GIUSEPPE GRANIERI
«La fine dei libri è vicina?», si chiede il romanziere Ewan Morrison. E si risponde da solo: «Si, assolutamente. La rivoluzione digitale, nel giro di 25 anni, ci porterà la fine dei libri stampati. Ma, ed è ancora più importante, gli ebook e la facilità di pubblicazione elettronica segneranno la fine dello scrittore di professione».
Poi rincara la dose: «La rivoluzione digitale non emanciperà gli scrittori nè aprirà una nuova era di creatività: piuttosto significherà che gli scrittori dovranno offrire il loro lavoro per pochi spiccioli o addirittura gratis». E ribadisce: «Scrivere, e vivere di questo lavoro, non sarà più possibile».
L'analisi di Morrison, stimolata dalla tavola rotonda intitolata "La Fine dei Libri" che ha infiammato il Festival di Edimburgo, è molto meditata ed è complessa. Un ragionamento ricco di stimoli interessanti e costruito su una premessa che l'autore ci tiene a condividere con i lettori: «cerchiamo di non guardare a quello che vediamo ora, ma saltiamo una generazione e proviamo ad immaginare come sarà la realtà». Merita una lettura: Are books dead, and can authors survive?.
A margine vanno però aggiunte alcune considerazioni. La prima è che la «Rivoluzione Digitale», come la chiama Morrison, è una grande discontinuità nel modo in cui funzionano le nostre culture. Non è la prima (pensiamo all'introduzione della scrittura o a quella della stampa) e non sarà l'ultima. Ma sicuramente è la prima che accade e porta effetti immediati nell'arco di una sola generazione. Questa velocità di cambiamento (e di accettazione delle innovazioni) è un fenomeno cui non abbiamo ancora del tutto preso le misure. Nel digitale cambia l'unità di misura del tempo: cinque anni sono come venticinque con il metro del ventesimo secolo.
Quindi, è intuitivo, le previsioni a lungo termine semplicemente non sono possibili. Funziona un po' come con altre previsioni, quelle del tempo: fino ad una settimana hanno qualche probabilità di essere previsioni, oltre la settimana diventano descrizioni di scenario. E gli scenari futuri si costruiscono su due aspetti fondamentali: la lettura dei segnali deboli e quello che potremmo chiamare le «aspirazioni».
I segnali che possiamo leggere oggi non ci dicono nulla su come sarà il mondo tra 25 anni, al massimo ci aiutano a capire cosa succederà nel domani digitale. L'accelerazione del cambiamento è talmente rapida da consentirci di prevederla fino a un certo punto, e da obbligarci ad una lettura continua del contesto per mantenere la rotta.
Le aspirazioni invece sono la base di desideri, convinzioni e valori su cui innestiamo la lettura dei segnali deboli. Se abbiamo paura delle cose che cambiano, il nostro scenario sarà tendente al pessimismo. O, al contrario, vedremo un futuro luminoso e pieno di potenzialità.
Quindi cosa possiamo aspettarci? Quello che effettivamente sappiamo è che, al di là dei titoli ad effetto ricchi di morte e allarmismo, nulla muore e molto si trasforma. Va probabilmente separato il destino della carta da quello del libro: la carta non è il libro, è un supporto. E probabilmente è passibile di un destino simile a quello delle pellicole fotografiche o delle videocassette.
Il libro invece, da quello che vediamo accadere, godrà di ottima salute. Sarà persino troppo in salute, dal punto di vista del ventesimo secolo. Affrancandosi dalla carta, il libro abbasserà le sue barriere di ingresso, come già vediamo accadere con il self-publishing, e molte più persone (e idee) avranno accesso alla pubblicazione. Ma affrancandosi dalla carta, il libro sarà anche più facilmente reperibile (saranno tutti allo stesso click di distanza), più economico, più accessibile, più comodo da portare in giro, da conservare, da consultare (la ricerca e l'indice delle annotazioni sono una grande conquista).
Poi, è vero: ogni nuova soluzione porta con sè nuovi problemi. Il digitale, ogni volta che ha toccato l'industria culturale, ha ridisegnato il modo in cui funziona tutto, dall'accesso al sistema dei ricavi. Ci sono una serie di questi nuovi problemi che rimangono aperti: primo fra tutti -il che giustifica le preoccupazioni di Morrison- il problema della remunerazione. Che non riguarda solo l'autore, anzi: riguarda chiunque lavori nella filiera produttiva, dagli editor ai traduttori, dagli uffici stampa ai dirigenti dei gruppi editoriali.
Il sistema sta cambiando, adeguandosi al modo in cui funziona oggi la nostra cultura. C'è un aspetto di questo cambiamento che io trovo rassicurante: l'accelerazione che stiamo vivendo non è imposta da qualcuno e subita dagli altri. Fa parte di un meccanismo generale in cui si introduce un'innovazione e se quella innovazione ha abbastanza consenso, viene accettata dalla società. La chiave del futuro del libro, oggi, sono i lettori: saranno le loro preferenze a determinare la configurazione del mondo editoriale nei prossimi anni.
Su questo fronte, sebbene sembri controintuitivo, abbiamo molto da imparare. Ma soprattutto, se teniamo al futuro del libro, non possiamo restar fuori dal grande gioco dell'innovazione.
Poi come disse una volta Beppe Caravita, grande commentatore della transizione tecnologica, il digitale è ancora un adolescente con un brutto carattere. Siamo appena agli albori del cambiamento, che è molto profondo e che -al momento- ci fa vedere ancora molti problemi irrisolti.
Uno su tutti, la prima ingenua reazione all'amento di scala dei contenuti: come facciamo a trovare il libro buono tra tantissimi libri che strillano per ottenere la nostra attenzione? Anche qui, l'evoluzione del digitale è sempre andata per problemi e soluzioni. Algoritmi e innovazioni in grado di farci districare tra tanti dati in maniera efficace sono la nuova frontiera. Migliaia di menti stanno lavorando su questo fronte. Là dove si percepisce una problema, la soluzione significa mercato: ci sarà sempre qualcuno a cercarla. Poi si troverà, e porterà nuovi problemi. Il digitale non si fermerà mai, si ricomplicherà ogni giorno.
La parte più difficile sarà ridisegnare le regole in base al nuovo modo in cui funzionano le cose. Tutte le regole: dalla logica attuale del diritto d'autore ai sistemi di remunerazione. Ci vorranno anni e molto probabilmente dovremo sempre inseguire la realtà, più veloce ad evolversi dei sistemi normativi e delle organizzazioni.
Ma anche qui i segnali non sono tutti così tremendi. Un buon esempio è quello del giornalismo, che nella transizione ha qualche anno di vantaggio rispetto al mondo del libro. Se è vero che la crisi del modello di ricavi costruito sulla carta ha molti effetti preoccupanti, è anche vero che ha ricadute enormi sulla nostra società. Da un lato ci stiamo chiedendo chi (e come) sosterrà i costi del giornalismo, dall'altro la domanda di informazione è aumentata in modo esponenziale. Il sistema troverà un equilibrio. E lo stesso varrà per i libri.
Si sarà capito, a questo punto, che le «aspirazioni» nello scenario che immagino io tendono a non essere catastrofiche. Credo dipenda dal mio rapporto con l'idea di «diverso», che non è costruita sul timore ma, piuttosto, sulla curiosità di comprendere. Però forse dipende anche da quello che questi primi anni di digitale ci hanno insegnato: di fronte ad un cambiamento che opera a livello così profondo (e su una scala così ampia) la resistenza è futile. Aiuta molto di più accettare che la nostra cultura sta cambiando e cercare una posizione nel nuovo mondo. Quando i punti di riferimento si trasformano, in fondo, può capitare di dover rinunciare a qualcosa che si aveva prima. Ma si aprono tanti nuovi spazi per far cose che fino ad oggi non si potevano fare o che si potevano fare solo in modo diverso.
Sono certamente tempi difficili, questi. Ma non sono difficili perchè siamo condannati ad accettarli passivamente. Sono difficili perchè ci richiedono studio, comprensione, impegno e creatività. L'editoria oggi è un settore ad alta innovazione. E questa -forse- è la prima regola del gioco che cambia.
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