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12.3.12

Occhio al marketing dei bocconiani

Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

Gentili utenti. Terrorizzare un’intera popolazione con cose che fino a dieci minuti prima non aveva mai sentito nominare non è stato difficile. Farlo con mostri spaziali ed epidemie son buoni tutti. Ma esserci riusciti con lo Spread indica che la strada è tracciata. Ecco le prossime mosse.
Stunt – E’ il differenziale tra le calorie ingerite da un cittadino della Corea del Nord e  quelle ingerite da un italiano. Lo Stunt ha grandi margini di miglioramento. Titoli e telegiornali convinceranno gli italiani che mangiare ogni due giorni è possibile, anzi sano.
Spritz – Si tratta del differenziale tra il consumo di champagne di Briatore e il salario di un metalmeccanico. Il governo intende operare per mantenerlo altissimo e, se possibile, aumentarlo.
Furto – Con questo strano nome si definisce il differenziale tra i tassi che pagano le banche per i soldi presi in prestito dalla Bce (uno per cento). e i tassi che poi fanno pagare a voi per un mutuo (più del sette per cento). Per una convincente campagna di stampa volta al convincimento della popolazione, magari, meglio cambiargli nome.
Skog – Gli economisti indicano con questa sigla il differenziale tra il potere contrattuale di uno schiavo assiro-babilonese del 1500 a.C. e quello di un precario italiano del 2012. Lo Skog è attualmente in perfetta parità, ma il governo intende aumentarlo sensibilmente.
Sbam – Calcolato con uno speciale algoritmo, è il differenziale tra l’utilità di una grande opera come la Tav e le manganellate distribuite alle popolazioni locali per realizzarla. In questo momento lo Sbam è uno a diecimila, ma potrebbe aumentare.
Lsd – E’ una speciale sostanza psicotropa distribuita ai maggiori esponenti del Pd per convincerli a sostenere il governo Monti.
Grazie per l’attenzione. Il nostro centro studi prosegue le sue ricerche. Nel ricordarvi che l’articolo 18 non è un tabù, vi diamo appuntamento alle prossime puntate.

4.3.12

Voi siete qui - Alcuni treni arrivano sempre in anticipo

Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

Non so voi, ma a me ‘sto fatto che “il tempo è galantuomo” pare un po’ una truffa per passarla liscia. Voglio dire: non era una decina di anni fa (undici, per la precisione) che prendevamo un sacco di botte in quel di Genova? E, nel prenderne un sacco e una sporta, non eravamo noi (o nostri amigos) quelli che dicevano: perbacco, ci vorrebbe proprio una tassa sulle transazioni finanziarie, tipo Tobin Tax, per dirne una, che ci metta un po’ al riparo da ‘sti squali maledetti della finanza? O anche: ma non sarebbe il caso di ribadire chiaro e forte che certi beni comuni, tipo l’acqua, non debbano essere privatizzati? Mi pare di ricordare che sì, dicevamo proprio queste cose, e nel dirle – e proprio per il fatto che le dicevamo – abbiamo assistito in prima fila alle manganellate sulle suorine e sui boy scout, alle cariche, ai caroselli di blindati, al fumo e ai proiettili vaganti (si, vabbé, vaganti…). Ora, passati dieci anni e più, portati a casa quei bernoccoli, e quelle contusioni, e quelle umiliazioni, sentiamo dire dai potenti del mondo (pure quelli che ai tempi deliravano di “finanza creativa”, ah, ah!) che in effetti una Tobin Tax non sarebbe niente male, e quanto all’acqua pubblica, beh, il popolo bue non era poi tanto bue, come volevasi dimostrare. E ora, tanto per portarci avanti col lavoro, ci prendiamo altre manganellate e rastrellamenti e caroselli di blindati per ‘sta cazzo di ferrovia veloce che tremare il mondo fa. Per poi magari (sicuro) sederci sul divano tra dieci, quindici anni, e vedere certe inchieste in tivù, che so, l’ottimo Iacona, l’eccellente Gabanelli, raccontarci che abbiamo buttato alcuni miliardi, avvelenato un po’ di gente, ammazzato un po’ di ambiente, per un’opera inutile, costosa, dannosa. Pare di sentirli in anticipo, quei reportages: era necessario? Era utile? Quali cricche ci si sono ingrassate? Chi ci ha guadagnato? Ecco, sarà pure galantuomo, ‘sto tempo, ma a dirla tutta pare un po’ stronzo. Dopotutto, a pensarci, non sarebbe la prima volta che ci picchiano, ci sparano e ci rastrellano perché abbiamo ragione.

22.7.10

La cattedra di Barbara Ceausescu

Un sincero moto di simpatia e di umana solidarietà va oggi, senza se e senza ma, a Barbara Berlusconi, che l’altro giorno ha discusso la sua tesi e conseguito la sua laurea (110 e lode, senza nemmeno un telefonata di Denis Verdini, Carboni o Dell’Utri). Certo, una laurea triennale in filosofia, diciamo che non siamo proprio ad Harvard. Certo, una laurea all’università di Don Verzé, un po’ come se voi vi laureaste all’università di proprietà di vostro zio. Ma pazienza, onore al merito. E già che parliamo di merito, non trascurerei quello di sopportare un tanto ingombrante padre, che riesce, persino nel giorno della laurea della figlia, ad occupare la scena, farsi da solo i complimenti (“merito dei genitori”, ha detto: forse la povera Barbara passava di lì per caso) e dare il suo quotidiano spettacolino. La simpatia per Barbara nasce dal fatto che probabilmente non si merita di passare alla storia come un qualunque figlio di Saddam Hussein o di Ceausescu, ma – ahilei – ci sta andando molto vicina. Nel consegnarle bacio accademico e pergamena, infatti, Don Verzé (quello che vuol far vivere Berlusconi fino a 150 anni, quando si dice nemico del popolo…) le offre addirittura una cattedra. Di più: partendo dalla tesi di Barbara Berlusconi, il prete privato del Conducator vorrebbe addirittura fondare una facoltà di economia di cui lei diverrebbe automaticamente docente. Come dire, dalla tesi alla cattedra in un nanosecondo: Barbara faccia almeno ciao ciao con la manina a tutti i precari dell’Università che da anni si dannano l’anima per diventare di ruolo pur avendo vinto fior di concorsi, o almeno faccia le corna come il Gassman de Il sorpasso. Bene ha fatto Roberta De Monticelli, che in quella stessa università è docente, a lamentarsi: dalle altre decine di docenti, invece, è venuto solo silenzio, non risulta che nella vecchia Romania di Ceasusescu, e nel povero Iraq di Saddam si facesse carriera con le critiche.
Sia come sia, archiviati i giusti auguri a Barbara per una carriera che parte da zero (buona questa, eh!), va detto che le ultime giornate di Silviescu non sono state niente male. Prima è intervenuto alla cerimonia di laurea in una specie di università dei puffi (privata, brianzola e telematica) così, tanto per insultare Rosy Bindi. E’ lo stesso prestigioso ateneo che si pubblicizza con la faccia di Sgarbi e dove la cattedra di Storia Contemporanea è retta da Marcello Dell’Utri (forse Frank Tre Dita aveva un impegno). Poi è comparso tra le guglie del Duomo di Milano a ritirare un premio conferitogli dai suoi dipendenti (il presidente della provincia di Milano e altri buontemponi che lo chiamano “statista”), presente don Prezzemolo Verzé e altri componenti della nomenklatura del regime. Come al solito ha fatto un bel gesto: ha promesso soldi per il restauro del Duomo. Non soldi suoi, naturalmente, ma soldi nostri (“fondi pubblici”). Poi se n’è andato tutto tirato a lucido e ringalluzzito, seguito da famigli e sodali (essendogli morti “da eroi” gli stallieri) che con immensa cafoneria hanno lasciato la platea prima dell’esibizione dell’artista vero (Charles Aznavour). Infine è andato al raduno del Milan, dove ha promesso incredibili progressi tecnico-tattici dovuti soprattutto all’innesto di un difensore greco comprato ai saldi estivi. Il tutto senza curarsi dei tifosi inviperiti che lo contestavano fischiandolo e ingiuriandolo in tutti i modi. La tre giorni di Silviescu pare conclusa, ma noi fans non disperiamo: altre apparizioni pubbliche – ora che i sondaggi lo danno in picchiata – ci delizieranno nei prossimi giorni. Chissà, un’apparizione della Madonna direttamente in una filiale Mediolanum, oppure qualche improvvisa guarigione inspiegabile (sarà presente don Verzé), o ancora l’inaugurazione di una sua statua a cavallo. Povero re – cantavano un tempo Fo e Jannacci. E povero anche il cavallo. Ah bé, sì bé!

4.5.10

Caro Ministro, non si dimetta

Alessandro Robecchi

Egregio ministro Scajola,
forse la stupirò: io non chiedo le sue dimissioni, e nemmeno chiedo che lei vada in Parlamento a discolparsi. Anzi, le chiedo il contrario, non ci vada. Lo spettacolo di Lei che balbetta la Sua versione davanti a pochi oppositori mogi che leggono il giornale, almeno quello, me lo risparmi. E mi risparmi (sono sicuro che lo farà) un gesto clamoroso come le dimissioni: le diede già una volta, e il Suo potere è rinato più forte di prima. Quel che vorrei comunicarLe anzi è il messaggio di tener duro, di resistere. Ministro Scajola, resti al suo posto. Con la sua casa di 180 metri quadri vista Colosseo che sostiene di aver pagato un terzo del prezzo di mercato, la sua presenza in questo governo del fare non è soltanto giusta, ma necessaria, direi addirittura didattica, esemplare. Per parafrasare certi western e certi film di spionaggio, caro ministro, Lei ci serve vivo, al suo posto, ben visibile.
L'ottanta per cento degli italiani ha una casa in proprietà. Sa cosa vuol dire andare dal notaio, versare assegni, firmare un rogito. La proprietà di quelle case è stata strappata con i denti a forza di sacrifici, e mutui, e tassi esosi, e banche bastarde, e aiuti delle famiglie che hanno messo da parte due soldi quando Voi non c'eravate ancora. Gli italiani saranno anche smemorati e ipnotizzati dalla propaganda del Suo Capo, ma sanno che quella casa lì, sua o della sua figliola, non so bene, non la paga 610.000 euro nemmeno la Madonna di Medjugorje, che il mercato sarà scemo - io ne sono certo - ma non così scemo. Resti al suo posto, ministro. Lei è l'emblema vivente di quanto sa osare l'inosabile questa cricca che ci governa, fitta di favori, di scorciatoie, di furbizie private, di trucchi contabili, di soldi facili.
Lei è prezioso ministro. E ancor più prezioso è quando piagnucola sull'attacco alla Sua famiglia. La famiglia, il grande valore della destra italiana. La famiglia, bene morale supremo a cui intestare appartamenti, patrimonio di affetti per cui chiedere compiacenze, raccomandazioni, piazzamenti di favore, assunzioni, prebende, candidature, contratti.
Dietro le Vostre famiglie, signor ministro, ci sono le nostre famiglie, che trovano i posti migliori - che magari meriterebbero per merito - sempre occupati, perché le Vostre illustri casate sono arrivate prima, col lampeggiante e la corsia preferenziale. Mai che si trovi qualcuno di Voialtri, ministro, il cui figliuolo fa il manovale nel nord-est, o il precario stagionale, o la sciampista alla Magliana. La vostra rete di potere - dico vostra perché in questi giorni Lei ne è l'emblema - è questo mix medievale di privilegi e sprezzo del popolo, parola con cui vergognosamente Vi baloccate.
La figlia di Scajola, i figli di Berlusconi, il figlio di Bossi, il genero di Letta, il pargolo di Pinco, la moglie di Pallino, quell'altro che vuol fare l'attore, i cognati con appalto al seguito, le nuore prestanome: il vostro amore per la famiglia è questo, signor ministro. Tanto che assistiamo in questi giorni sui giornali della destra a un fitto rimproverarsi contratti (pubblici) per mogli e suocere, tutto all'ombra del più grande conflitto d'interessi che il mondo ricordi. Il pubblico ignaro scambia questo clima da basso impero per un effetto collaterale della Vostra politica, ma si sbaglia: esso è la vostra politica, pura e semplice. Resti al suo posto, ministro Scajola. Lei ci serve per parlare con i nostri amici francesi, inglesi, tedeschi, americani (ne abbiamo, sa?) per spiegare cosa siamo diventati quaggiù. Ci è prezioso per raccontare anche ai vostri entusiasti elettori chi hanno votato veramente. Continui, la prego, a dire di aver comprato 180 metri quadri con vista sul Colosseo a 610.000 euro. Qui non si reclama la giustizia, non si chiamano i carabinieri, non si chiede aiuto alla magistratura, non si fa appello al buon senso, al buon gusto o all'onestà. Tenga duro ministro, non molli. Siamo un po' confusi tutti, i concetti astratti non ci piacciono più, ci piacciono invece gli esempi concreti. Ogni volta che penseremo a come è immobile, bloccato, arretrato e triste questo Paese penseremo al Suo salotto, al Suo condominio signorile, ai Suoi infissi di pregio acquistati al prezzo di un trilocale marcio in periferia. E' bello che lo spessore morale di una classe dirigente abbia una faccia, e questa volta - perdoni - è la Sua.
Cordialmente.

7.3.10

Questione d’interpretazione

Prima di applicare il settimo comandamento, leggete bene il decreto interpretativo. Serve un decreto interpretativo per gli appalti in Abruzzo, per le belle scopate di palazzo Grazioli, per lo schiavismo a Rosarno, per i senatori del PdL eletti dalla ‘ndrangheta. Per il coro di Ratisbona e per i gay a tassametro del Vaticano. Per Maroni che dice “è stata data una interpretazione autentica della legge”, urge un decreto interpretativo che lo faccia sembrare una persona seria. Il decreto interpretativo che rende regolari i fuorigioco del Milan dovrà essere rapidissimo, mica si può restare allo stadio al freddo due giorni ad aspettare il Tar. Con un buon decreto interpretativo la bella Noemi avrebbe avuto 18 anni già a sedici e mezzo. Formalmente ineccepibile il decreto interpretativo con cui Minzolini ha trasformato un colpevole prescritto in un innocente. Un decreto interpretativo potrebbe far sembrare un golpe una specie di trionfo della democrazia, o trasformare la corruzione in soluzione all’emergenza. Il disprezzo della legge, l’arroganza del più forte, la dittatura soft, la censura e i non allineati ridotti al silenzio, non c’è nulla che non possa risolversi con un decreto interpretativo. Probabile che il ministro della difesa di una democrazia occidentale, che comanda parà e carri armati, che si dice “disposto a tutto” non venga allontanato con vergogna soltanto grazie a un decreto interpretativo. Le nostre speranze, i nostri diritti, la nostra libertà, le nostre regole, le norme, i doveri, sono da oggi variabili, modificabili con decreto interpretativo, le nostre vite stesse sono interpretabili a seconda delle necessità del regime, il nostro futuro e la nostra dignità sono interpretabili a piacere e non servono nemmeno la forestale, i servizi segreti, l’aviazione, le camicie verdi, le ronde, il poliziotti del G8 di Genova. Una grande festa del decreto interpretativo si terrà ogni anno, basta una telefonata di Denis Verdini. Buffet a cura del genero di Gianni Letta. Napolitano firma. Avete mica un passaporto francese da prestarmi?