di Marco Travaglio (ilfattoquotidiano)
La notizia che Matteo Salvini ha spiccato un mandato di cattura, a carico dei migranti ammutinati sul rimorchiatore Vos Thalassa prima di essere trasbordati su una nave della Guardia costiera italiana non può che riempire di entusiasmo chi riteneva sprecato il Cazzaro Verde negli angusti panni di segretario della Lega, vicepresidente del Consiglio, ministro degli Interni, nonché aspirante ministro delle Infrastrutture e Trasporti ma soprattutto Porti, degli Esteri, della Difesa, della Giustizia, dell’Economia, del Lavoro, ma anche twittatore folle, protagonista compulsivo di dirette Facebook e storie Instagram. Ieri, mentre la nave Diciotti della nostra Marina si avvicinava al porto di Trapani, come disposto dal ministro competente Danilo Toninelli, per la semplice ragione che trattasi d’imbarcazione italiana, il ministro incompetente ha dichiarato, con la consueta sobrietà e prudenza: “Prima di concedere qualsiasi autorizzazione attendo di sapere nomi, cognomi e nazionalità dei violenti dirottatori che dovranno scendere dalla Diciotti in manette. Non autorizzerò lo sbarco finché non avrò garanzia che delinquenti finiscano in galera”. Ce l’aveva con due dei 67 migranti che avrebbero dato in escandescenze sulla Vos Thalassa per non essere passati alla Guardia costiera libica che li avrebbe riportati a Tripoli.
Ora, è vero che a norma del vecchio e polveroso Codice penale, scritto nel 1930 dal noto radical chic Alfredo Rocco, Guardasigilli del governo buonista Mussolini, a decidere l’eventuale cattura dei due reprobi dovrebbe essere la magistratura. Nella fattispecie, la Procura e il Gip di Trapani. Ma lo statista padano non bada a queste sottigliezze e lo stesso procuratore trapanese, Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone, si sentirà senz’altro sollevato dall’ennesimo carico di lavoro che stava per aggiungersi agli altri. D’ora in poi, a norma del Codice Salvini, le Procure saranno sgravate dal compito di esaminare le notizie di reato a carico di migranti e di disporre i provvedimenti cautelari del caso: penserà a tutto il ministro di Tutto. Nei ritagli di tempo fra una diretta Facebook, un tweet e una storia Instagram, vergherà le richieste di custodia, poi cambierà tavolo e le esaminerà, poi – dopo lunga riflessione – le accoglierà e le diramerà alle forze dell’ordine. A quel punto gli arrestati ricorreranno al Tribunale del Riesame, oggi formato da tre giudici ma in futuro da uno solo, Salvini, che nelle vesti di Tribunale del Cazzaro rigetterà tutti i ricorsi.
Ai detenuti non resterà che appellarsi alla Cassazione, ma anche lì, con loro grande sorpresa, s’imbatteranno nel giudice Matteo che in qualità di Ermellino Monocratico si riunirà in camera di consiglio con se stesso, allo specchio, e confermerà le decisioni precedentemente assunte da sé medesimo. Lo stesso accadrà al processo, che lo vedrà saltellare come Arturo Brachetti dal banco dell’accusa al seggio del Tribunale, e poi in appello e in Cassazione sugli scranni dei rispettivi procuratori generali e collegi giudicanti. Con notevole risparmio di tempo e denaro per la giustizia italiana, notoriamente lenta e costosa. È un vero peccato che questa riforma della Giustizia non fosse ancora in vigore quando partì il processo sui fondi pubblici rubati dalla Lega, che ha portato al recente ordine della Cassazione di confiscare 49 milioni di refurtiva in tutti i conti presenti e futuri del (o riferibili al) partito. Anzi, all’epoca, Salvini pareva piuttosto felice per le condanne di Bossi e Belsito, anche perché senza quei processi il segretario della Lega sarebbe ancora il Senatur e il povero Matteo un oscuro parlamentare europeo (oscuro soprattutto per gli altri parlamentari europei, che lo vedevano di rado), costretto a strillare ogni giorno contro l’Europa ladrona che gli pagava un lauto quanto immotivato stipendio. Non aveva calcolato che il figlio unico eredita tutto, il bello e il brutto. Anche i debiti. E così aveva ritirato la costituzione di parte civile contro Bossi e Belsito, confermando – ove mai ve ne fosse bisogno – che la “nuova” Lega non si sente affatto vittima dei reati commessi dalla vecchia. Quindi non dev’essere risarcita, ma deve risarcire. L’altro giorno il giureconsulto padano ha chiesto udienza al presidente Sergio Mattarella per parlare della sentenza della Cassazione, come se il presidente della Repubblica e del Csm fosse il quarto grado di giudizio. Mattarella ovviamente l’ha fatto parlare di tutto fuorché di quello. Lui però è uscito molto soddisfatto.
Ora che si elegge il nuovo Csm, c’è pure l’eventualità che tenti di diventarne membro laico, o magari togato. Il suo caso ricorda quello dell’avvocato Carlo Taormina che, sul delitto di Cogne, riuscì a incarnare tutte le parti processuali: prima accusatore televisivo di Annamaria Franzoni, poi avvocato difensore, poi per un certo periodo indagato per certi depistaggi del suo detective a base di sangue di gatto (scoperti perché realizzati ex post sopra il Luminol anziché sotto). E poi concesse il bis quando divenne sottosegretario all’Interno del secondo governo B., mentre difendeva un boss contro cui il suo governo era parte civile. Fu allora che Michele Serra lo ribattezzò “gli avvocati Taormina”. Ora abbiamo “i ministri Salvini” (cognome non a caso plurale), che pretendono pure di fare i pm e i gip. Qualcuno potrebbe spiegargli, se non la separazione dei poteri (concetto troppo complesso per la sua fragile cultura), almeno la separazione delle funzioni. Se fai il pm, non puoi essere gip, e viceversa. Ma il rischio è che risponda: “Per la jeep è finita la pacchia, ora comanda la ruspa”.
I link ai giornali degli articoli spesso cambiano e diventa difficile se non impossibile recuperare i testi ai quali si riferivano. Questo è l'archivio on-line del blog Giornale-NOTIZIEOGGI
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12.7.18
I ministri Salvini
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13.1.15
Tsipras: «La scommessa di Syriza come quella del Brasile di Lula»
L'anticipazione. «Governare non significa avere il potere. Siamo all’inizio di un processo di lotta. Come in Brasile col Pt, dobbiamo cercare di mantenere la coesione sociale». Tsipras tratteggia le caratteristiche di un potenziale governo di sinistra: «Ci saranno grandi trasformazioni e la priorità, in questo momento, è la fine dell’austerità». Il 25 gennaio la Grecia vota
Teodoro Andreadis Synghellakis (Il manifesto)
Teodoro Andreadis Synghellakis, greco ma quasi dalla nascita residente in Italia dove i suoi genitori si erano rifugiati durante la dittatura, ha scritto un libro – «Alexis Tsipras. La mia sinistra» – che contiene una assai interessante intervista con il leader di Siryza che qui si sofferma soprattutto sulla natura del nuovo partito che la sinistra greca ha saputo darsi.
La prefazione al volume – che sarà nelle librerie da giovedì 15 — è di Stefano Rodotà e contiene anche i giudizi di un certo numero di protagonisti della politica italiana. Ve ne diamo, in anteprima, alcuni stralci.
Il rafforzamento della sinistra è ancora un processo in divenire?
Dovremo sempre tenere a mente che abbiamo l’obbligo di suscitare tra i nostri sostenitori una presa di coscienza sempre più democratica, radicale, progressista. Non possiamo permetterci il lusso di ignorare il fatto che gran parte della società greca, e anche una percentuale di nostri sostenitori, abbiano assorbito idee conservatrici; che c’è stato un tipo di progresso il quale aveva come punto di riferimento la conservazione.
Dobbiamo, inoltre, separare il significato che ha un governo della Sinistra, da un rischio di abuso di potere da parte della Sinistra. Il potere è una cosa più complessa, che non viene esercitata solo da chi governa. È qualcosa che ha a che fare anche con le strutture sociali, con chi controlla i mezzi di produzione. Noi rivendicheremo il governo del paese, così da poter dare avvio – da una posizione di forza – a quella grande battaglia ideologica e anche sociale che porterà a cambiamenti e trasformazioni i quali daranno il potere alla maggioranza dei cittadini, sottraendolo alla minoranza.
Ma la gente deve comprendere bene che il fatto che Syriza andrà al governo non significa automaticamente che il potere passerà al popolo. Significa, invece, che inizierà un processo di lotta, un lungo cammino che porterà anche a delle contrapposizioni – un cammino non sempre lineare – ma che verrà sicuramente caratterizzato dal continuo sforzo di Syriza per riuscire a convincere delle forze ancora più vaste, per accrescere la sua dinamica maggioritaria ed il consenso verso il suo programma, con l’appoggio di forze sociali sempre più ampie.
Tutto questo, per riuscire a compiere passi in avanti assolutamente necessari. Sto descrivendo un cammino che in questo periodo, seguono molti partiti e governi di sinistra in America Latina, anche se mi rendo conto che, in parte, si tratta di una realtà che può risultare estranea alla quotidianità europea.
So bene che la grande domanda che provoca un interesse cosi forte nei nostri confronti, è come tutto ciò potrà diventare realtà nel contesto della globalizzazione e all’interno dell’Unione Europea, visto che la Grecia non è un giocatore solitario.
Si tratta di una realtà che negli ultimi anni pone anche delle forti limitazioni, dal punto di vista economico…
Assolutamente. Ed è per questo, tuttavia, che io credo che la conditio sine qua non perché Syriza possa continuare a seguire un cammino fruttuoso, è che riesca a conquistare, da una parte il consenso della maggioranza della società greca e dall’altra, a garantirsi un appoggio maggioritario anche in tutta Europa.
È chiaro che la priorità, in questo momento, non è il socialismo, ma è proprio la fine dell’austerità (…)
Il fatto che gli elettori di Syriza provengano sia dall’area comunista che da quella del centro progressista è una risorsa o un problema?
Credo che Syriza sia riuscito ad arrivare dal 4% al 27% perché abbiamo avuto la capacità politica di individuare in modo molto veloce i cambiamenti politici e sociali che hanno provocato la crisi.
Intendo lo sbriciolamento, la distruzione dei soggetti sociali causata dalla politica dei memorandum.
Allo stesso tempo, abbiamo offerto una via di uscita politica a tutti i cittadini che avevano l’esigenza di potersi esprimere per fermare questo processo di distruzione. Ci siamo trovati, quindi, in modo quasi “violento”, repentino, dal 4% al 27%, e questa “violenza” ci mette ancora alla prova, perché ci costringe, comunque, a cambiare orientamento. Abbiamo avuto l’istinto di comprendere, esprimere e rappresentare gli interessi dei gruppi sociali che erano rimasti senza alcuna rappresentanza politica, senza una casa, ma devo confessare che non avevamo la cultura propria di un partito che rivendica il potere.
C’eravamo schierati, ritrovati tutti a Sinistra – anche io, ovviamente – avevamo accettato e sostenuto un modo di vita, che aveva a che fare, principalmente, con la resistenza, con la denuncia ed un approccio teorico tendente ad una società “altra”.
Non c’eravamo confrontati, però, con il bisogno pratico di aggiungere ogni giorno un piccolo mattone per poter costruire questa società di cui parlavamo, specie in un momento difficile come quello che stiamo vivendo.
Se domani Syriza sarà chiamata a governare, sarà obbligata ad affrontare una situazione sociale, una realtà drammatica: la disoccupazione reale al 30%, una povertà diffusa, una base produttiva praticamente distrutta. E si tratterà – fuor di dubbio – di una scommessa enorme, anche questa di portata storica.
Si potrebbe dire che sarà una scommessa simile a quella del Brasile di Lula, quando venne eletto presidente.
Noi, intendo la Sinistra nel suo complesso, dobbiamo cercare (senza trovarci nella difficilissima posizione e nel ruolo del capro espiatorio), di riuscire a mantenere la coesione dei gruppi sociali, all’interno di un progetto di ricostruzione produttiva, di democratizzazione e di uscita dalla crisi. Ed è un’impresa molto difficile.
Analizzando la cosa, qualcuno potrebbe dire che questo tratto ideologico è riuscito a raggruppare delle forze appartenenti a una Sinistra indebolita ed in disfacimento, che non riusciva a superare il 6 o 7%. Ora, però, Syriza sta rivendicando la guida della Grecia, il governo del paese. Io vedo come una cosa estremamente positiva il fatto che il nostro sia un partito giovane ma con alle spalle, tuttavia, una lunga tradizione. Le sue radici affondano nel secolo passato, ma quello che abbiamo, appunto, è un partito giovane.
Altrettanto positivo è il fatto che non appartenga al blocco di forze le quali continuano a seguire l’ortodossia comunista, e che non faccia parte della famiglia socialdemocratica.
Stiamo parlando, ovviamente, di una socialdemocrazia che oggi è parte integrante della crisi in atto e che ha una grande responsabilità per lo stato in cui si è venuta a trovare l’Europa.
È una socialdemocrazia “geneticamente modificata”, che ha adottato quasi tutti i credo neoliberisti. In questo senso, quindi, potremmo dire che tanto Syriza quanto gli altri partiti della nuova Sinistra dell’Europa non portano sulle spalle il peso dei “peccati originali” di alcune forze che appartengono alla nostra tradizione. Contemporaneamente, non sono neanche responsabili dei grandi delitti perpetrati dalla socialdemocrazia nel periodo che stiamo vivendo.
Siamo in grado, cioè, di offrire una prospettiva più ampia, di catalizzare ed unire forze ancora maggiori, rispetto a quelle raggruppate, tradizionalmente, dalle forze del blocco socialista.
A chi è solito sottolineare che siamo un partito filoeuropeo – il quale comprende la situazione che si è venuta a creare con la realtà data della globalizzazione – ma non apparteniamo a nessuna grande famiglia politica dell’Europa, vorrei ricordare questo: nel 1981, anche il Partito Socialista del Pasok, di Andreas Papandreou, si trovava esattamente nella nostra stessa situazione: non apparteneva, in realtà, né all’Internazionale Socialista, né ai partiti socialdemocratici e neanche alla sinistra socialista.
Teodoro Andreadis Synghellakis (Il manifesto)
Teodoro Andreadis Synghellakis, greco ma quasi dalla nascita residente in Italia dove i suoi genitori si erano rifugiati durante la dittatura, ha scritto un libro – «Alexis Tsipras. La mia sinistra» – che contiene una assai interessante intervista con il leader di Siryza che qui si sofferma soprattutto sulla natura del nuovo partito che la sinistra greca ha saputo darsi.
La prefazione al volume – che sarà nelle librerie da giovedì 15 — è di Stefano Rodotà e contiene anche i giudizi di un certo numero di protagonisti della politica italiana. Ve ne diamo, in anteprima, alcuni stralci.
Il rafforzamento della sinistra è ancora un processo in divenire?
Dovremo sempre tenere a mente che abbiamo l’obbligo di suscitare tra i nostri sostenitori una presa di coscienza sempre più democratica, radicale, progressista. Non possiamo permetterci il lusso di ignorare il fatto che gran parte della società greca, e anche una percentuale di nostri sostenitori, abbiano assorbito idee conservatrici; che c’è stato un tipo di progresso il quale aveva come punto di riferimento la conservazione.
Dobbiamo, inoltre, separare il significato che ha un governo della Sinistra, da un rischio di abuso di potere da parte della Sinistra. Il potere è una cosa più complessa, che non viene esercitata solo da chi governa. È qualcosa che ha a che fare anche con le strutture sociali, con chi controlla i mezzi di produzione. Noi rivendicheremo il governo del paese, così da poter dare avvio – da una posizione di forza – a quella grande battaglia ideologica e anche sociale che porterà a cambiamenti e trasformazioni i quali daranno il potere alla maggioranza dei cittadini, sottraendolo alla minoranza.
Ma la gente deve comprendere bene che il fatto che Syriza andrà al governo non significa automaticamente che il potere passerà al popolo. Significa, invece, che inizierà un processo di lotta, un lungo cammino che porterà anche a delle contrapposizioni – un cammino non sempre lineare – ma che verrà sicuramente caratterizzato dal continuo sforzo di Syriza per riuscire a convincere delle forze ancora più vaste, per accrescere la sua dinamica maggioritaria ed il consenso verso il suo programma, con l’appoggio di forze sociali sempre più ampie.
Tutto questo, per riuscire a compiere passi in avanti assolutamente necessari. Sto descrivendo un cammino che in questo periodo, seguono molti partiti e governi di sinistra in America Latina, anche se mi rendo conto che, in parte, si tratta di una realtà che può risultare estranea alla quotidianità europea.
So bene che la grande domanda che provoca un interesse cosi forte nei nostri confronti, è come tutto ciò potrà diventare realtà nel contesto della globalizzazione e all’interno dell’Unione Europea, visto che la Grecia non è un giocatore solitario.
Si tratta di una realtà che negli ultimi anni pone anche delle forti limitazioni, dal punto di vista economico…
Assolutamente. Ed è per questo, tuttavia, che io credo che la conditio sine qua non perché Syriza possa continuare a seguire un cammino fruttuoso, è che riesca a conquistare, da una parte il consenso della maggioranza della società greca e dall’altra, a garantirsi un appoggio maggioritario anche in tutta Europa.
È chiaro che la priorità, in questo momento, non è il socialismo, ma è proprio la fine dell’austerità (…)
Il fatto che gli elettori di Syriza provengano sia dall’area comunista che da quella del centro progressista è una risorsa o un problema?
Credo che Syriza sia riuscito ad arrivare dal 4% al 27% perché abbiamo avuto la capacità politica di individuare in modo molto veloce i cambiamenti politici e sociali che hanno provocato la crisi.
Intendo lo sbriciolamento, la distruzione dei soggetti sociali causata dalla politica dei memorandum.
Allo stesso tempo, abbiamo offerto una via di uscita politica a tutti i cittadini che avevano l’esigenza di potersi esprimere per fermare questo processo di distruzione. Ci siamo trovati, quindi, in modo quasi “violento”, repentino, dal 4% al 27%, e questa “violenza” ci mette ancora alla prova, perché ci costringe, comunque, a cambiare orientamento. Abbiamo avuto l’istinto di comprendere, esprimere e rappresentare gli interessi dei gruppi sociali che erano rimasti senza alcuna rappresentanza politica, senza una casa, ma devo confessare che non avevamo la cultura propria di un partito che rivendica il potere.
C’eravamo schierati, ritrovati tutti a Sinistra – anche io, ovviamente – avevamo accettato e sostenuto un modo di vita, che aveva a che fare, principalmente, con la resistenza, con la denuncia ed un approccio teorico tendente ad una società “altra”.
Non c’eravamo confrontati, però, con il bisogno pratico di aggiungere ogni giorno un piccolo mattone per poter costruire questa società di cui parlavamo, specie in un momento difficile come quello che stiamo vivendo.
Se domani Syriza sarà chiamata a governare, sarà obbligata ad affrontare una situazione sociale, una realtà drammatica: la disoccupazione reale al 30%, una povertà diffusa, una base produttiva praticamente distrutta. E si tratterà – fuor di dubbio – di una scommessa enorme, anche questa di portata storica.
Si potrebbe dire che sarà una scommessa simile a quella del Brasile di Lula, quando venne eletto presidente.
Noi, intendo la Sinistra nel suo complesso, dobbiamo cercare (senza trovarci nella difficilissima posizione e nel ruolo del capro espiatorio), di riuscire a mantenere la coesione dei gruppi sociali, all’interno di un progetto di ricostruzione produttiva, di democratizzazione e di uscita dalla crisi. Ed è un’impresa molto difficile.
Analizzando la cosa, qualcuno potrebbe dire che questo tratto ideologico è riuscito a raggruppare delle forze appartenenti a una Sinistra indebolita ed in disfacimento, che non riusciva a superare il 6 o 7%. Ora, però, Syriza sta rivendicando la guida della Grecia, il governo del paese. Io vedo come una cosa estremamente positiva il fatto che il nostro sia un partito giovane ma con alle spalle, tuttavia, una lunga tradizione. Le sue radici affondano nel secolo passato, ma quello che abbiamo, appunto, è un partito giovane.
Altrettanto positivo è il fatto che non appartenga al blocco di forze le quali continuano a seguire l’ortodossia comunista, e che non faccia parte della famiglia socialdemocratica.
Stiamo parlando, ovviamente, di una socialdemocrazia che oggi è parte integrante della crisi in atto e che ha una grande responsabilità per lo stato in cui si è venuta a trovare l’Europa.
È una socialdemocrazia “geneticamente modificata”, che ha adottato quasi tutti i credo neoliberisti. In questo senso, quindi, potremmo dire che tanto Syriza quanto gli altri partiti della nuova Sinistra dell’Europa non portano sulle spalle il peso dei “peccati originali” di alcune forze che appartengono alla nostra tradizione. Contemporaneamente, non sono neanche responsabili dei grandi delitti perpetrati dalla socialdemocrazia nel periodo che stiamo vivendo.
Siamo in grado, cioè, di offrire una prospettiva più ampia, di catalizzare ed unire forze ancora maggiori, rispetto a quelle raggruppate, tradizionalmente, dalle forze del blocco socialista.
A chi è solito sottolineare che siamo un partito filoeuropeo – il quale comprende la situazione che si è venuta a creare con la realtà data della globalizzazione – ma non apparteniamo a nessuna grande famiglia politica dell’Europa, vorrei ricordare questo: nel 1981, anche il Partito Socialista del Pasok, di Andreas Papandreou, si trovava esattamente nella nostra stessa situazione: non apparteneva, in realtà, né all’Internazionale Socialista, né ai partiti socialdemocratici e neanche alla sinistra socialista.
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24.9.14
Il nemico allo specchio
Ferruccio De Bortoli (Corriere della Sera)
Devo essere sincero: Renzi non mi convince. Non tanto per le idee e il coraggio: apprezzabili, specie in materia di lavoro. Quanto per come gestisce il potere. Se vorrà veramente cambiare verso a questo Paese dovrà guardarsi dal più temibile dei suoi nemici: se stesso. Una personalità egocentrica è irrinunciabile per un leader. Quella del presidente del Consiglio è ipertrofica. Ora, avendo un uomo solo al comando del Paese (e del principale partito), senza veri rivali, la cosa non è irrilevante.
Renzi ha energia leonina, tuttavia non può pensare di far tutto da solo. La sua squadra di governo è in qualche caso di una debolezza disarmante. Si faranno, si dice. Il sospetto diffuso è che alcuni ministri siano stati scelti per non far ombra al premier. La competenza appare un criterio secondario. L’esperienza un intralcio, non una necessità. Persino il ruolo del ministro dell’Economia, l’ottimo Padoan, è svilito dai troppi consulenti di Palazzo Chigi. Il dissenso (Delrio?) è guardato con sospetto. L’irruenza può essere una virtù, scuote la palude, ma non sempre è preferibile alla saggezza negoziale. La muscolarità tradisce a volte la debolezza delle idee, la superficialità degli slogan. Un profluvio di tweet non annulla la fatica di scrivere un buon decreto. Circondarsi di forze giovanili è un grande merito. Lo è meno se la fedeltà (diversa dalla lealtà) fa premio sulla preparazione, sulla conoscenza dei dossier. E se addirittura a prevalere è la toscanità, il dubbio è fondato.
L’oratoria del premier è straordinaria, nondimeno il fascino che emana stinge facilmente nel fastidio se la comunicazione, pur brillante, è fine a se stessa. Il marketing della politica se è sostanza è utile, se è solo cosmesi è dannoso. In Europa, meno inclini di noi a scambiare la simpatia e la parlantina per strumenti di governo, se ne sono già accorti. Le controfigure renziane abbondano anche nella nuova segreteria del Pd, quasi un partito personale, simile a quello del suo antico rivale, l’ex Cavaliere. E qui sorge l’interrogativo più spinoso. Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015. Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria. Auguriamo a Renzi di farcela e di correggere in corsa i propri errori. Non può fallire perché falliremmo anche noi. Un consiglio: quando si specchia al mattino, indossando una camicia bianca, pensi che dietro di lui c’è un Paese che non vuol rischiare di alzare nessuna bandiera straniera (leggi troika). E tantomeno quella bianca. Buon lavoro, di squadra.
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5.9.14
Il Ballo del Blabla
Marco Travaglio (il Fatto Quotidiano)
Sguazzare nel magico mondo di Matteo Renzi è impresa faticosa e noiosa, ma istruttiva. Catalogare annunci, promesse, impegni, imperativi, scadenze, ultimatum, slogan, parole d’ordine, slide, tweet, hashtag, post, persino sms è un modo come un altro per studiare l’Italia e gli italiani del 2014. Dopo le mille balle blu berlusconiane, siamo tutti in una comunità di recupero per disintossicarci con terapia omeopatica e graduale: drogati da quattro lustri di patacche e bufale, rischiamo la crisi se ce le tolgono di colpo. Renzi è il metadone: l’oppioide che surroga sostanze psicotrope più forti e previene l’astinenza. Non bastasse l’annuncite che lui stesso ha confessato (negandola) l’altro giorno, quando ha annunciato “basta annunci” annunciandone di nuovi, ad aggravarla provvede la cosiddetta informazione.
Che, come già con Monti & Letta, puntella il terzo governo estraneo agli elettori con un surplus di promesse, di solito su progetti segretissimi, anche per chi dovrebbe averli partoriti. Quando Renzi dice “i giornali sono pieni di progetti segreti del governo, talmente segreti che non li conosce nemmeno il governo”, ha le sue buone ragioni. Ma ha il torto di accorgersene tardi: quando aveva il vento in poppa e tutti i poteri forti ai suoi piedi con stampa e tv al seguito, sull’annuncite marciava felice. Intanto generava illusioni che neppure un incrocio fra Cavour, Roosevelt e De Gaulle avrebbe mai potuto soddisfare, dunque destinate a trasformarsi in delusioni. Ora che l’elastico torna indietro, lui tenta la fuga verso la normalità. Mille giorni al posto di cento (“una riforma al mese”). “Passodopopasso ” anziché “tuttoquisubito”. Ma doveva pensarci prima. Sei mesi di populismo e futurismo alla fiorentina, pancia in dentro petto in fuori, yeyé e brumbrum, ha inoculato nel Paese un’ansia da prestazione che ora gli si ritorce contro. Nessuno, a parte B., aveva tanto personalizzato la politica in una sola faccia, un solo corpo, una sola bocca perennemente aperta. E dire che all’inizio Renzi pareva saperlo che a metter troppa carne al fuoco si produce tanto fumo da oscurare le poche cose davvero fatte: “Basta spot, tanti fatti e pochi annunci. Concretezza da sindaci. I miei ministri devono lavorare e tacere” (22-2). “Voglio uscire dal Truman Show, siamo qui per parlare il linguaggio della franchezza, al limite della brutalità” (24-2). Ma erano annunci, pure quelli. Poi, come scrisse Panorama, partì il Ballo del Blabla. Articolo 18. “Non parlo dell’articolo 18” (Giuliano Poletti, Pd, ministro del Lavoro, 26-2). “Abolire l’articolo 18 entro fine agosto” (Angelino Alfano, Ncd, ministro dell’Interno, 11-8). “L’articolo 18 è un totem ideologico, inutile discuterne: bisogna riscrivere tutto lo Statuto dei lavoratori” (Renzi, 12-8). “Taglio di 3 anni per i nuovi assunti. Primo passo per cambiare l’articolo 18” (Corriere, 14-8). “Via l’articolo 18” (Enrico Zanetti, Sc, sottosegretario Economia, Libero, 14-8). “Poletti: non serve abolire l’articolo 18. Basta il contratto di inserimento” (Corriere, 17-8). “Il problema non è l’articolo 18, riguarda 3 mila persone” (Renzi, 1-9). Nel ddl delega “Jobs Act” c’è solo un accenno al “contratto a tutele crescenti”. Auto blu. “Le auto blu andranno all’asta come abbiamo fatto a Firenze. Dal 26 marzo diremo ‘venghino signori venghino’” (Renzi, 12-3). “Vendesi auto quasi nuova colore blu. 100 auto blu all’asta online dal 26 marzo” (slide di Renzi, 12-3). “Le autoblu su eBay dovrebbero fruttare 370 mila euro” (28-4). “L’auto blu piace usata e su internet scatta la corsa all’acquisto” (Repubblica, 28-3). “Pazzi per le auto blu: boom di offerte e prezzi più alti della media” (Corriere, 6-4). “Sono state vendute tutte le 52 auto blu messe all’asta su eBay” (Palazzo Chigi, 18-4). In realtà ne sono state vendute solo 7 e hanno fruttato appena 50 mila euro.
BUROCRAZIA. “Decreto ‘licenzierà’ i consiglieri di Stato” (Repubblica, 24-2). “Ora una violenta lotta alla burocrazia” (Renzi, 11-4). “Il piano anti-burocrazia. Renzi: ‘Entro mille giorni tutti i certificati online o inviati a casa entro 48 ore’” (Repubblica, 11-7).“Certificati online per dire addio alle code” (Stampa, 11-7). Tutto fermo.
CARCERI. “Non è possibile un nuovo indulto-amnistia dopo 7 anni dall’ultimo. Non serio, non educativo e non responsabile. Sarebbe un autogol e un vulnus al principio di legalità che la gente non capirebbe” (Renzi, 12-10-2013). “Approvato in Senato il decreto carceri: risarcimenti e sconti di pena ai detenuti in celle sovraffollate, stretta sulla custodia cautelare, niente carcere se la pena non supererà i 3 anni. Lega e M5S: ‘Indulto mascherato’” (Stampa, 3-8). “La polizia ad Alfano: ‘Con lo svuotacarceri dimezzati gli arresti degli spacciatori’” (Repubblica, 18-8). CASA. “Piano casa da 1 miliardo e mezzo” (Stampa, 1-3). “Arriva il piano casa con affitto e riscatto” (Repubblica, 2-3). “Riforma del catasto a breve” (Corriere, 5-6). “Altolà di Padoan alle spese: il pacchetto casa a rischio” (Repubblica, 26-8). “Sconto fiscale per chi affitta alloggi nuovi” (Corriere, 28-8). Bloccato quasi tutto per mancanza di fondi.
CONFLITTO DI INTERESSI. “Occorre una legge sul conflitto di interessi” (Delrio, 23-2). Mai vista. CORRUZIONE. “Caro Roberto… un’altra emergenza, strettamente connessa a quelle delle mafie, pure da affrontare – come ci ha di recente ricordato l’Unione europea – è la corruzione il cui costo ammonta a 60 miliardi ogni anno, pari al 4% del Pil italiano, circa metà dei danni provocati in tutta Europa” (Renzi, lettera aperta a Roberto Saviano, Repubblica, 2-3). “Senato, il ddl anticorruzione slitta al 10 giugno” (Messaggero, 27-5). “Renzi: Daspo a vita contro i corrotti. Stretta nel codice etico dei Dem” (Repubblica, 11-6). Il 16 giugno il ddl Grasso anticorruzione, discusso in commissione per un anno ed emendato da partiti e governo, è pronto per l’approvazione alla Camera. Ma il governo, previo colloquio di Renzi con B. e Verdini, lo blocca annunciandone uno nuovo. Che per ora non c’è né è all’ordine del giorno.
COSTI DELLA CASTA. “Dimezzare subito il numero e le indennità dei parlamentari. E vogliamo sceglierli noi con i voti, non farli scegliere a Roma con gli inchini al potente di turno” (Renzi, 18-10-2010). Con l’Italicum e il Senato delle Autonomie, i parlamentari non si dimezzano, ma scendono da 950 a 730, e le indennità dei 630 deputati restano intatte. “Io da sindaco di Firenze guadagno 50 mila euro netti l’anno. Perché un parlamentare o un consigliere regionale deve guadagnare molto più di me?” (18-7-2011). Ma con le sue riforme i deputati continueranno a guadagnare molto più dei sindaci. “Ridurre gli stipendi e dimezzare il numero dei parlamentari e abolire tutti i tipi di privilegi che fanno credere alla gente che i politici siano tutti uguali” (7-11-2012). Ora anche i sindaci e i consiglieri regionali nominati senatori avranno un privilegio in più: l’immunità parlamentare. CRESCITA DEL PIL. “La domanda interna si rianima, il calo dei prezzi aiuta i redditi più bassi” (Mario Draghi, presidente Bce, 23-2). “Con misure serie, irreversibili, legate non solo alla revisione della spesa, nel primo semestre 2014 avremo già i primi risultati” (Renzi, 24-2). “‘Il taglio dell’Irpef può aumentare la crescita dello 0,4%’: per gli economisti tra 5 e 6 miliardi in più l’effetto sui consumi” (Stampa, 14-3). “Alimentari, trasporti e abiti: le famiglie spenderanno così 9 miliardi del bonus Irpef” (Repubblica, 16-3). “Il governo accelera sul Def. Sale la stima sul Pil: potrebbe salire all’1,1%” (Repubblica, 24-3). “La crescita del Pil quest’anno potrebbe arrivare fino all’1%” (Ignazio Visco, governatore Bankitalia, 12-4). “Abbiamo abbassato le previsioni di crescita del Pil rispetto al governo Letta. Sono prudenti, ma saranno smentite. Lo prometto” (Renzi, 8-5. Letta prevedeva un +1% annuo, Renzi un +0,8 annuo: verranno entrambi smentiti, ma al ribasso). “Arriva il rimbalzino del Pil: secondo trimestre positivo. Attesa una crescita compresa tra lo 0,1 e lo 0,4%” (Stampa, 31-5). “Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente per la vita quotidiana delle persone” (Renzi, 24-7). “Renzi: ‘Difficile confermare il Pil a +0,8% del Def’” (Repubblica, 25-7). “Il Pil non me lo aspettavo così giù. La ripresa non arriva: avevamo previsto lo 0,8, invece sarà inferiore” (Renzi, 30-7). “Renzi: l’Italia non fallirà” (Corriere, 26-8). A fine anno si prevede una crescita negativa. Consumi ancora giù. Consumatori sempre più pessimisti.
DEBITI DELLA PA. “Sblocco totale e non parziale dei debiti delle PA per dare uno choc” (24-2). Ma 22,5 miliardi il Tesoro li ha già pagati; altri 25 li ha già stanziati e coperti Letta; gli altri 47 sono fuori bilancio, mai certificati. “Entro 15 giorni il decreto per sbloccare 60 miliardi alle imprese” (Renzi, 25-2). Poi si scopre che non è un decreto, ma un disegno di legge. “Entro luglio pagheremo tutti i debiti della PA: oltre ai 22 miliardi già pagati, 68 miliardi totali” (Renzi, 12-3). “Il premier: subito 60 miliardi per pagare le imprese. Ma Padoan non è convinto” (Stampa, 26-2). “Così il governo restituirà grazie a Cdp 60 miliardi alle aziende creditrici” (Repubblica, 27-2). “Renzi si accorda con le banche per dare 60 miliardi alle imprese” (Libero, 5-3). “Crediti alle imprese, lo Stato paga tutto” (Repubblica, 8-3). “Caro Vespa, scommettiamo che rimborseremo alle aziende tutti i debiti della PA entro il 21 settembre, il mio onomastico? Se perde lei va in pellegrinaggio a piedi al santuario di Monte Senario, ma se perdo io sa dove mi mandano gli italiani?” (Renzi, 13-3). “Il grosso dei pagamenti avverrà nel 2015” (Delrio, 14-5). “Padoan: debiti PA a 6 miliardi: ‘Entro l’estate paghiamo’. Per Bankitalia sono 91 miliardi, Confindustria li stima in 100, il governo ne certifica molti meno” (Repubblica, 29-5). “Entro il 21 settembre dovremmo riuscire a pagare tutti i debiti della PA” (Renzi, 24-7). Al 21-7, sul sito del Tesoro, risultano pagati 26,1 miliardi, più 30,1 di risorse rese disponibili agli enti debitori ma non ancora pagate (totale: il 63% degli stanziamenti 2013). Il governo Renzi ha stanziato 13 miliardi. E adesso ha passato la palla a Cassa Depositi e Prestiti e alle banche.
DEBITO PUBBLICO. “Nessuna preoccupazione sui conti pubblici” (Renzi, 2-8). “Debito pubblico record: 2168 miliardi. In 6 mesi 100 miliardi in più” (Stampa, 14-8). EUROPA. “Non sforeremo il 3%” (Renzi, 15-3). “L’intesa tra Obama e Renzi: ‘Giusto cambiare l’Europa’” (Repubblica, 28-3). “Renzi a Obama: ‘Convincere la Merkel a cambiare verso’” (Repubblica, 28-3). “L’Europa ci darà più tempo per rispettare il Fiscal compact sul debito: nell’apparato di sorveglianza europeo ci sono margini” (Padoan, 2-4). “Asse tra Renzi e Cameron per rivedere i trattati Ue” (Corriere, 3-4). “L’Europa deve cambiare. Ora contiamo come Berlino” (Renzi, 27-5). “Prima sfida Renzi-Merkel” (Stampa, 28-5). “Stimo la Merkel, non è un nemico. Ma basta austerità” (Renzi, Stampa, 31-5). “Non temo le pagelle Ue, ma vanno cambiate le regole. Basta con gli eurotecnocrati” (Renzi, 1-6). “Merkel frena la sfida con Renzi” (Stampa, 5-7). “Non prendo ordini dall’Ue” (Renzi, Stampa, 10-8). “Le riforme in Italia le decido io, non Troika, Bce e Commissione” (Renzi, 10-8). “Sulle riforme condivido dalla A alla Z le parole di Draghi” (Renzi, 12-8). “Riforme, Renzi rassicura Draghi. Due ore di incontro informale” (Stampa, 14-8). “Sforiamo il 3%” (Enrico Zanetti, sottosegretario Economia, Libero, 14-8). “Zanetti parla a titolo personale” (Padoan, 14-8). “Renzi prepara la battaglia: ‘La crisi colpisce tutti, non siamo noi il problema dell’Ue, la Merkel si ammorbidirà’” (Repubblica, 15-8). Nei fatti, il governo non contesta alcun trattato: rispetta il 3% e vuole rinviare il pareggio di bilancio strutturale al 2016.
EVASIONE FISCALE. “Avanti con la lotta all’evasione: non con i blitz a Cortina o Ponte Vecchio, ma con la tecnologia” (Renzi, 9-4). “Fisco, anche le bollette per la caccia agli evasori. Nel piano l’incrocio delle banche dati, dai conti correnti alle utenze” (Corriere, 10-4). “L’evasione non si combatte con nuove norme. Serve la volontà politica. Più controlli? È una logica parziale, rafforza l’idea che l’Agenzia delle Entrate è il nemico. Invece dev’essere un partner, un amico” (Renzi, 20-4). Nessun cambiamento fissato o previsto in materia.
FAMIGLIE. “Ora aiuti alle famiglie” (Renzi, Repubblica, 20-4). “Arriva lo sconto fiscale per le mamme lavoratrici: ecco gli aiuti alle famiglie. Il governo prepara l’intervento sul ‘quoziente’” (Repubblica, 22-4). “Sul bonus alle famiglie stop del Tesoro” (Corriere, 31-5). “Rinvio sul bonus alle famiglie numerose” (Corriere, 4-6). Nulla, non c’è un euro.
FISCO. “Maggio, riforma del fisco” (Renzi, 17-2). “Ora nuovo fisco” (Pierpaolo Baretta, Pd, sottosegretario all’Economia, l’Unità, 1-6). “Scontrini detraibili, il 730 sarà precompilato” Corriere, 28-2). “Nuovo catasto e 730 precompilato, parte la riforma delle tasse” (Corriere, 2-6). “Tasse e fatture digitali. Fisco più semplice” (Corriere, 21-7). Tutto fermo in attesa dei decreti alla delega fiscale.
FLESSIBILITÀ. “Ue: più riforme più flessibilità. Renzi: vertice tosto ma è un successo. Accordo molto buono” (l’Unità, 28-6). “(La flessibilità ottenuta da Renzi in Europa) non è poco… Quando si calcola il deficit non viene considerata, o meglio viene considerata flessibile, una parte della spesa. Di fatto si allenta il Patto di Stabilità. Parliamo di circa 7 miliardi di euro” (Graziano Delrio, Corriere, 30-6). “Renzi non ha mai chiesto maggiore flessibilità” (Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze tedesco, Financial Times, 30-6). “Flessibilità, la sfida di Renzi” (Stampa, 3-7). “La crescita di Renzi spacca la Ue” (l’Unità, 3-7). “Renzi, scontro con i tedeschi sulla flessibilità” (Repubblica, 3-7). “Matteo snobba i falchi: ‘Il patto è con la Merkel, flessibilità o Juncker salta’” (Repubblica, 3-7). “La Bundesbank non si intrometta, non ci fa paura: decide la Merkel e la sua linea è un’altra” (Renzi, 4-7). “La flessibilità serve a tutti, non solo a noi” (Renzi, 4-7). “Duello Renzi-Ecofin sulla flessibilità. Padoan crede nella vittoria sui falchi: ‘Eviteremo manovra e infrazione’” (Repubblica, 9-7). “Governo-Ue, patto sulla flessibilità. Sul tavolo uno ‘sconto’ da 5 miliardi” (Repubblica, 17-8). “Sconto all’Italia, apertura Ue. Spiraglio da Bruxelles: sul tavolo in autunno” (Repubblica, 18-8). “La Commissione Ue frena: la trattativa sulla flessibilità? Solo una congettura” (Stampa, 18-8). “‘Flessibilità a chi fa riforme’. Renzi trova la sponda Bce” (Repubblica, 24-8). Nessun accordo raggiunto, nessun negoziato formale, solo il rinvio unilaterale del pareggio di bilancio al 2016 da parte dell’Italia. F35. “Sì ai supercaccia F35, ma sui numeri il governo glisserà” (Stampa, 27-3). “Renzi a Obama: ‘L’Italia taglierà le spese militari’” (Repubblica, 28-3). “Difesa, il rebus dei tagli. Renzi: ‘Anche sugli F35’. Ma Pinotti rassicura i militari: ‘Sono necessari alla sicurezza’” (Repubblica, 29-3). “ ‘Le spese militari non vanno ridotte’ : pressing di Obama” (Stampa, 29-3). “Gli Usa confermano: ‘Dall’Italia nessun taglio alla fornitura di F35’ ” (Stampa, 6-4). “Taglio agli F35. Il governo insiste: 150 milioni in meno” (Stampa, 18-4). “Ecco il piano segreto per tagliare gli F35: via metà degli aerei. Il governo ha deciso: ne acquisterà solo 45” (Repubblica, 22-4). “Il Pentagono lascia a terra gli F35. Mogherini: discussione aperta. Inchiesta Usa sulla sicurezza dopo l’incendio a bordo di uno dei jet” (Corriere, 5-7). “F35, dopo i guasti la Pinotti frena: ‘Non compreremo niente che non sia sicuro e non funzioni perfettamente’” (Repubblica, 16-7). Nessuna riduzione degli acquisti di F35.
GIUSTIZIA. “Entro giugno faremo un pacchetto organico di revisione della giustizia che non lasci fuori niente” (Renzi, 17-2). “Basta con i nostri derby ideologici: fare della giustizia un asset reale per lo sviluppo del Paese” (Renzi, 24-2). “Caro Roberto… quello che va aggredito, hai ragione, è la ‘Mafia SpA’, presente in ogni comparto economico e finanziario del Paese… Gli appartenenti alle organizzazioni criminali sanno di non rischiare molto sul piano penale, anche perché manca il reato di autoriciclaggio. Il paradosso di un estorsore o uno spacciatore di droga che non viene punito se da solo ricicla o reimpiega il provento dei suoi delitti sarà superato con assoluta urgenza attraverso l’introduzione del delitto di autoriciclaggio. Aggredire i patrimoni mafiosi può essere una delle grandi risposte che il governo è in grado di dare, dal punto di vista economico, per fronteggiare la crisi” (Renzi, lettera aperta a Roberto Saviano, Repubblica, 2-3). “La riforma della giustizia si fa entro giugno” (Renzi 30-5, 31-5, 1-6, 7-6, 13-6, 14-6). “Giustizia, riforma a tappe. Pronto il testo che introduce l’autoriciclaggio” (Corriere, 22-4). “A giugno la riforma della giustizia, partendo dai Tar” (Renzi, Repubblica, 20-4). “La riforma della giustizia sarà al Consiglio dei ministri del 30 giugno” (Boschi, 20-6. In realtà il 30 giugno vengono presentate 12 righe di generiche “linee guida”). “Nessuna stretta sulle intercettazioni” (Andrea Orlando, Pd, ministro della Giustizia, 26-6). “Stretta sulle intercettazioni” (Repubblica, 1-7). “Intercettazioni e privacy, quel testo segreto contro l’Italia degli origliatori. Processo alla gogna” (Foglio, 1-7). “Giustizia, la ricetta del governo in 12 punti” (Corriere, 1-7). “Renzi: processo civile in un anno” (Stampa, 1-7). “Ho incontrato Renzi e mi ha assicurato che i 12 punti della giustizia li scriveremo insieme” (Silvio Berlusconi, 3-7). “Riforma della giustizia entro il 20 agosto” (Orlando, 26-7). “Processo civile, boom dell’online e tempi giù del 62%” (Repubblica, 2-8). “Per cambiare la giustizia ci confronteremo anche con le opposizioni” (Orlando, Repubblica, 3-8). “Giro di vite sull’azione disciplinare contro le toghe del Tar” (Corriere, 15-8). “Giustizia, il governo accelera sulla prescrizione” (Repubblica, 17-8). “Accelerazione sulla giustizia. Orlando da Napolitano, che raccomanda: ‘Massima attenzione ai temi divisivi’: intercettazioni, prescrizione e falso in bilancio” (Corriere, 19-8). “Giustizia, scontro sulle intercettazioni” (Repubblica, 20-8). “Giustizia, si parte subito da civile e dalla responsabilità delle toghe” (Corriere, 20-8). “Giustizia, primo via libera. Ma serve più tempo per Csm e intercettazioni” (Corriere, 21-8). “Orlando vuole procuratori-manager” (Repubblica, 21-8). “Limiti ai pm e mini-bavaglio ai giornali. Stretta in arrivo sulle intercettazioni” (Repubblica, 22-8). “Giustizia, il piano del governo. Non solo il processo civile: subito anche la prescrizione” (Corriere, 22-8). “Il Guardasigilli assicura: niente rinvii” (Corriere, 26-8). “Prescrizione congelata e meno ricorsi in appello: ecco la riforma della giustizia” (Repubblica, 27-8). “Giustizia, il governo stringe sulla responsabilità dei giudici” (Corriere, 27-8). “Giustizia, ecco la riforma. Ma sulle intercettazioni è scontro nel governo” (Repubblica, 28-8). “Sì alla stretta sugli ascolti dei non indagati” (Repubblica, 28-8). “La giustizia torna a dividere. FI attacca su intercettazioni e prescrizioni” (Corriere, 28-8). “Prescrizione congelata solo per i nuovi processi” (Repubblica, 29-8). “Giustizia, Alfano porta a casa la stretta sulle intercettazioni” (Stampa, 29-8). “Processo civile, subito un decreto. Sul penale il governo prende tempo: legge delega sui temi più dibattuti. Novità sulla prescrizione” (Corriere, 29-8). “Pensiamo a un tribunale con competenze più ampie per le imprese” (Renzi, 29-8. Ma il Tribunale delle Imprese l’aveva già istituito il governo Monti nel maggio 2012). “Intercettazioni, nella riforma le linee guida” (Stampa, 30-8). “Renzi: giudici, chi sbaglia paga” (Stampa, 30-8). “La ‘rivoluzione’ giustizia: prescrizione congelata, nuovo falso in bilancio e vacanze dimezzate” (Repubblica, 30-8). “Ferie dei giudici, Orlando frena il premier” (Repubblica, 31-8). “Le 7 mosse ‘sblocca-giustizia’: un decreto e 6 ddl per recuperare efficienza” (Sole 24 Ore, 31-8). Per il governo è urgente solo il processo civile (decreto); non invece prescrizione, falso in bilancio e autoriciclaggio (ddl solo annunciati, senza una maggioranza in Parlamento che li voti).
IMMIGRATI.“Cie, Alfano studia il taglio dei tempi di permanenza e pensa di abbassare il limite di 18 a 4-6 mesi” (l’Unità, 26-3). “Profughi nelle caserme di tutte le Regioni: ecco il piano Alfano” (Repubblica, 15-6). “Al via operazione Spiagge Sicure. Gli italiani stanchi di essere insolentiti da orde di vu’ cumprà, dobbiamo radere al suolo la contraffazione” (Alfano, 11-8). “Alfano: pronti a fermare Mare Nostrum” (Repubblica, 25-8). Approvata una legge delega sui Cie. Per il resto zero. ITALICUM. “Occorre una legge elettorale per scegliere direttamente gli eletti e un tetto di tre mandati parlamentari, senza eccezioni” (Renzi, 3-4-2011. Ma, con le sue “riforme”, i partiti continueranno a nominarsi i deputati e per il Senato si aboliscono addirittura le elezioni. Nessuna traccia dei tre mandati). “Il Porcellum è la peggior legge elettorale possibile, in cui i parlamentari sono nominati” (Renzi, 15-4-2011). Infatti sostituisce la peggior legge elettorale possibile con la peggior legge elettorale possibile, in cui i parlamentari sono più nominati di prima. “Vogliamo una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere il presidente del Consiglio e i parlamentari in modo libero, come succede nei Comuni. I partiti devono consentire alla gente di scegliersi le persone, perché un cittadino possa guardare in faccia i propri rappresentanti. Poi se fanno bene li conferma, se fanno male li manda a casa e magari i politici proveranno l’ebbrezza di tornare a lavorare” (Renzi, 26-4-2012). “Facciano quel che gli pare, purché lo facciano e che a scegliere siano i cittadini” (Renzi, 1-10-2012). “L’importante è dare ai cittadini la possibilità di scegliere liberamente, non necessariamente di incasellarsi in destra o sinistra. Comunque la pensi, puoi scegliere chi votare di volta in volta in base alla personalità di chi si candida, delle idee che esprime, del programma” (Renzi, 7-11-2012). Ma con le sue “riforme” i partiti seguiteranno a impedire alla gente di scegliere e guardare in faccia i propri rappresentanti. “Il Porcellum non è il male assoluto, peggio c’è solo il proporzionale puro. Ma è molto meglio il Mattarellum: almeno vedi in faccia i parlamentari, perché con queste liste elettorali possono mettere dentro di tutto” (Renzi, 19-11-2013). Ora, con le liste dell’Italicum, Renzi potrà mettere dentro di tutto. “Il Mattarellum è senz’altro migliore del Porcellum: se, per garantire la governabilità, si aggiungesse un premio di maggioranza del 25%, sarebbe perfetto. Ma la soluzione migliore sarebbe la legge elettorale per l’elezione dei sindaci” (Renzi, 22-11-2013). Sia il Mattarellum sia la legge dei sindaci consentono ai cittadini di scegliere: Renzi preferisce l’Italicum, che non lo consente. “Berlusconi e Grillo fanno le larghe intese per conservare il Porcellum” (Renzi, 19-11-2013). PoilelargheinteseconB.lehafatteRenzi per conservare il peggio del Porcellum nell’Italicum. “Nonostante i gufi, la legge elettorale è passata alla Camera ed entro settembre sarà approvata: non ci saranno mai più larghe intese e chi vince governa 5 anni. È una rivoluzione impressionante, chi vince governa. Politica 1 – Disfattismo 0” (Renzi, 12-3-2014). “Italicum entro l’anno” (Renzi, 2-8). Approvato dalla Camera, l’Italicum è uscito dall’agenda parlamentare: insanabili dissensi fra tutti i partiti.
LAVORO. “Il 17 marzo, all’incontro con la Merkel, avrò pronto il piano sul lavoro” (Renzi, 26-2). “Renzi: ora un Jobs Act da 100 miliardi” (l’Unità, 28-2). “Sussidio disoccupazione anche per i precari: 1.000 euro al mese per chi perde il posto. Il piano costerà 8,8 miliardi” (Repubblica, 28-2). “Ecco il Jobs Act targato Renzi: sussidio di disoccupazione anche per i precari. Col Naspi circa 1.000 euro al mese per chi perde il posto” (Repubblica, 1-3). “Il Jobs Act va bene così: tra 10 mesi vedrete i risultati” (Giuliano Poletti, Pd, ministro del Lavoro, Repubblica, 16-3). “Slitta a settembre il Jobs Act” (Corriere, 18-7). Il Jobs Act è un ddl delega spiaggiato in Parlamento. Ora il governo promette di approvarlo entro il 2014. Per i decreti attuativi passerebbe un altro anno.
MAFIA. “Caro Roberto, so che… vi aspettate che la lotta alla criminalità organizzata diventi per davvero la priorità del governo. Questo impegno io lo assumo… Il cuore delle organizzazioni criminali è negli affari… e anche in quel confine sottile, sottilissimo, che esiste tra lecito e illecito con l’appoggio, con il consenso, con la collusione e qualche volta semplicemente col silenzio di chi ha ruoli di responsabilità nella politica, nelle amministrazioni e nell’economia. Sono questi i legami che dobbiamo smascherare e recidere. Faremo un lavoro serio e puntiglioso… per adottare le misure necessarie sul piano legislativo e amministrativo. Con una proposta organica in base al lavoro della commissione istituita a Palazzo Chigi con Cantone e Gratteri per elaborare strumenti e contributi per rendere più incisiva la lotta alla criminalità organizzata… Porterò questi temi anche sui tavoli del semestre Ue. C’è tanto lavoro da fare” (Renzi, lettera aperta a Saviano, Repubblica, 2-3). Niente di fatto, né di annunciato.
MANAGER PUBBLICI. “Abbassando il tetto degli stipendi lordi a quanto guadagna il presidente della Repubblica, circa 250 mila euro l’anno, risparmieremo 500 milioni” (Renzi, 14-3). “Manager di Stato, 500 milioni in meno: tetto a 248 mila euro senza deroghe” (Repubblica, 14-3). “Ecco il ‘tetto’ agli stipendi dei manager pubblici. Da aprile scatta il limite: non oltre 311 mila euro lordi” (l’Unità, 29-3). “Tagli ai manager, mossa del Tesoro. Da aprile scattano i primi risparmi” (Corriere, 25-3). “Da aprile tetto agli stipendi dei manager” (Repubblica, 29-3). “Stretta sui manager pubblici” (Corriere, 29-3). “Stipendi ai manager, subito i tagli” (Corriere, 29-3). “Arriva la stretta sui manager di Stato” (Stampa, 29-3). “Manager, nuova stretta del governo. Stipendi, tetto per tutti i dirigenti: taglio del 25% nelle società quotate” (Repubblica, 30-3). “Il tetto agli stipendi pubblici? Salito di 37 mila euro. Le retribuzioni dei burocrati ancorata alla Cassazione” (Corriere, 6-4). “La sforbiciata sui dirigenti può valere un miliardo l’anno” (Stampa, 8-4). “Gli stipendi dei dirigenti saranno agganciati al Pil. Palazzo Chigi apripista” (Repubblica, 8-4). “Per i superdirigenti il taglio dello stipendio vale fino a 65 mila euro l’anno” (Stampa, 10-4). “Stipendi ridotti a 238 mila euro, ma non per tutti” (Repubblica, 15-4). “Pronto il tetto agli stipendi. I dirigenti divisi in quattro fasce. Riduzioni anche per Bankitalia e Consulta” (Stampa, 18-4). “Dirigenti e manager di Stato, sorpresa di Pasqua amara: nuovo taglio di stipendi. La scure dei 240 mila euro su chi si era salvato dal primo tetto. Ora sacrifici anche in Rai, Ragioneria e vertici Polizia” (Repubblica, 20-4). La norma è passata, ma la platea degli interessati è molto più ristretta del previsto con risparmi di meno di 200 milioni, anziché di 500.
Sguazzare nel magico mondo di Matteo Renzi è impresa faticosa e noiosa, ma istruttiva. Catalogare annunci, promesse, impegni, imperativi, scadenze, ultimatum, slogan, parole d’ordine, slide, tweet, hashtag, post, persino sms è un modo come un altro per studiare l’Italia e gli italiani del 2014. Dopo le mille balle blu berlusconiane, siamo tutti in una comunità di recupero per disintossicarci con terapia omeopatica e graduale: drogati da quattro lustri di patacche e bufale, rischiamo la crisi se ce le tolgono di colpo. Renzi è il metadone: l’oppioide che surroga sostanze psicotrope più forti e previene l’astinenza. Non bastasse l’annuncite che lui stesso ha confessato (negandola) l’altro giorno, quando ha annunciato “basta annunci” annunciandone di nuovi, ad aggravarla provvede la cosiddetta informazione.
Che, come già con Monti & Letta, puntella il terzo governo estraneo agli elettori con un surplus di promesse, di solito su progetti segretissimi, anche per chi dovrebbe averli partoriti. Quando Renzi dice “i giornali sono pieni di progetti segreti del governo, talmente segreti che non li conosce nemmeno il governo”, ha le sue buone ragioni. Ma ha il torto di accorgersene tardi: quando aveva il vento in poppa e tutti i poteri forti ai suoi piedi con stampa e tv al seguito, sull’annuncite marciava felice. Intanto generava illusioni che neppure un incrocio fra Cavour, Roosevelt e De Gaulle avrebbe mai potuto soddisfare, dunque destinate a trasformarsi in delusioni. Ora che l’elastico torna indietro, lui tenta la fuga verso la normalità. Mille giorni al posto di cento (“una riforma al mese”). “Passodopopasso ” anziché “tuttoquisubito”. Ma doveva pensarci prima. Sei mesi di populismo e futurismo alla fiorentina, pancia in dentro petto in fuori, yeyé e brumbrum, ha inoculato nel Paese un’ansia da prestazione che ora gli si ritorce contro. Nessuno, a parte B., aveva tanto personalizzato la politica in una sola faccia, un solo corpo, una sola bocca perennemente aperta. E dire che all’inizio Renzi pareva saperlo che a metter troppa carne al fuoco si produce tanto fumo da oscurare le poche cose davvero fatte: “Basta spot, tanti fatti e pochi annunci. Concretezza da sindaci. I miei ministri devono lavorare e tacere” (22-2). “Voglio uscire dal Truman Show, siamo qui per parlare il linguaggio della franchezza, al limite della brutalità” (24-2). Ma erano annunci, pure quelli. Poi, come scrisse Panorama, partì il Ballo del Blabla. Articolo 18. “Non parlo dell’articolo 18” (Giuliano Poletti, Pd, ministro del Lavoro, 26-2). “Abolire l’articolo 18 entro fine agosto” (Angelino Alfano, Ncd, ministro dell’Interno, 11-8). “L’articolo 18 è un totem ideologico, inutile discuterne: bisogna riscrivere tutto lo Statuto dei lavoratori” (Renzi, 12-8). “Taglio di 3 anni per i nuovi assunti. Primo passo per cambiare l’articolo 18” (Corriere, 14-8). “Via l’articolo 18” (Enrico Zanetti, Sc, sottosegretario Economia, Libero, 14-8). “Poletti: non serve abolire l’articolo 18. Basta il contratto di inserimento” (Corriere, 17-8). “Il problema non è l’articolo 18, riguarda 3 mila persone” (Renzi, 1-9). Nel ddl delega “Jobs Act” c’è solo un accenno al “contratto a tutele crescenti”. Auto blu. “Le auto blu andranno all’asta come abbiamo fatto a Firenze. Dal 26 marzo diremo ‘venghino signori venghino’” (Renzi, 12-3). “Vendesi auto quasi nuova colore blu. 100 auto blu all’asta online dal 26 marzo” (slide di Renzi, 12-3). “Le autoblu su eBay dovrebbero fruttare 370 mila euro” (28-4). “L’auto blu piace usata e su internet scatta la corsa all’acquisto” (Repubblica, 28-3). “Pazzi per le auto blu: boom di offerte e prezzi più alti della media” (Corriere, 6-4). “Sono state vendute tutte le 52 auto blu messe all’asta su eBay” (Palazzo Chigi, 18-4). In realtà ne sono state vendute solo 7 e hanno fruttato appena 50 mila euro.
BUROCRAZIA. “Decreto ‘licenzierà’ i consiglieri di Stato” (Repubblica, 24-2). “Ora una violenta lotta alla burocrazia” (Renzi, 11-4). “Il piano anti-burocrazia. Renzi: ‘Entro mille giorni tutti i certificati online o inviati a casa entro 48 ore’” (Repubblica, 11-7).“Certificati online per dire addio alle code” (Stampa, 11-7). Tutto fermo.
CARCERI. “Non è possibile un nuovo indulto-amnistia dopo 7 anni dall’ultimo. Non serio, non educativo e non responsabile. Sarebbe un autogol e un vulnus al principio di legalità che la gente non capirebbe” (Renzi, 12-10-2013). “Approvato in Senato il decreto carceri: risarcimenti e sconti di pena ai detenuti in celle sovraffollate, stretta sulla custodia cautelare, niente carcere se la pena non supererà i 3 anni. Lega e M5S: ‘Indulto mascherato’” (Stampa, 3-8). “La polizia ad Alfano: ‘Con lo svuotacarceri dimezzati gli arresti degli spacciatori’” (Repubblica, 18-8). CASA. “Piano casa da 1 miliardo e mezzo” (Stampa, 1-3). “Arriva il piano casa con affitto e riscatto” (Repubblica, 2-3). “Riforma del catasto a breve” (Corriere, 5-6). “Altolà di Padoan alle spese: il pacchetto casa a rischio” (Repubblica, 26-8). “Sconto fiscale per chi affitta alloggi nuovi” (Corriere, 28-8). Bloccato quasi tutto per mancanza di fondi.
CONFLITTO DI INTERESSI. “Occorre una legge sul conflitto di interessi” (Delrio, 23-2). Mai vista. CORRUZIONE. “Caro Roberto… un’altra emergenza, strettamente connessa a quelle delle mafie, pure da affrontare – come ci ha di recente ricordato l’Unione europea – è la corruzione il cui costo ammonta a 60 miliardi ogni anno, pari al 4% del Pil italiano, circa metà dei danni provocati in tutta Europa” (Renzi, lettera aperta a Roberto Saviano, Repubblica, 2-3). “Senato, il ddl anticorruzione slitta al 10 giugno” (Messaggero, 27-5). “Renzi: Daspo a vita contro i corrotti. Stretta nel codice etico dei Dem” (Repubblica, 11-6). Il 16 giugno il ddl Grasso anticorruzione, discusso in commissione per un anno ed emendato da partiti e governo, è pronto per l’approvazione alla Camera. Ma il governo, previo colloquio di Renzi con B. e Verdini, lo blocca annunciandone uno nuovo. Che per ora non c’è né è all’ordine del giorno.
COSTI DELLA CASTA. “Dimezzare subito il numero e le indennità dei parlamentari. E vogliamo sceglierli noi con i voti, non farli scegliere a Roma con gli inchini al potente di turno” (Renzi, 18-10-2010). Con l’Italicum e il Senato delle Autonomie, i parlamentari non si dimezzano, ma scendono da 950 a 730, e le indennità dei 630 deputati restano intatte. “Io da sindaco di Firenze guadagno 50 mila euro netti l’anno. Perché un parlamentare o un consigliere regionale deve guadagnare molto più di me?” (18-7-2011). Ma con le sue riforme i deputati continueranno a guadagnare molto più dei sindaci. “Ridurre gli stipendi e dimezzare il numero dei parlamentari e abolire tutti i tipi di privilegi che fanno credere alla gente che i politici siano tutti uguali” (7-11-2012). Ora anche i sindaci e i consiglieri regionali nominati senatori avranno un privilegio in più: l’immunità parlamentare. CRESCITA DEL PIL. “La domanda interna si rianima, il calo dei prezzi aiuta i redditi più bassi” (Mario Draghi, presidente Bce, 23-2). “Con misure serie, irreversibili, legate non solo alla revisione della spesa, nel primo semestre 2014 avremo già i primi risultati” (Renzi, 24-2). “‘Il taglio dell’Irpef può aumentare la crescita dello 0,4%’: per gli economisti tra 5 e 6 miliardi in più l’effetto sui consumi” (Stampa, 14-3). “Alimentari, trasporti e abiti: le famiglie spenderanno così 9 miliardi del bonus Irpef” (Repubblica, 16-3). “Il governo accelera sul Def. Sale la stima sul Pil: potrebbe salire all’1,1%” (Repubblica, 24-3). “La crescita del Pil quest’anno potrebbe arrivare fino all’1%” (Ignazio Visco, governatore Bankitalia, 12-4). “Abbiamo abbassato le previsioni di crescita del Pil rispetto al governo Letta. Sono prudenti, ma saranno smentite. Lo prometto” (Renzi, 8-5. Letta prevedeva un +1% annuo, Renzi un +0,8 annuo: verranno entrambi smentiti, ma al ribasso). “Arriva il rimbalzino del Pil: secondo trimestre positivo. Attesa una crescita compresa tra lo 0,1 e lo 0,4%” (Stampa, 31-5). “Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente per la vita quotidiana delle persone” (Renzi, 24-7). “Renzi: ‘Difficile confermare il Pil a +0,8% del Def’” (Repubblica, 25-7). “Il Pil non me lo aspettavo così giù. La ripresa non arriva: avevamo previsto lo 0,8, invece sarà inferiore” (Renzi, 30-7). “Renzi: l’Italia non fallirà” (Corriere, 26-8). A fine anno si prevede una crescita negativa. Consumi ancora giù. Consumatori sempre più pessimisti.
DEBITI DELLA PA. “Sblocco totale e non parziale dei debiti delle PA per dare uno choc” (24-2). Ma 22,5 miliardi il Tesoro li ha già pagati; altri 25 li ha già stanziati e coperti Letta; gli altri 47 sono fuori bilancio, mai certificati. “Entro 15 giorni il decreto per sbloccare 60 miliardi alle imprese” (Renzi, 25-2). Poi si scopre che non è un decreto, ma un disegno di legge. “Entro luglio pagheremo tutti i debiti della PA: oltre ai 22 miliardi già pagati, 68 miliardi totali” (Renzi, 12-3). “Il premier: subito 60 miliardi per pagare le imprese. Ma Padoan non è convinto” (Stampa, 26-2). “Così il governo restituirà grazie a Cdp 60 miliardi alle aziende creditrici” (Repubblica, 27-2). “Renzi si accorda con le banche per dare 60 miliardi alle imprese” (Libero, 5-3). “Crediti alle imprese, lo Stato paga tutto” (Repubblica, 8-3). “Caro Vespa, scommettiamo che rimborseremo alle aziende tutti i debiti della PA entro il 21 settembre, il mio onomastico? Se perde lei va in pellegrinaggio a piedi al santuario di Monte Senario, ma se perdo io sa dove mi mandano gli italiani?” (Renzi, 13-3). “Il grosso dei pagamenti avverrà nel 2015” (Delrio, 14-5). “Padoan: debiti PA a 6 miliardi: ‘Entro l’estate paghiamo’. Per Bankitalia sono 91 miliardi, Confindustria li stima in 100, il governo ne certifica molti meno” (Repubblica, 29-5). “Entro il 21 settembre dovremmo riuscire a pagare tutti i debiti della PA” (Renzi, 24-7). Al 21-7, sul sito del Tesoro, risultano pagati 26,1 miliardi, più 30,1 di risorse rese disponibili agli enti debitori ma non ancora pagate (totale: il 63% degli stanziamenti 2013). Il governo Renzi ha stanziato 13 miliardi. E adesso ha passato la palla a Cassa Depositi e Prestiti e alle banche.
DEBITO PUBBLICO. “Nessuna preoccupazione sui conti pubblici” (Renzi, 2-8). “Debito pubblico record: 2168 miliardi. In 6 mesi 100 miliardi in più” (Stampa, 14-8). EUROPA. “Non sforeremo il 3%” (Renzi, 15-3). “L’intesa tra Obama e Renzi: ‘Giusto cambiare l’Europa’” (Repubblica, 28-3). “Renzi a Obama: ‘Convincere la Merkel a cambiare verso’” (Repubblica, 28-3). “L’Europa ci darà più tempo per rispettare il Fiscal compact sul debito: nell’apparato di sorveglianza europeo ci sono margini” (Padoan, 2-4). “Asse tra Renzi e Cameron per rivedere i trattati Ue” (Corriere, 3-4). “L’Europa deve cambiare. Ora contiamo come Berlino” (Renzi, 27-5). “Prima sfida Renzi-Merkel” (Stampa, 28-5). “Stimo la Merkel, non è un nemico. Ma basta austerità” (Renzi, Stampa, 31-5). “Non temo le pagelle Ue, ma vanno cambiate le regole. Basta con gli eurotecnocrati” (Renzi, 1-6). “Merkel frena la sfida con Renzi” (Stampa, 5-7). “Non prendo ordini dall’Ue” (Renzi, Stampa, 10-8). “Le riforme in Italia le decido io, non Troika, Bce e Commissione” (Renzi, 10-8). “Sulle riforme condivido dalla A alla Z le parole di Draghi” (Renzi, 12-8). “Riforme, Renzi rassicura Draghi. Due ore di incontro informale” (Stampa, 14-8). “Sforiamo il 3%” (Enrico Zanetti, sottosegretario Economia, Libero, 14-8). “Zanetti parla a titolo personale” (Padoan, 14-8). “Renzi prepara la battaglia: ‘La crisi colpisce tutti, non siamo noi il problema dell’Ue, la Merkel si ammorbidirà’” (Repubblica, 15-8). Nei fatti, il governo non contesta alcun trattato: rispetta il 3% e vuole rinviare il pareggio di bilancio strutturale al 2016.
EVASIONE FISCALE. “Avanti con la lotta all’evasione: non con i blitz a Cortina o Ponte Vecchio, ma con la tecnologia” (Renzi, 9-4). “Fisco, anche le bollette per la caccia agli evasori. Nel piano l’incrocio delle banche dati, dai conti correnti alle utenze” (Corriere, 10-4). “L’evasione non si combatte con nuove norme. Serve la volontà politica. Più controlli? È una logica parziale, rafforza l’idea che l’Agenzia delle Entrate è il nemico. Invece dev’essere un partner, un amico” (Renzi, 20-4). Nessun cambiamento fissato o previsto in materia.
FAMIGLIE. “Ora aiuti alle famiglie” (Renzi, Repubblica, 20-4). “Arriva lo sconto fiscale per le mamme lavoratrici: ecco gli aiuti alle famiglie. Il governo prepara l’intervento sul ‘quoziente’” (Repubblica, 22-4). “Sul bonus alle famiglie stop del Tesoro” (Corriere, 31-5). “Rinvio sul bonus alle famiglie numerose” (Corriere, 4-6). Nulla, non c’è un euro.
FISCO. “Maggio, riforma del fisco” (Renzi, 17-2). “Ora nuovo fisco” (Pierpaolo Baretta, Pd, sottosegretario all’Economia, l’Unità, 1-6). “Scontrini detraibili, il 730 sarà precompilato” Corriere, 28-2). “Nuovo catasto e 730 precompilato, parte la riforma delle tasse” (Corriere, 2-6). “Tasse e fatture digitali. Fisco più semplice” (Corriere, 21-7). Tutto fermo in attesa dei decreti alla delega fiscale.
FLESSIBILITÀ. “Ue: più riforme più flessibilità. Renzi: vertice tosto ma è un successo. Accordo molto buono” (l’Unità, 28-6). “(La flessibilità ottenuta da Renzi in Europa) non è poco… Quando si calcola il deficit non viene considerata, o meglio viene considerata flessibile, una parte della spesa. Di fatto si allenta il Patto di Stabilità. Parliamo di circa 7 miliardi di euro” (Graziano Delrio, Corriere, 30-6). “Renzi non ha mai chiesto maggiore flessibilità” (Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze tedesco, Financial Times, 30-6). “Flessibilità, la sfida di Renzi” (Stampa, 3-7). “La crescita di Renzi spacca la Ue” (l’Unità, 3-7). “Renzi, scontro con i tedeschi sulla flessibilità” (Repubblica, 3-7). “Matteo snobba i falchi: ‘Il patto è con la Merkel, flessibilità o Juncker salta’” (Repubblica, 3-7). “La Bundesbank non si intrometta, non ci fa paura: decide la Merkel e la sua linea è un’altra” (Renzi, 4-7). “La flessibilità serve a tutti, non solo a noi” (Renzi, 4-7). “Duello Renzi-Ecofin sulla flessibilità. Padoan crede nella vittoria sui falchi: ‘Eviteremo manovra e infrazione’” (Repubblica, 9-7). “Governo-Ue, patto sulla flessibilità. Sul tavolo uno ‘sconto’ da 5 miliardi” (Repubblica, 17-8). “Sconto all’Italia, apertura Ue. Spiraglio da Bruxelles: sul tavolo in autunno” (Repubblica, 18-8). “La Commissione Ue frena: la trattativa sulla flessibilità? Solo una congettura” (Stampa, 18-8). “‘Flessibilità a chi fa riforme’. Renzi trova la sponda Bce” (Repubblica, 24-8). Nessun accordo raggiunto, nessun negoziato formale, solo il rinvio unilaterale del pareggio di bilancio al 2016 da parte dell’Italia. F35. “Sì ai supercaccia F35, ma sui numeri il governo glisserà” (Stampa, 27-3). “Renzi a Obama: ‘L’Italia taglierà le spese militari’” (Repubblica, 28-3). “Difesa, il rebus dei tagli. Renzi: ‘Anche sugli F35’. Ma Pinotti rassicura i militari: ‘Sono necessari alla sicurezza’” (Repubblica, 29-3). “ ‘Le spese militari non vanno ridotte’ : pressing di Obama” (Stampa, 29-3). “Gli Usa confermano: ‘Dall’Italia nessun taglio alla fornitura di F35’ ” (Stampa, 6-4). “Taglio agli F35. Il governo insiste: 150 milioni in meno” (Stampa, 18-4). “Ecco il piano segreto per tagliare gli F35: via metà degli aerei. Il governo ha deciso: ne acquisterà solo 45” (Repubblica, 22-4). “Il Pentagono lascia a terra gli F35. Mogherini: discussione aperta. Inchiesta Usa sulla sicurezza dopo l’incendio a bordo di uno dei jet” (Corriere, 5-7). “F35, dopo i guasti la Pinotti frena: ‘Non compreremo niente che non sia sicuro e non funzioni perfettamente’” (Repubblica, 16-7). Nessuna riduzione degli acquisti di F35.
GIUSTIZIA. “Entro giugno faremo un pacchetto organico di revisione della giustizia che non lasci fuori niente” (Renzi, 17-2). “Basta con i nostri derby ideologici: fare della giustizia un asset reale per lo sviluppo del Paese” (Renzi, 24-2). “Caro Roberto… quello che va aggredito, hai ragione, è la ‘Mafia SpA’, presente in ogni comparto economico e finanziario del Paese… Gli appartenenti alle organizzazioni criminali sanno di non rischiare molto sul piano penale, anche perché manca il reato di autoriciclaggio. Il paradosso di un estorsore o uno spacciatore di droga che non viene punito se da solo ricicla o reimpiega il provento dei suoi delitti sarà superato con assoluta urgenza attraverso l’introduzione del delitto di autoriciclaggio. Aggredire i patrimoni mafiosi può essere una delle grandi risposte che il governo è in grado di dare, dal punto di vista economico, per fronteggiare la crisi” (Renzi, lettera aperta a Roberto Saviano, Repubblica, 2-3). “La riforma della giustizia si fa entro giugno” (Renzi 30-5, 31-5, 1-6, 7-6, 13-6, 14-6). “Giustizia, riforma a tappe. Pronto il testo che introduce l’autoriciclaggio” (Corriere, 22-4). “A giugno la riforma della giustizia, partendo dai Tar” (Renzi, Repubblica, 20-4). “La riforma della giustizia sarà al Consiglio dei ministri del 30 giugno” (Boschi, 20-6. In realtà il 30 giugno vengono presentate 12 righe di generiche “linee guida”). “Nessuna stretta sulle intercettazioni” (Andrea Orlando, Pd, ministro della Giustizia, 26-6). “Stretta sulle intercettazioni” (Repubblica, 1-7). “Intercettazioni e privacy, quel testo segreto contro l’Italia degli origliatori. Processo alla gogna” (Foglio, 1-7). “Giustizia, la ricetta del governo in 12 punti” (Corriere, 1-7). “Renzi: processo civile in un anno” (Stampa, 1-7). “Ho incontrato Renzi e mi ha assicurato che i 12 punti della giustizia li scriveremo insieme” (Silvio Berlusconi, 3-7). “Riforma della giustizia entro il 20 agosto” (Orlando, 26-7). “Processo civile, boom dell’online e tempi giù del 62%” (Repubblica, 2-8). “Per cambiare la giustizia ci confronteremo anche con le opposizioni” (Orlando, Repubblica, 3-8). “Giro di vite sull’azione disciplinare contro le toghe del Tar” (Corriere, 15-8). “Giustizia, il governo accelera sulla prescrizione” (Repubblica, 17-8). “Accelerazione sulla giustizia. Orlando da Napolitano, che raccomanda: ‘Massima attenzione ai temi divisivi’: intercettazioni, prescrizione e falso in bilancio” (Corriere, 19-8). “Giustizia, scontro sulle intercettazioni” (Repubblica, 20-8). “Giustizia, si parte subito da civile e dalla responsabilità delle toghe” (Corriere, 20-8). “Giustizia, primo via libera. Ma serve più tempo per Csm e intercettazioni” (Corriere, 21-8). “Orlando vuole procuratori-manager” (Repubblica, 21-8). “Limiti ai pm e mini-bavaglio ai giornali. Stretta in arrivo sulle intercettazioni” (Repubblica, 22-8). “Giustizia, il piano del governo. Non solo il processo civile: subito anche la prescrizione” (Corriere, 22-8). “Il Guardasigilli assicura: niente rinvii” (Corriere, 26-8). “Prescrizione congelata e meno ricorsi in appello: ecco la riforma della giustizia” (Repubblica, 27-8). “Giustizia, il governo stringe sulla responsabilità dei giudici” (Corriere, 27-8). “Giustizia, ecco la riforma. Ma sulle intercettazioni è scontro nel governo” (Repubblica, 28-8). “Sì alla stretta sugli ascolti dei non indagati” (Repubblica, 28-8). “La giustizia torna a dividere. FI attacca su intercettazioni e prescrizioni” (Corriere, 28-8). “Prescrizione congelata solo per i nuovi processi” (Repubblica, 29-8). “Giustizia, Alfano porta a casa la stretta sulle intercettazioni” (Stampa, 29-8). “Processo civile, subito un decreto. Sul penale il governo prende tempo: legge delega sui temi più dibattuti. Novità sulla prescrizione” (Corriere, 29-8). “Pensiamo a un tribunale con competenze più ampie per le imprese” (Renzi, 29-8. Ma il Tribunale delle Imprese l’aveva già istituito il governo Monti nel maggio 2012). “Intercettazioni, nella riforma le linee guida” (Stampa, 30-8). “Renzi: giudici, chi sbaglia paga” (Stampa, 30-8). “La ‘rivoluzione’ giustizia: prescrizione congelata, nuovo falso in bilancio e vacanze dimezzate” (Repubblica, 30-8). “Ferie dei giudici, Orlando frena il premier” (Repubblica, 31-8). “Le 7 mosse ‘sblocca-giustizia’: un decreto e 6 ddl per recuperare efficienza” (Sole 24 Ore, 31-8). Per il governo è urgente solo il processo civile (decreto); non invece prescrizione, falso in bilancio e autoriciclaggio (ddl solo annunciati, senza una maggioranza in Parlamento che li voti).
IMMIGRATI.“Cie, Alfano studia il taglio dei tempi di permanenza e pensa di abbassare il limite di 18 a 4-6 mesi” (l’Unità, 26-3). “Profughi nelle caserme di tutte le Regioni: ecco il piano Alfano” (Repubblica, 15-6). “Al via operazione Spiagge Sicure. Gli italiani stanchi di essere insolentiti da orde di vu’ cumprà, dobbiamo radere al suolo la contraffazione” (Alfano, 11-8). “Alfano: pronti a fermare Mare Nostrum” (Repubblica, 25-8). Approvata una legge delega sui Cie. Per il resto zero. ITALICUM. “Occorre una legge elettorale per scegliere direttamente gli eletti e un tetto di tre mandati parlamentari, senza eccezioni” (Renzi, 3-4-2011. Ma, con le sue “riforme”, i partiti continueranno a nominarsi i deputati e per il Senato si aboliscono addirittura le elezioni. Nessuna traccia dei tre mandati). “Il Porcellum è la peggior legge elettorale possibile, in cui i parlamentari sono nominati” (Renzi, 15-4-2011). Infatti sostituisce la peggior legge elettorale possibile con la peggior legge elettorale possibile, in cui i parlamentari sono più nominati di prima. “Vogliamo una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere il presidente del Consiglio e i parlamentari in modo libero, come succede nei Comuni. I partiti devono consentire alla gente di scegliersi le persone, perché un cittadino possa guardare in faccia i propri rappresentanti. Poi se fanno bene li conferma, se fanno male li manda a casa e magari i politici proveranno l’ebbrezza di tornare a lavorare” (Renzi, 26-4-2012). “Facciano quel che gli pare, purché lo facciano e che a scegliere siano i cittadini” (Renzi, 1-10-2012). “L’importante è dare ai cittadini la possibilità di scegliere liberamente, non necessariamente di incasellarsi in destra o sinistra. Comunque la pensi, puoi scegliere chi votare di volta in volta in base alla personalità di chi si candida, delle idee che esprime, del programma” (Renzi, 7-11-2012). Ma con le sue “riforme” i partiti seguiteranno a impedire alla gente di scegliere e guardare in faccia i propri rappresentanti. “Il Porcellum non è il male assoluto, peggio c’è solo il proporzionale puro. Ma è molto meglio il Mattarellum: almeno vedi in faccia i parlamentari, perché con queste liste elettorali possono mettere dentro di tutto” (Renzi, 19-11-2013). Ora, con le liste dell’Italicum, Renzi potrà mettere dentro di tutto. “Il Mattarellum è senz’altro migliore del Porcellum: se, per garantire la governabilità, si aggiungesse un premio di maggioranza del 25%, sarebbe perfetto. Ma la soluzione migliore sarebbe la legge elettorale per l’elezione dei sindaci” (Renzi, 22-11-2013). Sia il Mattarellum sia la legge dei sindaci consentono ai cittadini di scegliere: Renzi preferisce l’Italicum, che non lo consente. “Berlusconi e Grillo fanno le larghe intese per conservare il Porcellum” (Renzi, 19-11-2013). PoilelargheinteseconB.lehafatteRenzi per conservare il peggio del Porcellum nell’Italicum. “Nonostante i gufi, la legge elettorale è passata alla Camera ed entro settembre sarà approvata: non ci saranno mai più larghe intese e chi vince governa 5 anni. È una rivoluzione impressionante, chi vince governa. Politica 1 – Disfattismo 0” (Renzi, 12-3-2014). “Italicum entro l’anno” (Renzi, 2-8). Approvato dalla Camera, l’Italicum è uscito dall’agenda parlamentare: insanabili dissensi fra tutti i partiti.
LAVORO. “Il 17 marzo, all’incontro con la Merkel, avrò pronto il piano sul lavoro” (Renzi, 26-2). “Renzi: ora un Jobs Act da 100 miliardi” (l’Unità, 28-2). “Sussidio disoccupazione anche per i precari: 1.000 euro al mese per chi perde il posto. Il piano costerà 8,8 miliardi” (Repubblica, 28-2). “Ecco il Jobs Act targato Renzi: sussidio di disoccupazione anche per i precari. Col Naspi circa 1.000 euro al mese per chi perde il posto” (Repubblica, 1-3). “Il Jobs Act va bene così: tra 10 mesi vedrete i risultati” (Giuliano Poletti, Pd, ministro del Lavoro, Repubblica, 16-3). “Slitta a settembre il Jobs Act” (Corriere, 18-7). Il Jobs Act è un ddl delega spiaggiato in Parlamento. Ora il governo promette di approvarlo entro il 2014. Per i decreti attuativi passerebbe un altro anno.
MAFIA. “Caro Roberto, so che… vi aspettate che la lotta alla criminalità organizzata diventi per davvero la priorità del governo. Questo impegno io lo assumo… Il cuore delle organizzazioni criminali è negli affari… e anche in quel confine sottile, sottilissimo, che esiste tra lecito e illecito con l’appoggio, con il consenso, con la collusione e qualche volta semplicemente col silenzio di chi ha ruoli di responsabilità nella politica, nelle amministrazioni e nell’economia. Sono questi i legami che dobbiamo smascherare e recidere. Faremo un lavoro serio e puntiglioso… per adottare le misure necessarie sul piano legislativo e amministrativo. Con una proposta organica in base al lavoro della commissione istituita a Palazzo Chigi con Cantone e Gratteri per elaborare strumenti e contributi per rendere più incisiva la lotta alla criminalità organizzata… Porterò questi temi anche sui tavoli del semestre Ue. C’è tanto lavoro da fare” (Renzi, lettera aperta a Saviano, Repubblica, 2-3). Niente di fatto, né di annunciato.
MANAGER PUBBLICI. “Abbassando il tetto degli stipendi lordi a quanto guadagna il presidente della Repubblica, circa 250 mila euro l’anno, risparmieremo 500 milioni” (Renzi, 14-3). “Manager di Stato, 500 milioni in meno: tetto a 248 mila euro senza deroghe” (Repubblica, 14-3). “Ecco il ‘tetto’ agli stipendi dei manager pubblici. Da aprile scatta il limite: non oltre 311 mila euro lordi” (l’Unità, 29-3). “Tagli ai manager, mossa del Tesoro. Da aprile scattano i primi risparmi” (Corriere, 25-3). “Da aprile tetto agli stipendi dei manager” (Repubblica, 29-3). “Stretta sui manager pubblici” (Corriere, 29-3). “Stipendi ai manager, subito i tagli” (Corriere, 29-3). “Arriva la stretta sui manager di Stato” (Stampa, 29-3). “Manager, nuova stretta del governo. Stipendi, tetto per tutti i dirigenti: taglio del 25% nelle società quotate” (Repubblica, 30-3). “Il tetto agli stipendi pubblici? Salito di 37 mila euro. Le retribuzioni dei burocrati ancorata alla Cassazione” (Corriere, 6-4). “La sforbiciata sui dirigenti può valere un miliardo l’anno” (Stampa, 8-4). “Gli stipendi dei dirigenti saranno agganciati al Pil. Palazzo Chigi apripista” (Repubblica, 8-4). “Per i superdirigenti il taglio dello stipendio vale fino a 65 mila euro l’anno” (Stampa, 10-4). “Stipendi ridotti a 238 mila euro, ma non per tutti” (Repubblica, 15-4). “Pronto il tetto agli stipendi. I dirigenti divisi in quattro fasce. Riduzioni anche per Bankitalia e Consulta” (Stampa, 18-4). “Dirigenti e manager di Stato, sorpresa di Pasqua amara: nuovo taglio di stipendi. La scure dei 240 mila euro su chi si era salvato dal primo tetto. Ora sacrifici anche in Rai, Ragioneria e vertici Polizia” (Repubblica, 20-4). La norma è passata, ma la platea degli interessati è molto più ristretta del previsto con risparmi di meno di 200 milioni, anziché di 500.
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21.2.14
Matteo Renzi, anatomia di un capo
Massimo Cacciari (l'Espresso)
Il 'rottamatore' ha lottato coi vecchi prìncipi a viso aperto e ha stravinto, spiazzando tutti. Ma una cosa è conquistare, un'altra è rifondare uno Stato in difficoltà. Per farlo serve una vera squadra di governo, non un seguito di fedeli e nominati. E sono necessarie relazioni non subalterne con i cosiddetti poteri 'forti'
Matteo Renzi “figura del futuro”? Difficile prevederlo, ma certo qualcosa di nuovo è successo, qualcosa che attiene alla storia, al carattere, al volto stesso dell’“eroe”. E non importa nulla se questo qualcosa può non piacere affatto (come non piace al sottoscritto) o addirittura dare scandalo. Anche gli scandali è necessario che avvengano.
È certo, anzitutto, che l’irresistibile ascesa di Renzi mai sarebbe potuta avvenire senza lo stupefacente cupio dissolvi messo in scena dall’anno mirabile ’89 in poi dalla cosidetta sinistra italiana e dal gruppo dirigente del Pd nell’ultima fase. Ma si tratta solo di un rex destruens? Alcune qualità dimostrate dal nostro fanno sperare che no. Intanto, al potere ci è andato senza l’aiuto di “armi straniere”; ha lottato coi vecchi prìncipi a viso aperto e ha stravinto. Ne ha sfruttato impietosamente amletismi, lotte intestine, fallimenti. Di contro a un ethos politico soffocato nell’arte del rimando, della mezza misura, del galleggiare, ha messo in campo una spregiudicatezza decisionistica, un gusto per la sfida e l’arrischio, che ha sorpreso e spiazzato tutti (me compreso).
Doti essenziali dell’animale politico: smisurata ambizione, volontà di potere, capacità di afferrare per il ciuffo l’Occasio quando passa, senza riflettere troppo sulle conseguenze: pensare frena, se non arresta – legge ben nota. Fare o non fare, questo il dilemma – essere o non essere è “filosofia”.
Non importa se l’uomo della sacralità delle primarie va al governo more prima repubblica; non importa se una settimana prima dichiarava di non essere interessato né a staffette né a rimpasti; non importa se ha finto primarie per la segreteria di un partito all’unico fine di giungere alla premiership. La maschera fa parte del gioco politico e anche l’inganno qui è elemento dell’“arte”. Avrebbe potuto attendere ancora? Necessario, allora, allearsi a Letta. E rimandare tutto a quando? Mentre la grande occasione passava: governo debolissimo, opposizione groggy nel Pd, Paese che sembra invocare un Capo dalle Alpi al Lilibeo.
Ammirevole soprattutto l’uno-due formidabile inflitto alla minoranza Pd: senza darle neppure il tempo di riflettere sulla propria catastrofe alle primarie, la costringe a defenestrare Letta e farsi votare la fiducia! Rovesciando le stesse palesi aspettative di Napolitano! Sì, qui qualcosa ha rotto tradizioni e costumi del politichese nostrano. I paralleli con personaggi e situazioni passate non reggono. Solo alcuni tratti della retorica avvicinano Renzi a Berlusconi, ma Berlusconi non è mai stato un “politico di professione”; catapultato al governo dallo sciagurato duetto Occhetto-Segni, ha trasformato in partito Mediaset mescolandolo a quarte file di Psi e Dc e “compromettendolo” ora con Lega, ora con ex-Msi.
Al di là delle apparenze Berlusconi è stato sempre un uomo di mediazioni, un prodotto della prima Repubblica nel suo stadio senile. Renzi no: il partito se l’è conquistato dall’interno e non pare ora disposto a fare molti prigionieri. Un po’ come Craxi. La sua linea e il suo stesso carattere esigono che tenti di combinare un partito a sua immagine e somiglianza. D’altra parte quello di prima neppure era nato. Ancor meno vale il parallelo con il D’Alema al governo. Prodi non era del partito di D’Alema, né erano stati i Democratici di Sinistra a farlo cadere. La novitas di un segretario di partito che sfiducia apertamente il governo retto da un proprio rappresentante, senza la benchè minima “condivisione” da parte di quest’ultimo (ma neppure, al momento, una vera reazione) è davvero, credo, qualcosa di inedito nella storia politica europea del dopoguerra. Di un D’Alema Renzi ha forse la stessa sfrenata ambizione, ma lo zavorrano meno letture, meno “anni di apprendistato” in campo politico e diplomatico.
D’Alema appartiene all’epoca de: «Il problema è complesso», «la questione è politica». Renzi a quella del linguaggio diretto, ultra-semplificato, ridotto a immagine,proprio dei nuovi media. Rappresentano epoche diverse e antropologicamente incompatibili. È nato un Capo? Le prime virtù di un innovatore Renzi ha mostrato di averle, e di queste si è parlato finora. Per prendere il potere, oltre naturalmente a molta fortuna e alla debolezza altrui, sono necessari “colpo d’occhio”, rapidità di decisione, semplicità e concretezza delle promesse con cui si mobilita il “popolo sovrano”.
Doti di cui nessun altro politico italiano attualmente sembra disporre. Ma che se esistono da sole portano inesorabilmente alla disfatta chi le possiede. Esse infatti inducono naturalmente all’impazienza, alla superbia, a una bulimica sacra fames di comando – insomma, a precipitare. Una cosa è conquistare, altra è costituire uno stato o rifondarlo. Si tratta di due virtù che dovrebbero sempre congiungersi nell’autentica vocazione politica, ma è assai arduo che ciò avvenga.
Per un Paese dissestato, per un sistema inetto a riformarsi come il nostro, il loro accordo sarebbe quanto mai necessario. Possibile anche? Renzi, liquidando Letta, non ha soltanto promesso, ma garantito agli italiani che lui ne sarà capace. Mossa coraggiosa. Aut-aut che liquida gli eterni e-e della politica italiana. Il “carattere” Renzi, o il suo “dèmone”, saranno all’altezza di questo compito, come lo sono stati nel rottamare la nomenklatura di uno psuedo-partito e un governo di esangue compromesso?
Lo sanno che sarà necessaria all’uopo una vera squadra di governo, e non solo un seguito di fedeli e nominati? Lo sanno che governare oggi, nell’epoca del tramonto del potere statuale, significa relazioni forti, ma non subalterne, con poteri che nulla hanno a che spartire con democrazie, primarie e le loro retoriche? Non ci resta che sperarlo.
La speranza è l’ultimo dei mali che ci hanno riservato gli dèi.
Il 'rottamatore' ha lottato coi vecchi prìncipi a viso aperto e ha stravinto, spiazzando tutti. Ma una cosa è conquistare, un'altra è rifondare uno Stato in difficoltà. Per farlo serve una vera squadra di governo, non un seguito di fedeli e nominati. E sono necessarie relazioni non subalterne con i cosiddetti poteri 'forti'
Matteo Renzi “figura del futuro”? Difficile prevederlo, ma certo qualcosa di nuovo è successo, qualcosa che attiene alla storia, al carattere, al volto stesso dell’“eroe”. E non importa nulla se questo qualcosa può non piacere affatto (come non piace al sottoscritto) o addirittura dare scandalo. Anche gli scandali è necessario che avvengano.
È certo, anzitutto, che l’irresistibile ascesa di Renzi mai sarebbe potuta avvenire senza lo stupefacente cupio dissolvi messo in scena dall’anno mirabile ’89 in poi dalla cosidetta sinistra italiana e dal gruppo dirigente del Pd nell’ultima fase. Ma si tratta solo di un rex destruens? Alcune qualità dimostrate dal nostro fanno sperare che no. Intanto, al potere ci è andato senza l’aiuto di “armi straniere”; ha lottato coi vecchi prìncipi a viso aperto e ha stravinto. Ne ha sfruttato impietosamente amletismi, lotte intestine, fallimenti. Di contro a un ethos politico soffocato nell’arte del rimando, della mezza misura, del galleggiare, ha messo in campo una spregiudicatezza decisionistica, un gusto per la sfida e l’arrischio, che ha sorpreso e spiazzato tutti (me compreso).
Doti essenziali dell’animale politico: smisurata ambizione, volontà di potere, capacità di afferrare per il ciuffo l’Occasio quando passa, senza riflettere troppo sulle conseguenze: pensare frena, se non arresta – legge ben nota. Fare o non fare, questo il dilemma – essere o non essere è “filosofia”.
Non importa se l’uomo della sacralità delle primarie va al governo more prima repubblica; non importa se una settimana prima dichiarava di non essere interessato né a staffette né a rimpasti; non importa se ha finto primarie per la segreteria di un partito all’unico fine di giungere alla premiership. La maschera fa parte del gioco politico e anche l’inganno qui è elemento dell’“arte”. Avrebbe potuto attendere ancora? Necessario, allora, allearsi a Letta. E rimandare tutto a quando? Mentre la grande occasione passava: governo debolissimo, opposizione groggy nel Pd, Paese che sembra invocare un Capo dalle Alpi al Lilibeo.
Ammirevole soprattutto l’uno-due formidabile inflitto alla minoranza Pd: senza darle neppure il tempo di riflettere sulla propria catastrofe alle primarie, la costringe a defenestrare Letta e farsi votare la fiducia! Rovesciando le stesse palesi aspettative di Napolitano! Sì, qui qualcosa ha rotto tradizioni e costumi del politichese nostrano. I paralleli con personaggi e situazioni passate non reggono. Solo alcuni tratti della retorica avvicinano Renzi a Berlusconi, ma Berlusconi non è mai stato un “politico di professione”; catapultato al governo dallo sciagurato duetto Occhetto-Segni, ha trasformato in partito Mediaset mescolandolo a quarte file di Psi e Dc e “compromettendolo” ora con Lega, ora con ex-Msi.
Al di là delle apparenze Berlusconi è stato sempre un uomo di mediazioni, un prodotto della prima Repubblica nel suo stadio senile. Renzi no: il partito se l’è conquistato dall’interno e non pare ora disposto a fare molti prigionieri. Un po’ come Craxi. La sua linea e il suo stesso carattere esigono che tenti di combinare un partito a sua immagine e somiglianza. D’altra parte quello di prima neppure era nato. Ancor meno vale il parallelo con il D’Alema al governo. Prodi non era del partito di D’Alema, né erano stati i Democratici di Sinistra a farlo cadere. La novitas di un segretario di partito che sfiducia apertamente il governo retto da un proprio rappresentante, senza la benchè minima “condivisione” da parte di quest’ultimo (ma neppure, al momento, una vera reazione) è davvero, credo, qualcosa di inedito nella storia politica europea del dopoguerra. Di un D’Alema Renzi ha forse la stessa sfrenata ambizione, ma lo zavorrano meno letture, meno “anni di apprendistato” in campo politico e diplomatico.
D’Alema appartiene all’epoca de: «Il problema è complesso», «la questione è politica». Renzi a quella del linguaggio diretto, ultra-semplificato, ridotto a immagine,proprio dei nuovi media. Rappresentano epoche diverse e antropologicamente incompatibili. È nato un Capo? Le prime virtù di un innovatore Renzi ha mostrato di averle, e di queste si è parlato finora. Per prendere il potere, oltre naturalmente a molta fortuna e alla debolezza altrui, sono necessari “colpo d’occhio”, rapidità di decisione, semplicità e concretezza delle promesse con cui si mobilita il “popolo sovrano”.
Doti di cui nessun altro politico italiano attualmente sembra disporre. Ma che se esistono da sole portano inesorabilmente alla disfatta chi le possiede. Esse infatti inducono naturalmente all’impazienza, alla superbia, a una bulimica sacra fames di comando – insomma, a precipitare. Una cosa è conquistare, altra è costituire uno stato o rifondarlo. Si tratta di due virtù che dovrebbero sempre congiungersi nell’autentica vocazione politica, ma è assai arduo che ciò avvenga.
Per un Paese dissestato, per un sistema inetto a riformarsi come il nostro, il loro accordo sarebbe quanto mai necessario. Possibile anche? Renzi, liquidando Letta, non ha soltanto promesso, ma garantito agli italiani che lui ne sarà capace. Mossa coraggiosa. Aut-aut che liquida gli eterni e-e della politica italiana. Il “carattere” Renzi, o il suo “dèmone”, saranno all’altezza di questo compito, come lo sono stati nel rottamare la nomenklatura di uno psuedo-partito e un governo di esangue compromesso?
Lo sanno che sarà necessaria all’uopo una vera squadra di governo, e non solo un seguito di fedeli e nominati? Lo sanno che governare oggi, nell’epoca del tramonto del potere statuale, significa relazioni forti, ma non subalterne, con poteri che nulla hanno a che spartire con democrazie, primarie e le loro retoriche? Non ci resta che sperarlo.
La speranza è l’ultimo dei mali che ci hanno riservato gli dèi.
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26.4.13
HA DISTRUTTO L’ITALIA, MAI AL GOVERNO CON BERLUSCONI (Enrico Letta)
(tiro mancino del Fatto Quotidiano a Letta. Collage delle sue parole raccolte in uno pseudo-articolo)
Da Il Fatto Quotidiano del 26/04/2013
Occorre un grande patto costituente tra progressisti e moderati che escluda dal governo i populismi di Grillo, Berlusconi e Di Pietro (26-6-12). Il governo si regge su un patto politico chiaro: il Pd si è assunto la responsabilità di stare in una maggioranza con chi ci ha ridotto così, a patto che l’interlocutore non fosse Berlusconi (3-7-12). L’ipotesi di una grande coalizione col Pdl dopo le elezioni è molto lontana. E la lontananza è data dal ritorno in campo di Silvio Berlusconi, che rende questa ipotesi poco credibile” (22-8-12). Quella di una Grande Coalizione col Pdl è una prospettiva completamente affossata dal ritorno di Berlusconi, responsabile della situazione molto negativa nella quale il Paese si è ritrovato” (23-8-12). Nella prossima legislatura non possiamo governare con un patto politico con Berlusconi. Ha distrutto il lavoro di Alfano per rendere il Pdl un normale partito conservatore europeo e l’ha fatto tornare alla logica di Arcore, per noi inaccettabile (3-10-12). La prospettiva di un Berlusconi-5 la vendetta è una idea repellente rispetto alla buona politica (1-12-12). Tra Pd e Monti ci sarà dialogo e competizione leale. Il nostro avversario comune è Berlusconi (23-12-12). Se dovesse esserci necessità di governare con un alleato, non potremmo rivolgerci né a Berlusconi né a Grillo: il ragionamento andrà fatto con coloro con cui condividiamo la scelta europeista e dunque con Monti e le forze di centro (28-12-12). Risponderemo colpo su colpo alle parole vergognose sul presidente Napolitano pronunciate da Silvio Berlusconi (31-12-12). Alle bugie di Berlusconi risponderemo colpo su colpo. Bisognerebbe aprire una commissione parlamentare d’inchiesta su di lui (2-1-13).
Il disastro e la vergogna. Berlusconi, con lo spettacolo, cerca di far dimenticare entrambi al Paese. Lui è il nostro vero avversario. E dobbiamo battere il suo populismo. Confidiamo nella memoria degli italiani che sanno che, dopo tre anni di governo Berlusconi, le famiglie e le imprese si trovavano a pagare i mutui cinque volte tanto rispetto a tedeschi e francesi (12-1-13). Berlusconi non torna, perché i danni che ha fatto al Paese sono tanti e gli italiani non hanno una memoria così fallace (14-1-13). L’Italia è stata distrutta da Berlusconi, che sta cercando ancora una volta di rendere questa campagna elettorale ansiogena ai limiti della guerra civile (15-1-13). C’è stato un periodo in cui andando all’estero a noi italiani ci deridevano per il ‘bunga bunga’ piuttosto che apprezzarci per i tanti cervelli costretti a emigrare (25-1-13). Berlusconi è come Sylvester Stallone o Jean-Claude Van Damme nel film I mercenari, come quei personaggi che ritornano e a 65 anni fanno le cose che facevano quando ne avevano a 25: patetico e bollito (30-1-13).
La proposta di rimborsare l’Imu finanziando l’operazione con la tassazione dei capitali italiani in Svizzera non è credibile: perché la fa Berlusconi, perché è basata su premesse che non tengono conto della verità, perché non si poggia sulla possibilità di realizzarla dal punto di vista della solidità politica. Berlusconi è l’uomo che ha fatto quasi fallire l’Italia e che ora si ripropone, rovesciando la verità e facendo promesse irrealizzabili, contando sul fatto che gli italiani ogni tanto hanno la memoria corta. L’alternativa è tra noi e Berlusconi (4-2-13). I voti a Berlusconi? Era assurdo pensare che non ci fosse chi voleva votare per chi difende l’evasione fiscale, visto che in Italia c’è il 20 per cento di evasione fiscale e gli evasori fiscali votano (8-2-13). Abbiamo chiaro da tempo che l’errore fatto negli anni 90 e quando abbiamo governato è stato di non riuscire a fare una buona legge sul conflitto di interessi e la riforma del sistema radiotelevisivo. E anche se i buoi sono scappati dalla stalla, in questa legislatura bisogna rimediare a tutti i costi: il Pd obbligherà Berlusconi a sciogliere i suoi conflitti di interesse se si vuole ricandidare. Il suo ruolo di tycoon mediatico è emerso in tutta la sua pesantezza anche in questa campagna elettorale.
Sarebbe cambiata la storia del Paese se la legge si fosse fatta prima, perché Berlusconi ha usato in modo sempre scorretto il suo potere (21-2-13). Nel dire no a un governo con Berlusconi non dobbiamo avere alcuna ambiguità, mentre dobbiamo sfidare Grillo senza rincorrerlo (6-3-13). Grande coalizione? Fossimo in Germania e ci fosse la Merkel sarebbe la soluzione perfetta. Purtroppo siamo in Italia e c’è Berlusconi, la vedo complicata” (8-3-13). L’agenda del Pdl ha un solo punto: la difesa di Berlusconi (9-3-13). Non tenti la destra di rovesciare le cose e usare il monito di Napolitano a coperture delle proprie ingiustificabili manifestazioni sulle scalinate del Tribunale di Milano. Pensi il Pdl invece a riflettere sulle argomentazioni del Presidente e a rispettare i principi costituzionali di autonomia dei poteri (12-3-13).
Berlusconi oggi propone un governo della concordia. Ma con quale coraggio e con quale coerenza lo fa, dal momento che nell’unico caso in cui sostenevamo lo stesso governo per fronteggiare la crisi più grave del dopoguerra ha tolto la spina prima del tempo solo per i suoi interessi, perché voleva andare a fare la campagna elettorale? (20-3-13). Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile (8-4-13).
Da Il Fatto Quotidiano del 26/04/2013
Occorre un grande patto costituente tra progressisti e moderati che escluda dal governo i populismi di Grillo, Berlusconi e Di Pietro (26-6-12). Il governo si regge su un patto politico chiaro: il Pd si è assunto la responsabilità di stare in una maggioranza con chi ci ha ridotto così, a patto che l’interlocutore non fosse Berlusconi (3-7-12). L’ipotesi di una grande coalizione col Pdl dopo le elezioni è molto lontana. E la lontananza è data dal ritorno in campo di Silvio Berlusconi, che rende questa ipotesi poco credibile” (22-8-12). Quella di una Grande Coalizione col Pdl è una prospettiva completamente affossata dal ritorno di Berlusconi, responsabile della situazione molto negativa nella quale il Paese si è ritrovato” (23-8-12). Nella prossima legislatura non possiamo governare con un patto politico con Berlusconi. Ha distrutto il lavoro di Alfano per rendere il Pdl un normale partito conservatore europeo e l’ha fatto tornare alla logica di Arcore, per noi inaccettabile (3-10-12). La prospettiva di un Berlusconi-5 la vendetta è una idea repellente rispetto alla buona politica (1-12-12). Tra Pd e Monti ci sarà dialogo e competizione leale. Il nostro avversario comune è Berlusconi (23-12-12). Se dovesse esserci necessità di governare con un alleato, non potremmo rivolgerci né a Berlusconi né a Grillo: il ragionamento andrà fatto con coloro con cui condividiamo la scelta europeista e dunque con Monti e le forze di centro (28-12-12). Risponderemo colpo su colpo alle parole vergognose sul presidente Napolitano pronunciate da Silvio Berlusconi (31-12-12). Alle bugie di Berlusconi risponderemo colpo su colpo. Bisognerebbe aprire una commissione parlamentare d’inchiesta su di lui (2-1-13).
Il disastro e la vergogna. Berlusconi, con lo spettacolo, cerca di far dimenticare entrambi al Paese. Lui è il nostro vero avversario. E dobbiamo battere il suo populismo. Confidiamo nella memoria degli italiani che sanno che, dopo tre anni di governo Berlusconi, le famiglie e le imprese si trovavano a pagare i mutui cinque volte tanto rispetto a tedeschi e francesi (12-1-13). Berlusconi non torna, perché i danni che ha fatto al Paese sono tanti e gli italiani non hanno una memoria così fallace (14-1-13). L’Italia è stata distrutta da Berlusconi, che sta cercando ancora una volta di rendere questa campagna elettorale ansiogena ai limiti della guerra civile (15-1-13). C’è stato un periodo in cui andando all’estero a noi italiani ci deridevano per il ‘bunga bunga’ piuttosto che apprezzarci per i tanti cervelli costretti a emigrare (25-1-13). Berlusconi è come Sylvester Stallone o Jean-Claude Van Damme nel film I mercenari, come quei personaggi che ritornano e a 65 anni fanno le cose che facevano quando ne avevano a 25: patetico e bollito (30-1-13).
La proposta di rimborsare l’Imu finanziando l’operazione con la tassazione dei capitali italiani in Svizzera non è credibile: perché la fa Berlusconi, perché è basata su premesse che non tengono conto della verità, perché non si poggia sulla possibilità di realizzarla dal punto di vista della solidità politica. Berlusconi è l’uomo che ha fatto quasi fallire l’Italia e che ora si ripropone, rovesciando la verità e facendo promesse irrealizzabili, contando sul fatto che gli italiani ogni tanto hanno la memoria corta. L’alternativa è tra noi e Berlusconi (4-2-13). I voti a Berlusconi? Era assurdo pensare che non ci fosse chi voleva votare per chi difende l’evasione fiscale, visto che in Italia c’è il 20 per cento di evasione fiscale e gli evasori fiscali votano (8-2-13). Abbiamo chiaro da tempo che l’errore fatto negli anni 90 e quando abbiamo governato è stato di non riuscire a fare una buona legge sul conflitto di interessi e la riforma del sistema radiotelevisivo. E anche se i buoi sono scappati dalla stalla, in questa legislatura bisogna rimediare a tutti i costi: il Pd obbligherà Berlusconi a sciogliere i suoi conflitti di interesse se si vuole ricandidare. Il suo ruolo di tycoon mediatico è emerso in tutta la sua pesantezza anche in questa campagna elettorale.
Sarebbe cambiata la storia del Paese se la legge si fosse fatta prima, perché Berlusconi ha usato in modo sempre scorretto il suo potere (21-2-13). Nel dire no a un governo con Berlusconi non dobbiamo avere alcuna ambiguità, mentre dobbiamo sfidare Grillo senza rincorrerlo (6-3-13). Grande coalizione? Fossimo in Germania e ci fosse la Merkel sarebbe la soluzione perfetta. Purtroppo siamo in Italia e c’è Berlusconi, la vedo complicata” (8-3-13). L’agenda del Pdl ha un solo punto: la difesa di Berlusconi (9-3-13). Non tenti la destra di rovesciare le cose e usare il monito di Napolitano a coperture delle proprie ingiustificabili manifestazioni sulle scalinate del Tribunale di Milano. Pensi il Pdl invece a riflettere sulle argomentazioni del Presidente e a rispettare i principi costituzionali di autonomia dei poteri (12-3-13).
Berlusconi oggi propone un governo della concordia. Ma con quale coraggio e con quale coerenza lo fa, dal momento che nell’unico caso in cui sostenevamo lo stesso governo per fronteggiare la crisi più grave del dopoguerra ha tolto la spina prima del tempo solo per i suoi interessi, perché voleva andare a fare la campagna elettorale? (20-3-13). Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile (8-4-13).
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3.4.13
L’eterno ritorno di Berlusconi. E chi lo rende possibile
L’attacco a Bersani perché non si presentasse alle Camere, il “piano B” con Berlusconi tornato protagonista, secondo il copione del Quirinale. Tra una sinistra subalterna e la storica mancanza, in Italia, di una destra almeno formalmente democratica, scivoliamo lungo una deriva mortale per la nostra fragile democrazia
Rossana Rossanda (sbilanciamoci.info)
Né Hollande né Bersani sono due rivoluzionari, ma non ricordo di aver assistito a una guerra più violenta di quella in atto contro di loro. Proprio guerra di classe, ha ragione Gallino: la destra proprietaria all’attacco contro chiunque non sia un liberista puro. In Francia, la sconfitta di Sarkozy è stata seguita da un’offensiva padronale durissima, chiusure, licenziamenti e delocalizzazioni che hanno aumentato di colpo la già forte disoccupazione dovuta alla crisi – oltre tre milioni di disoccupati, senza contare altri due milioni di persone che sono costrette a lavoretti senza continuità né diritti. La gente comune, il cui potere d’acquisto è decimato mese per mese , rimprovera sempre più aspramente al governo socialista di non aver tenuto le promesse. Insomma è aperto il fuoco da destra e da sinistra.
In Italia, Pier Luigi Bersani è stato oggetto di una distruzione sistematica, dal Quirinale e dalla stampa, per aver osato proporre di far verificare alle camere una proposta di programma certo modesta ma nella non infondata speranza di ottenere qualche voto dall’esercito dei deputati grillini, che sono un’armata Brancaleone senza programma, nei quali si potevano trovare una dozzina di voti come sono stati trovati per la presidenza del Senato. Il Quirinale non glielo ha permesso, come se fossimo già una repubblica presidenziale. Bersani non ha accettato, ma neppure si è ribellato alla volontà del capo dello stato. Così sta avanzando il cosiddetto “piano B”, che punta alla reintroduzione al governo di un Berlusconi più sfacciato che mai: “voglio questo, voglio quello” inossidabile, persuaso di poter proporre per il governo una maggioranza di cui lui sarebbe parte fondamentale e al Quirinale un suo uomo (“Letta o, perché no, io stesso”).
Non saprei quanto sarebbe durato un governo come quello proposto da Bersani, anche se gli fosse stato permesso di strapparlo alle Camere, ma quel che è sicuro è che il senso del divieto presidenziale è riaprire la strada a una unità nazionale di cui Berlusconi deve essere una parte determinante. In qualche modo, il fatto che Napolitano l’abbia ricevuto al Quirinale dopo che il Cavaliere aveva vomitato le sue insolenze due giorni prima in Piazza del Popolo l’ha, politicamente parlando, legittimato. E in tutta l’Italia sembra aver tirato un respiro di sollievo, basta con le interdizioni, chi propone e decide è il voto popolare – tesi che nel Novecento ha dato il potere alle dittature fasciste. Perché l’Italia non ha voluto assolutamente Bersani? Non certo, ripeto, perché avesse un programma sovversivo né estremista, e neppure antieuropeo; ma assai vagamente riformista, perché aveva dei rapporti con Vendola e la Fiom, perché aveva permesso che nel suo partito si annidassero pericolosi soggetti come Orfini e Fassina. Questo andava impedito.
È venuto il momento di smettere di domandarsi com’è che Berlusconi rispunta sempre sulla scena politica. Bisogna riconoscere che quando sembra del tutto abbattuto, c’è sempre una mano di destra o di sinistra che lo risolleva dal pantano in cui si trova. Bisogna chiedersi invece perché per la quinta volta questo scenario si ripete e se non ci sia nel paese un guasto assai profondo che ne consente la disposizione. Pare evidente la responsabilità di una sinistra – specificamente il Pci, che era stato dopo la guerra il più rilevante e interessante di tutto l’occidente – nel non aver esaminato le ragioni del crollo dell’89, quando i figli di Berlinguer si sono convertiti di colpo a Fukuyama (“la storia è finita”) con la stessa impermeabilità che avevano opposto a chi, fino a un mese prima, aveva avanzato qualche critica al sistema sovietico.
Ma, una volta ammessa questa debolezza della sinistra e dei comunisti italiani in particolare, è impossibile non chiedersi perché l’Italia sembri incapace, ormai storicamente, di darsi una destra almeno formalmente democratica, non sull’orlo dell’incriminazione in nome del codice penale. È questa una maledizione che ci perseguita fin dall’unità del paese e non sembrano certo i dieci “saggi” proposti dal Colle in grado di affrontarne le ragioni e estirparne le radici. Destra e sinistra sembrano ammalate nel loro stesso fondamento culturale e morale; la ragione di fondo per cui ci troviamo nella bruttissima situazione odierna sta, evidentemente, qui, finché questa diagnosi non viene seriamente fatta, non ne usciremo, neppure quando non mancano, come oggi, ragionevoli proposte per bloccare una deriva che appare mortale per la nostra giovane e fragile democrazia.
Gli articoli più recenti di Rossana Rossanda su sbilanciamoci.info
• Promemoria L’io e la società, senza la politica (21 dicembre 2012)
• Promemoria L'anno perduto tra Berlusconi e Monti • (15 dicembre 2012)
• Promemoria Dopo le primarie, reinventare la politica • (30 novembre 2012)
• Promemoria Un anno dopo, Monti e a capo • (23 novembre 2012)
Rossana Rossanda (sbilanciamoci.info)
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In Italia, Pier Luigi Bersani è stato oggetto di una distruzione sistematica, dal Quirinale e dalla stampa, per aver osato proporre di far verificare alle camere una proposta di programma certo modesta ma nella non infondata speranza di ottenere qualche voto dall’esercito dei deputati grillini, che sono un’armata Brancaleone senza programma, nei quali si potevano trovare una dozzina di voti come sono stati trovati per la presidenza del Senato. Il Quirinale non glielo ha permesso, come se fossimo già una repubblica presidenziale. Bersani non ha accettato, ma neppure si è ribellato alla volontà del capo dello stato. Così sta avanzando il cosiddetto “piano B”, che punta alla reintroduzione al governo di un Berlusconi più sfacciato che mai: “voglio questo, voglio quello” inossidabile, persuaso di poter proporre per il governo una maggioranza di cui lui sarebbe parte fondamentale e al Quirinale un suo uomo (“Letta o, perché no, io stesso”).
Non saprei quanto sarebbe durato un governo come quello proposto da Bersani, anche se gli fosse stato permesso di strapparlo alle Camere, ma quel che è sicuro è che il senso del divieto presidenziale è riaprire la strada a una unità nazionale di cui Berlusconi deve essere una parte determinante. In qualche modo, il fatto che Napolitano l’abbia ricevuto al Quirinale dopo che il Cavaliere aveva vomitato le sue insolenze due giorni prima in Piazza del Popolo l’ha, politicamente parlando, legittimato. E in tutta l’Italia sembra aver tirato un respiro di sollievo, basta con le interdizioni, chi propone e decide è il voto popolare – tesi che nel Novecento ha dato il potere alle dittature fasciste. Perché l’Italia non ha voluto assolutamente Bersani? Non certo, ripeto, perché avesse un programma sovversivo né estremista, e neppure antieuropeo; ma assai vagamente riformista, perché aveva dei rapporti con Vendola e la Fiom, perché aveva permesso che nel suo partito si annidassero pericolosi soggetti come Orfini e Fassina. Questo andava impedito.
È venuto il momento di smettere di domandarsi com’è che Berlusconi rispunta sempre sulla scena politica. Bisogna riconoscere che quando sembra del tutto abbattuto, c’è sempre una mano di destra o di sinistra che lo risolleva dal pantano in cui si trova. Bisogna chiedersi invece perché per la quinta volta questo scenario si ripete e se non ci sia nel paese un guasto assai profondo che ne consente la disposizione. Pare evidente la responsabilità di una sinistra – specificamente il Pci, che era stato dopo la guerra il più rilevante e interessante di tutto l’occidente – nel non aver esaminato le ragioni del crollo dell’89, quando i figli di Berlinguer si sono convertiti di colpo a Fukuyama (“la storia è finita”) con la stessa impermeabilità che avevano opposto a chi, fino a un mese prima, aveva avanzato qualche critica al sistema sovietico.
Ma, una volta ammessa questa debolezza della sinistra e dei comunisti italiani in particolare, è impossibile non chiedersi perché l’Italia sembri incapace, ormai storicamente, di darsi una destra almeno formalmente democratica, non sull’orlo dell’incriminazione in nome del codice penale. È questa una maledizione che ci perseguita fin dall’unità del paese e non sembrano certo i dieci “saggi” proposti dal Colle in grado di affrontarne le ragioni e estirparne le radici. Destra e sinistra sembrano ammalate nel loro stesso fondamento culturale e morale; la ragione di fondo per cui ci troviamo nella bruttissima situazione odierna sta, evidentemente, qui, finché questa diagnosi non viene seriamente fatta, non ne usciremo, neppure quando non mancano, come oggi, ragionevoli proposte per bloccare una deriva che appare mortale per la nostra giovane e fragile democrazia.
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25.3.13
Ciò che il centro non ha capito (e replica di Monti)
Ernesto Galli della Loggia (corriere.it)
Il fallimento del Centro registrato alle recenti elezioni - e dunque, per logica conseguenza, il fallimento del personale di governo alla guida del Paese per oltre un anno - dice molte cose sulle caratteristiche delle élite italiane. Proprio perché per la sua parte più significativa è da queste élite che proveniva un tale personale di governo.
L'aspetto che più colpisce è la scarsa conoscenza da esso dimostrata dei meccanismi della politica e quindi la sua scarsa capacità di leadership . Non vorrei apparire ingeneroso verso Mario Monti e i suoi ministri, impegnatisi in un compito certo non facile. Sta di fatto però che per oltre un anno tutti hanno potuto vedere come essi non siano riusciti in alcun modo ad accompagnare all'adozione di provvedimenti tecnici indispensabili, tecnicamente obbligati, l'idea che tali provvedimenti dovessero poi anche essere «venduti» politicamente ai cittadini (e perciò, ad esempio, comprendere forti indicazioni di equità sociale). Invece la democrazia - cioè il regime del suffragio universale e dell'«uomo della strada» - è precisamente questo: e lo è tanto più quando i tempi sono difficili e ai cittadini si chiedono sacrifici non indifferenti.
Allora più che mai coloro che governano hanno l'obbligo non già solamente di spiegare, di enumerare cifre, vincoli, e rimedi: tutte cose sacrosante, intendiamoci, ma che tuttavia devono essere accompagnate da altro. Dalla capacità di parlare ai cuori più che alle menti, di invogliare al riscatto, di muovere alla tenacia, all'orgoglio, alla speranza. Tutte cose che appartengono alla politica, e di cui i veri capi politici devono essere capaci. Per le quali però bisogna essere convinti della propria autorevolezza, avere una dimestichezza con il comando sociale e con l'esposizione pubblica, essere animati da un pathos di condivisione nazionale, da un capacità di comunicare e di mettersi personalmente in gioco, che le classi dirigenti italiane, chiuse nel loro autoreferenziale esclusivismo professionale e proprietario, evidentemente possiedono in scarsissima misura. E tutte cose, aggiungo, alle quali il lungo e feroce dominio degli apparati dei partiti sulla cosa pubblica le ha da tempo disabituate. Staccandole nel profondo dalla politica.
Lo si è visto al momento di organizzarsi in vista delle elezioni. Il Centro ha mostrato di aver capito poco o nulla dell'ansia di grande cambiamento che agitava l'Italia. A un Paese percorso dalle performance di Grillo, ha pensato di potersi presentare da un lato con figure della più esausta nomenclatura partitica (Udc, Fli), dall'altro con il pallido volto di un notabilato catto-confindustriale insaporito da qualche prezzemolino sportivo-accademico. In complesso la raffigurazione di una compiaciuta oligarchia italiana all'insegna del «lei non sa chi sono io e quanto sono importante». Nessuno invece che fosse capace di un parlare vivo e autentico, di una proposta suggestiva, che desse voce a una qualche novità culturale, che incarnasse una figura sociale inedita.
Un'oligarchia, quella del Centro, che ha dato la misura della sua mancanza di sintonia rispetto alla condizione politica reale del Paese quando ha deciso, segnando così la propria sconfitta, di contrapporsi frontalmente e sprezzantemente all'elettorato che fino ad allora era stato della Destra. Come si è visto allorché Monti si è rifiutato di prestare il benché minimo ascolto all'invito di essere il «federatore dei moderati» rivoltogli da Berlusconi: nonostante fosse ovvio che l'elettorato della Destra costituiva l'unico elettorato dove il Centro avrebbe potuto ottenere il consenso di cui andava in cerca.
Perché questo errore? Forse per l'influenza dell'onorevole Casini e del cattolicesimo politico più sprovveduto, mai rassegnatosi al bipolarismo e invece sempre vagheggiante un'illusoria collocazione al di là della Destra e della Sinistra? No, non credo per questo; anche se certamente tutto questo ha contato. Sono invece convinto che nel paralizzare qualunque interlocuzione con il popolo della Destra da parte di Monti e dei suoi, nel far loro escludere qualunque approccio meno che ostile in quella direzione, ha contato molto di più quella sorta di generico interdetto sociale che da sempre la Sinistra si mostra capace di esercitare nei confronti della Destra stessa: in modo specialissimo da quando a destra c'è Berlusconi.
È l'interdetto che si nutre dell'idea che la Destra costituisca la parte impresentabile del Paese, il lato negativo della sua storia. L'Italia imbrogliona, priva di senso civico, che evade le tasse, che non fa la fila e urla al telefonino; l'Italia incolta dei cinepanettoni, che non sa le lingue e non è iscritta al Fai, che non gliene importa nulla dell' Economist e non è di casa né alla Biennale né alla Columbia. E che di conseguenza non può che essere naturalmente clericale, conformista, sessista, solo e sempre reazionaria. In una parola quell'Italia che non è possibile ricevere in società e con la quale non conviene avere alcun rapporto se si vuole essere annoverati tra le persone per bene.
La borghesia che conta, il grande notabilato di ogni genere, l'alto clero in carriera, insomma l' élite italiana, ha profondamente introiettato questo stereotipo (che come tutti gli stereotipi ha naturalmente anche qualcosa di vero). Uno stereotipo tanto più potente perché in sostanza pre-politico, attinente al bon ton civil-culturale. Con la Destra dunque l' élite italiana non vuole avere nulla a che fare: per paura di contaminarsi ma soprattutto per paura di entrare nel mirino dell'interdizione della Sinistra. Cioè di farsi la fama di nemica del progresso, di non essere più invitata nei salotti televisivi de La7, a Cernobbio o al Ninfeo di Valle Giulia; di diventare «impresentabile» (oltre che, assai più prosaicamente, per paura degli scheletri negli armadi, che non le mancano...).
Il Centro - così affollato di avveduta «gente per bene» - è rimasto vittima di questo interdetto, del timore di farsi etichettare di destra dalla Sinistra (e magari per giunta dal Club Europeo). In questo modo esso ha mantenuto sì la propria rispettabilità, ma al prezzo non proprio insignificante di diventare un attore politico di terz'ordine.
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Replica
Monti: «Io, la sfida del Centro e la vera leadership senza demagogie»
Caro direttore, ho letto con il consueto interesse, nel Corriere di ieri, l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia («Ciò che il Centro non ha capito»). Concordo con un punto importante: sarebbe stato un errore «contrapporsi frontalmente e sprezzantemente all'elettorato che fino ad allora era stato della Destra». Dissento invece, con grande rispetto verso l'autore, da tutte le altre asserzioni contenute nell'articolo.
Esse mi fanno ritenere che l'autore non abbia colto le motivazioni del progetto politico di Scelta civica, né i vincoli entro i quali questa atipica esperienza politica si è collocata.
Prima c'è stato, per il governo nato nel novembre 2011, come Galli della Loggia riconosce, il duro vincolo imposto dalle circostanze: salvare l'Italia dalla crisi finanziaria. L'autore ci rimprovera, forse giustamente, di non avere avuto «la capacità di parlare ai cuori più che alle menti». Quella capacità l'avevano, e l'hanno molto esercitata, i precedenti governi di Centro-sinistra e di Centro-destra, che però per 15 anni, sempre pensando alle prossime elezioni, non avevano fatto né le riforme necessarie per la crescita e l'occupazione, né quelle necessarie per una finanza pubblica sostenibile. Poi ci siamo dati noi un vincolo, proponendo agli elettori la prosecuzione di un percorso, capace certo di far fruttare i molti sacrifici in una crescita a medio termine, ma fondato sul realismo e sulla responsabilità, non sulle illusioni.
Parrà incomprensibile a un politologo che ci sia chi governa per realizzare non il consenso ma ciò che ritiene essere, in un dato momento, l'obiettivo vitale per la sopravvivenza del Paese e per la sua sovranità, senza cederla a una troika di occupazione (quella sì) tecnocratica. Ma non crede che l'avere spiegato ai cittadini che l'Italia ce l'avrebbe fatta da sola, senza chinare il capo e chiedere prestiti all'Europa o al Fondo monetario internazionale - come la Grecia, il Portogallo, la Spagna - abbia «invogliato al riscatto, mosso alla tenacia, all'orgoglio»? Perché in Italia, a differenza che in quei Paesi, i durissimi sacrifici non hanno portato alla rivolta sociale o di piazza?
Parrà ancora più incomprensibile a un politologo che ci sia chi proponga alle elezioni un progetto che non concede nulla al populismo e alla demagogia, pur in un «Paese percorso dalle performance di Grillo» e di un redivivo, formidabile Berlusconi. E che insiste su riforme, come quelle sul mercato del lavoro, indigeste alla Sinistra ma essenziali, con altre, per dare lavoro e speranza ai giovani. Così come propone di proseguire le azioni contro l'evasione fiscale e la corruzione che hanno trovato ostacoli a Destra durante il governo che sta per chiudersi.
Ma questa Scelta civica - penserà il politologo - ha fatto proprio di tutto per perdere le elezioni! Come se non bastasse, è stata così ingenua da rivendicare i «meriti» del governo uscente, che ha dovuto prendere i provvedimenti più impopolari della storia repubblicana, invece di prenderne le distanze come hanno fatto le altre forze che avevano approvato quei provvedimenti, platealmente il Pdl, in modo meno chiassoso il Pd.
Chi governa così, chi si presenta alle elezioni così, secondo Galli della Loggia denota «scarsa capacità di leadership». Non tocca certo a chi viene giudicato di giudicare il giudice. Ma sarebbe interessante capire meglio che cosa debba intendersi per leadership. È migliore leader chi cerca, magari facendo molti errori perché è un politico inesperto, di guidare il Paese verso quello che considera l'interesse generale e cerca il consenso degli elettori su ciò che è poco gradevole ma utile a più lungo termine; o chi cerca, magari non facendo nessun errore perché è il più abile dei politici, di assecondare gli elettori proponendo proprio ciò che essi vogliono vedersi proporre perché è più gradevole anche se dannoso a più lungo termine? È meglio, per un Paese, avere dei leader non perfetti o dei perfetti follower? Ai politologi l'ardua sentenza.
Forse, il professor Galli della Loggia ha in mente il secondo scenario, quando emette le sue sentenze liquidatorie: «il fallimento del Centro», «il fallimento del personale di governo alla guida del Paese per oltre un anno», il Centro è diventato «un attore politico di terz'ordine». Siano consentite due osservazioni.
Centro. Si direbbe, con l'uso di questo termine come sinonimo di Scelta civica, che l'autore non abbia prestato nessuna attenzione allo sforzo fatto da Scelta civica per spiegare la propria identità. Non si tratta di qualcosa di intermedio tra la Sinistra e la Destra lungo l'asse, a nostro giudizio screditato, di un inconcludente bipolarismo italiano, che alla fine ha avuto bisogno di un governo tecnico per fare alcune riforme che sapeva necessarie, senza mai trovare la forza politica per farle. Si tratta di un impegno nuovo, per unire volontà riformatrici ed europeiste, prima disperse nei due poli contrapposti.
Fallimento. Non ho mai parlato di successo di Scelta civica.
Trovo però curioso che si parli di fallimento per un'entità politica nuova, costruita nella scia di un governo che non aveva fatto proprio nulla per non essere impopolare, portata avanti dall'impegno generoso di molti ma certo senza l'esperienza e la professionalità dei partiti tradizionali o l'articolazione del M5S; e che tuttavia in cinquanta giorni è riuscita a raccogliere tre milioni di voti laddove il Pd e il Pdl hanno perso molti milioni di voti. Se non vi fossero stati quei voti a Scelta civica, provenuti in particolare dalla Destra, la coalizione Pdl-Lega sarebbe ora in grado di formare il governo e, dal 15 aprile, di eleggere il presidente della Repubblica.
Concludo con il punto, importante, sul quale il mio pensiero coincide con quello di Galli della Loggia. Sarebbe stato un errore «contrapporsi frontalmente e sprezzantemente all'elettorato che fino ad allora era stato della Destra». Ha ragione l'autore quando, pur con cattiveria eccessiva, scrive «Uno stereotipo tanto più potente perché in sostanza pre-politico, attinente al bon ton civil-culturale. Con la Destra dunque l'élite italiana non vuole avere nulla a che fare: per paura di contaminarsi ma soprattutto per paura di entrare nel mirino dell'interdizione della Sinistra». Per parte mia, forse perché ho idee mie ben radicate, non ho mai condiviso la paura di contaminarmi con la Destra. Sono orgoglioso di aver fatto cooperare per il bene del Paese, nella «strana» maggioranza, Bersani e Berlusconi (oltre a Casini). Né temo l'interdizione della Sinistra, che pure ho sperimentato, in alcuni suoi alti esponenti politici e culturali detentori della moralità, per il solo fatto di avere promosso un movimento politico.
Ma Scelta civica, caro professor Galli della Loggia, non ha compiuto quello che lei e io consideriamo un errore: non si è contrapposta agli elettori della Destra. Anzi, ne ha sollecitato il voto. E sono sorpreso che tanti abbiano scelto Scelta civica e non il Pdl, che pure recava nella scheda il profumo dei soldi, il rimborso dell'Imu.
Quello che non ho fatto, qui lei ha ragione, è accettare l'invito di Berlusconi ad essere il «federatore dei moderati». Per questo invito, che mi ha fatto piacere, ho ringraziato Berlusconi. Ma non l'ho accettato non per sprezzo degli elettori di Destra, ma per due diverse ragioni. In primo luogo, mi sembrava più importante unire i riformatori che federare i moderati. In secondo luogo, avrei forse potuto federare i moderati ma solo se Berlusconi si fosse davvero ritirato dal progetto che cortesemente mi offriva. Non avrei voluto trovarmi nella situazione di Alfano.
Presidente del Consiglio
Mario Monti
Il fallimento del Centro registrato alle recenti elezioni - e dunque, per logica conseguenza, il fallimento del personale di governo alla guida del Paese per oltre un anno - dice molte cose sulle caratteristiche delle élite italiane. Proprio perché per la sua parte più significativa è da queste élite che proveniva un tale personale di governo.
L'aspetto che più colpisce è la scarsa conoscenza da esso dimostrata dei meccanismi della politica e quindi la sua scarsa capacità di leadership . Non vorrei apparire ingeneroso verso Mario Monti e i suoi ministri, impegnatisi in un compito certo non facile. Sta di fatto però che per oltre un anno tutti hanno potuto vedere come essi non siano riusciti in alcun modo ad accompagnare all'adozione di provvedimenti tecnici indispensabili, tecnicamente obbligati, l'idea che tali provvedimenti dovessero poi anche essere «venduti» politicamente ai cittadini (e perciò, ad esempio, comprendere forti indicazioni di equità sociale). Invece la democrazia - cioè il regime del suffragio universale e dell'«uomo della strada» - è precisamente questo: e lo è tanto più quando i tempi sono difficili e ai cittadini si chiedono sacrifici non indifferenti.
Allora più che mai coloro che governano hanno l'obbligo non già solamente di spiegare, di enumerare cifre, vincoli, e rimedi: tutte cose sacrosante, intendiamoci, ma che tuttavia devono essere accompagnate da altro. Dalla capacità di parlare ai cuori più che alle menti, di invogliare al riscatto, di muovere alla tenacia, all'orgoglio, alla speranza. Tutte cose che appartengono alla politica, e di cui i veri capi politici devono essere capaci. Per le quali però bisogna essere convinti della propria autorevolezza, avere una dimestichezza con il comando sociale e con l'esposizione pubblica, essere animati da un pathos di condivisione nazionale, da un capacità di comunicare e di mettersi personalmente in gioco, che le classi dirigenti italiane, chiuse nel loro autoreferenziale esclusivismo professionale e proprietario, evidentemente possiedono in scarsissima misura. E tutte cose, aggiungo, alle quali il lungo e feroce dominio degli apparati dei partiti sulla cosa pubblica le ha da tempo disabituate. Staccandole nel profondo dalla politica.
Lo si è visto al momento di organizzarsi in vista delle elezioni. Il Centro ha mostrato di aver capito poco o nulla dell'ansia di grande cambiamento che agitava l'Italia. A un Paese percorso dalle performance di Grillo, ha pensato di potersi presentare da un lato con figure della più esausta nomenclatura partitica (Udc, Fli), dall'altro con il pallido volto di un notabilato catto-confindustriale insaporito da qualche prezzemolino sportivo-accademico. In complesso la raffigurazione di una compiaciuta oligarchia italiana all'insegna del «lei non sa chi sono io e quanto sono importante». Nessuno invece che fosse capace di un parlare vivo e autentico, di una proposta suggestiva, che desse voce a una qualche novità culturale, che incarnasse una figura sociale inedita.
Un'oligarchia, quella del Centro, che ha dato la misura della sua mancanza di sintonia rispetto alla condizione politica reale del Paese quando ha deciso, segnando così la propria sconfitta, di contrapporsi frontalmente e sprezzantemente all'elettorato che fino ad allora era stato della Destra. Come si è visto allorché Monti si è rifiutato di prestare il benché minimo ascolto all'invito di essere il «federatore dei moderati» rivoltogli da Berlusconi: nonostante fosse ovvio che l'elettorato della Destra costituiva l'unico elettorato dove il Centro avrebbe potuto ottenere il consenso di cui andava in cerca.
Perché questo errore? Forse per l'influenza dell'onorevole Casini e del cattolicesimo politico più sprovveduto, mai rassegnatosi al bipolarismo e invece sempre vagheggiante un'illusoria collocazione al di là della Destra e della Sinistra? No, non credo per questo; anche se certamente tutto questo ha contato. Sono invece convinto che nel paralizzare qualunque interlocuzione con il popolo della Destra da parte di Monti e dei suoi, nel far loro escludere qualunque approccio meno che ostile in quella direzione, ha contato molto di più quella sorta di generico interdetto sociale che da sempre la Sinistra si mostra capace di esercitare nei confronti della Destra stessa: in modo specialissimo da quando a destra c'è Berlusconi.
È l'interdetto che si nutre dell'idea che la Destra costituisca la parte impresentabile del Paese, il lato negativo della sua storia. L'Italia imbrogliona, priva di senso civico, che evade le tasse, che non fa la fila e urla al telefonino; l'Italia incolta dei cinepanettoni, che non sa le lingue e non è iscritta al Fai, che non gliene importa nulla dell' Economist e non è di casa né alla Biennale né alla Columbia. E che di conseguenza non può che essere naturalmente clericale, conformista, sessista, solo e sempre reazionaria. In una parola quell'Italia che non è possibile ricevere in società e con la quale non conviene avere alcun rapporto se si vuole essere annoverati tra le persone per bene.
La borghesia che conta, il grande notabilato di ogni genere, l'alto clero in carriera, insomma l' élite italiana, ha profondamente introiettato questo stereotipo (che come tutti gli stereotipi ha naturalmente anche qualcosa di vero). Uno stereotipo tanto più potente perché in sostanza pre-politico, attinente al bon ton civil-culturale. Con la Destra dunque l' élite italiana non vuole avere nulla a che fare: per paura di contaminarsi ma soprattutto per paura di entrare nel mirino dell'interdizione della Sinistra. Cioè di farsi la fama di nemica del progresso, di non essere più invitata nei salotti televisivi de La7, a Cernobbio o al Ninfeo di Valle Giulia; di diventare «impresentabile» (oltre che, assai più prosaicamente, per paura degli scheletri negli armadi, che non le mancano...).
Il Centro - così affollato di avveduta «gente per bene» - è rimasto vittima di questo interdetto, del timore di farsi etichettare di destra dalla Sinistra (e magari per giunta dal Club Europeo). In questo modo esso ha mantenuto sì la propria rispettabilità, ma al prezzo non proprio insignificante di diventare un attore politico di terz'ordine.
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Replica
Monti: «Io, la sfida del Centro e la vera leadership senza demagogie»
Caro direttore, ho letto con il consueto interesse, nel Corriere di ieri, l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia («Ciò che il Centro non ha capito»). Concordo con un punto importante: sarebbe stato un errore «contrapporsi frontalmente e sprezzantemente all'elettorato che fino ad allora era stato della Destra». Dissento invece, con grande rispetto verso l'autore, da tutte le altre asserzioni contenute nell'articolo.
Esse mi fanno ritenere che l'autore non abbia colto le motivazioni del progetto politico di Scelta civica, né i vincoli entro i quali questa atipica esperienza politica si è collocata.
Prima c'è stato, per il governo nato nel novembre 2011, come Galli della Loggia riconosce, il duro vincolo imposto dalle circostanze: salvare l'Italia dalla crisi finanziaria. L'autore ci rimprovera, forse giustamente, di non avere avuto «la capacità di parlare ai cuori più che alle menti». Quella capacità l'avevano, e l'hanno molto esercitata, i precedenti governi di Centro-sinistra e di Centro-destra, che però per 15 anni, sempre pensando alle prossime elezioni, non avevano fatto né le riforme necessarie per la crescita e l'occupazione, né quelle necessarie per una finanza pubblica sostenibile. Poi ci siamo dati noi un vincolo, proponendo agli elettori la prosecuzione di un percorso, capace certo di far fruttare i molti sacrifici in una crescita a medio termine, ma fondato sul realismo e sulla responsabilità, non sulle illusioni.
Parrà incomprensibile a un politologo che ci sia chi governa per realizzare non il consenso ma ciò che ritiene essere, in un dato momento, l'obiettivo vitale per la sopravvivenza del Paese e per la sua sovranità, senza cederla a una troika di occupazione (quella sì) tecnocratica. Ma non crede che l'avere spiegato ai cittadini che l'Italia ce l'avrebbe fatta da sola, senza chinare il capo e chiedere prestiti all'Europa o al Fondo monetario internazionale - come la Grecia, il Portogallo, la Spagna - abbia «invogliato al riscatto, mosso alla tenacia, all'orgoglio»? Perché in Italia, a differenza che in quei Paesi, i durissimi sacrifici non hanno portato alla rivolta sociale o di piazza?
Parrà ancora più incomprensibile a un politologo che ci sia chi proponga alle elezioni un progetto che non concede nulla al populismo e alla demagogia, pur in un «Paese percorso dalle performance di Grillo» e di un redivivo, formidabile Berlusconi. E che insiste su riforme, come quelle sul mercato del lavoro, indigeste alla Sinistra ma essenziali, con altre, per dare lavoro e speranza ai giovani. Così come propone di proseguire le azioni contro l'evasione fiscale e la corruzione che hanno trovato ostacoli a Destra durante il governo che sta per chiudersi.
Ma questa Scelta civica - penserà il politologo - ha fatto proprio di tutto per perdere le elezioni! Come se non bastasse, è stata così ingenua da rivendicare i «meriti» del governo uscente, che ha dovuto prendere i provvedimenti più impopolari della storia repubblicana, invece di prenderne le distanze come hanno fatto le altre forze che avevano approvato quei provvedimenti, platealmente il Pdl, in modo meno chiassoso il Pd.
Chi governa così, chi si presenta alle elezioni così, secondo Galli della Loggia denota «scarsa capacità di leadership». Non tocca certo a chi viene giudicato di giudicare il giudice. Ma sarebbe interessante capire meglio che cosa debba intendersi per leadership. È migliore leader chi cerca, magari facendo molti errori perché è un politico inesperto, di guidare il Paese verso quello che considera l'interesse generale e cerca il consenso degli elettori su ciò che è poco gradevole ma utile a più lungo termine; o chi cerca, magari non facendo nessun errore perché è il più abile dei politici, di assecondare gli elettori proponendo proprio ciò che essi vogliono vedersi proporre perché è più gradevole anche se dannoso a più lungo termine? È meglio, per un Paese, avere dei leader non perfetti o dei perfetti follower? Ai politologi l'ardua sentenza.
Forse, il professor Galli della Loggia ha in mente il secondo scenario, quando emette le sue sentenze liquidatorie: «il fallimento del Centro», «il fallimento del personale di governo alla guida del Paese per oltre un anno», il Centro è diventato «un attore politico di terz'ordine». Siano consentite due osservazioni.
Centro. Si direbbe, con l'uso di questo termine come sinonimo di Scelta civica, che l'autore non abbia prestato nessuna attenzione allo sforzo fatto da Scelta civica per spiegare la propria identità. Non si tratta di qualcosa di intermedio tra la Sinistra e la Destra lungo l'asse, a nostro giudizio screditato, di un inconcludente bipolarismo italiano, che alla fine ha avuto bisogno di un governo tecnico per fare alcune riforme che sapeva necessarie, senza mai trovare la forza politica per farle. Si tratta di un impegno nuovo, per unire volontà riformatrici ed europeiste, prima disperse nei due poli contrapposti.
Fallimento. Non ho mai parlato di successo di Scelta civica.
Trovo però curioso che si parli di fallimento per un'entità politica nuova, costruita nella scia di un governo che non aveva fatto proprio nulla per non essere impopolare, portata avanti dall'impegno generoso di molti ma certo senza l'esperienza e la professionalità dei partiti tradizionali o l'articolazione del M5S; e che tuttavia in cinquanta giorni è riuscita a raccogliere tre milioni di voti laddove il Pd e il Pdl hanno perso molti milioni di voti. Se non vi fossero stati quei voti a Scelta civica, provenuti in particolare dalla Destra, la coalizione Pdl-Lega sarebbe ora in grado di formare il governo e, dal 15 aprile, di eleggere il presidente della Repubblica.
Concludo con il punto, importante, sul quale il mio pensiero coincide con quello di Galli della Loggia. Sarebbe stato un errore «contrapporsi frontalmente e sprezzantemente all'elettorato che fino ad allora era stato della Destra». Ha ragione l'autore quando, pur con cattiveria eccessiva, scrive «Uno stereotipo tanto più potente perché in sostanza pre-politico, attinente al bon ton civil-culturale. Con la Destra dunque l'élite italiana non vuole avere nulla a che fare: per paura di contaminarsi ma soprattutto per paura di entrare nel mirino dell'interdizione della Sinistra». Per parte mia, forse perché ho idee mie ben radicate, non ho mai condiviso la paura di contaminarmi con la Destra. Sono orgoglioso di aver fatto cooperare per il bene del Paese, nella «strana» maggioranza, Bersani e Berlusconi (oltre a Casini). Né temo l'interdizione della Sinistra, che pure ho sperimentato, in alcuni suoi alti esponenti politici e culturali detentori della moralità, per il solo fatto di avere promosso un movimento politico.
Ma Scelta civica, caro professor Galli della Loggia, non ha compiuto quello che lei e io consideriamo un errore: non si è contrapposta agli elettori della Destra. Anzi, ne ha sollecitato il voto. E sono sorpreso che tanti abbiano scelto Scelta civica e non il Pdl, che pure recava nella scheda il profumo dei soldi, il rimborso dell'Imu.
Quello che non ho fatto, qui lei ha ragione, è accettare l'invito di Berlusconi ad essere il «federatore dei moderati». Per questo invito, che mi ha fatto piacere, ho ringraziato Berlusconi. Ma non l'ho accettato non per sprezzo degli elettori di Destra, ma per due diverse ragioni. In primo luogo, mi sembrava più importante unire i riformatori che federare i moderati. In secondo luogo, avrei forse potuto federare i moderati ma solo se Berlusconi si fosse davvero ritirato dal progetto che cortesemente mi offriva. Non avrei voluto trovarmi nella situazione di Alfano.
Presidente del Consiglio
Mario Monti
28.2.13
Se non sono chiacchiere, è una buona occasione
di Margherita Hack
Mi sembra che se ci fosse un po' di buon senso e di buona volontà, da queste elezioni potrebbe uscire il governo più forte che ci sia mai stato negli ultimi anni.
Per dire questo, parto da una constatazione: Grillo e i grillini in fondo vogliono molte cose che vuole anche la coalizione di centro sinistra. Almeno su quelle cose, quindi, le due forze potrebbero trovare un accordo. Così l’Italia ingovernabile potrebbe essere governata per fare quello che c’è da fare in tempi brevi.
E cioè:
1) Intervenire sul conflitto d’interessi.
2) Una nuova legge elettorale che ridia al cittadino la possibilità di scegliere i propri rappresentanti.
3) Una drastica riduzione dei costi della politica, con riduzione del numero dei parlamentari, eliminazione dei vantaggi e dei privilegi di cui godono.
4) Una riduzione delle spese militari che renda subito disponibili fondi da investire in modo prioritario per la scuola e la ricerca.
5) L’eliminazione delle province. E non il loro accorpamento che solleverebbe infinite diatribe e avrebbe come risultato un raddoppiamento degli uffici e quindi delle spese.
6) Una politica del lavoro. Su questo, non ho ricette perché non sono un’economista e non so come si faccia a creare lavoro in un’Europa in crisi. Però credo che ci siano alcuni settori pubblici di risanamento e di rispetto dell’ambiente che potrebbero creare posti di lavoro e andrebbero privilegiati.
7) I diritti civili. C’è da mettere mano al testamento biologico, ai matrimoni di fatto, alla revisione della legge 40. Su alcune di queste cose si può pensare di mettere d’accordo anche i grillini.
8) Infine, ci sarebbe da facilitare il processo di integrazione degli immigrati, abolendo le leggi indegne fatte dalla Lega.
Almeno su alcuni di questi punti si potrebbe trovare un accordo e andare avanti fino alla fine della legislatura, senza perdersi nei distinguo sulle cose meno importanti. In questo quadro anche Monti con i suoi potrebbe fare un’opposizione intelligente, da economista che ha a cuore la riduzione del debito pubblico e le condizioni economiche del Paese.
Del resto, non c’è altra possibilità: la grande coalizione col Pdl non è possibile. Basta che quello che dice Grillo non siano chiacchiere.
Mi sembra che se ci fosse un po' di buon senso e di buona volontà, da queste elezioni potrebbe uscire il governo più forte che ci sia mai stato negli ultimi anni.
Per dire questo, parto da una constatazione: Grillo e i grillini in fondo vogliono molte cose che vuole anche la coalizione di centro sinistra. Almeno su quelle cose, quindi, le due forze potrebbero trovare un accordo. Così l’Italia ingovernabile potrebbe essere governata per fare quello che c’è da fare in tempi brevi.
E cioè:
1) Intervenire sul conflitto d’interessi.
2) Una nuova legge elettorale che ridia al cittadino la possibilità di scegliere i propri rappresentanti.
3) Una drastica riduzione dei costi della politica, con riduzione del numero dei parlamentari, eliminazione dei vantaggi e dei privilegi di cui godono.
4) Una riduzione delle spese militari che renda subito disponibili fondi da investire in modo prioritario per la scuola e la ricerca.
5) L’eliminazione delle province. E non il loro accorpamento che solleverebbe infinite diatribe e avrebbe come risultato un raddoppiamento degli uffici e quindi delle spese.
6) Una politica del lavoro. Su questo, non ho ricette perché non sono un’economista e non so come si faccia a creare lavoro in un’Europa in crisi. Però credo che ci siano alcuni settori pubblici di risanamento e di rispetto dell’ambiente che potrebbero creare posti di lavoro e andrebbero privilegiati.
7) I diritti civili. C’è da mettere mano al testamento biologico, ai matrimoni di fatto, alla revisione della legge 40. Su alcune di queste cose si può pensare di mettere d’accordo anche i grillini.
8) Infine, ci sarebbe da facilitare il processo di integrazione degli immigrati, abolendo le leggi indegne fatte dalla Lega.
Almeno su alcuni di questi punti si potrebbe trovare un accordo e andare avanti fino alla fine della legislatura, senza perdersi nei distinguo sulle cose meno importanti. In questo quadro anche Monti con i suoi potrebbe fare un’opposizione intelligente, da economista che ha a cuore la riduzione del debito pubblico e le condizioni economiche del Paese.
Del resto, non c’è altra possibilità: la grande coalizione col Pdl non è possibile. Basta che quello che dice Grillo non siano chiacchiere.
12.3.12
Occhio al marketing dei bocconiani
Alessandro Robecchi (Il Manifesto)
Gentili utenti. Terrorizzare un’intera popolazione con cose che fino a dieci minuti prima non aveva mai sentito nominare non è stato difficile. Farlo con mostri spaziali ed epidemie son buoni tutti. Ma esserci riusciti con lo Spread indica che la strada è tracciata. Ecco le prossime mosse.
Stunt – E’ il differenziale tra le calorie ingerite da un cittadino della Corea del Nord e quelle ingerite da un italiano. Lo Stunt ha grandi margini di miglioramento. Titoli e telegiornali convinceranno gli italiani che mangiare ogni due giorni è possibile, anzi sano.
Spritz – Si tratta del differenziale tra il consumo di champagne di Briatore e il salario di un metalmeccanico. Il governo intende operare per mantenerlo altissimo e, se possibile, aumentarlo.
Furto – Con questo strano nome si definisce il differenziale tra i tassi che pagano le banche per i soldi presi in prestito dalla Bce (uno per cento). e i tassi che poi fanno pagare a voi per un mutuo (più del sette per cento). Per una convincente campagna di stampa volta al convincimento della popolazione, magari, meglio cambiargli nome.
Skog – Gli economisti indicano con questa sigla il differenziale tra il potere contrattuale di uno schiavo assiro-babilonese del 1500 a.C. e quello di un precario italiano del 2012. Lo Skog è attualmente in perfetta parità, ma il governo intende aumentarlo sensibilmente.
Sbam – Calcolato con uno speciale algoritmo, è il differenziale tra l’utilità di una grande opera come la Tav e le manganellate distribuite alle popolazioni locali per realizzarla. In questo momento lo Sbam è uno a diecimila, ma potrebbe aumentare.
Lsd – E’ una speciale sostanza psicotropa distribuita ai maggiori esponenti del Pd per convincerli a sostenere il governo Monti.
Grazie per l’attenzione. Il nostro centro studi prosegue le sue ricerche. Nel ricordarvi che l’articolo 18 non è un tabù, vi diamo appuntamento alle prossime puntate.
Stunt – E’ il differenziale tra le calorie ingerite da un cittadino della Corea del Nord e quelle ingerite da un italiano. Lo Stunt ha grandi margini di miglioramento. Titoli e telegiornali convinceranno gli italiani che mangiare ogni due giorni è possibile, anzi sano.
Spritz – Si tratta del differenziale tra il consumo di champagne di Briatore e il salario di un metalmeccanico. Il governo intende operare per mantenerlo altissimo e, se possibile, aumentarlo.
Furto – Con questo strano nome si definisce il differenziale tra i tassi che pagano le banche per i soldi presi in prestito dalla Bce (uno per cento). e i tassi che poi fanno pagare a voi per un mutuo (più del sette per cento). Per una convincente campagna di stampa volta al convincimento della popolazione, magari, meglio cambiargli nome.
Skog – Gli economisti indicano con questa sigla il differenziale tra il potere contrattuale di uno schiavo assiro-babilonese del 1500 a.C. e quello di un precario italiano del 2012. Lo Skog è attualmente in perfetta parità, ma il governo intende aumentarlo sensibilmente.
Sbam – Calcolato con uno speciale algoritmo, è il differenziale tra l’utilità di una grande opera come la Tav e le manganellate distribuite alle popolazioni locali per realizzarla. In questo momento lo Sbam è uno a diecimila, ma potrebbe aumentare.
Lsd – E’ una speciale sostanza psicotropa distribuita ai maggiori esponenti del Pd per convincerli a sostenere il governo Monti.
Grazie per l’attenzione. Il nostro centro studi prosegue le sue ricerche. Nel ricordarvi che l’articolo 18 non è un tabù, vi diamo appuntamento alle prossime puntate.
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9.3.12
TAV - Il governo spiega perché farla, domande e risposte sbagliate
Palazzo Chigi spiega perché bisogna fare la linea Torino-Lione con domande e risposte. Peccato che non siano quelle che interessano il largo pubblico.
Guglielmo Ragozzino (il Manifesto)
Palazzo Chigi ha enunciato i 14 punti per spiegare «le ragioni del fare» a proposito della linea Tav Torino-Lione. La forma è quella delle risposte a 14 domande. Senza polemica, vorremmo notare che le domande, pur interessanti, non sono quelle giuste che interessano sul serio il largo pubblico coinvolto nei problemi del Tav, fuori dalla Valle Susa. In Valle, come è noto, si conoscono a menadito le domande appropriate e le relative risposte.
Vorremmo attirare l'attenzione del pubblico su alcuni punti significativi.
Qual è il costo?
Se lo chiede Palazzo Chigi alla domanda numero 2. La risposta butta là delle cifre che non vale la pena di ripetere e poi spiega che «il progetto preliminare è stato approvato dal Cipe (governo)... si prevede di realizzare l'opera per fasi: prima il tunnel di base e gli interventi di adeguamento del nodo di Torino e solo in una seconda fase, qualora le dinamiche del traffico dovessero evidenziarne l'effettiva necessità, la tratta in bassa Valle di Susa (Bussoleno-Avigliana)....». Gli estensori avranno pensato di mostrare tutta la saggezza dell'intervento. Invece essi prefigurano un tunnel scavato e abbandonato, senza neppure i binari, oppure con i binari arrugginiti. Molte costruzioni, recenti e meno recenti, sono i resti delle grandi opere fallite. Il fatto che la seconda fase, nelle parole del governo, è per lo meno incerta, lascia molti dubbi sul buon senso effettivo di un intervento che appare aleatorio e ne sostituisce altri veramente utili.
L'opera è stata concertata con il territorio?
È la domanda 5: Il punto principale della risposta è che «nel giugno 2007 a seguito di specifiche richieste del territorio...» è stato abbandonato il tracciato a sinistra della Dora. Come dire: meno male che la Valle si è opposta, compresi gli scontri del 2005, l'assemblea detta del Grande Cortile e il resto. Il movimento ha evitato gravi errori, forse irrimediabili. Naturalmente d'ora in poi - assicura Palazzo Chigi - abbiamo ragione noi.
Quali saranno i principali vantaggi della Torino Lione una volta realizzata?
Il punto 6 risponde alla domanda delle domande. Da un lato si promette di dimezzare i tempi di percorrenza tra Torino e Chambery da 152 minuti a 73. Niente male, sono 79 minuti. Ma si aggiunge che i tempi di viaggio tra Milano e Parigi passano da 7 a 4 ore. Questo è magnifico, ma incomprensibile. Quale magia trasforma, sulla stessa linea, senza modifiche, un vantaggio di 79 minuti in uno di 180? Dev'essere una questione di gestione dello spread ferroviario che solo pochi eletti capiscono.
C'era davvero bisogno della nuova linea Torino Lione, visto il calo del traffico sulla direttrice storica del Frejus?
Siamo arrivati alla domanda n. 8. «I flussi d'interscambio Italia-Francia nel quadrante ovest (da Ventimiglia al Monte Bianco sono costanti...» fra 38 e 40 milioni di tonnellate. Superano di un 10% quello verso la Svizzera, ma mentre quest'ultimo è per il 63% su rotaia, quello analogo italo-francese arriva soltanto al 7%. L'idea del governo, forse un po' tardiva, è quella di migliorare questo risultato. Se le scelte del governo andassero a segno tutte e senza ritardi, sarebbe verso il 2025 che potrebbe cominciare il cambiamento. Fino a quel momento si potrebbe accettare il traffico attuale dei tir su strada, oppure potenziare la linea esistente, rendendola, con una spesa assai minore, e in tempi assai più brevi, percorribile dal traffico merci, con vantaggi ambientali sicuri e miglioramento forte della percentuale.
Il progetto ha una sostenibilità energetica? Ed una sostenibilità ambientale?
Sono i quesiti 10 e 11. È previsto che «a vita intera» la linea consentirà un risparmio di emissioni di gas serra di 3 milioni di tonnellate equivalenti di CO2. «Con questi dati si può prevedere un bilancio del carbonio positivo già dopo 23 anni dall'inizio dei lavori». E prima dei 23 anni che aggravio di CO2 vi sarà? E nel caso, probabile, di ritardi?
Quali sono gli aspetti geologici più importanti?
La dodicesima è una domanda cruciale. La risposta lascia effettivamente qualche dubbio. «Infine da un approfondimento delle problematiche dell'amianto, risulta che le rocce possono avere una presenza sporadica con una quantità massima stimata intorno al 15%». Seguono vari accorgimenti: monitoraggi del fronte di scavo da parte del geologo e all'interno e all'imbocco della galleria; osservazione in continuo del materiale scavato; una sua compartimentazione e specifiche misure di protezione dei lavoratori. E scusate se è poco per l'amianto sporadico.
Guglielmo Ragozzino (il Manifesto)
Palazzo Chigi ha enunciato i 14 punti per spiegare «le ragioni del fare» a proposito della linea Tav Torino-Lione. La forma è quella delle risposte a 14 domande. Senza polemica, vorremmo notare che le domande, pur interessanti, non sono quelle giuste che interessano sul serio il largo pubblico coinvolto nei problemi del Tav, fuori dalla Valle Susa. In Valle, come è noto, si conoscono a menadito le domande appropriate e le relative risposte.
Vorremmo attirare l'attenzione del pubblico su alcuni punti significativi.
Qual è il costo?
Se lo chiede Palazzo Chigi alla domanda numero 2. La risposta butta là delle cifre che non vale la pena di ripetere e poi spiega che «il progetto preliminare è stato approvato dal Cipe (governo)... si prevede di realizzare l'opera per fasi: prima il tunnel di base e gli interventi di adeguamento del nodo di Torino e solo in una seconda fase, qualora le dinamiche del traffico dovessero evidenziarne l'effettiva necessità, la tratta in bassa Valle di Susa (Bussoleno-Avigliana)....». Gli estensori avranno pensato di mostrare tutta la saggezza dell'intervento. Invece essi prefigurano un tunnel scavato e abbandonato, senza neppure i binari, oppure con i binari arrugginiti. Molte costruzioni, recenti e meno recenti, sono i resti delle grandi opere fallite. Il fatto che la seconda fase, nelle parole del governo, è per lo meno incerta, lascia molti dubbi sul buon senso effettivo di un intervento che appare aleatorio e ne sostituisce altri veramente utili.
L'opera è stata concertata con il territorio?
È la domanda 5: Il punto principale della risposta è che «nel giugno 2007 a seguito di specifiche richieste del territorio...» è stato abbandonato il tracciato a sinistra della Dora. Come dire: meno male che la Valle si è opposta, compresi gli scontri del 2005, l'assemblea detta del Grande Cortile e il resto. Il movimento ha evitato gravi errori, forse irrimediabili. Naturalmente d'ora in poi - assicura Palazzo Chigi - abbiamo ragione noi.
Quali saranno i principali vantaggi della Torino Lione una volta realizzata?
Il punto 6 risponde alla domanda delle domande. Da un lato si promette di dimezzare i tempi di percorrenza tra Torino e Chambery da 152 minuti a 73. Niente male, sono 79 minuti. Ma si aggiunge che i tempi di viaggio tra Milano e Parigi passano da 7 a 4 ore. Questo è magnifico, ma incomprensibile. Quale magia trasforma, sulla stessa linea, senza modifiche, un vantaggio di 79 minuti in uno di 180? Dev'essere una questione di gestione dello spread ferroviario che solo pochi eletti capiscono.
C'era davvero bisogno della nuova linea Torino Lione, visto il calo del traffico sulla direttrice storica del Frejus?
Siamo arrivati alla domanda n. 8. «I flussi d'interscambio Italia-Francia nel quadrante ovest (da Ventimiglia al Monte Bianco sono costanti...» fra 38 e 40 milioni di tonnellate. Superano di un 10% quello verso la Svizzera, ma mentre quest'ultimo è per il 63% su rotaia, quello analogo italo-francese arriva soltanto al 7%. L'idea del governo, forse un po' tardiva, è quella di migliorare questo risultato. Se le scelte del governo andassero a segno tutte e senza ritardi, sarebbe verso il 2025 che potrebbe cominciare il cambiamento. Fino a quel momento si potrebbe accettare il traffico attuale dei tir su strada, oppure potenziare la linea esistente, rendendola, con una spesa assai minore, e in tempi assai più brevi, percorribile dal traffico merci, con vantaggi ambientali sicuri e miglioramento forte della percentuale.
Il progetto ha una sostenibilità energetica? Ed una sostenibilità ambientale?
Sono i quesiti 10 e 11. È previsto che «a vita intera» la linea consentirà un risparmio di emissioni di gas serra di 3 milioni di tonnellate equivalenti di CO2. «Con questi dati si può prevedere un bilancio del carbonio positivo già dopo 23 anni dall'inizio dei lavori». E prima dei 23 anni che aggravio di CO2 vi sarà? E nel caso, probabile, di ritardi?
Quali sono gli aspetti geologici più importanti?
La dodicesima è una domanda cruciale. La risposta lascia effettivamente qualche dubbio. «Infine da un approfondimento delle problematiche dell'amianto, risulta che le rocce possono avere una presenza sporadica con una quantità massima stimata intorno al 15%». Seguono vari accorgimenti: monitoraggi del fronte di scavo da parte del geologo e all'interno e all'imbocco della galleria; osservazione in continuo del materiale scavato; una sua compartimentazione e specifiche misure di protezione dei lavoratori. E scusate se è poco per l'amianto sporadico.
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