24.2.09

Gli Zombie del credito

(da La Repubblica)
PAUL KRUGMAN

Il collega Greenspan vuole che prendiamo possesso dei vertici dell'economia. Beh, non esattamente. Ciò che ha detto Alan Greenspan, ex presidente della Federal Re serve - nonché strenuo difensore del libero mercato - per la precisione è stato: «Potrebbe essere necessario procedere a una temporanea nazionalizzazione di alcune banche».
Privatizzarle con l'obiettivo di rendere più facile una loro ristrutturazione in tempi rapidi e con ordine». Condivido pienamente.
Gli argomenti validi adducibili a favore della nazionalizzazione si basano essenzialmente su tre osservazioni. La prima è che alcu­ne banche di grosse proporzioni sono pericolosamente vicine al baratro, anzi, sarebbero già pre­cipitate nell'abisso se gli investi­tori non avessero dato per sconta­to che sarebbe stato il governo a soccorrerli, qualora se ne fosse presentatala necessità. La secon­da è che le banche devono essere salvate: il crollo della Lehman Brothers ha pressoché distrutto il sistema finanziario mondiale e non possiamo rischiare di lascia­re che altri istituti ancora più im­portanti, come Citigroup o Bank of America, implodano su se stes­si. La terza è che se da un lato è ne­cessario salvare le banche, dal­l'altro il governo degli Stati Uniti non può permettersi, né da un punto di vista fiscale, né da un punto di vista politico, di elargire grossi regali agli azionisti delle banche.
Cerchiamo però di esser e prag­matici. Esistono ragionevoli pos­sibilità - per quanto non si possa ancora parlare di certezze - che Citi (Citigroup) e BofA (Bank of America) possano perdere com­plessivamente entro i prossimi anni centinaia di miliardi di dol­lari. E i loro capitali, gli asset eccedenti i loro passivi, non sono nemmeno lontanamente suffi­cienti a coprire queste perdite presunte.
Forse, l’unica ragione per la quale non sono già fallite è che il governo sta fungendo da rete di contenimento, a garanzia impli­cita delle loro obbligazioni. Si tratta in ogni caso di banche-zombie, incapaci di fornire quel credito di cui necessita l'econo­mia. Per porre fine al loro status di zombie, le banche hanno un bi­sogno vitale di maggiori capitali, che non possono attingere più da investitori privati: da qui la neces­sità che sia il governo a fornire i fi­nanziamenti necessari.
Ecco il problema, però: i finan­ziamenti necessari a riportare pienamente in vita queste ban­che supererebbero di gran lunga per ammontare il loro stesso va­lore attuale. Citi e BofA hanno insieme un valore di mercato infe­riore a 30 miliardi di dollari. In realtà, perfino questo presunto valore si basa principalmente (se non interamente) sulla speranza che gli azionisti ottengano una parte di ciò che il governo distri­buirà sotto forma di sovvenzioni. Di conseguenza, se in sostanza il governo ci mette i soldi, in pratica dovrebbe in cambio ottenere la proprietà di questi istituti.
Ma la nazionalizzazione non era qualcosa di totalmente alieno all'America? Niente affatto: è americana tanto quanto la torta di mele. Negli ultimi tempi la Fe­derai Deposit Insurance Corporation sta rilevando banche che reputa essere insolventi al ritmo di due a settimana. Quando la Fdic procede a tale operazione, si appropria degli asset negativi della banca, salda parte dei suoi debiti e rivende a investitori pri­vati l'istituto bancario riassesta­to. Questo è esattamente ciò che i propugnatori della nazionalizza­zione temporanea auspicano di veder realizzato, non soltanto nel caso delle piccole banche di cui la Fdic sta assumendo il controllo, ma anche delle grosse banche in­solventi nello stesso modo.
La vera domanda da porsi è perché l'Amministrazione Obama continui a venirsene fuori con proposte che sembrano plausibi­li alternative al processo di nazionalizzazione, ma che in realtà si rivelano comportare ingenti sov­venzioni agli azionisti delle ban­che.
Per esempio, l'Amministrazio­ne in un primo tempo aveva ven­tilato l'idea di offrire alle banche garanzie contro perdite o asset problematici. Ciò avrebbe rap­presentato un gran bell'affare per gli azionisti delle banche, ma non altrettanto per il resto di noi: se esce testa vincono, se esce croce ci rimettono i contribuenti.
Adesso l'Amministrazione parla di una «partnership tra pub­blico e privato» per acquisire as­set problematici dalle banche. A tal fine, il governo dovrebbe pre­stare i soldi agli investitori del settore privato e ciò di fatto offrireb­be loro una "one-way bet", ovve­ro una scommessa a senso unico: se gli asset aumentano di prezzo, gli investitori ci guadagnano; se calano considerevolmente, gli in­vestitori possono ritirarsi e lasciare che ad accollar­sene l'onere sia il governo. Anche in questo caso dun­que, se esce testa vincono, se esce croce ci rimettiamo in ogni caso noi.
Perché dunque non procedere direttamente alla nazionalizzazione? Sappiatelo: quanto più a lungo convivremo con queste banche-zombie, tanto più difficile sarà porre fine alla crisi economica.
Come dovrebbe svol­gersi la nazionalizzazio­ne? Tutto ciò che l'Ammi­nistrazione deve fare è prendere sul serio lo "stress test" da lei stessa messo a punto per le ban­che più grosse, e non occultarne i risultati quando una di esse non riesce a superare tale test, ren­dendo inevitabile la sua acquisizione. Ebbene sì, l'intera operazione ripor­terebbe vagamente alla mente Claude Rains, nei momento in cui un governo che da mesi puntella e sostiene le banche dovesse dichiararsi al­l'improvviso sconvolto e comple­tamente sbigottito per la misera­bile situazione dei loro bilanci.
Ma va bene così. Ancora una volta, l'obiettivo di tutto ciò non è che il governo ac­quisisca proprietà a lungo termi­ne: al pari delle piccole banche ri­levate di settimana in settimana dalla Fdic, le banche più grosse dovrebbero fare ritorno al con­trollo dei privati quanto prima possibile. Il blog di finanza Calculated Risk suggerisce di utilizzare il termine "pre-privatizzazione", invece di definire l'intero proces­so "nazionalizzazione".
L'Amministrazione Obama, dice Robert Gibbs, porta­voce della Casa Bianca, crede che «il sistema giu­sto e corretto per proce­dere sia un sistema ban­cario di proprietà priva­ta». Lo stesso crediamo noi tutti, ma per il mo­mento per le mani non ci troviamo un'imprendito­ria privata, bensì un socia­lismo-bidone: le banche ottengono benefici, ma i rischi li corrono i contri­buenti. E tutto ciò signifi­ca una cosa soltanto: te­nere in vita le banche-zombie, precludendo la ripresa economica.
Noi, invece, vogliamo un sistema nel quale le banche si accollino anche gli svantaggi oltre che beneficiare dei vantaggi: e la strada giusta verso un si­stema di questo tipo passa solo attraverso la nazio­nalizzazione.

©2009 The New York Times
Traduzione di Anna Bissanti

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