Marco Morosini (Avvenire)
Sul petrolio italiano c’è una buona e una cattiva notizia. La buona è che questo sta diventando un Paese normale. Appena sospettata (neanche accusata) di aver usato male del suo ruolo, una signora ministro si è dimessa. La cattiva notizia è che la volontà di incrementare in Italia il business dei combustibili fossili, è il frutto non di un peccato, ma di un tenace errore. In duecento anni i combustibili fossili hanno messo il turbo al pellegrinaggio dell’umanità verso la prosperità e, per alcuni, la felicità. I pellegrini si sono messi a correre. In un solo secolo la durata media della vita è raddoppiata, il numero degli umani è raddoppiato due volte. L’uso di energia si è moltiplicato per tredici. E per questo l’emissione di CO2, il gas che maggiormente altera il clima, si è moltiplicata per diciassette.
Questo cambia tutto. I pellegrini vedono ora che non possono più correre alla velocità del centometrista una maratona dal traguardo ignoto. La fede nelle energie fossili è diventata insostenibile sul piano (in ordine alfabetico) diplomatico, ecologico, economico, etico, finanziario, geopolitico e tecnologico. Scegliete l’ordine di importanza dei fattori, il prodotto non cambia. «Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas – deve essere sostituita progressivamente e senza indugio». «Abbiamo deciso di disinvestire al più presto il nostro capitale dal carbone, e gradualmente anche dagli altri combustibili fossili». La prima frase è di papa Francesco ( Laudato si’, 165), la seconda è della Fondazione Rockefeller, gli ex-baroni del petrolio. Se completassimo questo collage con le frasi di altri specialisti di clima, ecologia, economia e giustizia sociale, otterremmo un testo come scritto dalla stessa mano.
In dicembre i grandi e i piccoli della Terra hanno deciso a Parigi (Cop21) di impegnarsi per ridurre drasticamente l’uso dei combustibili fossili. Per pungolare i governi, migliaia di scarpe depositate sul selciato di Place de la Repubblique hanno sostituito la 'marcia dei popoli per il clima', organizzata da mesi, ma poi vietata a causa degli attentati. C’erano anche le scarpe di due pellegrini venuti da lontano: le scarpe di papa Francesco e del cardinale Paul Turkson, presidente di Giustizia e Pace. Secondo le grandi organizzazioni mondiali per il clima e per l’energia, per cercare di evitare un riscaldamento globale di più di 2 gradi centigradi, l’80% dei combustibili fossili va lasciato sottoterra. Questi due gradi sono un compromesso politico tra i pochi vincenti e i tanti perdenti dei cambiamenti climatici. Non sono una 'soglia di sicurezza'. Già l’aumento di 0,8° dell’ultimo secolo ha fatto gravi danni.
Eppure le grandi compagnie continuano a sviluppare l’estrazione degli idrocarburi, con investimenti di centinaia di miliardi, che l’Economist definisce «un non-senso». Il maggior danno di trivelle e infrastrutture petrolifere non è locale, ma planetario: l’accelerazione del riscaldamento globale, con drammatiche conseguenze per miliardi di persone. Ben prima però può accadere altro. Sempre secondo l’Economist «O i governi non sono credibili nell’impegno contro i cambiamenti climatici, oppure le compagnie dei combustibili fossili sono sopravvalutate». Per gli analisti di Carbon Tracker( un centro di studi finanziari londinese), una 'bolla del carbonio' minaccia la finanza mondiale. Se bruciassimo tutti i combustibili fossili delle compagnie minerarie, emetteremmo circa 2.800 Gt (gigatonnellate, o miliardi di tonnellate) di CO2, e il pianeta si riscalderebbe molto probabilmente tra i quattro e i sei gradi. Per restare sotto i due gradi, il massimo carbon budget che potremmo 'spendere' sarebbe di circa 600 Gt di CO2 , quindi – riecco la percentualeobiettivo – l’80% dei combustibili fossili rimarrà nel sottosuolo. Buona parte della ricchezza delle grandi compagnie sarebbe, insomma, un patrimonio incagliato ( stranded asset), con conseguenze drammatiche su finanza ed economia mondiali.
Chi voglia abbreviare la vita delle trivelle costiere italiane farà perciò bene a votare sì al referendum del 17 aprile. Ma si deve anche essere consapevoli che rinunciare al nostro poco 'petrolio (o gas) a chilometro zero' vuol dire bruciare più petrolio nei motori e nelle petroliere che vengono da altri continenti. E spesso è petrolio doppiamente sporco. È quello che scatena guerre e colpi di Stato (come in Medio-Oriente e altrove) e che causa ecocidi e devastazioni umane (come in Nigeria, Ecuador e altrove). L’unico modo per prevenire i disastri del clima e dei popoli è ridurre drasticamente e 'senza indugio' il nostro consumo di combustibili fossili e accelerare il passo verso le energie rinnovabili. Come? Sia aumentando fortemente l’efficienza energetica, sia riducendo (chi può e chi deve) il livello materiale dei nostri stili di vita. Il 90% dell’energia commerciale usata nel mondo viene dai combustibili fossili. Ogni prodotto e servizio dipende – anche indirettamente – da essi. Difendere le nostre coste dalle trivelle è utile localmente. Ma sicuramente non basta.
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