5.5.10

«Questa incertezza è il frutto della delusione per i partiti»

Intervista di Fabio Cavalera allo storico Eric Hobsbawm sulle prossime elezioni in Gran Bretagna (Corriere della Sera)

L’errore del New Labour è stato quello di pensare che l’economia del Regno Unito potesse crescere sulle fortune oscillanti dei mercati finanziari trascurando la solidità delle risorse tradizionali dell’industria. Uno squilibrio che alla fine si è trasformato in bancarotta. Ecco la ragione per cui, dopo 13 anni di potere, i laburisti lasceranno Downing Street. La Gran Bretagna è a una svolta. I conservatori tornano ad essere il primo partito, però rischiano di non avere la maggioranza assoluta in Parlamento. In tal caso, come si risolverà l’incertezza politica? L’occhio critico di un grande storico, Eric Hobsbawm, aiuta a comprendere ciò che accade con le imminenti elezioni.

Professore, negli ultimi 50 anni i britannici hanno prevalentemente scelto fra due partiti, laburisti e conservatori. Ora una terza forza, i liberaldemocratici, spezza il duopolio. Una piccola rivoluzione?

«In verità, nel Ventesimo secolo, il Regno Unito ha sperimentato governi di unità nazionale con la partecipazione di tutti i partiti nelle due guerre mondiali, poi ha conosciuto l’esperienza di governi di coalizione, infine ha avuto governi di minoranza la cui vita dipendeva da altri partiti. Negli anni Venti, quest’ultima fu la situazione in cui si trovarono i governi laburisti che contavano sull’appoggio dei liberali. E ancora: negli anni Settanta né i laburisti né i conservatori avevano un’adeguata maggioranza e, di volta in volta, negoziavano i voti con una molteplicità di forze. Negli anni Ottanta, infine, la spaccatura nel partito laburista e la breve ascesa dei socialdemocratici creò le possibilità di una situazione non con due ma con tre partiti. In breve, il Regno Unito non è stato, esclusivamente, un sistema dominato da due partiti come lo è quello statunitense. Semmai va notato che i governi laburisti hanno dimostrato la vulnerabilità alle terze forze».

Tutti i sondaggi della vigilia suggeriscono che ci sarà un «hung parliament», un Parlamento bloccato, ciò può significare un lungo periodo di instabilità per la politica e i mercati. Sono pericoli reali?

«È difficile prevedere come si comporteranno i mercati nel dopo elezioni ma, nell’incertezza sulla formazione di un nuovo governo, difficilmente la reazione potrà essere positiva. L’hung parliament prolungherà il periodo in cui nessun partito sarà disposto a discutere con sincerità sulle misure spiacevoli e necessarie per affrontare la crisi finanziaria, un eventuale governo di minoranza sarà solo nel prendere queste decisioni».

Se nessun partito avrà la maggioranza assoluta chi formerà il governo?

«Ci sono discussioni di carattere costituzionale su questo punto ma è quasi certo che la regina chiederà al leader del partito che otterrà il maggior numero di seggi in Parlamento di provare a formare il nuovo governo. Il che può essere difficile».

È realistico ipotizzare una coalizione? I conservatori con i liberaldemocratici?

«Dubito che una formale coalizione possa essere la soluzione. Il problema è che, quasi certamente, i membri del partito liberaldemocratico, sebbene non necessariamente Clegg, non sarebbero affatto felici di un collegamento con i conservatori e non coi laburisti. Allo stesso tempo una coalizione dei liberaldemocratici con un governo Labour discreditato non sarebbe digerita bene dalla massa dei votanti LibDem. C’è il rischio, in entrambi i casi, di una spaccatura dei liberaldemocratici. Più probabile, semmai, è un governo di minoranza che si appella agli altri partiti per ottenerne l’appoggio ma, inevitabilmente, è condizionato da essi. Ciò avviene da alcuni anni nel Parlamento scozzese. E funziona bene, grazie all’abilità politica di Alex Salmond, il leader del governo formato dai nazionalisti scozzesi».

Questa incertezza non è il segnale del declino del sistema politico britannico?

«No, è il segnale della delusione e della disaffezione per i due maggiori partiti. La caratteristica di queste elezioni è che, quasi certamente, una maggioranza di votanti è scontenta dei laburisti, ma al tempo stesso non c’è entusiasmo per ciò che dovrebbe essere l’ovvia alternativa, vale a dire per un governo conservatore».

Qual è il bilancio di 13 anni di governo laburista? E quali sono stati gli errori di Tony Blair e di Gordon Brown?

«I tredici anni di governo laburista non sono stati insoddisfacenti, eccetto che per la decisione di Tony Blair di avventurarsi in tanti conflitti armati. Specialmente imperdonabili sono le guerre in Afghanistan e Iraq. Ma, nel mezzo della retorica elettorale sui presunti risultati catastrofici di questi 13 anni, è bene ricordare che non è proprio così. L’errore maggiore del New Labour, condiviso da Gordon Brown, è stato quello di accettare la logica del libero mercato globalizzato, il neoliberismo economico. Ha portato l’economia britannica ad essere sproporzionatamente dipendente da Londra come centro della finanza globale, ha determinato la crescita inaccettabile delle diseguaglianze economiche e l’abbandono delle risorse industriali nazionali. Ciò ha reso la presente crisi economica insolitamente seria nel Regno Unito e ha allargato il deficit finanziario».

Crede che il modello del New Labour sia tramontato per sempre?

«Probabilmente sì, perché l’ideologia che vi è dietro, il neoliberismo economico, è andata in bancarotta».

Nella campagna elettorale è nata la stella di Nick Clegg. Il leader liberaldemocratico potrebbe essere il kingmaker nel dopo elezioni. La Cleggmania è un fenomeno destinato a durare?

«La Cleggmania è la misura della reazione contro entrambi i partiti maggiori. Il futuro politico dei liberaldemocratici è in relazione al risultato delle elezioni e, poiché non avranno la maggioranza assoluta, dipende dalla loro capacità di negoziare con gli altri due partiti nel periodo relativamente breve dell’hung parliament, in cui saranno kingmaker».

Perché Nick Clegg è divenuto così popolare? Merito solo della televisione?

«No, al momento, lui è la voce efficace di un voto di protesta, principalmente del popolo del centro sinistra. Certo. Nick Clegg non era particolarmente conosciuto come leader dei LibDem prima della sua performance televisiva di grande effetto. È stato abile».

David Cameron è il leader di una destra moderna e riformista?

«La signora Thatcher rimpiazzò l’Old British Conservative Party con una organizzazione che propugnava una sorta di guerra di classe in nome del fondamentalismo neo liberista di mercato. Questa tipologia di conservatorismo, dal 1997, non è più vincente. Ed è stata rimpiazzata. La politica di Cameron si è spostata al centro, cercando di rappresentare un conservatorismo con maggiori attenzioni alla società e favorevole a uno Stato efficiente, più leggero ma amico».

Dunque, Cameron è credibile?

«Non c’è dubbio che Cameron sia sinceramente in favore di questo cambiamento. Credo però che egli rappresenti una modesta minoranza fra i politici e gli attivisti conservatori. Circostanza che, nel caso di vittoria dei Tory, restringerebbe la libertà d’azione del premier Cameron mettendolo in difficoltà».

La «Cool Britannia» laburista non esiste più?

«Cool Britannia fu solo uno slogan pubblicitario, vuoto come lo è la maggior parte degli slogan. Però nei 13 anni passati il Regno Unito è diventato il Paese occidentale più innovativo e fiorente nel campo della cultura e dell’arte e certamente il più cosmopolita. Spero che lo rimanga».

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