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26.9.11

Censurare Internet per salvare il premier

Guido Scorza (Il Fatto Quotidiano)

Per sottrarre il premier alla giustizia questa volta, la Rete italiana rischia la censura.

Se, infatti, come appare ormai probabile nelle prossime ore il Parlamento riprenderà l’esame del famigerato ddl intercettazioni e il Governo ricorrerà, ancora una volta, al voto di fiducia, il nostro ordinamento si arricchirà di una nuova disposizione in forza della quale tutti i gestori di siti informatici saranno tenuti a disporre la rettifica di ogni informazione pubblicata online entro 48 ore dall’eventuale richiesta, fondata o infondata che sia.

In assenza di tempestiva rettifica, la sanzione sarà quella di una multa sino a 12 mila euro.

E’ questo il contenuto del comma 29 dell’art. 1 del disegno di legge n. 1611 che già la scorsa estate aveva minacciato di mettere un enorme cerotto sulla bocca – o meglio sulla tastiera – della blogosfera italiana.

In occasione del precedente dibattito parlamentare sul ddl – dibattito che questa volta potrebbe addirittura non esserci complice il voto di fiducia – nonostante l’ampio movimento di opinione sollevatosi contro l’approvazione della norma, nessuno, in Parlamento, aveva ritenuto di intervenire in modo determinato per eliminare dal testo “ammazza informazione”, almeno la norma c.d. “ammazza blog”.

Questa volta le speranze di un intervento in extremis per salvare, almeno, l’informazione libera che corre in Rete, appaiono ancora di meno perché maggiore è il bisogno della maggioranza – o di ciò che resta del clan dei compagni di merenda del premier – di disporre delle nuove regole anti-intercettazioni e perché, comunque, il Governo ha già manifestato l’intenzione di ricorre al voto di fiducia.

L’entrata in vigore del ddl e, in particolare, del comma 29 dell’art. 1 nella sua attuale formulazione ridisegnerebbe, in maniera importante e in chiave restrittiva e censorea, la mappa dell’informazione libera sul web.

Il punto, come ho già scritto in altre occasioni, non è sottrarre il blogger alla responsabilità per quello che scrive perché è, anzi, sacrosanto che ne risponda ma, più semplicemente riconoscere la differenza abissale che c’è tra un blog e un giornale o una televisione e tra un blogger – magari ragazzino – e un giornalista, una redazione o, piuttosto, un editore.

Il primo – salvo eccezioni – sarà portato a rettificare “per paura” e non già perché certo di dover rettificare mentre i secondi, dinanzi a una richiesta di rettifica, ci pensano, ci riflettono, la esaminano, la fanno esaminare e poi solo se sono davvero convinti di dovervi procedere, vi provvedono.

Imporre un obbligo di rettifica a tutti i produttori “non professionali” di informazione, significa fornire ai nemici della libertà di informazione, una straordinaria arma di pressione – se non di minaccia – per mettere a tacere le poche voci fuori dal coro, quelle non raggiungibili, neppure nel nostro Paese, attraverso una telefonata all’editore e/o al principale investitore pubblicitario.

Sarebbe davvero una sciagura per la libertà di parola sul web se, preoccupato di assecondare l’urgenza della maggioranza nell’approvazione del ddl, il Parlamento licenziasse il testo nella sua attuale formulazione.

Inutile ripetere che le conseguenze dell’entrata in vigore della norma sarebbero gravissime: ogni contenuto, informazione o opinione non gradita ai potenti dell’economia o della politica sarebbe destinata a vita breve sul web e ad essere rimossa – lecita o illecita che ne sia la sua pubblicazione – a seguito dell’invio di una semplice mail contenente una richiesta di rettifica.

9.7.10

Non è un paese per Internet. In cinque anni dieci leggi contro la Rete

Proposte che puntano ad equiparare i blog ai giornali. Il decreto che ha strozzato la diffusione delle connessioni nel nostro paese. Il disegno di legge che voleva punire con 12 anni di carcere a chi “incita alla violenza” su Internet. Non ultima, la proposta (ancora sul piatto) di una multa fino a 12mila euro per i blog che non pubblicano rettifiche così come sono obbligate a fare le testate giornalistiche.

Sono in tutto dieci, e in soli cinque anni, le leggi e proposte di legge italiane contro Internet. Per ora (quasi) nessuna di questa è passata, ma un’attività tanto intensa è simbolo di una volontà politica chiara: la rete, strumento del futuro, è luogo sconosciuto alla classe politica; Internet, in quanto spazio di libertà, è temuto da i governi di ogni colore.

Nel giorno della protesta italiana contro il bavaglio, su ilfattoquotidiano.it abbiamo deciso di ripercorrere tutte le leggi e proposte di legge italiane che in questi anni hanno messo nel mirino Internet.

1) DECRETO PISANU (luglio 2005)
Nel Decreto Pisanu è contenuta la prima norma anti-Internet, quella che finora ha avuto gli effetti più duraturi e catastrofici. All’indomani degli attentati nella metropolitana di Londra del luglio 2005, il governo Berlusconi appena sconfitto alle regionali approvò un pacchetto anti-terrorismo che portava la firma dell’allora ministro dell’interno Beppe Pisanu. Il decreto, oltre a misure contro le libertà personali il linea “per la lotta al terrorismo”, introdusse anche una norma sulle “comunicazioni digitali” unica nei paesi democratici.

La Pisanu dispone che ogni comunicazione online deve essere tracciabile al fine di scovare eventuali terroristi. A cinque anni di distanza nessun Bin Laden è stato arrestato ma intanto nelle strade delle nostre città, non sono disponibili connessioni, sia pubbliche che private, liberamente accessibili.
Facciamo un esempio. In quasi tutti i bar d’Europa e d’America, così come nei parchi pubblici, nelle stazioni e negli areoporti, è pressocchè sempre disponibile una connessione a Internet offerta dai gestori degli esercizi, da aziende private o da enti pubblici. In Italia, invece, se prendiamo un treno, aspettiamo in areoporto, ci sediamo su una panchina in piazza, troviamo solo reti protette. Se andiamo fare colazione in un qualsiasi bar, non solo non troviamo alcuna rete alle quali collegarci, ma neanche un computer scalcinato dove controllare la posta elettronica. Il nostro barista, infatti, per farci navigare, dovrebbe:

a) Chiedere un’autorizzazione alla questura;
b) Chiedere ad ogni cliente che vuole accedere a Internet un documento di identità e registrarne i dati anagrafici;
c) Acquistare ed aggiornare un software complesso e costoso che registria ogni operazione su Internet dei clienti;
d) Conservare per due anni un archivio con i dati delle navigazioni avvenute sui computer.

Ogni navigazione, appunto, deve essere tracciabile. Perciò molti operatori commerciali o pubblici, grandi e piccoli, in questi anni hanno preferito non offrire un servizio di Wi-Fi gratuito piuttosto che rimanere sciacciati dalla burocrazia e da costi aggiuntivi. Paradossalmente qualche progetto pubblico è riuscito ad eludere questa norma, come ha fatto la provincia di Roma che per i collegamenti a “Roma Wireless” permette di navigare associando il proprio indirizzo Ip temporaneo alla Sim del cellulare (alla quale a sua volta è associato il nostro documento di identità).
Il risultato del Decreto Pisanu è sotto gli occhi di tutti: in Italia ci sono pochissime connessioni Wi-Fi e i cittadini che hanno bisogno di Internet per strada possono solo contare sui loro eventuali smart-phone (a pagamento). Non a caso il presidente Agcom Corrado Calabrò ha dichiarato solo qualche giorno fa che la rete dati “mobile” è prossima al collasso.
Il Decreto, che doveva rimanere in vigore solo un anno (e che successivamente è stato disconosciuto dallo stesso Pisanu) è arrivato fino a noi con proroghe annuali (nei cosiddetti “decreti milleproroghe”) e questo senza alcun dibattito pubblico riguardo la sua utilità e nonostante numerose campagne per la sua abolizione da parte della blogsfera.

2) LEGGE FRANCO-LEVI (ottobre 2007)
Il primo disegno di legge contro i blog e siti Internet arriva invece con il governo Prodi nell’ottobre 2007 per mano dell’allora sottosegretario alla presidenza del consiglio Ricardo Franco-Levi. L’obiettivo è lo stesso che si dimostrerà essere una vera e propria ossessione per la classe politica: equiparare blog e siti Internet a testate giornalistiche. La Franco-Levi in particolare punta a ridefinire le caratteristiche di “mezzo di informazione”, “prodotto editoriale” e “attività editoriale”. Con la legge “prodotto editoriale” diventerebbe “qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siail mezzo con il quale esso viene diffuso”. Con questa ampia definizione siti di news, pagine Facebook, blog, forum, social network sarebbero ricaduti nella tipologia di “prodotto editoriale”. E tutti avrebbero dovuto iscriversi ad un apposito registro di “operatori della comunicazione”, nominare un direttore di testata e adempiere agli obblighi di legge.
La proposta osteggiata dalla websfera e da alcuni esponenti politici (tra questi qualcuno che precedentemente l’aveva firmata) venne sbeffeggiata anche dalla stampa estera: nel Regno Unito The Times parlò di “Un assalto geriatrico ai blogger italiani”. Viste le polemiche, la legge venne poi accantonata.

3) COMMA PECORELLA (settembre 2009)
Anche Gaetano Pecorella, negli anni settanta militante di Potere Operaio e poi diventato legale di Silvio Berlusconi, ha dato il suo contributo alla legislazione anti-Internet. Nel settembre 2009 Pecorella presentò alla commissione giustizia della Camera un comma all’articolo 1 della legge sulla stampa risalente al 1948. Così come la Franco-Levi obiettivo dell’uomo di fiducia di Berlusconi era applicare l’intera disciplina sulla stampa anche “ai siti Internet aventi natura editoriale”. La proposta non è mai giunta al dibattito parlamentare.

4) LEGGE BARBARESCHI (gennaio 2009)
Luca Barbareschi, il deputato-attore-produttore (scoperto a copiare nella sua trasmissione su La7 le battute di Spinoza.it senza citare la fonte) è paradossalmente autore di una legge per la ferrea tutela del diritto d’autore su Internet. “Disposizioni concernenti la diffusione telematica delle opere dell’ingegno” questo il titolo della sua proposta. L’obiettivo era quello di portare anche in Italia la dottrina Sarkozy che punta a coinvolgere i provider (che per la direttiva europea sul commercio elettronico sono tenuti alla neutralità) nella repressione delle pirateria online. Nella visione del deputato Pdl, la Siae dovrebbe avere un ruolo primario nell’indicare ai fornitori di servizi quali contenuti oscurare o rendere inaccessibili. La legge per ora non ha avuto fortuna.

5) EMENDAMENTO D’ALIA (febbraio 2009)
Giampiero D’Alia, senatore da Messina pressoché sconosciuto alle cronache politiche, è invece noto per il famigerato emendamento al Pacchetto Sicurezza che porta il suo nome. L’emendamento intendeva conseguire la “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”. Il progetto di D’Alia era quello di affidare al ministero dell’Interno (e non alla magistratura) il compito di valutare ipotesi di “apologia di reato” o “istigazione a delinquere” commesse via Internet dando facoltà allo stesso ministro di chiudere d’imperio siti web ritenuti pericolosi. Il tema naturalmente risultatava molto scivoloso e si prestava facilmente ad abusi. IlFattoQuotidiano.it, per esempio, ha annunciato “disobbedienza civile” se dovesse passare la Legge Bavaglio. Con l’emendamento D’Alia il Ministero dell’Interno avrebbe potuto chiudere il nostro sito con una semplice comunicazione. Dopo un’ennesima alzata di scudi della Rete e di una parte della politica, l’emendamento D’Alia venne abrogato da un contro-emendamento del senatore del Pdl Roberto Cassinelli.

6) LEGGE CARLUCCI (febbraio 2009)
Anche l’onorevole Gabriella Carlucci, passata dalla conduzione di Portobello agli scranni di Forza Italia, ha voluto presentare la sua proposta contro la rete. L’ex show-girl intendeva trasformare Internet in un “territorio della libertà dei diritti e dei doveri”. E per fare questo aveva approntato delle norme con le quali si intendeva abolire “l’anonimato su Internet”, imporre ancora una volta “tutte le norme relative alla Stampa” alla Rete, e introdurre forme di responsabilità dei fornitori dei contenuti pubblicati dagli utenti. La legge è ancora oggi a prendere polvere in parlamento.

7) PROPOSTA LAURO (gennaio 2010)
Dopo l’aggressione dello psicolabile Massimo Tartaglia a Silvio Berlusconi in Piazza Duomo dello scorso dicembre, la politica italiana si scatenò in una vera e propria campagna di odio nei confronti di Internet. Il presidente del Senato Renato Schifani dichiarò: “Facebook è più pericoloso dei gruppi degli anni settanta” e le televisioni del premier si scatenarono: “Bisogna chiudere questi siti come Facebook” urlò Barbara D’Urso nella sua trasmissione del pomeriggio. Un campagna d’odio forse non casuale: proprio una settimana prima dell’aggressione, a Roma si era svolto il partecipatissimo No Berlusconi Day nato proprio su Facebook.
In quei giorni il senatore Pdl Raffaele Lauro prese la palla al balzo: insieme ad altri colleghi presentò una proposta di legge che aveva l’obiettivo di rivedere il codice penale e “portare da 3 a 12” gli anni di carcere “per chi avvalendosi di mezzi di comunicazione telematica incita a delinquere”. Passata l’emozione del momento, la proposta è ora in sonno alla commissione Giustizia del Senato

DECRETO ROMANI (gennaio 2010)
Anche contro le web-tv e i video-blog si è provato a mettere i bastoni tra le ruote. Il decreto Romani, ha denunciato l’opposizione, doveva solo recepire una direttiva europea me “è stato trasformato dal governo in una riforma radicale della nostra normativa sui media” e senza alcun passaggio parlamentare. Il Romani, in una prima versione, tendeva ad equiparare tutti i siti che trasmettono contenuti video a dei canali televisivi, penalizzando così anche le dirette streaming. Dopo l’ennesima mobilitazione (60 blogger si ritrovarono scalzi davanti all’ambasciata americana a Roma gridando: “Obama, salva Internet in Italia”), il decreto è stato modificato: sono stati esclusi da tali obblighi: “siti Internet tradizionali come i blog, i motori di ricerca, versioni elettroniche di quotidiani e riviste, giochi online” e comunque tutti i servizi che “non risultano in concorrenza con la radiodiffusione televisiva”. Nonostante ciò, secondo alcuni blogger, per questioni di carattere interpretativo il decreto potrebbe causare dei problemi a chi fa informazione video su Internet.

9) CODICE MARONI (dicembre 2009 – in corso)
Oltre alla già citata proposta Lauro, la vicenda di piazza Duomo ha lasciato un’altra scia velenosa. All’indomani dell’aggressione di Tartaglia, il ministro Maroni (lo stesso ministro “pirata” che si era conquistato le simpatia della rete perché ha più volte ammesso di “scaricare musica da Internet”) si dichiarò pronto a varare un decreto governativo per fermare la violenza sul web. Obiettivo dell’esecutivo sembrava lo stesso del vecchio emendamento D’Alia: dare al governo il potere di chiudere siti Internet ritenuti “pericoli” o “incitanti all’odio”. Dopo l’ennesima levata di scudi del mondo della rete e di buona parte dell’opposizione, Maroni ha poi virato verso un “codice di auto-regolamentazione” da far sottoscrivere ai provider e fornitori dei servizi. Questi dovrebbero impegnarsi in prima persona a minacciare via mail gli utenti avvertendoli eventualmente che un contenuto da loro pubblicato potrebbe risultare “malevolo” o “inopportuno” (in base a quanto stabilito dal codice stesso). Gli utenti sarebbero quindi invitati a provvedere alla rimozione, altrimenti il contenuto potrebbe essere rimosso dal provider o segnalato alle autorità competenti. Dopo la denuncia del Fatto Quotidiano, il codice sembra per ora messo da parte, anche perché provider e fornitori di servizi rivendicano la loro “neutralità” sui contenuti che attraversano le loro infrastrutture.

10) BAVAGLIO-ALFANO (2008 – in corso)
La legge sulle Intercettazioni in approvazione alla Camera sulla quale tanto si è speso Silvio Berlusconi, contiene anche una misura anti-blog. Certo, la legge di per sé è un “bavaglio alla stampa” e, tanto più oggi, oggetto di un’ampia mobilitazione della società civile, del mondo dell’informazione, dei cittadini. Ma il famigerato “comma 29” della legge sulle intercettazioni si occupa anche di “siti informatici”. Facendo riferimento ad una casistica amplissima (“siti informatici” appunto) la legge impone che “le dichiarazioni o le rettifiche” così come avviene sui giornali “vengano pubblicate entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”. Pena, una multa che può arrivare a 12mial euro. Qualsiasi pagina web, dovrebbe insomma sottostare all’obbligo di rettifica. Secondo molti, la norma non tiene conto della natura “amatoriale” della quasi totalità dei siti, e impone una misura che rischia di soffocare la rete nelle maglie di un imposizione alla quale possono adempiere solo imprese editoriali.

Queste sono le dieci proposte nate in questi anni per ridurre la libertà della rete. Se (quasi) nessuna per ora è passata, lo si deve alle mobilitazioni puntualmente messe in atto da cittadini, giornali e blogger, compresi coloro che negli anni hanno denunciato ogni pericolo e stortura: tra i tanti, l’avvocato Guido Scorza così come i blogger Claudio Messora, Massimo Mantellini, Stefano Quintarelli, Sergio Maistriello. Importante anche l’azione di informazione e coinvolgimento su questi argomenti del blog di Beppe Grillo e di testate online come Punto Informatico. Anche alcuni politici si sono fatti sentire: Antonio Di Pietro e altri parlamentari dell’Italia dei valori, il senatore Vincenzo Vita del Partito Democratico e, con i suoi distinguo, l’onorevole Roberto Cassinelli del Popolo delle libertà, si sono sempre spesi a tutela e a difesa della rete.

Sarebbe ormai il caso che la crescita e la salvaguardia della rete Internet venissero prese in carico da settori sempre più ampi della politica e dell’opinione pubblica. Forse non è follia sperare che un giorno non troppo lontano il parlamento italiano possa approvare una legge pro-Internet che rafforzi l’infrastruttura nella direzione della banda larga, tuteli la libertà degli utenti, dia possibilità di collegarsi ovunque e, come già successo in Islanda e Finlandia, dichiari Internet un diritto fondamentale dell’individuo.

26.9.09

La libertà di informazione in Rete - FIRMA

Lo scarso impegno della politica nella diffusione della banda larga sul territorio e nell’alfabetizzazione informatica della popolazione e l’inarrestabile susseguirsi di iniziative legislative volte a scoraggiare l’utilizzo della Rete come veicolo di diffusione ed accesso all’informazione costituiscono indici sintomatici della ferma volontà di non consentire che la Rete giochi il ruolo che le è proprio: primo vero mezzo di comunicazione di massa ed esercizio della libertà di manifestazione del pensiero nella storia dell’umanità.
L’emendamento D’Alia sui filtraggi governativi dei contenuti, il DDL Carlucci contro ogni forma di anonimato, il DDL Lussana finalizzato ad accorciare la memoria della Rete, il DDL Alfano attraverso il quale si vorrebbero applicare all’intera blogosfera le disposizioni in tema di obbligo di rettifica nate per la sola carta stampata e, infine, il DDL Pecorella – Costa, con il quale ci si prefigge l’obiettivo di trasformare ex lege l’intera Rete in un immenso quotidiano e trattare tutti i suoi utenti da giornalisti, direttori o editori di giornali non possono lasciare indifferenti.
Esiste il rischio, ed è elevato, che ci si risvegli un giorno non troppo lontano e ci si accorga che la Rete è spenta e che la prima e l’ultima speranza di uno spazio per l’informazione libera è naufragata.
Muovendo da tali premesse riteniamo importante che la blogosfera e la Rete italiana partecipino alla manifestazione del 3 ottobre per la libertà di informazione, sottolineando che esiste una “questione informazione in Rete” che non può e non deve passare inosservata perché se la libertà della stampa concerne il presente quella della blogosfera riguarda, oltre il presente, il futuro prossimo di ciascuno di noi.
L’auspicio è pertanto che quanti hanno a cuore le sorti dell’informazione in Rete, il 3 ottobre aderiscano alla manifestazione chiedendo alla politica che, in futuro, ogni iniziativa governativa o legislativa si ispiri a questi elementari principi di libertà e democrazia che costituiscono la versione moderna dell’art. 11 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino:
La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi per l'uomo: quindi ogni cittadino può parlare, scrivere, pubblicare in Rete liberamente, salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge.
Nessun sito internet può formare oggetto di sequestro o di altro provvedimento che ne limiti o impedisca l’acceso se non in forza di un provvedimento emesso dall’Autorità giudiziaria nell’ambito di un giusto processo.
L’attività di informazione on-line di tipo non professionistico e non gestita in forma imprenditoriale è libera ed il suo svolgimento non può essere soggetto ad alcun genere di registrazione o altro adempimento burocratico.
La disciplina sulla stampa e quella sull’editoria non si applicano alle attività di informazione on-line svolte in forma non professionistica ed imprenditoriale.
Nessuno deve venir molestato per le sue opinioni, fossero anche sediziose, purché la loro manifestazione non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla legge.

11.3.09

Per blog e forum non valgono le stesse garanzie della stampa

Gli interventi dei partecipanti al forum online non possono essere fatti rientrare nell'ambito della nozione di stampa”, ma sono piuttosto equiparabili “ai messaggi che possono essere lasciati in una bacheca”.
Blog, forum di discussione aperti, newsgroup, mailing list e così via, non possono dunque avvalersi “delle guarentigie in tema di sequestro che l'art.21, comma 3, della Costituzione riserva soltanto alla stampa, sia pure intesa in senso ampio, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero
”.

Con questa motivazione, i giudici della terza sezione penale della Corte Suprema di Cassazione hanno confermato la legittimità del sequestro preventivo di alcune pagine web del sito dell'Aduc, disposto a novembre del 2006 dalla Procura della Repubblica di Catania dietro denuncia dell’associazione Meter di Don Fortunato Di Noto per il “fondato pericolo” che la permanenza in rete dei messaggi potesse “aggravare o protrarre le conseguenze del reato stesso dato che chiunque può liberamente continuare ad immettere messaggi dello stesso contenuto”.

L'associazione di don Di Noto aveva accusato Aduc di pubblicare messaggi di “vilipendio della religione” offensivi per gli handicappati e di natura “hard-porno”.
In un fax all’associazione, Meter spiegava di non voler invocare una censura (“ce ne guarderemmo!”) bensì la possibilità di moderare un forum che “nel contesto dell'Aduc non crediamo possa contenere tali messaggi”.
Nel contempo all’Aduc veniva comunicato che era già stata depositata una denuncia.

Aduc aveva quindi fatto ricorso presso il Tribunale del Riesame di Catania che però, pur giudicando illegittimo il sequestro preventivo, aveva disposto il sequestro non già dell'intero forum, ma solo degli interventi incriminati, quelli cioè di tre utenti contro i quali il pubblico ministero ha ritenuto di dover procedere per vilipendio.

“Non ci fermeremo fino a quando il diritto alla libertà di espressione non verrà riconosciuto a tutti”, spiegava Aduc, annunciando il ricorso in Cassazione.

La Cassazione, con sentenza n. 10535, tuttavia, ha confermato la posizione delle autorità giudiziarie catanesi, ritenendo che i commenti di alcuni utenti non offendevano solo la religione cattolica “mediante il vilipendio dei suoi fedeli e dei suoi ministri”, ma superavano “i limiti del buon costume” con accenni espliciti alla pratica della pedofilia da parte dei sacerdoti come mezzo per diffondere “il sacro seme del Cattolicesimo”.

La Suprema Corte non ha accolto quindi le motivazioni dell’Aduc, secondo cui ai nuovi strumenti di comunicazione online dovrebbero essere garantite le stesse garanzie legali della carta stampata, ritenendo anzi che blog, forum, chat, messaggi istantanei et similia “non possono essere qualificati come un prodotto editoriale, come un giornale online o come una testata giornalistica informatica”, soltanto per il “semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da coloro che si siano registrati nel forum”.
I novi mezzi di espressione del proprio pensiero – nel caso in particolare dei forum online - insomma sono “una semplice area di discussione dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole ed agli obblighi cui e' soggetta la stampa o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro”.

Immediato il commento di Aduc, che sottolinea come la sentenza della Cassazione “ha stabilito la legittimità della censura per tutto ciò che non è stampa”.
“Evidentemente – sottolinea l’associazione in una nota - rispetto alle leggi che disciplinano le libertà di espressione dei cittadini, la stampa gode di una sorta di immunità o "via preferenziale". Un esempio: se il giornalista Tizio scrivesse un pensiero contrario al buon costume su un quotidiano non potrebbe essere censurato, contrariamente al comune cittadino Caio che manifestasse lo stesso identico pensiero su un forum in Internet. In altre parole, per la Cassazione esistono le libertà di serie A e quelle di serie B. E quelle legate alla libera manifestazione del pensiero individuale di chi non è giornalista sono di serie B”.

La sentenza non mancherà di far discutere, con il mondo dei blog già in fermento per la forte vena censoria intravista nell’emendamento del Sen. Giacomo D’Alia dell’UDC, contenuto nel pacchetto sicurezza.
Contro l’emendamento si è scatenata una vera e propria offensiva, sostenuta da Libera/Rete, secondo cui la norma è “inutile e dannosa”.
Inutile perché “viene introdotta in nome della lotta contro i reati di istigazione a delinquere via internet quando esistono già numerose misure giuridiche atte a perseguire eventuali abusi e reati commessi tramite internet”.
Dannosa perché la previsione di perseguire chiunque “inviti a disobbedire alla leggi”, spiega Libera/Rete, è così vaga “da consentire di colpire qualunque espressione critica, qualunque informazione che possa “disturbare il manovratore”, qualunque linguaggio non in sintonia con quello del potere dominante e del pensiero unico”.

Speriamo, che “non si formino 'ronde digitali' per segnalare alla magistratura i siti scomodi”, ha auspicato Jacopo Venier (Pdci), annunciando che verrà chiesta a breve un'audizione alla commissione affari costituzionali della Camera, che oggi ad esaminare il pacchetto sicurezza.

key4biz.it

5.4.07

Rapporti Nielsen e Technorati: web 2.0 e blog all'italiana

Il web 2.0, web sociale, o ancora My.internet, come lo chiamano i ricercatori di Nielsen//NetRatings, va a gonfie vele anche da noi. I dati sono incoraggianti, perché a gennaio di quest'anno più della metà dei navigatori italiani (il 56 per cento) sono entrati in siti 2.0. Sono soprattutto uomini e soprattutto giovani (dai 18 ai 34 anni). E' il primo profilo tracciato dal nuovo Osservatorio web 2.0 creato dalla società di ricerca, che d'ora in avanti darà dati e trend anche del web di seconda generazione all'italiana.

Che qualcosa si muova, con estrema velocità, nel web nostrano è sempre più lampante. Proprio oggi Technorati ha rilasciato il suo consueto rapporto trimestrale sullo stato della blogosfera mondiale, che riguarda, in questa uscita, l'ultimo trimestre del 2006. E, sorpresa, tra le nazionalità l'Italia risale la china, si accosta agli spagnoli, supera i francesi (che in passato sono stati più prolifici di noi) e si colloca al quarto posto tra le lingue parlate nei blog mondiali. La cui classifica recita così: lingua più parlata è il giapponese (37%); secondo posto per l'inglese (in discesa rispetto ai precedenti report, con il 36%); terzo posto per il cinese (8%); quarto, pari merito, per spagnolo e italiano (3%); quinto per francese, russo e portoghese (2%); sesto per tedesco e farsi, che entra per la prima volta nella top ten delle lingue più diffuse nei blog. Il fenomeno dilagante è dunque quello della diffusione della socialità e dei contenuti generati dagli utenti nel Medio Oriente.

In generale, mentre nel mondo si creano 1,4 blog al secondo ogni giorno, ovvero 120mila nuove entrate in rete ogni 24 ore, l'Italia tutto sommato reagisce con estremo interesse alla possibilità di inserire user generated contents. Nielsen//NetRatings distingue diverse tipologie di siti nella famiglia 2.0: dalle "community" formate da 8 milioni di utenti (la categoria più gettonata), al gruppo dei "giganti" formato dalla triade dei più noti, YouTube, MySpace e Wikipedia (con un totale di 7 milioni di navigatori), alla categoria dei "blog" e a scendere, ancora, i siti di video, quelli di sharing e hosting fotografico, quelli di social searching, quelli di virtual life.

(visionblog)