ADRIANO SOFRI (La Repubblica)
Senza salario, si dissangua per protesta e muore
È successo a Napoli, dove il sangue fa miracoli. Ma non è una storia napoletana, non solo, almeno. Non è nemmeno una storia pazzesca. Vi sembrerà una pazzia se vi fermerete a titoli e sommari: «Si svena per il salario... Muore infermiera...». Poi però guardate quella registrazione su YouTube, e restate interdetti.
Lei è così normale, le cose che dice e il tono con cui le dice sono così persuasive - e intanto quello che fa, attorniata da compagne e compagni di lavoro, è così insopportabile - che la domanda vera diventa questa: come siamo arrivati al punto in cui un atto pazzesco viene pensato e spiegato così ragionevolmente? La domanda era questa già prima che la morte della signora la togliesse dalle cronache locali e la rovesciasse sulle prime pagine.
Ho letto, nei primi lanci di agenzia di ieri, che all´inizio della sua protesta Mariarca Terracciano aveva detto, mentre filmavano il suo salasso: «Lo stipendio è un diritto». Poi ho guardato il video. Aveva detto: «Secondo me, lo stipendio è un diritto della persona». Non è la stessa cosa. Certo, quel «secondo me» può essere stato del tutto gratuito, un intercalare come altri: però, riascoltato, vuol dire che un´ovvietà come «lo stipendio è un diritto» non è, o non è più, un´ovvietà, non è più un´enunciazione oggettiva, è diventata un´opinione. Secondo la signora Mariarca, 45 anni, infermiera alla ginecologia del San Paolo a Fuorigrotta, madre di due figli piccoli, lo stipendio è un diritto. Dunque secondo altri no.
Anche togliersi ogni giorno 150 millilitri di sangue per rivendicare un diritto dovrebbe essere una pazzia, ovviamente, "oggettivamente". E lì invece c´era una lavoratrice che stava di fatto obiettando: Secondo me, buttare il sangue è un modo ragionevole di mostrare che c´è chi gioca con la pelle, con la vita di chi lavora. «Il sangue è vita», ha detto. Certo che si sente il colore di Napoli, l´Asl da diecimila dipendenti, la più numerosa d´Italia, le espressioni dialettali - «Buttare ‘o sangue, jettare ‘o sangue», che sono pressappoco sinonimi di lavorare - e proverbiali, «il lavoro fa buttare il sangue». E tuttavia il discorso di Mariarca T. non era dialettale. «Forse può sembrare quasi un atto di pazzia, però secondo me, è un atto che dimostri che stanno giocando sulla pelle e sulla salute di tutti quanti». (Vorrei sottolineare quel congiuntivo, «che dimostri»...). Non è dialettale, e - ripeto: prima e indipendentemente dalla commozione per la morte di questa signora, e la disputa incresciosa sulle sue cause cliniche - si lega a una sequela impressionante di eccessi di legittima difesa da parte di persone che le risorse tradizionali e nobili del mondo del lavoro non sanno più assicurare. «Sciopero», aveva chiamato con naturalezza i proprii salassi e il proprio digiuno l´infermiera. Non aveva certo messo in conto di morire - solo di dare il sangue. E intanto, da un capo all´altro dell´Italia, ci sono operai restati senza lavoro e salario e piccoli imprenditori non più in grado di far fronte alla responsabilità per i dipendenti e le famiglie, che si ammazzano, per disperazione, o per stanchezza, o magari, come tanto tempo fa, quando ci si vergognava della propria inadeguatezza e delle porcherie altrui, per vergogna. Operai e tecnici che si accampano sulle ciminiere e sui tetti hanno fatto parlare di "nuove forme di lotta", e magari c´è davvero qualcosa su cui fare affidamento, e non solo la corsa al rialzo per farsi vedere, per smettere di essere invisibili: anche Mariarca aveva girato il suo video per una televisione locale, e ora tutti lo guardano in rete, come si guarda un preannuncio, benché involontario, di morte. Ma queste lotte "estreme" sono più probabilmente una retrocessione che una promessa, e non a caso ricordano gesta di prigionieri sepolti vivi che si arrampicano sui tetti e sventolano lenzuoli e gridano al cielo. Operai provetti che vanno a stare nella galera dell´Asinara, l´isolamento in un´isola di punizione. Ieri su questo giornale due pagine raccontavano il Call Center di Incisa Valdarno - Toscana, dov´è bello vivere - in cui perfino un frustino serviva a galvanizzare la produttività dei lavoratori. «Lavoravo in nero - raccontava una ex-dipendente a Laura Montanari - per 600 euro e in certi casi anche 13 ore al giorno, mezz´ora di pausa e se chiedevi di andare in bagno a volte c´era da discutere. Eppure non mi è mai venuto in mente di andare al sindacato, di pensare che avevo dei diritti. Mi svegliavo la notte in preda all´ansia». Non le era venuto in mente che aveva dei diritti. Una frase terribile nella sua semplicità, che fa da complemento e da conferma all´altra di Mariarca: «Secondo me, lo stipendio è un diritto della persona». A lei era venuto in mente.
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