Marco Morosini (Avvenire)
«Economia della sufficienza» è un ossimoro per buona parte degli economisti. Uno di loro mi diceva: «Per noi economisti, di più è sempre meglio». Per questo sarà così interessante leggere quanto si dirà al Simposio "Economia della sufficienza - Ciò che manca nell’Agenda per Rio", che il Wuppertal Institut e la Fondazione Heinrich Böll organizzano a Berlino il 21 e 22 maggio in onore di Wolfgang Sachs (programma:http://qualenergia.it/articoli/20120403-economia-della-sufficienza-cio-che-manca-nell-agenda-rio ). Scelti o subìti, i limiti ecologici e la sufficienza sono concetti ai quali il sociologo tedesco ha dedicato una vita di studi, di scritti e di militanza culturale per un mondo in cui giustizia sociale e salvaguardia della natura siano una la condizione per l’altra.
La nostra contraddizione è clamorosa. Da una parte, le scienze naturali stimano con crescente precisione i limiti biofisici da non superare nello sfruttamento della natura. Dall’altra, la maggioranza degli economisti, dei politici e dei leader economici insistono che "di più è sempre meglio" e cercano di stimolare ulteriormente i consumi materiali anche nei paesi ricchi. Costoro non si accontentano neppure di una crescita costante ma invocano addirittura una crescita esponenziale, cioè un’infinita "crescita della crescita": ogni 20 anni l’economia dovrebbe raddoppiarsi. Per sempre.
Si deve a un collettivo di scienziati internazionali guidati da Johan Rockström, dello Stockholm Environment Institute (www.sei-international.org ), la formulazione nel 2009 di nove "limiti planetari" (planetary boundaries), cioè determinati valori di alcuni parametri ecologici che sarebbe prudente non superare con le attività umane, per evitare gravi squilibri nella biosfera: emissioni di CO2, di azoto, di fosforo, acidificazione dei mari, prelievo di acqua dolce, appropriazione umana dei suoli, velocità di perdita della biodiversità. Niente di simile esiste invece da parte della maggioranza degli scienziati sociali - e tanto meno degli economisti - circa i limiti che sarebbe bene dare al nostro agire individuale e collettivo, per restare dentro i "limiti planetari". Quanta energia pro capite possiamo permetterci? Quanti chilometri in automobile o in aereo? Quanti chilometri per cibi e beni che spostiamo per il mondo? Quanto spesso è opportuno rinnovare i nostri veicoli, vestiti, apparecchi elettrici? Quante materie prime possiamo usare per fabbricarli?
Se la formulazione di limiti biofisici prudenziali è soggetta a diverse approssimazioni e presunzioni, la formulazione di limiti prudenziali ai consumi materiali individuali è ancora più precaria. Contano infatti anche fattori poco conoscibili: la futura grandezza della popolazione, la distribuzione più o meno equa dei beni, il progresso ecologico nelle tecniche di produzione, uso e smaltimento, l’invenzione e diffusione di nuovi beni. Eppure, se davvero vogliamo restare entro i "limiti planetari", non è ammissibile accettare come fatalità o addirittura auspicare l’ulteriore espansione dei consumi materiali nei Paesi industrializzati.
Certo, l’inventiva tecnica e sociale permetterà anche a noi di continuare a migliorare la qualità della vita. Ma dovremo aspirare solo a quei miglioramenti che siano compatibili con una forte riduzione del nostro attuale consumo di natura, perché esso è incompatibile sia con i "limiti planetari" ecologici sia con il legittimo bisogno di due terzi dell’umanità di aumentare i propri consumi materiali.
Più benessere, con meno consumo. È questa la sfida e la nuova frontiera del progresso nelle società più ricche. Quei governi, istituzioni e imprese che dichiarano di far propria questa sfida puntano però su un’unica strategia: un aumento dell’efficienza tecnica, in modo che produzione, trasporti ed edifici riescano a consumare sempre meno energia e altre risorse per ogni unità di merce o di servizio prodotta. Un aumento di efficienza tecnica è molto necessario.
Ma i profeti dell’efficienza sembrano ignorare il bilancio storico degli aumenti di efficienza. Da secoli quando i manufatti e i servizi diventano più efficienti se presi uno per uno, le prestazioni diventano più accessibili e più a buon mercato, e il consumo complessivo di energia e risorse naturali cresce, invece di diminuire. È il cosiddetto effetto rebound (rimbalzo). È per questo che senza un’«economia della sufficienza» l’«economia dell’efficienza» non solo non basta, ma complessivamente è controproduttiva.
Le élite politiche ed economiche sembrano non rendersi conto che entrambe le strategie, efficienza e sufficienza, sono indispensabili. Ma milioni di cittadini del mondo - certo, per ora una piccola minoranza - lo stanno capendo e provano a praticare nuovi stili di vita (www.bilancidigiustizia.it). Nel campo della mobilità, per esempio, si possono moderare il numero, la velocità e la distanza degli spostamenti in automobile e il peso del veicolo che si sceglie. Si possono ridurre la frequenza e il numero dei chilometri dei viaggi aerei.
A questi due mezzi si può preferire il treno, quando il divario di tempo non sia proibitivo. Invece che a motore, parte dei tragitti brevi possono avvenire a piedi o in bicicletta, con beneficio anche per la salute. Si può ridurre la frequenza di acquisto di articoli nuovi per sostituire quelli vecchi o presunti vecchi: veicoli, vestiti, mobili, apparecchi elettrici. Più a lungo si usa un bene, più vengono ammortizzati i suoi costi in energia, materiali e inquinamento e più si ritardano costi e danni per produrre un nuovo bene e smaltire quello dismesso.
Nell’alimentazione si posso preferire più spesso cibi locali e di stagione, piuttosto che quelli trasportati, con dispendio di energia e di emissioni nocive, da lontanissimo e nelle stagioni più disparate. Nell’abitare si possono moderare il riscaldamento e il raffreddamento dei locali, risparmiando energia, inquinamento e denaro. Lo stesso si può fare con l’illuminazione e gli altri apparecchi elettrici e spegnendo, quando non necessari, i sempre più numerosi stand-by che consumano elettricità giorno e notte.
Purtroppo un disincentivo a questi comportamenti è la consapevolezza che i più non li praticano, quindi la loro percezione come sacrifici inutili e ingiusti. Per questo occorre anche una dimensione collettiva della sufficienza. Nel suo ultimo libro Futuro sostenibile (www.edizioniambiente.it/eda/catalogo/libri/609 ), per esempio, Wolfgang Sachs propone che il legislatore non consenta la costruzione di automobili più veloci di 120 km/h e treni più veloci di 200 km/h, con gran risparmio dell’energia usata dai veicoli, che cresce in proporzione al quadrato della velocità. Agli ascensori e alle scale mobili, gli architetti potrebbero affiancare scale invitanti, ben visibili e accessibili, invece di nasconderle dietro una porta mal segnalata.
Infine, c’è una dimensione politica e culturale della sufficienza. Come scrive Sachs «il passaggio a un’economia sostenibile è pensabile solo con entrambe le strategie: ecoefficienza, cioè una reinvenzione dei mezzi tecnici, ed ecosufficienza, cioè una saggia moderazione delle pretese».
Perché questo avvenga in tempi utili, occorre che l’idea guida della sufficienza diventi priorità nella politica e predomini nella cultura di massa. Dal raggiungimento di questo obiettivo sembrano separarci anni luce. Ma la storia ci ha insegnato che altre tappe del progresso umano apparentemente inaccessibili sono state raggiunte prima di quanto molti pensassero.
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