impersona è ormai sul palcoscenico ed è questo: non puoi, senza il consenso dei cittadini che più soffrono la crisi, decretare dall’alto – e in modo così drastico – il cambiamento in peggio della loro vita, dei loro redditi, dei servizi pubblici garantiti dallo Stato sociale. Non puoi continuare a castigare i poveri, e non far pagare i ricchi. Non esiste ancora una Costituzione europea che cominci, alla maniera di quella statunitense, con le parole “Noi, popoli d’Europa…”, ma quel che s’è fatto vivo domenica è il desiderio dei popoli di pesare, infine, su politiche abusivamente fatte in loro nome. L’establishment che guida l’Unione è in stato di stupore. Meglio sarebbe stato, per lui, che tra i vincitori ci fosse solo l’estrema destra di Alba Dorata, e che Syriza avesse fatto un’altra campagna: annunciando l’uscita dall’Euro, dall’Unione. Non è così, per sfortuna di molti: sin dal 2012, Tsipras ha detto che in quest’Europa vuol restare, che la moneta unica non sarà rinnegata, ma che l’insieme della sua architettura deve mutare, politicizzarsi, “basarsi sulla dignità e sulla giustizia sociale”. La maggioranza di Syriza – da Tsipras a eurodeputati come Dimitrios Papadimoulis o Manolis Glezos – ha scelto come propria bandiera il Manifesto federalista di Ventotene. DICONO che Syriza sfascerà l’Unione, non pagando i debiti e demolendo le finanze europee. Non è vero. Tsipras dice che Atene onorerà i debiti, purché una grossa porzione, dilatata dall’austerità, sia ristrutturata. Che gli Stati dell’Unione dovranno ridiscutere la questione del debito come avvenne nel ’53, quando furono condonati – anche con il contributo della Grecia, dell’Italia e della Spagna – i debiti di guerra della Germania (16 miliardi di marchi). Che l’Europa dovrà impegnarsi in un massiccio piano di investimenti comuni, finanziato dalla Banca europea degli investimenti, dal Fondo europeo degli investimenti, dalla Bce: è la “modesta proposta” di Yanis Varoufakis, l’economista candidato di Syriza in queste elezioni. Quanto al dissesto propriamente greco, Tsipras ne ha indicate le radici anni fa: i veri mali che paralizzano la crescita ellenica sono la corruzione e l’evasione fiscale. “È un fatto che la nostra cleptocrazia ha stretto un’alleanza con le élite europee per propagare menzogne, sulla Grecia, convenienti per gli eurocrati ed eccellenti per le banche fallimentari” (Tsipras al Kreisky Forum di Vienna, 20-9-2013). Questi anni di crisi hanno trasformato l’Unione in una forza conflittuale, punitiva, misantropa. Hanno svuotato le Costituzioni nazionali, la Carta europea dei diritti fondamentali, lo stesso Trattato di Lisbona. Hanno trasformato i governi debitori in scolari minorenni: ogni tanto scalciano, ma interiorizzano la propria sottomissione a disciplinatori più forti, a ideologi che pur avendo fallito perseverano nella propria arroganza. Quel che muove Tsipras è la convinzione che la crisi non sia di singoli Stati, ma sistemica: è crisi straordinaria dell’intera eurozona, bisognosa di misure non meno straordinarie. Tsipras rimette al centro la politica, il negoziato tra adulti dell’Unione, la perduta dialettica fra opposti schieramenti, il progresso sociale. L’accordo cui mira “deve essere vantaggioso per tutti”, e resuscitare l’idea postbellica di una diga contro ogni forma di dispotismo, di riforme strutturali imposte dall’alto, di lotte e falsi equilibri tra Stati centrali e periferici, tra Nord e Sud, tra creditori incensurati e debitori colpevoli.

26.1.15

Effetto Tsipras sulle Borse, a Tokyo crolla l’euro

 (La Stampa)
In mercati in ansia dopo il trionfo di Syriza ad Atene. Ma il piano Bce smorza le tensioni

L’effetto Alexis Tsipras, vincitore indiscusso con la sua Syriza alle elezioni politiche in Grecia, si abbatte sull’euro che segna all’apertura dei listini di Borsa di Tokyo un tonfo sia contro il dollaro e sia contro lo yen, scendendo rispettivamente a 1,1139 e a 130,78. Nelle contrattazioni di venerdì sulla piazza valutaria di New York, l’euro si era già indebolito a 1,1200 dollari e a 132,02 yen sulle attese dell’affermazione di Tsipras, promotore dell’inversione di rotta delle politiche di risanamento ed austerità imposte dalla troika, alimentando i timori sull’arrivo di un’altra fase d’instabilità in Eurolandia.
In flessione anche il biglietto verde sulla divisa nipponica, sceso a quota 117,40

I mercati sono in apprensione per il destino del debito di Atene, che ammonta a circa 320 miliardi di euro. Gli analisti sembrano però escludere reazioni isteriche, un po’ per l’effetto “paracadute” rappresentato dal quantitative easing lanciato giovedì dalla Bce e un po’ per il fatto che - dopo il piano di aiuti condizionato alle misure di austerity imposte dalla troika (Fmi, Ue, Bce) - l’esposizione verso i privati, secondo i dati elaborati da Ig Markets, è scesa dal 59% al 17% del totale, a fronte di un 62% in mano ai governi dell’Eurozona, un 11% della Bce e un 10% dell’Fmi.
Insomma qualora dovesse aprirsi un tema di taglio del debito greco - punto qualificante del programma del movimento guidato da Alexis Tsipras - questa volta, a differenza che nella crisi del 2010, il problema sarà in primo luogo dei governi e della istituzioni europee e non di banche e fondi. «Il tema del contagio non è del tutto superato me si è ridotto» afferma Lucy O’Carroll, economista di Aberdeen asset management.

L’attenzione resta comunque elevata. «È nell’interesse del governo greco fare le riforme necessarie per risolvere i suoi problemi strutturali», commenta il presidente della Bundesbank Jens Weidmann alla tv tedesca Ard dopo i primi risultati del voto in Grecia. «Atene - continua - deve aderire alle condizioni del salvataggio». L’Ansa riferisce che il presidente della Bce Mario Draghi, quelli della Commissione Ue Jean Claude Juncker, del Consiglio Danald Tusk e dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem avranno una colazione di lavoro prima dell’Eurogruppo per discutere della Grecia.

Gli analisti di Axa Investment Management ammettono che «le incertezze sulle trattative tra la Grecia e i creditori internazionali faranno le loro vittime tra gli asset rischiosi» ma si aspettano un effetto «marginale» sul complesso dell’Eurozona. Lo stesso Tsipras ha detto di non avere come obiettivo l’uscita dall’euro e dunque dovrà cercare un compromesso con i suoi creditori, anche per non vedere i bond di Atene esclusi dagli acquisti della Bce.

La conferma di una vigilia tranquilla arriva anche dall’andamento dei rendimenti e degli spread dei titoli sovrani nell’Eurozona, scesi a livelli bassissimi grazie all’ombrello della Bce. Unica eccezione i bond greci, che nelle ultime sedute hanno registrato un’inversione della curva dei rendimenti, con i titoli triennali che rendono di più dei decennali (il 9,7% contro l’8,1%), segno che il mercato teme una ristrutturazione che andrà a colpire maggiormente le scadenza più vicine.

Alla riapertura delle borse europee si conosceranno con esattezza le dimensioni del successo di Syriza. E si capirà se il movimento anti-austerity´ avrà da solo i 151 voti necessari per controllare l’assemblea legislativa ellenica (ipotesi meno gradita al mercato) o dovrà trovare alleati più moderati, come il partito socialista Pasok o il To Potami guidato dal giornalista televisivo Stauros Theodorakis.

25.1.15

Piccole lezioni di Tsipras

Alessandro Gilioli (L'Espresso)

L’ho già detto e lo ripeto: non è che domani in Grecia inizia il radioso futuro del socialismo. Inizia semmai una sfida difficile e complicata. Che ritengo tuttavia da seguire in modo non neutrale: se non altro perché forse sta per nascere il primo governo europeo che non obbedisce alle ricette della Troika. Non è poca cosa, credo.

Nel frattempo, credo che la vittoria di Syriza possa mostrare due o tre cose.

Ad esempio, che la radicazione sociale ottenuta con il tempo e con la fatica non è affatto un dettaglio: anzi, è fondamentale. Secondo, che le pratiche personali e collettive sono condizioni igieniche di base, non solo per guardarsi allo specchio alla mattina ma anche per acquisire autorevolezza e consenso. Terzo, che il tormentone “si vince solo inseguendo il centro” è, o talvolta può essere, una sciocchezza totale.

Classe 1974, Alexis Tsipras inizia il suo percorso politico giovanile al fianco delle mummie della sinistra greca: nel Kke, il partito comunista ortodosso, già stalinista e comunque ancorato al marxismo-leninismo. Ma è un eretico e un movimentista, sicché se ne distacca presto per passare una formazione nuova nella galassia della sinistra locale, il Synaspismós, dove pure rappresenta l’ala più anticonformista e innovativa.

Nel 2001 cerca di venire in Italia, per il G8 di Genova, ma con i suoi compagni viene bloccato ad Ancona dalle nostre forze dell’ordine e rispedito ad Atene. Si rifarà due anni dopo, organizzando le proteste di piazza contro il Consiglio Europeo di Salonicco, che rappresentano un po’ l’atto di nascita della nuova sinistra in Grecia.

È così che nel 2006 Tsipras si lancia come candidato sindaco di Atene con una lista, Città aperta, che tenta di raccogliere le diverse anime della sinistra radicale in città: raccoglie un risultato record, oltre il 10 per cento, andando ogni giorno nei mercati e nei quartieri lontani dal centro a parlare di povertà, welfare, precarietà giovanile, ambiente, diritti delle donne.

È l’inizio di un percorso che lo porterà in pochi anni a rifondare tutta la sinistra greca, che come frazionismo e litigiosità non aveva nulla da invidiare alla nostra.

Puntando su obiettivi concreti, su diritti di base sempre più negati ai suoi connazionali, Tsipras riesce dal 2010 a fondere in Syriza le componenti più diverse, dai vetero-maoisti ai riformisti, dai neokeynesiani agli altermondialisti, dagli ecologisti ai trotskisti, giù giù fino al mondo dei movimenti e dell’associazionismo di base, perfino del nuovo mutualismo con cui nel suo Paese si cerca di far fronte alla crisi. Il tutto sulla base di un principio semplice ma dirompente: le ricette imposte dalla Troika servono solo ad aumentare la forbice sociale, a creare una piccola classe di super privilegiati e un’immensa classe di nuovi poveri.

La realtà, come noto, dà ragione a Tsipras, memorandum dopo memorandum.

In Grecia la classe media scompare o quasi, chiudono le scuole, gli ospedali mandano via chi sta male, gli ex colletti bianchi cercano cibo nei bidoni della spazzatura. Che cosa contano, di fronte a una realtà del genere, le vecchie identità ideologiche, le contrapposizioni personalistiche o di gruppo, i litigi che affondano le loro radici nelle dispute del secolo scorso? Niente – e Tsipras lo sa.

Così come sa che in politica non importa più solo quello che dici, ma anche quello che sei, cioè le tue pratiche personali: neanche i detrattori più accesi, ad esempio, ne mettono in dubbio l’onestà personale. E, al contrario di tanti altri leader politici della sinistra (anche italiana), Tsipras vive in una zona popolare e multietnica, non in un palazzo del centro storico. Da lì, ogni giorno, raggiunge il suo ufficio guidando una vecchia Skoda.

Questo tuttavia non basta, naturalmente, così come non basta la lotta contro la Troika. Ecco perché Tsipras fa di Syriza il primo partito che mette sul medesimo piano i diritti sociali e quelli civili: quindi nel suo programma ci sono allo stesso modo l’istruzione pubblica e il matrimonio gay, il controllo statale della banche e la depenalizzazione delle droghe, il salario sociale e la laicità dello Stato, la patrimoniale e il taglio delle spese militari, la tassazione delle rendite finanziarie e l’antirazzismo.

Il tutto, mescolato appunto con una robusta radicazione tra le persone: un lavoro intenso all’interno della collettività che crea legami molto forti con i ceti sacrificati dalla recessione, insomma consente a Syriza di proporsi come autentico soggetto sociale. I deputati di Tsipras escono dal Parlamento e vanno nelle case delle persone: se sono avvocati, offrono patrocinio gratuito ai lavoratori licenziati, alle famiglie sfrattate; se sono medici, aiutano nei centri di soccorso che tappano i buchi della sanità pubblica; oppure servono alle mense popolari o si arrampicano sui tralicci per riattaccare l’elettricità ai poveri a cui è stata tagliata.

In più, oltre ai programmi e alle pratiche, è anche una ‘rivoluzione cognitiva’ quella che Tsipras porta nella sinistra greca, cioè una mutazione di atteggiamento: rendendola un soggetto con ideali forti ma pragmatico, finalmente emancipato dal vecchio tic per cui «a sinistra ci si sentiva meglio nel perdere gloriosamente che nel vincere», come sintetizza l’intellettuale greco Costa Douzinas nel libro di Giacomo Russo Spena e Matteo Pucciarelli “Tsipras chi” (ah, leggetelo). Anche con imprudenza, se necessario: ad esempio scontrandosi con gli apparati del vecchio sindacato, rappresentativi ormai solo dei garantiti (sempre meno) e non della crescente marea di precari e disoccupati. O provando a rivolgersi anche a un elettorato tradizionalmente non di sinistra, come quello dei commercianti: pure loro impoveriti dalla crisi e soprattutto sempre più costretti a versare mazzette a questo o a quel politico di Nuova Democrazia e del Pasok.

Insomma: apertura mentale, movimentismo, innovazione, coraggio, utopia bilanciata dal pragmatismo.

Quello che qui non si è mai riusciti a fare: unirsi, cambiare nelle pratiche e nei linguaggi, uscire dal proprio recinto autoreferenziale e dalla propria ininfluenza, interpretando davvero il disagio dei ceti bassi e di quelli impoveriti dalla recessione.

13.1.15

Tsipras: «La scommessa di Syriza come quella del Brasile di Lula»

L'anticipazione. «Governare non significa avere il potere. Siamo all’inizio di un processo di lotta. Come in Brasile col Pt, dobbiamo cercare di mantenere la coesione sociale». Tsipras tratteggia le caratteristiche di un potenziale governo di sinistra: «Ci saranno grandi trasformazioni e la priorità, in questo momento, è la fine dell’austerità». Il 25 gennaio la Grecia vota

Teodoro Andreadis Synghellakis (Il manifesto)

Teo­doro Andrea­dis Syn­ghel­la­kis, greco ma quasi dalla nascita resi­dente in Ita­lia dove i suoi geni­tori si erano rifu­giati durante la dit­ta­tura, ha scritto un libro – «Ale­xis Tsi­pras. La mia sini­stra» – che con­tiene una assai inte­res­sante inter­vi­sta con il lea­der di Siryza che qui si sof­ferma soprat­tutto sulla natura del nuovo par­tito che la sini­stra greca ha saputo darsi.

La pre­fa­zione al volume – che sarà nelle libre­rie da gio­vedì 15 — è di Ste­fano Rodotà e con­tiene anche i giu­dizi di un certo numero di pro­ta­go­ni­sti della poli­tica ita­liana. Ve ne diamo, in ante­prima, alcuni stralci.

Il raf­for­za­mento della sini­stra è ancora un pro­cesso in divenire?

Dovremo sem­pre tenere a mente che abbiamo l’obbligo di susci­tare tra i nostri soste­ni­tori una presa di coscienza sem­pre più demo­cra­tica, radi­cale, pro­gres­si­sta. Non pos­siamo per­met­terci il lusso di igno­rare il fatto che gran parte della società greca, e anche una per­cen­tuale di nostri soste­ni­tori, abbiano assor­bito idee con­ser­va­trici; che c’è stato un tipo di pro­gresso il quale aveva come punto di rife­ri­mento la conservazione.

Dob­biamo, inol­tre, sepa­rare il signi­fi­cato che ha un governo della Sini­stra, da un rischio di abuso di potere da parte della Sini­stra. Il potere è una cosa più com­plessa, che non viene eser­ci­tata solo da chi governa. È qual­cosa che ha a che fare anche con le strut­ture sociali, con chi con­trolla i mezzi di pro­du­zione. Noi riven­di­che­remo il governo del paese, così da poter dare avvio – da una posi­zione di forza – a quella grande bat­ta­glia ideo­lo­gica e anche sociale che por­terà a cam­bia­menti e tra­sfor­ma­zioni i quali daranno il potere alla mag­gio­ranza dei cit­ta­dini, sot­traen­dolo alla minoranza.

Ma la gente deve com­pren­dere bene che il fatto che Syriza andrà al governo non signi­fica auto­ma­ti­ca­mente che il potere pas­serà al popolo. Signi­fica, invece, che ini­zierà un pro­cesso di lotta, un lungo cam­mino che por­terà anche a delle con­trap­po­si­zioni – un cam­mino non sem­pre lineare – ma che verrà sicu­ra­mente carat­te­riz­zato dal con­ti­nuo sforzo di Syriza per riu­scire a con­vin­cere delle forze ancora più vaste, per accre­scere la sua dina­mica mag­gio­ri­ta­ria ed il con­senso verso il suo pro­gramma, con l’appoggio di forze sociali sem­pre più ampie.

Tutto que­sto, per riu­scire a com­piere passi in avanti asso­lu­ta­mente neces­sari. Sto descri­vendo un cam­mino che in que­sto periodo, seguono molti par­titi e governi di sini­stra in Ame­rica Latina, anche se mi rendo conto che, in parte, si tratta di una realtà che può risul­tare estra­nea alla quo­ti­dia­nità europea.

So bene che la grande domanda che pro­voca un inte­resse cosi forte nei nostri con­fronti, è come tutto ciò potrà diven­tare realtà nel con­te­sto della glo­ba­liz­za­zione e all’interno dell’Unione Euro­pea, visto che la Gre­cia non è un gio­ca­tore solitario.

Si tratta di una realtà che negli ultimi anni pone anche delle forti limi­ta­zioni, dal punto di vista economico…

Asso­lu­ta­mente. Ed è per que­sto, tut­ta­via, che io credo che la con­di­tio sine qua non per­ché Syriza possa con­ti­nuare a seguire un cam­mino frut­tuoso, è che rie­sca a con­qui­stare, da una parte il con­senso della mag­gio­ranza della società greca e dall’altra, a garan­tirsi un appog­gio mag­gio­ri­ta­rio anche in tutta Europa.

È chiaro che la prio­rità, in que­sto momento, non è il socia­li­smo, ma è pro­prio la fine dell’austerità (…)

Il fatto che gli elet­tori di Syriza pro­ven­gano sia dall’area comu­ni­sta che da quella del cen­tro pro­gres­si­sta è una risorsa o un problema?

Credo che Syriza sia riu­scito ad arri­vare dal 4% al 27% per­ché abbiamo avuto la capa­cità poli­tica di indi­vi­duare in modo molto veloce i cam­bia­menti poli­tici e sociali che hanno pro­vo­cato la crisi.
Intendo lo sbri­cio­la­mento, la distru­zione dei sog­getti sociali cau­sata dalla poli­tica dei memorandum.

Allo stesso tempo, abbiamo offerto una via di uscita poli­tica a tutti i cit­ta­dini che ave­vano l’esigenza di potersi espri­mere per fer­mare que­sto pro­cesso di distru­zione. Ci siamo tro­vati, quindi, in modo quasi “vio­lento”, repen­tino, dal 4% al 27%, e que­sta “vio­lenza” ci mette ancora alla prova, per­ché ci costringe, comun­que, a cam­biare orien­ta­mento. Abbiamo avuto l’istinto di com­pren­dere, espri­mere e rap­pre­sen­tare gli inte­ressi dei gruppi sociali che erano rima­sti senza alcuna rap­pre­sen­tanza poli­tica, senza una casa, ma devo con­fes­sare che non ave­vamo la cul­tura pro­pria di un par­tito che riven­dica il potere.

C’eravamo schie­rati, ritro­vati tutti a Sini­stra – anche io, ovvia­mente – ave­vamo accet­tato e soste­nuto un modo di vita, che aveva a che fare, prin­ci­pal­mente, con la resi­stenza, con la denun­cia ed un approc­cio teo­rico ten­dente ad una società “altra”.

Non c’eravamo con­fron­tati, però, con il biso­gno pra­tico di aggiun­gere ogni giorno un pic­colo mat­tone per poter costruire que­sta società di cui par­la­vamo, spe­cie in un momento dif­fi­cile come quello che stiamo vivendo.

Se domani Syriza sarà chia­mata a gover­nare, sarà obbli­gata ad affron­tare una situa­zione sociale, una realtà dram­ma­tica: la disoc­cu­pa­zione reale al 30%, una povertà dif­fusa, una base pro­dut­tiva pra­ti­ca­mente distrutta. E si trat­terà – fuor di dub­bio – di una scom­messa enorme, anche que­sta di por­tata storica.

Si potrebbe dire che sarà una scom­messa simile a quella del Bra­sile di Lula, quando venne eletto presidente.

Noi, intendo la Sini­stra nel suo com­plesso, dob­biamo cer­care (senza tro­varci nella dif­fi­ci­lis­sima posi­zione e nel ruolo del capro espia­to­rio), di riu­scire a man­te­nere la coe­sione dei gruppi sociali, all’interno di un pro­getto di rico­stru­zione pro­dut­tiva, di demo­cra­tiz­za­zione e di uscita dalla crisi. Ed è un’impresa molto difficile.

Ana­liz­zando la cosa, qual­cuno potrebbe dire che que­sto tratto ideo­lo­gico è riu­scito a rag­grup­pare delle forze appar­te­nenti a una Sini­stra inde­bo­lita ed in disfa­ci­mento, che non riu­sciva a supe­rare il 6 o 7%. Ora, però, Syriza sta riven­di­cando la guida della Gre­cia, il governo del paese. Io vedo come una cosa estre­ma­mente posi­tiva il fatto che il nostro sia un par­tito gio­vane ma con alle spalle, tut­ta­via, una lunga tra­di­zione. Le sue radici affon­dano nel secolo pas­sato, ma quello che abbiamo, appunto, è un par­tito giovane.

Altret­tanto posi­tivo è il fatto che non appar­tenga al blocco di forze le quali con­ti­nuano a seguire l’ortodossia comu­ni­sta, e che non fac­cia parte della fami­glia socialdemocratica.

Stiamo par­lando, ovvia­mente, di una social­de­mo­cra­zia che oggi è parte inte­grante della crisi in atto e che ha una grande respon­sa­bi­lità per lo stato in cui si è venuta a tro­vare l’Europa.

È una social­de­mo­cra­zia “gene­ti­ca­mente modi­fi­cata”, che ha adot­tato quasi tutti i credo neo­li­be­ri­sti. In que­sto senso, quindi, potremmo dire che tanto Syriza quanto gli altri par­titi della nuova Sini­stra dell’Europa non por­tano sulle spalle il peso dei “pec­cati ori­gi­nali” di alcune forze che appar­ten­gono alla nostra tra­di­zione. Con­tem­po­ra­nea­mente, non sono nean­che respon­sa­bili dei grandi delitti per­pe­trati dalla social­de­mo­cra­zia nel periodo che stiamo vivendo.

Siamo in grado, cioè, di offrire una pro­spet­tiva più ampia, di cata­liz­zare ed unire forze ancora mag­giori, rispetto a quelle rag­grup­pate, tra­di­zio­nal­mente, dalle forze del blocco socialista.

A chi è solito sot­to­li­neare che siamo un par­tito filoeu­ro­peo – il quale com­prende la situa­zione che si è venuta a creare con la realtà data della glo­ba­liz­za­zione – ma non appar­te­niamo a nes­suna grande fami­glia poli­tica dell’Europa, vor­rei ricor­dare que­sto: nel 1981, anche il Par­tito Socia­li­sta del Pasok, di Andreas Papan­dreou, si tro­vava esat­ta­mente nella nostra stessa situa­zione: non appar­te­neva, in realtà, né all’Internazionale Socia­li­sta, né ai par­titi social­de­mo­cra­tici e nean­che alla sini­stra socialista.

18.4.14

I 10 PUNTI DI FORZA DELLA LISTA ALTRA EUROPA CON TSIPRAS

di Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale (L'Altra Europa)

«Siamo radicali perché la realtà è radicale» (Alexis Tsipras)

Quando diciamo che siamo per un’Altra Europa, la vogliamo davvero e non solo a parole. Abbiamo in mente un ordine politico nuovo, perché il vecchio è in frantumi. Non può essere rammendato alla meno peggio.



In realtà il nostro è l’unico progetto che non si limita a invocare a parole un’altra Europa, ma si propone di cambiarla con politiche che riuniscano quel che è stato disunito e disfatto. Gli altri partiti sono tutti, in realtà, conservatori dello status quo.

Sono conservatori Matteo Renzi e il governo, che parlano di cambiamento e tuttavia hanno costruito quest’Unione che umilia e impoverisce i popoli, favorendo banche e speculatori.

Sono conservatori i leghisti, che denunciano l’Unione ma come via d’uscita prospettano il nazionalismo e la xenofobia.

Nei fatti è conservatore il Movimento 5 Stelle, che si fa portavoce di un disagio reale, ma senza sbocchi chiari.

Tutta diversa la Lista Tsipras. Il progetto è di cambiare radicalmente le istituzioni europee, di dare all’Unione una Costituzione scritta dai popoli, di dotarla di una politica estera non bisognosa delle stampelle statunitensi. Tutta diversa la prospettiva della Lista Tsipras. La nostra non è né una promessa fittizia, come quella di Renzi, né una protesta che rinuncia alla battaglia prima di farla. Metteremo duramente in discussione il Fiscal compact, e in particolare contesteremo – anche con referendum abrogativo – le norme applicative che il Parlamento dovrà introdurre per dare attuazione all'obbligo del pareggio di bilancio che purtroppo è stato inserito ormai nell'articolo 81 della Costituzione, senza che l'Europa ce l'abbia mai chiesto. In ogni caso, faremo in modo che non abbiano più a ripetersi calcoli così palesemente errati e nefasti, nati da una cultura neoliberista che ha impedito all’Europa di divenire l’istanza superiore in grado di custodire sovranità che sono andate evaporando, proteggendoli al tempo stesso dai mercati incontrollabili, dall’erosione delle democrazie e dalla prevaricazione di superpotenze che usano il nostro spazio come estensione dei loro mercati e della loro potenza geopolitica.

Ecco le 10 vie alternative che intendiamo percorrere:

1 - Siamo la sola forza alternativa perché non crediamo sia possibile pensare l’economia e l’Europa democraticamente unita «in successione»: prima si mettono a posto i conti e si fanno le riforme strutturali, poi ci si batte per un’Europa più solidale e diversa. Le due cose vanno insieme. Operare «in successione» riproduce ad infinitum il vizio mortale dell’Euro: prima si fa la moneta, poi per forza di cose verrà l’Europa politica solidale. È dimostrato che questa “forza delle cose” non c’è. Status quo significa che s’impone lo Stato più forte.

2 - Siamo la sola forza alternativa perché crediamo che solo un’Europa federale sia la via aurea, nella globalizzazione. Se l’edificheremo, Grecia o Italia diverranno simili a quello che è la California per gli Usa. Nessuno parlerebbe di uscita della California dal dollaro: le strutture federali e un comune bilancio tengono gli Stati insieme e non colpevolizzano i più deboli. In un’Europa federata, quindi multietnica, l’isola di Lampedusa è una porta, non una ghigliottina.

3 - Siamo la sola forza alternativa perché non pensiamo che prioritaria ed esclusiva sia la difesa dell’«interesse nazionale»: si tratta di individuare quale sia l’interesse di tutti i cittadini europei. Se salta un anello, tutta la catena salta.

4 - Siamo la sola forza alternativa perché non siamo un movimento minoritario di protesta, ma avanziamo proposte precise, rapide. Proponiamo una Conferenza sul debito che ricalchi quanto deciso nel 1953 sulla Germania, cui vennero condonati i debiti di guerra. L’accordo cui si potrebbe giungere è l’europeizzazione della parte dei debiti che eccede il fisiologico 60 per cento del pil. E proponiamo un piano Marshall per l’Europa, che avvii una riconversione produttiva, ecologicamente sostenibile e ad alto impatto sull’occupazione, finanziato dalle tasse sulle transazioni finanziarie e l’emissione di anidride carbonica, oltre che da project bond e eurobond.

5 - Siamo la sola forza alternativa perché esigiamo non soltanto l’abbandono delle politiche di austerità, ma la modifica dei trattati che le hanno rese possibili. Tra i primi: l’abolizione e la ridiscussione a fondo del Fiscal Compact, che promette al nostro e ad altri Paesi una o due generazioni di intollerabile povertà, e la distruzione dello Stato sociale. Promuoviamo un’Iniziativa Cittadina (art. 11 del Trattato sull’Unione europea) con l’obbiettivo di una sua radicale messa in discussione. Chiederemo inoltre al Parlamento Europeo un’indagine conoscitiva e giuridica sulle responsabilità della Commissione, della Bce e del Fmi nell’imporre un’austerità che ha gravemente danneggiato milioni di cittadini europei.

6 – Siamo la sola forza alternativa perché non ci limitiamo a condannare gli scandali della disoccupazione e del precariato, ma proponiamo un Piano Europeo per l’Occupazione (PEO) il quale stanzi almeno 100 miliardi l’anno per 10 anni per dare occupazione ad almeno 5-6 milioni di disoccupati o inoccupati (1 milione in Italia): tanti quanti hanno perso il lavoro dall’inizio della crisi. Il PEO dovrà dare la priorità a interventi che non siano in contrasto con gli equilibri ambientali come le molte Grandi Opere che devastano il territorio e che creano poca occupazione, ad esempio il TAV Torino-Lione e le trivellazioni nel Mediterraneo e nelle aree protette. Dovrà agevolare la transizione verso consumi drasticamente ridotti di combustibili fossili; la creazione di un’agricoltura biologica; il riassetto idrogeologico dei territori; la valorizzazione non speculativa del nostro patrimonio artistico; il potenziamento dell’istruzione e della ricerca.

7 – Siamo la sola forza alternativa perché riteniamo un pericolo l’impegno del governo di concludere presto l’accordo sul Partenariato Transatlantico per il Commercio e l'Investimento (Ttip). Condotto segretamente, senza controlli democratici, il negoziato è in mano alle multinazionali, il cui scopo è far prevalere i propri interessi su quelli collettivi dei cittadini. Il welfare è sotto attacco. Acqua, elettricità, educazione, salute saranno esposte alla libera concorrenza, in barba ai referendum cittadini e a tante lotte sui “beni comuni”. La battaglia contro la produzione degli OGM, quella che penalizza le imprese inquinanti o impone l’etichettatura dei cibi, la tassa sulle transazioni finanziarie e sull’emissione di anidride carbonica sono minacciate. La nostra lotta contro la corruzione e le mafie è ingrediente essenziale di questa resistenza alla commistione mondializzata fra libero commercio, violazione delle regole, abolizione dei controlli democratici sui territori.

8 - Siamo la sola forza alternativa perché vogliamo cambiare non solo gli equilibri fra istituzioni europee ma la loro natura. I vertici dei capi di Stato o di governo sono un cancro dell’Unione, e proponiamo che il Parlamento europeo diventi un’istituzione davvero democratica: che legiferi, che nomini la Commissione e il suo Presidente, e imponga tasse europee in sostituzione di quelle nazionali. Vogliamo un Parlamento costituente, capace di dare ai cittadini dell’Unione una Carta che cominci, come la Costituzione statunitense, con le parole «We, the people....». Non con la firma di 28 re azzoppati e prepotenti, che addossano alla burocrazia di Bruxelles colpe di cui sono i primi responsabili.

9 - Siamo la sola forza alternativa a proposito dell’euro. Pur essendo critici radicali della sua gestione, e degli scarsi poteri di una Banca centrale cui viene proibito di essere prestatrice di ultima istanza, siamo contrari all’uscita dall’euro e non la riteniamo indolore. Uscire dall’euro è pericoloso economicamente (aumento del debito, dell’inflazione, dei costi delle importazioni, della povertà), e non restituirebbe ai paesi il governo della moneta, ma ci renderebbe più che mai dipendenti da mercati incontrollati, dalla potenza Usa o dal marco tedesco. Soprattutto segnerebbe una ricaduta nei nazionalismi autarchici, e in sovranità fasulle. Noi siamo per un’Europa politica e democratica che faccia argine ai mercati, alla potenza Usa, e alle le nostre stesse tentazioni nazionaliste e xenofobe. Una moneta «senza Stato» è un controsenso politico, prima che economico.

10 – Siamo la sola forza alternativa perché la nostra è l’Europa della Resistenza: contro il ritorno dei nazionalismi, le Costituzioni calpestate, i Parlamenti svuotati, i capi plebiscitati da popoli visti come massa amorfa, non come cittadini consapevoli. Dicono che la pace in Europa è oggi un fatto acquisito. Non è vero. Le politiche di austerità hanno diviso non solo gli Stati ma anche i popoli, e quella che viviamo è una sorta di guerra civile dentro un’Unione che secerne di nuovo partiti fascistoidi come Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, Fronte Nazionale in Francia, Lega in Italia. All’esterno, poi, siamo impegnati in guerre decise dalla potenza Usa: guerre di cui gli Stati dell’Unione non discutono mai perché vi partecipano servilmente, senz’alcun progetto di disarmo, refrattari a ogni politica estera e di difesa comune (il costo della non-Europa in campo militare ammonta a 120 miliardi di euro annui). Perfino ai confini orientali dell’Unione sono gli Stati Uniti a decidere quale ordine debba regnare.

L’Europa che abbiamo in mente è quella del Manifesto di Ventotene, e chi lo scrisse non pensava ai compiti che ciascuno doveva fare a casa, ma a un comune compito rivoluzionario. Noi oggi facciamo rivivere quella presa di coscienza: per questo al Parlamento europeo saremo con Tsipras, non con i socialisti che già pensano a Grandi Intese con i conservatori dello status quo. Siamo così fatti perché non abbiamo perduto la memoria del Novecento. L’Europa delle nazioni portò ai razzismi, e allo sterminio degli ebrei, dei Rom, dei malati mentali. L’Europa della recessione sfociò nella presa del potere di Hitler.