Massimo Gramellini
Lo confesso: nel leggere le parole del cardinal Bagnasco sull’Unità d’Italia che «è un tesoro per tutti e non va bistrattata» mi sono commosso. Ho pensato al mio unico idolo politico, Cavour, morto gridando in faccia al suo confessore: «Frate, libera Chiesa in libero Stato!». Alle invettive di quel mangiapreti inguaribile di Garibaldi. Alle scomuniche di Pio IX contro Vittorio Emanuele «re di briganti». Al destino zoppo di un Paese nato dall’azione di un pugno di liberali e di massoni, nel disinteresse delle masse analfabete e con l’aperta ostilità della Chiesa, che fin dal Seicento impedì la nascita di uno Stato nazionale, evocando di volta in volta un protettore straniero per impedirla. C’è voluto del tempo, ma ora i nostri padri risorgimentali possono stropicciarsi gli occhi nell’aldilà, scorrendo le interviste patriottiche del cattolicissimo Andreotti e la ferma scelta di campo del capo dei vescovi. Quante lotte, sofferenze e inimicizie per arrivare a pensarla tutti alla stessa maniera. Non fosse che per questo, dobbiamo ringraziare la Lega, che con le sue sparate (l’ultima è il sito web con il rotolo di carta igienica bianco rosso e verde) mi ricorda un compagno delle elementari, il quale disegnava sul sussidiario un paio di corna sopra l’immagine di Garibaldi «che ci ha riempito il Nord di terroni», rivelando così per contrasto a tutti noi il fascino dell’Italia unita.
Già pregusto il Buongiorno che scriverò fra un secolo e mezzo, quando il pronipote di Calderoli inneggerà ai prefetti e al tricolore.
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