Un sincero moto di simpatia e di umana solidarietà va oggi, senza se e senza ma, a Barbara Berlusconi, che l’altro giorno ha discusso la sua tesi e conseguito la sua laurea (110 e lode, senza nemmeno un telefonata di Denis Verdini, Carboni o Dell’Utri). Certo, una laurea triennale in filosofia, diciamo che non siamo proprio ad Harvard. Certo, una laurea all’università di Don Verzé, un po’ come se voi vi laureaste all’università di proprietà di vostro zio. Ma pazienza, onore al merito. E già che parliamo di merito, non trascurerei quello di sopportare un tanto ingombrante padre, che riesce, persino nel giorno della laurea della figlia, ad occupare la scena, farsi da solo i complimenti (“merito dei genitori”, ha detto: forse la povera Barbara passava di lì per caso) e dare il suo quotidiano spettacolino. La simpatia per Barbara nasce dal fatto che probabilmente non si merita di passare alla storia come un qualunque figlio di Saddam Hussein o di Ceausescu, ma – ahilei – ci sta andando molto vicina. Nel consegnarle bacio accademico e pergamena, infatti, Don Verzé (quello che vuol far vivere Berlusconi fino a 150 anni, quando si dice nemico del popolo…) le offre addirittura una cattedra. Di più: partendo dalla tesi di Barbara Berlusconi, il prete privato del Conducator vorrebbe addirittura fondare una facoltà di economia di cui lei diverrebbe automaticamente docente. Come dire, dalla tesi alla cattedra in un nanosecondo: Barbara faccia almeno ciao ciao con la manina a tutti i precari dell’Università che da anni si dannano l’anima per diventare di ruolo pur avendo vinto fior di concorsi, o almeno faccia le corna come il Gassman de Il sorpasso. Bene ha fatto Roberta De Monticelli, che in quella stessa università è docente, a lamentarsi: dalle altre decine di docenti, invece, è venuto solo silenzio, non risulta che nella vecchia Romania di Ceasusescu, e nel povero Iraq di Saddam si facesse carriera con le critiche.
Sia come sia, archiviati i giusti auguri a Barbara per una carriera che parte da zero (buona questa, eh!), va detto che le ultime giornate di Silviescu non sono state niente male. Prima è intervenuto alla cerimonia di laurea in una specie di università dei puffi (privata, brianzola e telematica) così, tanto per insultare Rosy Bindi. E’ lo stesso prestigioso ateneo che si pubblicizza con la faccia di Sgarbi e dove la cattedra di Storia Contemporanea è retta da Marcello Dell’Utri (forse Frank Tre Dita aveva un impegno). Poi è comparso tra le guglie del Duomo di Milano a ritirare un premio conferitogli dai suoi dipendenti (il presidente della provincia di Milano e altri buontemponi che lo chiamano “statista”), presente don Prezzemolo Verzé e altri componenti della nomenklatura del regime. Come al solito ha fatto un bel gesto: ha promesso soldi per il restauro del Duomo. Non soldi suoi, naturalmente, ma soldi nostri (“fondi pubblici”). Poi se n’è andato tutto tirato a lucido e ringalluzzito, seguito da famigli e sodali (essendogli morti “da eroi” gli stallieri) che con immensa cafoneria hanno lasciato la platea prima dell’esibizione dell’artista vero (Charles Aznavour). Infine è andato al raduno del Milan, dove ha promesso incredibili progressi tecnico-tattici dovuti soprattutto all’innesto di un difensore greco comprato ai saldi estivi. Il tutto senza curarsi dei tifosi inviperiti che lo contestavano fischiandolo e ingiuriandolo in tutti i modi. La tre giorni di Silviescu pare conclusa, ma noi fans non disperiamo: altre apparizioni pubbliche – ora che i sondaggi lo danno in picchiata – ci delizieranno nei prossimi giorni. Chissà, un’apparizione della Madonna direttamente in una filiale Mediolanum, oppure qualche improvvisa guarigione inspiegabile (sarà presente don Verzé), o ancora l’inaugurazione di una sua statua a cavallo. Povero re – cantavano un tempo Fo e Jannacci. E povero anche il cavallo. Ah bé, sì bé!
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