La disavventura giudiziaria di Dominique Strauss Kahn, il banchiere snob dagli impulsi erotici non controllabili (i suoi antenati di Neanderthal vestivano peggio, ma erano più evoluti) è terminata nel pieno rispetto del pronostico. Con i soldi della moglie (sufficientemente viziata e antipatica per essere affascinata da un maschio simile) l’imputato ha foraggiato avvocati formidabili e indagini spregiudicate, così da riuscire nell’impresa di trasformare la cameriera vittima in un’approfittatrice e ottenere un verdetto di archiviazione. Ma quel quarto d’ora di libidine alberghiera ha comunque distrutto la carriera politica di DSK. Il quale avrà anche evitato le conseguenze giuridiche dei suoi atti, ma non quelle sociali: le dimissioni dalla presidenza del Fondo Monetario e la rinuncia alla candidatura socialista per le Presidenziali francesi del 2012.
Cosa sarebbe successo in Italia a un suo ipotetico avatar? Esattamente l’opposto. Intanto si sarebbe cementificato alla poltrona: «Per spirito di servizio», «per senso di responsabilità», «perché me lo chiede l’Europa». Poi avrebbe gridato al complotto dei Poteri Forti contro di lui, si sarebbe presentato alle elezioni e le avrebbe pure vinte, indossando quei panni da perseguitato che portano male ovunque tranne che da noi, dove il lamento del farabutto, purché dotato di charme, fa scattare un moto immediato di solidarietà. In compenso, invece che tre mesi il processo per stupro sarebbe andato avanti vent’anni e avremmo visto l’imputato raggiungere la pace dei sensi in tribunale.
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