di GIOVANNI BOLLEA
L’agghiacciante episodio dell’indiano bruciato a Nettuno, e che ancora lotta per sopravvivere mi ha riempito di terrore e ha rafforzato in me l’idea della quale poco prima avevo già scritto. Cioè la necessità di un rapporto stretto tra padri e figli, per conoscere ed evitare qualsiasi azione balorda o addirittura criminale, rafforzata dall’uso di alcol e droga. Problema grave, gravissimo. Che impone ai padri un’attenzione spasmodica sulla vita scolastica e sul tempo libero dei ragazzi.
Mi chiedo qual è la responsabilità morale per esempio di un padre dinanzi a questa notte di ferocia e di efferatezza. Le mie riflessioni su questo argomento si sono ripetute nel corso degli anni, quasi come una nota accademica, per risvegliare responsabilità paterna sulla vita fuori casa, sull’età, sulla famiglia, sulle abitudini, sugli abusi e sulle dipendenze di amici e compagni. Perché è inequivocabile che il padre e la madre debbano continuamente insegnare ai figli che cos’è la gravità e la responsabilità morale di un’azione. Al prezzo di spaventosi e tragici risvegli dopo lo sballo che purtroppo non è più soltanto quello del sabato sera.
Occorre intuire, immaginare, capire in tempo le azioni dei propri figli. Soprattutto al termine di quelle serate concluse in compagnia di personaggi che spessissimo il genitore non si sogna neppure di conoscere. Quanti sono gli adolescenti che hanno commesso delle efferatezze denunciandole poi come forme infantili di un’azione criminale? Come può essere quantificata la responsabilità morale di questi genitori rispetto ad una realtà così devastante? Il gravissimo episodio di Nettuno ripropone con prepotenza l’urgenza della lotta su cui io insisto da decenni in forma mai abbastanza esagerata. I genitori, e il padre in particolare, devono adottare un sistema di indagini veramente approfondite e non fidarsi mai sul piano concreto, anche se a priori non deve essere tolta la fiducia morale ed affettiva che coinvolge la parola d’onore. Una cosa non deve escludere l’altra. Se il figlio dice “ti do la mia parola d’onore che non bevo e non mi drogo”, questa oggi non può più bastare.
Io so per esperienza, e lo sanno tutti i neuropsichiatri infantili, che durante la tarda adolescenza c’è sempre un momento di sbandamento, di debolezza morale e di compiacenza nei confronti degli amici più adulti. Ma non solo. Esiste addirittura l’emulazione incondizionata, che sfocia quasi in una gara di forza e di violenza. Rispetto a quello che è accaduto l’altro ieri, sono convinto che la lettura che se ne farà sarà molto superficiale. Pochissimi si renderanno conto di quanto la scuola sia assolutamente responsabile, insieme alla famiglia, di ciò che è avvenuto. Ho seguito e incontrato più volte insegnanti disperati per l’irresponsabile reazione di offesa e di suscettibilità da parte dei genitori che si rifiutano di riconoscere nel proprio figlio il bullo, il drogato, l’alcolista. Affermando che i propri figli non danno nessun motivo di sospetto. Infatti, abbiamo scoperto già da tempo che ricevono istruzioni ben precise addirittura dai blog da loro frequentatissimi, per ingannare i genitori e gli insegnanti sulle loro dipendenze. E cioè, come presentarsi puliti dalla droga, come presentarsi apparentemente lucidi quando invece sono in preda all’alcol, come controllare e orientare le proprie reazioni neurolettiche e comportamentali affinché non ci sia possibilità di interpretazione attraverso tremiti, tic, addirittura arrossamenti degli occhi, che con qualche goccia di collirio riescono a dominare. Non solo noi tecnici sappiamo bene quanto in Internet siano distribuiti consigli ad anoressici e bulimici affinché riescano a nascondere ai genitori ed ai terapeuti i sintomi della loro patologia.
Quante volte è capitato a qualcuno di voi, specie durante le vacanze, di non aver seguito uno o due o più momenti di evasione dei vostri figli? Può quindi un padre non sentirsi moralmente partecipe di un atto criminoso che venga commesso dai propri figli? Le mie parole, che sembreranno esagerate, ripropongono l’impellenza di un rapporto intimo e umano fra padri e figli. Questa vicinanza e controllo devono essere costanti. Perché il figlio deve essere accompagnato, visto, studiato e approfondito rispetto alla superficialità del contesto in cui si muove giorno dopo giorno, lottando contro l’emulazione e l’imitazione del gruppo. Ricordatevi che l’adolescente deve sempre agire confrontando l’atto che sta per compiere con il giudizio del padre che lui stima. Non dimenticando mai che il pensiero della madre dovrebbe fermarlo. Il dramma è proprio questo: la separazione fra la preparazione culturale e pedagogica del padre e della madre e la realtà che i figli ogni giorno devono affrontare. E pensiamo alle persone dal più povero al meno povero cresciute in un contesto che va solo dalla partita di calcio al bar del quartiere, le quali come massima prospettiva hanno le vacanze alle Maldive e l’automobile nuova. Genitori che vivono queste mitologie così riduttive, largamente omologate, e prive di ideali e di valori, che cosa possono trasmettere ai figli?
Perché il mio pensiero ossessivo è sempre stato quello di riuscire a concretizzare un vero incontro tra figlio e padre consapevole e preparato al suo compito di educatore. Che è particolarmente importante nel momento più vivo dello sviluppo affettivo, emozionale e intellettivo del figlio. Una delle genesi più forte del dolore che ho avuto riflettendo sull’accaduto è stato proprio il pensiero dei genitori che sono venuti a conoscenza di tanta ferocia assurda. Un fatto ancora più grave rispetto all’abissale crudeltà di bruciare i corpi dei bambini e degli adulti nei forni crematori dei campi di concentramento. Perché questo episodio è stato ancora più forte, essendo dettato da un lucido e responsabile divertimento.
messaggero.it
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