7.5.10

Tre ricette per l'euro

di JOSEPH E. STIGLITZ (La Repubblica)

La crisi finanziaria greca ha messo a repentaglio la sopravvivenza stessa dell´euro.

Al momento della creazione furono in molti a porsi delle domande sulla sua fattibilità a lungo termine. Finché tutto è andato bene, queste preoccupazioni sono state dimenticate e la domanda su come si sarebbero dovuti realizzare gli aggiustamenti nel caso una parte dell´eurozona fosse stata colpita da uno shock negativo forte è rimasta senza risposta. La fissazione del tasso di cambio e la delega della politica monetaria alla Bce annullò due degli strumenti principali di cui i governi nazionali possono avvalersi per stimolare le proprie economie in caso di recessione. Che cosa avrebbe potuto sostituirli?
Il premio Nobel Robert Mundell ha individuato le condizioni sotto le quali può funzionare una moneta unica: l´Europa non le assolveva allora e non le assolve adesso. La rimozione delle barriere legali che limitavano la circolazione dei lavoratori ha creato sì un unico mercato del lavoro, ma le differenze linguistiche e culturali rendono impossibile al suo interno una mobilità della forza lavoro analoga a quella americana.
L´Europa, inoltre, non ha modo di aiutare quei paesi che si trovano ad affrontare problemi gravi. Si consideri la Spagna, che ha un tasso di disoccupazione del 20% (40% tra i giovani). Prima della crisi, la Spagna registrava un surplus fiscale, dopo la crisi si ritrova con un disavanzo salito a più dell´11% del Pil. Stando alle norme europee, la Spagna ora deve tagliare la spesa, ma ciò non farà che esacerbare la disoccupazione, e poiché la sua economia rallenta i miglioramenti nella sua posizione fiscale saranno probabilmente minimi.
Qualcuno ha sperato che la tragedia della Grecia facesse capire alla dirigenza politica dell´area euro che la sua moneta non può farcela senza una maggiore cooperazione (inclusa un´assistenza a livello fiscale). La Germania (e la sua Corte Costituzionale) invece, inseguendo in parte il sentimento popolare, si è mostrata recalcitrante a offrire alla Grecia l´aiuto di cui questo paese ha bisogno.
Troppi, sia in Grecia sia fuori dal paese, sono rimasti sorpresi di questa posizione: per salvare le grandi banche sono stati spesi miliardi di euro, mentre salvare un paese di undici milioni di abitanti è apparso come un tabù! Per calmare i mercati si sono susseguite diverse mezze offerte e vaghe promesse fallite tutte. Infine la Ue ha messo insieme un programma di assistenza coinvolgendo l´Fmi. Per i paesi più piccoli della Ue la lezione è chiara: se non riducono i loro deficit di bilancio, il rischio di un attacco speculativo è molto alto, mentre è molto bassa la probabilità che ricevano un´assistenza adeguata da parte dei propri vicini, almeno non senza un ridimensionamento budgetario prociclico doloroso e controproducente. Adottando questo tipo di misure, è probabile che i paesi europei indeboliscano le proprie economie, con conseguenze infauste per la ripresa globale.
Potrebbe essere utile gettare uno sguardo ai problemi dell´euro da una prospettiva globale. Gli Stati Uniti hanno deplorato il surplus della bilancia delle partite correnti cinese (di quella commerciale), eppure, in termini di percentuale del Pil, quello tedesco è ancora più consistente.
Se si assume che per l´eurozona nel suo insieme sia stato previsto un equilibrio, il surplus della Germania implica che il resto dell´Europa deve mantenere un disavanzo. Il fatto che questi paesi importino più di quanto non esportino contribuisce indebolisce ulteriormente le loro già deboli economie.
Gli Stati Uniti hanno anche deplorato il rifiuto della Cina di permettere alla propria valuta di apprezzarsi rispetto al dollaro. Il sistema dell´euro invece prevede che il tasso di cambio tedesco non possa apprezzarsi rispetto a quello degli altri membri dell´area euro. Se il tasso di cambio tedesco potesse apprezzarsi, la Germania incontrerebbe più difficoltà a esportare e per il suo modello economico, basato su un export consistente, la strada non sarebbe così liscia. Al tempo stesso, il resto dell´Europa esporterebbe di più e registrerebbe quindi una crescita del Pil e un abbassamento della disoccupazione.
La Germania - come la Cina - considera il proprio ingente risparmio e la propria abilità a esportare delle virtù e non dei vizi, mentre John Maynard Keynes ha spiegato che i surplus portano a una domanda aggregata globale debole. Le conseguenze sociali ed economiche degli attuali arrangiamenti non dovrebbero essere accettabili. Quei paesi i cui deficit sono lievitati a causa della recessione globale non dovrebbero essere spinti a entrare in una spirale della morte, come accade all´Argentina circa dieci anni fa.
Una delle soluzioni avanzate per questi paesi è quella di elaborare un meccanismo equivalente a una svalutazione, in altre parole, una riduzione indifferenziata dei salari. Ciò, a mio avviso, non è realistico. Le conseguenze a livello distributivo sarebbero inaccettabili, le tensioni sociali che ne deriverebbero sarebbero enormi e quindi la considero una fantasia.
C´è una seconda soluzione: l´uscita della Germania dall´eurozona o la suddivisione dell´area euro in due sottoregioni. L´euro sarà stato in questo caso un esperimento interessante, ma, come il quasi dimenticato meccanismo per il tasso di cambio (Erm o Mce) che lo precedette e che si sfaldò sotto l´attacco degli speculatori contro la sterlina nel 1992, non conta sul supporto istituzionale che necessario per un suo funzionamento.
C´è anche una terza soluzione, che l´Europa potrebbe forse arrivare a considerare la migliore: implementare le riforme istituzionali, inclusa la necessaria impalcatura fiscale, che avrebbero dovuto essere realizzate contestualmente al lancio dell´euro. Non è troppo tardi perché l´Europa attui queste riforme e si dimostri all´altezza degli ideali basati sulla solidarietà su cui poggiò la creazione dell´euro. Se l´Europa però non è in grado di farlo, forse è meglio che ammetta il fallimento e vada oltre, piuttosto che far pagare, nel nome di un modello economico carente, un alto prezzo in disoccupazione e sofferenza umana.

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