26.3.09

Esplorazioni in forma di loop - Intervista a Edgar Reitz

di Elfi Reiter
Edgar Reitz, ospite al FilmForum di Udine racconta il suo progetto di far rinascere «VariaVision», installazione di cinema sperimentale anni Sessanta
Il progetto annunciato era il restauro dell'opera VariaVision realizzata da Edgar Reitz (il noto autore dei tre cicli di Heimat) nel 1965, ma di fatto quella installazione per 16 proiettori e 120 schermi - totalmente dimenticata perché difficile e supercostosa da realizzare - è andata quasi tutta perduta. Ce lo dice lo stesso Reitz, raggiunto al telefono a Udine dove si sta svolgendo il FilmForum 09 con un convegno e tre serate di proiezioni, (Dalle origini a internet), con film, tra gli altri, di Pedro Costa, Harun Farocki, Danièlle Huillet e Jean-Marie Straub. Un anno fa il museo di arte contemporanea di Monaco, Haus der Kunst, aveva offerto al regista di restaurare l'intero progetto (in collaborazione con l'università di Udine, tramite il laboratorio «La camera ottica» del Dams di Gorizia) ma i negativi dei film collocati in un archivio sono spariti. VariaVision nella sua forma originaria andata in scena nella enorme hall alla fiera di Monaco soltanto quell'anno per cento giorni consecutivi non esisterà più, tranne in tanti documenti d'epoca. Per cui si è deciso di creare una nuova versione intitolata VariaVision 2010, il cui progetto è già pronto sui tavoli delle due istituzioni, con un tema nuovo, eseguito con tecnologie nuove, tutto in digitale. Rimane però da cercare un finanziatore dei vari film da girare. Al centro la ricerca di nuovi valori, permanenti e umani, dato che quelli governati dal denaro finora sono giunti al termine. Sono da trovarsi, dice Reitz, soltanto nelle produzioni artistiche e nell'ambito della cultura, unica prospettiva e di qui il sottotitolo Kino der Horizonte, ossia «cinema degli orizzonti».Quello della versione del 1965 era perpetuum mobile: essa si componeva di tanti corti più o meno astratti che giravano in loop nei proiettori disseminati nell'enorme spazio e associati a un sistema di altoparlanti, di cui alcuni trasmettevano la musica elettronica (composta dal musicista Josef Anton Riedl) e altri il collage di testi scritti appositamente da Alexander Kluge. Con lui, cineasta teorico e scrittore (noto in Italia per aver vinto a Venezia 1968 con Artisti sotto la tenda del circo: perplessi) Reitz aveva fondato nel 1963 l'Institut für Filmgestaltung di Ulm (la cui denominazione significa «creazione cinematografica», e collegato alla Hochschule für Gestaltung, una accademia delle belle arti, era fucina di molti talenti del mondo delle arti visive tedesco, poi chiusa nel 68). «Nacquero in quel contesto i nostri esperimenti, portati avanti con gli studenti per indagare le basi del cinema». Il tema era il viaggio... «Si riferiva al mio corto Geschwindigkeit, essendo la velocità di cui trattava insita nel viaggiare ma anche uno dei punti di vista centrali nelle arti moderne, anzi è il grande mito del XX secolo, basta pensare al futurismo, o alle nuove tecnologie e ai nuovi media. Il tema del viaggio era riferito alle macchine veloci, al passare veloce nel mondo, per dare un nuovo volto del mondo e tracciare una mappa di impressioni fuggenti». Nello spazio espositivo a Monaco erano previsti spazi comodi per sedersi affinché il pubblico potesse concentrarsi nella visione e nell'ascolto, quasi un suggerire il montaggio in diretta nella propria testa? Reitz si affretta a dire che era «una cineperformance astratta basata sulla libera associazione delle immagini» e sottolinea che senza VariaVision non avrebbe mai fatto Heimat. «È stato propedeutico per rispondere alla domanda: che cos'è il cinema? Per me è un incontro tra pubblico e schermo, e ho voluto sperimentarne il funzionamento specifico, al di là di una storia con un inizio e una fine. VariaVision si poteva guardare per tre minuti o per tre giorni, non era mai uguale, perché i singoli piccoli film erano proiettati ognuno per sé, ripetutamente, e avendo ognuno una durata diversa andavano creandosi sempre nuove combinazioni. Ero curioso di quanto tempo le persone si sarebbero fermate a guardare, per scoprire quanto sarebbero state attente nel caso di un film molto lungo: il fulcro non era l'aspetto narrativo ma la forza di attrazione dell'attimo».Alla domanda rispetto quale clima culturale era nato l'esperimento che sembra allacciarsi a quelli del cinema astratto negli anni venti, Reitz precisa che «si trattava di una fuga dal provincialismo e dalle strettezze a livello politico in cui viveva il popolo tedesco negli anni sessanta», in cui si procedeva a ondate concentrate sulle nuove esperienze da fare: dapprima l'«ondata mangerecca», poi l'«ondata dei mobili», in cui ci si focalizzava sulla propria casa e infine quella «del viaggio» per esplorare il mondo che avrebbe influenzato il nuovo modo di vivere e anche la nuova politica in Germania «molto orientata a ciò che si pensa là fuori nel mondo di noi». Fu il quesito centrale del periodo postnazista, c'era - e c'è tuttora -una gran paura rispetto all'opinione sul piano internazionale. Al contrario dell'Italia, il cui governo attuale criticato in tutto il mondo sembra non tenerne conto, in una situazione simile in Germania il governo sarebbe già caduto da tempo...
ilmanifesto.it

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