Nei decenni successivi il nuovo ambito disciplinare venne consegnato alle mode di breve durata. Bisognava attendere gli anni `80 per assistere alla resurrezione del prefisso cyber rinato nelle forme letterarie post-moderne e post-lisergiche, in cui le macchine si erano ormai trasformate in entità temibili e deliranti
Ascesa, caduta e risalita di un termine coniato nel 1945 e diventato presto un passe-partout. I calcolatori erano ancora delle enormi macchine-edificio ma la metafora inventata da Wiener per legare dinamiche umane e sistemi artificiali inaugurava le condizioni per una rivoluzione culturale pari a quella provocata dalla psicoanalisi
PAOLO MAROCCO
Stati Uniti, 1945: in occasione di un convegno a Princenton Norbert Wiener coniava il termine Cibernetica. Wiener era un distinto professore di matematica di origine russa, ex bambino prodigio (a undici anni aveva già terminato gli studi superiori), plurilaureato in matematica, fisica e biologia, che avrebbe in seguito contribuito al progetto dei primi calcolatori elettronici. Le sue competenze multidisciplinari lo condussero però verso progetti più ambiziosi, nei quali affrontava il rapporto tra dinamiche umane e sistemi artificiali. I nuovi principi cibernetici vennero ben presto adottati da sociologi, biologi, psicologi, e perfino da economisti; nei primi anni `60 il termine era ormai un pass-partout che aveva perfino varcato le soglie dei consigli di amministrazione delle multinazionali, sinonimo di modernità efficiente e tesa a massimizzare i profitti. È vero che i calcolatori erano ancora delle enormi macchine-edificio con impieghi limitati a processi gestionali e militari, ma la metafora attecchiva bene, e Wiener avvertiva che avrebbero potuto esserci le condizioni per una rivoluzione culturale come quella provocata dalla psicoanalisi cinquant'anni prima.
A tutto si pensi tranne che a un visionario: il sistema concettuale di Weiner riprendeva le teorie di Shannon, che riproponevano metodi statistici applicati alle nuove parole chiave della modernità: informazione e comunicazione. E la statistica, qualche decennio prima, aveva rivoluzionato la fisica delle particelle, quindi sembrava possedere le migliori credenziali per operare un rinnovamento matematico delle scienze umane. Ma la storia avrebbe contraddetto i facili entusiasmi: la cibernetica si sosteneva eccessivamente su modelli di basso livello per avere consistenti e concrete applicazioni nel mondo bio-psicologico, e l'economia aveva già alle spalle una rilevante storia di modellistica matematica. Nei decenni successivi il nuovo ambito disciplinare venne consegnato alle mode di breve durata, alla stregua dell'Hula-Op. Occorrerà attendere gli anni `80 per assistere alla resurrezione del prefisso cyber dalle ceneri del neologismo coniato dal canuto professor Wiener, rinato nelle forme letterarie post-moderne e post-lisergiche, in cui le macchine si erano ormai trasformate in entità temibili e deliranti.
Uno dei monumenti al rapporto uomo-macchina è un famosissimo film, in qualche modo correlabile alla rinascita del cyber, Blade Runner, tratto da un romanzo che sarebbe diventato altrettanto famoso, Do the Androids Dream of Electric Sheeps? di Philip K. Dick, che risaliva al `68. Il romanzo sostiene un assunto di carattere razionalista e innatista sulla coscienza degli androidi che Dick riprende da alcune linee di ricerca dell'intelligenza artificiale, derivate a loro volta dagli studi linguistici di Noam Chomsky. Gli androidi di Blade Runner non possiedono ricordi reali, ma degli innesti di ricordi. Nel racconto questo aspetto è cruciale, perché sono proprio i ricordi simulati a tradire gli essere artificiali nel loro tentativo di imitare l'umano, e il VK Test è micidiale nel scovarne le differenze. Nonostante il film di Scott sia diventato uno dei più grandi ricettacoli di idee e immagini sugli automi in abiti umani, la questione degli «innesti cerebrali» offre ancora nuovi spunti epistemologici. La debolezza mentale degli androidi risiede concettualmente nei limiti del programma linguistico razionalista, ovvero l'intelligenza e la facoltà di linguaggio dell'androide sono vincolati a un bagaglio fissato di notizie ed esperienze: una sorta di eredità genetica artificiale già organizzata in un sapere di alto livello.
L'androide non cresce sbagliando, non detiene un dispositivo di autoregolazione rispetto ai nuovi input che gli offre il mondo, anzi teme l'errore perché lo costringe a uno smascheramento della sua imperfezione. Nel film, dove il regista si sofferma a esporre i diversi manufatti bio-tecnici delle sofisticatissime macchine, vengono trascurati i processi di apprendimento. L'ordine materiale prevale sul mentale, o meglio, è possibile mostrarlo con meno rischi e difficoltà. Di certo gli androidi di Blade Runner non seguono un approccio empirista, basato su un riconoscimento graduale della realtà di carattere statistico, dove quella data parola con cui designo un oggetto diventa vera perché viene riconosciuta molte volte, mentre quell'altra che non si stabilizza in un nessun significato possiede una bassa probabilità di essere utilizzata, e si autofalsifica.
I limiti mentali degli automi del film costituiscono una metafora non casuale di quel che avveniva nello stesso periodo in ambito scientifico, relativamente agli studi sui modelli matematici del linguaggio. Il progetto razionalista dell'intelligenza artificiale crollava rispetto ai risultati offerti da macchine che non andavano molto più in là delle nozioni che erano state scritte nel loro codice. Anche i nuovi dibattiti su mente e cervello, condizionati da una tecnologia di calcolo sempre più potente e disponibile, consegnavano le macchine a un mondo meccanicista sterile e un po' ottuso. Ma ecco che i presupposti della cibernetica riapparvero, scrollandosi quel prefisso cyber da modernariato informatico, diventato oltretutto pericoloso per l'aggiunta dell'appendice punk.
La nuova cibernetica, che non si chiamava più così, recuperava le prospettive empirico-statistiche che aveva intuito Robert Wiener. In particolare, riassumeva le posizioni forti del modello empirista, non basato su strutture iniziali ben formate, ma su strumenti che possono crescere man mano in base ad associazioni casuali, e riconoscimento di oggetti via via sempre più complessi. Nel decennio successivo la rete internet, anticipata, seppur secondo scenari visionario-appocalittici, dal ramo maledetto del cyber, avrebbe costituito il terreno eterogeneo di un universo multi-linguistico, dove le metodologie statistiche sarebbero diventate lo strumento indispensabile per la ricerca delle informazioni. E tra non molto per la sintesi e l'interrogazione dei loro significati.
il manifesto
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