Rivive in un volume anche la stagione «dimenticata» Dopo l' esordio a Rio de Janeiro venne qui a dirigere l' Aida. Nel 1951 il ritorno tra lacrime e commozione In extremis Il maestro fu sfidato a duello da un ufficiale di cavalleria, ma intervenne il vicesindaco che evitò il sangue
Voghera, 1951. Arriva in città un' automobile, che giunge da Genova, con a bordo Arturo Toscanini e Orio Vergani. Sosta all' allora pasticceria Fossati &Tomaghelli. Il celebre direttore scende, guadagna un tavolo e poi chiede con piglio sicuro, nonostante la veneranda età: «Esiste ancora quel teatrino nel quale io diressi, quasi ragazzo, tanti anni fa?». La risposta non si fece attendere: «Certo, maestro, è quasi davanti a noi...». Il vecchio signore del podio espresse a quel punto il desiderio di rivederlo, seppur per un momento. Si crea un gruppo, guidato dalle autorità subito accorse, si accendono le luci e Toscanini, che non era facile alle lacrime, ha negli occhi un luccichio imprevisto. «Grazie, grazie - sussurra - avevo soltanto 22 anni quando diressi qui. Era una delle mie prime stagioni». L' episodio, carico di ricordi e di storia, è poco noto ed è ora narrato nel libro di Vittorio Emiliani Vitelloni e Giacobini (Donzelli, pp. 288, 16). Una sorta di diario brillante, scritto tra Voghera e Milano in un periodo carico di aspettative, dove appare un Arbasino giovane, lo stesso Emiliani con i calzoni corti, Giuseppe Tarozzi (critico musicale e poi all' ufficio stampa del Comune di Milano), Italo Pietra, gli artisti che si ritrovavano nei bar di Brera, le stagioni del ricordato Teatro Sociale, i giornali locali tra cui «Il Cittadino», Paolo Grassi, Elio Vittorini e troppi altri personaggi che non riusciamo a elencare. Toscanini è fatto rivivere tra queste pagine anche per la stagione vogherese del 1889, allorché la Società del Teatro ebbe il coraggio di chiamare da Parma il giovane Arturo che aveva già un bel caratterino. Dopo l' esordio a Rio de Janeiro nel 1886, il maestro venne qui per dirigere un' Aida e una Norma (opera, quest' ultima, che mai realizzerà in tutta la sua carriera). Emiliani ricorda le sue battute, la mondanità vogherese che lo coinvolgeva, soprattutto non tace gli incidenti con l' orchestra e la compagnia. A un violoncellista che non riusciva a dirozzare rivolse, dopo averlo bloccato, queste parole che suonarono terribili nel silenzio generale: «Lei domani porti una sega. Almeno taglierà un po' di legna». Del resto, durante un' ennesima prova, lanciò la bacchetta sul naso del suonatore del corno da caccia. Ma l' incidente più gustoso fu con il soprano. Riluttante a nuove prove, la poverina si era accomodata su una sedia e non trovava più ragioni per alzarsi. Il maestro non fu delicato: «Va bene che sei seduta sulla parte migliore di te, ma quest' aria qua la devi riprovare da capo, perdio!». In sala si udì un commento indignato. Toscanini guardò in giro e vide in un palco un ufficiale di cavalleria che, probabilmente, stravedeva per la cantante; era riuscito a entrare, e ora interveniva. Fermò l' orchestra, pose la bacchetta sul leggio e scandì infuriato: «Chi ha fatto entrare quel pagnottista?». Era un insulto a sangue, a cui seguì una sfida a duello. Emiliani racconta che Toscanini era pronto a battersi ma intervenne il vice-sindaco, Desiderio Beltrami, che evitò la sfida all' ultimo sangue. Salvando in tal modo tanta musica. Il libro Il libro di Vittorio Emiliani Vitelloni e Giacobini. Voghera-Milano fra dopoguerra e «boom» (Donzelli) è una densa e vivace autobiografia scritta in un osservatorio che si rivelerà come privilegiato. Ci sono i giornali di provincia degli anni Cinquanta (laboratori per un mondo migliore), con un Alberto Arbasino già inviato e sempre in viaggio; c' è una vita sociale intensissima con quei protagonisti che assomigliano sovente ai vitelloni di felliniana memoria; c' è una foto di gruppo nella quale si distinguono i profili di Antonio e Camilla Cederna, Paolo Grassi, Italo Pietra, Arrigo Benedetti, Eugenio Scalfari, Ugo Mulas, Nazareno Fabretti. Ci sono infine i luoghi-simbolo che entrano nella storia con riflessi e altro, come il Giamaica di via Brera, il Piccolo Teatro e la Scala al massimo splendore; insomma, nella «capitalina» dell' Oltrepò, sospesa tra l' universitaria Pavia e una Milano europea, c' è la palestra di un' Italia che farà qualcosa. Oltre i ricordi e le storie, c' è il bilancio di una generazione. Che ha avuto più di quanto potesse sperare. (Ar. To.)
corriere.it
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